#TuttiacasaconFabrique Archivi - Fabrique Du Cinéma https://www.fabriqueducinema.it La Rivista Del Nuovo Cinema Italiano Mon, 21 Jun 2021 17:12:09 +0000 it-IT hourly 1 Moths to Flame: Houston, abbiamo un problema https://www.fabriqueducinema.it/tuttiacasaconfabrique/moths-to-flame/ https://www.fabriqueducinema.it/tuttiacasaconfabrique/moths-to-flame/#respond Wed, 29 Apr 2020 08:44:59 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=13883 In esclusiva per i lettori di Fabrique la visione gratuita, per un periodo di tempo limitato*, dei corti più premiati degli ultimi anni: i loro autori sono registi giovani e promettenti, e noi scommettiamo sul loro talento.  Neil Armstrong e Buzz Aldrin sono intrappolati misteriosamente in una stanza, pochi minuti prima della missione Apollo 11. […]

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In esclusiva per i lettori di Fabrique la visione gratuita, per un periodo di tempo limitato*, dei corti più premiati degli ultimi anni: i loro autori sono registi giovani e promettenti, e noi scommettiamo sul loro talento. 

Neil Armstrong e Buzz Aldrin sono intrappolati misteriosamente in una stanza, pochi minuti prima della missione Apollo 11. Il countdown è deciso: il loro sarà un piccolo passo per un uomo, un gigante balzo verso l’ignoto.

MOTHS TO FLAME // Official Trailer from Box Vision on Vimeo.

Vincitore del Nastro d’Argento nel 2019, oltre a svariati altri premi in giro per il mondo, Moths to Flame di Luca Jankovic e Marco Pellegrino è una rilettura molto personale dello sbarco sulla Luna il cui cinquantenario si è celebrato nel luglio dello scorso anno.

Neil Armstrong, il primo uomo a mettere piede sul suolo lunare, è interpretato da David Menkin, Buzz Aldrin da David Callahan. Il corto è stato realizzato con la coproduzione di Box Vision (di cui Jankovic è uno dei fondatori) e dell’inglese Paguro Film di Giada Mazzoleni, in collaborazione con l’Ananim Production di Ghila Valabrega e il giovane team di Overclock.

Come si svolto il lavoro con i due attori, entrambi professionisti stranieri? 

L: Abbiamo avuto un po’ di difficoltà con la lingua, anche se uno dei due è americano ma vive in Italia da anni. Abbiamo impostato la lavorazione per poter fare due giorni di prove, uno con David Callahan e uno con David Menkin che è arrivato da Londra. Abbiamo lasciato loro libertà di movimento per poi fissare quello che ci piaceva. Da lì abbiamo modellato la regia, la spontaneità creativa degli attori ha aiutato moltissimo, anche per calibrare il linguaggio e le espressioni.

M: Infatti una prima fase di traduzione è stata fatta con Callahan stesso, anche grazie a un suo contatto: Peter Flood, dialoghista per Le iene di Quentin Tarantino. Siamo riusciti così a fare un editing più interessante e aderente al linguaggio usato nell’America dei Sixties. Ci siamo concentrati molto sui dettagli narrativi e filologici di quegli anni. Il nostro è stato un lavoro un po’ vintage: ad esempio, non abbiamo potuto usare la pellicola, ma abbiamo scelto delle ottiche anamorfiche degli anni Sessanta.

(ringraziamo Stefania Covella)

* Scaduto il termine, il video integrale sarà sostituito dal trailer.

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Marco Jemolo: il mio Framed parla di libertà https://www.fabriqueducinema.it/tuttiacasaconfabrique/marco-jemolo-framed/ https://www.fabriqueducinema.it/tuttiacasaconfabrique/marco-jemolo-framed/#respond Wed, 22 Apr 2020 15:36:37 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=13836 In esclusiva per i lettori di Fabrique la visione gratuita, per un periodo di tempo limitato, dei corti più premiati degli ultimi anni: i loro autori sono registi giovani e promettenti, e noi scommettiamo sul loro talento.  FRAMED from marco jemolo on Vimeo. Siamo davvero padroni del nostro destino? Fk è un omino di plastilina, […]

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In esclusiva per i lettori di Fabrique la visione gratuita, per un periodo di tempo limitato, dei corti più premiati degli ultimi anni: i loro autori sono registi giovani e promettenti, e noi scommettiamo sul loro talento. 

FRAMED from marco jemolo on Vimeo.

Siamo davvero padroni del nostro destino? Fk è un omino di plastilina, di quelli usati nel cinema d’animazione, ma ha un’anima profonda e un forte spirito critico. In una sala da interrogatori in un anonimo distretto di polizia, Fk si presenta affermando di essere stato strappato al suo mondo, torturato e umiliato. Gli viene chiesto così di raccontare nel dettaglio le ingiustizie subite.

Selezionato in circa 200 festival e vincitore di numerosi premi e menzioni, Framed è un cortometraggio di animazione in stop motion che racconta i limiti che la società moderna pone alla libertà individuale.

Coinvolte nel progetto importanti realtà  di  Torino,  tra  cui  Torino Piemonte Film Commission, il Centro Sperimentale di Cinematografia – Sezione Animazione, l’Accademia Albertina di Belle Arti, Lacumbia Film, Ouvert e Dfrg.press. La produzione è di Nicoletta Cataldo, Eleonora Diana, Grey Ladder e dello stesso regista Marco Jemolo, 35 anni, romano con una lunga esperienza in UK come filmmaker.

Marco, quali sfide si incontrano nella realizzazione di un lavoro come Framed?

«La principale, senza dubbio, è convincere i produttori a realizzarlo. Bisogna incontrare qualcuno che condivida la tua passione e che capisca, ad esempio, che con la stop motion non è possibile visionare le riprese giorno per giorno… Deve riporre grande fiducia nella troupe. Quindi il primo passo è anche il più difficile. Framed è stato girato a Torino, dove lavorano i migliori animatori d’Italia, nell’estate del 2016. Le riprese sono durate due mesi e pensa: in una giornata proficua portavamo a casa appena due secondi di girato! Altro aspetto insolito: quando si lavora con le tecniche d’animazione, il montaggio è deciso prima di realizzare le riprese, col suono e coi disegni preparatori. Bisogna avere molta immaginazione, avere già in testa il risultato finale, e la fase di storyboard è estremamente minuziosa e meticolosa, così come il videoboard. Bisogna cercare di prevenire qualsiasi imprevisto. Il risultato probabilmente non corrisponderà interamente alla tua idea iniziale, ma lasciare alla squadra un margine di autonomia nella fase creativa rappresenta un valore aggiunto».

CREDITS Director: Marco Jemolo; Production: Nicoletta Cataldo, Grey Ladder, Eleonora Diana, Mar- co Jemolo; Executive Producers: Nicoletta Cataldo, Alessandro Regaldo Cinematographer: Umberto Costamagna; Sound: Emanuela Cotellessa Music Alessandro Marrosu; Cast: Guglielmo Favilla, Dario Penne

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Il nuovo numero di Fabrique finalmente online! Leggilo ora https://www.fabriqueducinema.it/tuttiacasaconfabrique/il-nuovo-numero-di-fabrique-online/ https://www.fabriqueducinema.it/tuttiacasaconfabrique/il-nuovo-numero-di-fabrique-online/#respond Fri, 17 Apr 2020 14:51:28 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=13795   LEGGI E SCARICA QUI FABRIQUE N. 28! Per la prima volta il nuovo numero di Fabrique du Cinéma è pubblicato esclusivamente sul web: certo, è una scelta dettata dal lockdown che in questi mesi ha rivoluzionato ogni aspetto dell’economia e della società di tanti Paesi, e il cinema è uno di quei settori che ne […]

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LEGGI E SCARICA QUI FABRIQUE N. 28!

Per la prima volta il nuovo numero di Fabrique du Cinéma è pubblicato esclusivamente sul web: certo, è una scelta dettata dal lockdown che in questi mesi ha rivoluzionato ogni aspetto dell’economia e della società di tanti Paesi, e il cinema è uno di quei settori che ne ha particolarmente sofferto. Le produzioni sono tuttora bloccate e l’uscita di tanti film molto attesi, di cui parliamo nelle pagine del nuovo numero (preparato prima dell’emergenza), è stata rimandata a data da destinarsi e non possiamo nasconderci che tutta la filiera stia attraversando un momento particolarmente difficile.

Tuttavia noi siamo assolutamente convinti che questo sovvertimento porterà con sé anche tante novità positive, nelle modalità di fruizione e nei contenuti del cinema, e con il 28esimo Fabrique lo gridiamo a gran voce: e come noi ci credono tanti registi, sceneggiatori, produttori, distributori ed esercenti, che si stanno attrezzando per trasformare gli ostacoli in opportunità.

Ed ecco cosa trovate nel nuovo numero di Fabrique: un focus sui fratelli D’Innocenzo, trionfatori alla Berlinale – Berlin International Film Festival con il loro Favolacce, Daphne Scoccia, scoperta per caso da Claudio Giovannesi e che, a soli venticinque anni, ha partecipato all’ultima Berlinale come protagonista dell’opera prima di Chiara Bellosi, Palazzo di giustizia.

Giovani, pieni di idee e di entusiasmo sono anche i nostri Futures Martina Scarpelli, Damiano Giacomelli e il duo composto da Andrea Brusa e Marco Scotuzzi, così come l’autore teatrale Fabio Condemi e il fumettista Toni Bruno. Dialogano con noi anche il direttore delle serie Netflix per l’Europa Felipe Tewes e la presidente di Italian Film Commissions Cristina Priarone.

Nell’anno del centenario della nascita, non potevamo tralasciare in questo nuovo numero un omaggio a Federico Fellini, il cineasta più rappresentativo del cinema italiano che rivive con forza nell’intervista rilasciata allo storico del cinema Aldo Tassone e che pubblichiamo in esclusiva.

Last but not least il team di giovani attori pronti a sbalordire pubblico e critica sul grande e piccolo schermo: Elisa Visari, Davide Calgaro, Roberto Luigi Mauri, Serena De Ferrari, Filippo Marsili, Gea Dall’Orto.

Ringraziamo i nostri partner:
Teatro BrancaccioIlaria Di Lauro make-up artistHarumi RomaD-Vision Movie PeopleZero21 Braziliansushibar

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Fabrique 28, il nuovo numero direttamente online! https://www.fabriqueducinema.it/tuttiacasaconfabrique/fabrique-28-il-nuovo-numero-direttamente-online/ https://www.fabriqueducinema.it/tuttiacasaconfabrique/fabrique-28-il-nuovo-numero-direttamente-online/#respond Tue, 14 Apr 2020 16:20:43 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=13779 Arriva il nuovo numero di Fabrique du Cinéma, il 28esimo, e sarà pubblicato esclusivamente online il 17 aprile sul sito www.fabriqueducinema.com. Una scelta che la redazione di Fabrique ha ritenuto necessaria in seguito all’emergenza Coronavirus: con la sospensione di ogni tipo di eventi, il bisogno di informazione e cultura si è spostato sul web in […]

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Arriva il nuovo numero di Fabrique du Cinéma, il 28esimo, e sarà pubblicato esclusivamente online il 17 aprile sul sito www.fabriqueducinema.com.

Una scelta che la redazione di Fabrique ha ritenuto necessaria in seguito all’emergenza Coronavirus: con la sospensione di ogni tipo di eventi, il bisogno di informazione e cultura si è spostato sul web in una misura senza precedenti. E Fabrique ha deciso di non interrompere la sua missione: informare sul cinema e sui nuovi talenti.

In questo contesto eccezionale, che segnerà in maniera indelebile l’immaginario collettivo, la scelta di diffondere il nuovo numero di Fabrique per la prima volta direttamente online è un modo per cercare di rimanere al fianco dei nostri lettori anche in un momento così difficile.

Allo stesso tempo è l’occasione per pensare sin d’ora al futuro in maniera costruttiva e preparare una ripartenza forte, rilanciando nel frattempo con sempre maggior impegno la nostra offerta culturale in rete.

E Fabrique n. 28 è ricchissimo. In primo piano l’opera seconda dei gemelli D’Innocenzo, trionfatori alla Berlinale – Berlin International Film Festival con il loro Favolacce. Proprio ai trentunenni gemelli di Tor Bella Monaca, che seguiamo con grande attenzione dal loro esordio con La terra dell’abbastanza, dedichiamo un’intervista in cui i due raccontano se stessi e il loro modo di vivere il cinema.

La passione è il tratto distintivo anche della nostra cover Daphne Scoccia, scoperta per caso da Claudio Giovannesi e vera e propria rivelazione che, a soli venticinque anni, ha partecipato all’ultima Berlinale come protagonista dell’opera prima di Chiara Bellosi, Palazzo di giustizia. Giovani, pieni di idee e di entusiasmo sono poi i nostri Futures Martina Scarpelli, Damiano Giacomelli e il duo composto da Andrea Brusa e Marco Scotuzzi, così come l’autore teatrale Fabio Condemi e il fumettista Toni Bruno. Dialogano con noi anche il direttore delle serie Netflix per l’Europa Felipe Tewes e la presidente di Italian Film Commissions Cristina Priarone.

Nell’anno del centenario della nascita, non potevamo tralasciare un omaggio a Federico Fellini, il cineasta più rappresentativo del cinema italiano che rivive con forza nell’intervista rilasciata allo storico del cinema Aldo Tassone e che pubblichiamo in esclusiva.
Non manca infine la squadra di giovani attori del cui talento siamo certi: Elisa Visari, Davide Calgaro, Roberto Luigi Mauri, Serena De Ferrari, Filippo Marsili, Gea Dall’Orto.

Fabrique du Cinéma è online sul sito www.fabriqueducinema.com dal 17 aprile 2020.

Main Partner
Teatro Brancaccio, Ilaria Di Lauro make-up artist, Harumi Roma, D-Vision Movie People, Zero21 Braziliansushibar

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The Essence of Everything: la battaglia fra Vita e Morte https://www.fabriqueducinema.it/tuttiacasaconfabrique/the-essence-of-everything/ https://www.fabriqueducinema.it/tuttiacasaconfabrique/the-essence-of-everything/#respond Wed, 08 Apr 2020 06:32:57 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=13766 In esclusiva per i lettori di Fabrique la visione gratuita, per un periodo di tempo limitato*, dei corti più premiati degli ultimi anni: i loro autori sono registi giovani e promettenti, e noi scommettiamo sul loro talento.  The Essence of Everything, di Daniele Barbiero, reinterpretazione ultracontemporanea di un topos classico, la battaglia fra la Vita […]

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In esclusiva per i lettori di Fabrique la visione gratuita, per un periodo di tempo limitato*, dei corti più premiati degli ultimi anni: i loro autori sono registi giovani e promettenti, e noi scommettiamo sul loro talento. 

The Essence of Everything, di Daniele Barbiero, reinterpretazione ultracontemporanea di un topos classico, la battaglia fra la Vita e la Morte, questa volta al tavolo di un lussuoso ristorante londinese.

Gea  e  Lucius  si  conoscono  su  un’app  d’incontri,  soltanto  che  lei  è  Vita  e  lui  è  Morte.  O  meglio  la  loro  impersonificazione,  travestiti  in  forma  umana  per  adempiere  ai  loro  rispettivi  doveri.  S’incontrano  per  la  più  imbarazzante  e  disastrosa  cena  romantica  dall’inizio  dei  tempi,  inoltre  confermando  la  paura  dell’umanità  che  l’equilibrio  del  mondo  sia  appeso  ad  un  filo.  Addirittura  loro  però  hanno  una  domanda,  che  rimane  senza  risposta:  come  funziona  l’amore?

Dopo essersi laureato in Scienze Politiche e della Comunicazione Daniele Barbiero, 31 anni, frequenta il Master Luiss Writing School For Cinema and Television. Dopo il successo di Mirror (vincitore di oltre trenta premi nazionali e internazionali) e Radice di 9, di recente ha scritto e diretto lo spot Super Vampiro, fulcro di una campagna pubblica contro l’abuso degli antibiotici con protagonista Ricky Tognazzi. The Essence of Everything è il suo ultimo lavoro, vincitore al Fantafestival 2018.

«Tra i film – ci raccontava qualche tempo fa il regista – che mi sono piaciuti di più negli ultimi anni ci sono DriveWhiplashMommy, indubbiamente d’autore. È quello che mi piace, ma vorrei cercare di fare un cinema popolare e allo stesso tempo di qualità. Nonostante sia giovane, ho una gran desiderio di girare film come questi: Xavier Dolan ha 31 anni e ha già girato il suo ottavo film! E allo stesso modo Scorsese continua a essere immenso. Bisogna stare attenti alle storie e a come vengono raccontate, è tutto qui».

Interpreti: Andrew Mullan (Lucius) e Stephanie Tripp (Gea); Prodotto da: Enrico di Paola; Sceneggiatura: Costanza Bongiorni Montaggio: Gianluca Conca Scenografia: Ludovica Sitajolo Effetti: Mario Baluci

* Trascorso questo periodo, il video integrale sarà sostituito dal trailer.

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La casting director: “Agli attori dico non fermatevi, continuate a imparare” https://www.fabriqueducinema.it/tuttiacasaconfabrique/casting-director-non-fermatevi/ https://www.fabriqueducinema.it/tuttiacasaconfabrique/casting-director-non-fermatevi/#respond Mon, 06 Apr 2020 08:48:20 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=13761 Elisabetta Curcio, casting director per Taodue, può vantare un notevolissimo curriculum – ha lavorato per produzioni del calibro di Come una madre (2020), Io ricordo Piazza Fontana (2019), Rosy Abate (2017-2019) – e questo l’ha portata a conquistare un grande bagaglio di esperienza sul campo, che in queste settimane di quarantena ha messo al servizio […]

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Elisabetta Curcio, casting director per Taodue, può vantare un notevolissimo curriculum – ha lavorato per produzioni del calibro di Come una madre (2020), Io ricordo Piazza Fontana (2019), Rosy Abate (2017-2019) – e questo l’ha portata a conquistare un grande bagaglio di esperienza sul campo, che in queste settimane di quarantena ha messo al servizio degli attori in lezioni su Zoom molto seguite. Abbiamo colto l’occasione per chiederle consigli, osservazioni e speranze su come rendere formativo e creativo questo periodo di grande complessità.

Quale è stata la tua formazione per approdare a un mestiere così particolare?

La mia formazione è stata legata principalmente all’idea di voler svolgere attività di insegnamento. Ho studiato a Napoli, la mia città, mi sono laureata in Lettere e l’idea era quella di proseguire per questa strada. Successivamente, per amore, mi sono trasferita a Roma dove ho avuto modo di conoscere il mondo dello spettacolo. Grazie anche all’incontro con Pietro Valsecchi – chi lo conosce sa quanto sia rigoroso nel suo mestiere – e facendo molta gavetta mi è stato possibile costruire quel complesso di esperienze che uso sempre nel mio lavoro.

Quali credi siano le caratteristiche principali che debba possedere un buon casting director?

Credo che si debba possedere la giusta dose di curiosità e vivacità culturale per poter cominciare a muovere i primi passi in questo mestiere. Bisogna esercitare la mente a pensare, ricordare e soprattutto a immaginare un certo attore per un determinato ruolo, quindi l’elasticità mentale è davvero importante. Anche se, ripeto, la caratteristica principale per un buon casting director è la curiosità umana, un profondo interesse nei confronti della persona che si ha di fronte. Si deve poi aggiungere il rapporto con il regista che è fondamentale e anche in questo caso si deve cercare di cogliere la personalità del proprio collega. In poche parole ci si deve rendere conto del grande valore del “capitale umano” con cui si sta collaborando.

Quali sono i consigli che daresti agli attori in questo periodo di quarantena?

Anzitutto devo dire che, in special modo i più giovani, non si sono fatti intimidire da questo periodo di blocco delle attività. Al contrario stanno cercando di reagire attivamente e di spendere il tempo in casa per una formazione continua. Fortunatamente le nuove tecnologie ci permettono di essere sempre in relazione e questo fa in modo che lo scambio e lo studio non si arrestino mai. Il consiglio è quello di non fermarsi e di far evolvere questo momento così particolare in un periodo di grande arricchimento e di reale maturazione: leggete, informatevi, la cultura rimarrà sempre l’elemento fondamentale per il mestiere dell’attore, e non solo.

Come è, a tuo avviso, l’approccio delle nuove generazioni di attori al mondo del lavoro?

Devo dire che l’idea di avere “tutto e subito” ha finalmente abbandonato il modo di pensare e di approcciarsi al lavoro dei giovani interpreti. In generale credo proprio che l’odierna fascia d’età tra i 20 e i 25 abbia davvero una marcia in più. Possiedono una voglia di apprendere, di mettersi in discussione e soprattutto una curiosità che considero peculiari del loro essere. Hanno un’ emotività e una sensibilità straordinaria, sono delle vere e proprie “macchine da guerra”. Ammetto di essere davvero affascinata dalle nuove generazioni e da come riescono a porsi in ogni ambito.

A proposito della tua formazione umanistica e letteraria, hai delle letture specifiche da consigliare?

Al momento mi sto dedicando ai gialli Simenon ma il mio preferito è J.R. Moehringer. Credo sia il migliore, a partire da Il bar delle grandi speranze fino ai suoi ultimi lavori. Lo consiglierei davvero a chiunque.

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Baradar: quando i sogni sono possibili https://www.fabriqueducinema.it/tuttiacasaconfabrique/baradar/ https://www.fabriqueducinema.it/tuttiacasaconfabrique/baradar/#respond Fri, 03 Apr 2020 08:33:07 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=13750 In esclusiva per i lettori di Fabrique la visione gratuita, per un periodo di tempo limitato*, dei corti più premiati degli ultimi anni: i loro autori sono registi giovani e promettenti, e noi scommettiamo sul loro talento.  Da oggi presentiamo Baradar di Beppe Tufarulo, vincitore nel 2019 di molti premi in vari festival fra cui […]

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Da oggi presentiamo Baradar di Beppe Tufarulo, vincitore nel 2019 di molti premi in vari festival fra cui Giffoni Film Festival e Fabrique du Cinéma Awards.

BARADAR – OFFICIAL TRAILER from Beppe Tufarulo on Vimeo.

Quando sono costretti a separarsi, Ali, dodici anni, e suo fratello Mohammed di diciassette anni sono in viaggio già da moltissimo tempo. Tre anni prima a Kabul una bomba ha distrutto la loro casa e ucciso i loro genitori costringendoli a scappare. Improvvisamente soli e senza più nulla da perdere, Alì e Mohammed partono e dopo aver attraversato il Pakistan nascosti sul tetto di un furgone, raggiungono clandestinamente l’Iran dove si fermano per due anni.

Spiega il regista di Baradar, Beppe Tufarulo: “Un giorno a pranzo, Francesco Casolo, amico scrittore e sceneggiatore, mi ha spiazzato mentre mi raccontava questa storia su cui aveva tanto lavorato per la stesura di un libro. Ho immediatamente pensato che il drammatico viaggio di questo bambino dovesse essere conosciuto dal maggior numero possibile di ragazzi, senza distinzioni di nazionalità e nella maniera più veloce, libera e globale. Alì è arrivato da solo in Italia a tredici anni. È stato capace di laurearsi in Legge ed è poi diventato un insegnante in una scuola superiore di Roma. La sua vita è la dimostrazione che i sogni sono possibili, non importa quale sia il punto di partenza. Credo nella forza del linguaggio cinematografico e nelle sue potenzialità didattiche, grazie alle quali vorrei far riflettere demolendo i pregiudizi spesso legati al fenomeno dell’immigrazione. Questo è prima di tutto il ritratto di un ‘nuovo italiano’ che ha trovato un coraggio e una forza incredibili per andare avanti”.

Beppe Tufarulo è un produttore e regista milanese. Inizia a lavorare per MTV dove ha scritto, diretto e curato diversi progetti, tra cui alcuni documentari sociali girati in vari Paesi del mondo ricevendo menzioni speciali fra cui il Premio Ilaria Alpi.
Nel 2010 vince il Premio Solinas Talenti in Corto che gli consente di realizzare il cortometraggio Al servizio del cliente con cui partecipa a più di settanta festival nazionali ed internazionali aggiudicandosi numerosi premi e riconoscimenti.
Negli ultimi anni ha diretto anche spot, branded content e diversi documentari, come I Figli delle Shoah, presentato al Festival del Cinema di Roma. Attualmente sta lavorando al progetto del suo primo lungometraggio.

Scaduto il termine, il corto integrale è sostituito dal trailer.

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Recording Stradivari: e la città si è fermata per un mese https://www.fabriqueducinema.it/tuttiacasaconfabrique/stradivari/ https://www.fabriqueducinema.it/tuttiacasaconfabrique/stradivari/#respond Thu, 02 Apr 2020 07:36:21 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=13738 Nel 2018 una terribile alluvione  ha devastato le foreste del Trentino dalle quali Antonio Stradivari ricavava il legno per fabbricare i suoi celeberrimi violini: il “suono Stradivari” potrebbe andare perduto per sempre. Un team di ingegneri ha lavorato per un mese intero a Cremona, città natale del liutaio, per digitalizzare il suono degli antichi Stradivari […]

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Nel 2018 una terribile alluvione  ha devastato le foreste del Trentino dalle quali Antonio Stradivari ricavava il legno per fabbricare i suoi celeberrimi violini: il “suono Stradivari” potrebbe andare perduto per sempre. Un team di ingegneri ha lavorato per un mese intero a Cremona, città natale del liutaio, per digitalizzare il suono degli antichi Stradivari e renderlo immortale. E l’intera città si è fermata ogni giorno dalle 9 alle 20, per fare silenzio e permettere una registrazione assolutamente perfetta. Giacomo Boeri insieme a Matteo Grimaldi ci racconta questa storia incredibile, ripresa curiosamente più dalla stampa internazionale che da quella italiana, nel suo cortometraggio Recording Stradivari.

 

33 anni, Giacomo Boeri studia Cinema alla New York Film Academy e alla London Film School e nel 2012 fonda The Blink Fish per cui scrive e dirige corti, documentari e spot per brand famosi. Con il suo divertente e tragico Pater familias (qui il trailer ufficiale) ha vinto il diversi premi: un corto dramedy che racconta i social network da un punto di vista differente e si prende gioco delle ipocrisie di un padre di famiglia apparentemente irreprensibile.

giacomo boeri

Dopo aver studiato a New York e a Londra, sei tornato a Milano e hai fondato la Blink Fish, che si occupa sia di pubblicità che di cinema. Come gestisci le due anime del progetto?

Ho deciso di fondare la società perché, stando su Milano, l’ambito pubblicitario è quello più immediato, mentre il cinema va meno ed è difficile lavorare su aspetti narrativi, da autore indipendente venivo sballottato tra le case di produzione. Inoltre, mi è sempre piaciuta tutta la parte creativa precedente mentre, come regista, si arriva sempre quando è finita. Volevo, insomma, entrare in gioco da prima. Facciamo cose di vario genere (come ADV, fashion film e video, musicali), ma abbiamo tutti la passione del cinema. Il nostro obiettivo è quello di autoprodurre ogni anno un documentario o un cortometraggio, qualcosa di più personale; per ora ci stiamo riuscendo ed è la cosa che più ci dà soddisfazione.

 

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Instagram interviews: Giorgio Pasotti https://www.fabriqueducinema.it/tuttiacasaconfabrique/instagram-interviews-giorgio-pasotti/ https://www.fabriqueducinema.it/tuttiacasaconfabrique/instagram-interviews-giorgio-pasotti/#respond Wed, 01 Apr 2020 09:01:09 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=13733 Quando chiamiamo Giorgio Pasotti, bergamasco, la situazione per il picco di contagi da Coronavirus in città è nel momento peggiore: Giorgio è preoccupato per la famiglia e gli amici che vivono lì, e nel suo Instagram ha inserito un numero a cui poter fare una donazione per l’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, in prima […]

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Quando chiamiamo Giorgio Pasotti, bergamasco, la situazione per il picco di contagi da Coronavirus in città è nel momento peggiore: Giorgio è preoccupato per la famiglia e gli amici che vivono lì, e nel suo Instagram ha inserito un numero a cui poter fare una donazione per l’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, in prima linea nell’emergenza. Ma, come per le altre interviste di queste storie Instragram #TuttiacasaconFabrique, il nostro obiettivo è soprattutto quello di parlare di cinema con attori e registi, facendoci raccontare aneddoti ed episodi della loro carriera, proprio per guardare oltre a questo momento così difficile.

F: Giorgio, cominciamo con un paese importante per te: la Cina.

GP: Il mio rapporto con la Cina nasce parecchi anni fa. Sono partito il 12 dicembre del 1992, tre anni dopo la rivoluzione studentesca di Tienanmen. Era una Cina drasticamente diversa da quella di oggi. Io ho avuto la fortuna di poter pensare di fare un’esperienza unica e irripetibile, perché ho potuto vedere il processo di trasformazione di quelli che erano i confini con l’occidente. Prima di allora gli stessi studenti cinesi ai tempi avevano poco chiaro cosa ci fosse al di fuori dei loro confini.

F: Cosa studiavi?

GP: Medicina. Volevo diventare medico sportivo. Mio padre lavora nell’antiquariato, e casualmente era venuto a conoscenza di un’università a Pechino tra le migliori in Cina. Io avevo appena finito il servizio militare, era ottobre. All’epoca non ci si poteva più iscrivere all’università in quel periodo, così ho passato i due mesi successivi senza sapere con certezza cosa fare del mio futuro. Poi, sentendo di quest’università, decisi di fare la valigia e partire.

F: Ci vuole molto coraggio (o follia).

GP: Avevo diciannove anni, a quell’età non ci si rende davvero conto di quello che si fa.

F: Parli cinese?

GP: Si, anche se non lo parlo più bene come prima. L’ho imparato lì, perché non sono partito conoscendolo prima. La Cina all’epoca ti accoglieva in uno scenario completamente diverso. Non c’era nessuna scritta in inglese, e nessuno, o quasi, parlava inglese. Arrivo all’università faccio l’esame d’ammissione, e mi dicono che posso rimanere. La stanza in cui alloggiavo era di circa due metri per quattro, e la condividevo con un ragazzo del Gabon. Avevamo solo una brandina e uno scrittoio a testa distanti un metro l’uno dall’altro.

F: Quindi l’arrivo non è stato dei più positivi.

GP: È stato abbastanza scioccante. Non era certo una prigionia, ma il regolamento comunista all’epoca era molto restrittivo. Ci si alzava alle 5.30 del mattino, alle 6 c’era l’ora di educazione fisica nazional-popolare. Chiunque doveva mettersi in fila e l’istruttore dava gli esercizi ad ogni singola persona. Il jet-lag non aiutava, e anche se mi svegliavo estremamente presto trovavo già alle 5 persone che facevano attività.

F: Quand’è che hai scoperto la tua passione per la recitazione? Lì in Cina?

GP: Non ho mai sognato di fare l’attore, non ho mai avuto una formazione recitativa classica. Mentre ero in Cina coltivavo parallelamente allo studio la mia passione per le arti marziali, e un giorno venne una produttrice di Hong Kong che cercava un ragazzo occidentale da scritturare per una produzione locale. Il primo film a cui ho partecipato si chiamava Treasure Hunt, con protagonista Chow Yun-Fat. Io interpretavo un ragazzo di origine americana cresciuto dai monaci shaolin. Ottenni la parte solo perché non c’erano altri attori occidentali disponibili. Non volevo assolutamente fare l’attore, ma ho pensato anche che partecipare in una produzione cinese sarebbe stata un’esperienza che non sarebbe più ricapitata. Per farla breve, il film esce e ha un grande successo, e in seguito mi chiamano per fare un secondo film, poi un terzo e un quarto.

F: Erano film sulle arti marziali?

GP: Tutti sulle arti marziali. Non dovevo recitare ma solo tirare calci. Facevo una cosa che sapevo fare ma in uno spazio diverso. Vado ad Hong Kong per l’anteprima del film e scopro di aver raggiunto una certa notorietà in quanto unico occidentale. Capitava anche che girando per le strade di Hong Kong qualcuno ogni tanto mi fermasse e mi chiedesse l’autografo.

F: Lasciando da parte la Cina, qual è il personaggio che hai interpretato che ti è rimasto più dentro?

GP: Ce ne sono parecchi, ma sono molto legato al primo film che ho fatto. È un film di Daniele Luchetti ed è I piccoli maestri, tratto dall’omonimo romanzo di Luigi Meneghello. Racconta la storia di un gruppo di ragazzi universitari durante la seconda guerra mondiale che abbandonano gli studi a Padova per abbracciare la resistenza. Quando sono tornato in Italia non ero ancora certo di voler fare l’attore, ma erano usciti degli articoli su di me e sulla mia carriera cinematografica in Cina. Non so come queste notizie arrivarono all’orecchio di Daniele Luchetti, non gliel’ho mai chiesto, ma disse che stavano cercando dei ragazzi per fare il suo film. Il fratello più grande di mio padre morì partigiano a 16 anni proprio sulla linea gotica, e dunque sono cresciuto con questa storia che i miei parenti mi raccontavano. La storia del film era molto simile, e quindi io sono andato a fare il provino quasi come per ripagare ciò che questo zio che non ho mai conosciuto aveva fatto. Daniele mi offrì subito il ruolo da protagonista, perché per lui gli attori erano “quelli che con una valigia o uno zaino facevano il giro del mondo e poi tornavano”.

F: Nella tua carriera hai lavorato con molti grandi registi, tra cui Monicelli. Puoi raccontarci qualche aneddoto?

GP: Di Monicelli ne posso raccontare parecchi, lavorare con lui è stata una grandissima esperienza soprattutto a livello umano oltre che professionale. È uno degli uomini più intelligenti che abbia mai incontrato. Durante le riprese de Le rose del deserto abbiamo lavorato tre mesi in Tunisia, e ogni tanto arrivavano delle forti tempeste di vento. Non si poteva fare molto, l’opzione migliore era ripararsi dietro qualcosa e aspettare che la tempesta passasse. Durante una di queste tempeste sento gridare “Mario! Mario!”. Io mi affaccio da dietro il carro armato che faceva parte del set e vedo nella polvere Monicelli con un elmo in testa da seconda guerra mondiale e un cappotto di tre taglie più grande di lui che avanzava per inerzia. Io tra me e me pensavo “ma dove va quest’uomo? Ma come fa?”.

F: E sul lavoro com’era?

GP: Aveva le sue simpatie e le sue antipatie. Aveva un rapporto esclusivo con Alessandro Haber in cui gliene diceva di tutti i colori, ma era una cosa che si era sviluppata negli anni. A me no invece; a me ha sempre voluto bene, rispettato e stimato. Diceva della nostra generazione di attori che “tu e la tua generazione prendete questo lavoro troppo sul serio; non ridete mai”.

F: Opinioni su Muccino e Sorrentino?

GP: Gabriele Muccino lo conosco da sempre. È un rapporto di amicizia e stima che ci unisce da anni. La prima volta che lo vidi era in un ufficio, stava realizzando la sua opera prima Ecco fatto. Ero lì per un provino, vidi Gabriele entrare con i roller blade e pensai subito che fosse una persona poco seria. Invece poi ne ho scoperto il talento e penso che l’abbia anche ampiamente dimostrato.

F: E Sorrentino?

GP: Sorrentino lo considero il più grande talento che oggi abbiamo in Italia. È una persona a cui bastano pochi fotogrammi per far riconoscere il suo stile, il suo gusto musicale. È vero che è accompagnato da professionisti come Lillo Macchitelli, che lo consiglia, ma è anche un meraviglioso DJ. Io sono un fan di tutto quello che Sorrentino ha fatto, non ultimo il lavoro su Young Pope che trovo una delle serie più belle degli ultimi anni.

F: Che tipo di film ti piace raccontare? So che il tuo secondo film come regista è in uscita, quando sarà possibile…

GP: Sono un grande appassionato del cinema scandinavo. Questa mia seconda regia è il remake proprio di un film danese dal titolo Le mele di Adamo, un film del 2005 di cui mi innamorai perdutamente. Mi rimase quest’ironia intelligente e attuale, forse più attuale ora rispetto a quando il film uscì. Questi film riescono a raccontare la vita senza accontentare nessuno, ma semplicemente raccontandola per quello che è, nella sua ferocia, a volte nella sua tristezza e a volte nella gioia che ti porta.

(ringraziamo per la collaborazione Giovanni Ardizzone)

 

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In esclusiva per i lettori di Fabrique la visione gratuita, per un periodo di tempo limitato*, dei corti più premiati degli ultimi anni: i loro autori sono registi giovani e promettenti, e noi scommettiamo sul loro talento. 
Solo per oggi in esclusiva il nuovo corto di Damiano Giacomelli, Spera Teresa, vincitore dello scorso Torino Film Festival, un mockumentary ambientato nell’emergenza post terremoto delle Marche dal finale sorprendente, interpretato da Rebecca Liberati e con un imperdibile cameo di Iva Zanicchi.

Dopo gli studi in comunicazione multimediale e in scrittura cinematografica, dal 2010 Damiano Giacomelli indaga le comunità dell’entroterra appenninico attraverso progetti filmici, iniziative di formazione cinematografica con Officine Mattòli e la direzione artistica del festival Borgofuturo. Ha lavorato come sceneggiatore per lungometraggi e serie web. Ha diretto diversi prodotti audiovisivi, tra cui documentari per la TV e cortometraggi promozionali.
Dopo Un rovescio (2014) e La strada vecchia (2018), Spera Teresa (2019) è il suo terzo cortometraggio.
Nel 2019 esce anche il suo primo documentario per il cinema, Noci sonanti. Il film è in concorso al Biografilm – International celebration of lives, dove vince il premio Hera – Nuovi talenti, per la miglior opera prima.
Damiano, possiamo considerare il tuo come un cinema delle origini? Quasi identitario?

Tra i luoghi che ho frequentato, quello in cui abito è forse il più lontano dai centri principali del fare cinema. Così quando lavoro faccio poco riferimento alle tendenze e molto al rapporto con la realtà che mi circonda. La provincia delle aree interne ormai è questione di reduci. Spesso mi trovo a indagare situazioni in cui qualcuno incontra (o si scontra con) le omologazioni della società di massa. Tanto chi resiste, quanto chi aderisce, lo fa spesso in modo sghembo e non allineato. Ne deriva un disadattamento che oggi risuona in tante anonime province dei paesi occidentali.

Spera Teresa, che si è aggiudicato la vittoria al TFF, sembra collocarsi a metà tra la fiction e il documentario sociale.

L’ho scritto in mezza giornata nell’immediato post-sisma, tra un trasloco e l’altro. Al centro del corto c’è un personaggio, Teresa, costruito sulla sua ottima interprete: Rebecca Liberati. L’altro ingrediente è un nuovo quartiere della mia città, nato tra un magazzino di fallimenti e uno dei più grandi villaggi container in Italia. Avevo iniziato a giocare col mockumentary per promuovere il festival Borgofuturo. In Spera Teresa ho ripreso quel linguaggio con maggiore studio e progettazione, cercando però di mantenere l’energia grezza che può veicolare.

(ringraziamo Stefania Covella)

* Scaduto il termine, il corto integrale è sostituito dal trailer.

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