Elisabetta Curcio, casting director per Taodue, può vantare un notevolissimo curriculum – ha lavorato per produzioni del calibro di Come una madre (2020), Io ricordo Piazza Fontana (2019), Rosy Abate (2017-2019) – e questo l’ha portata a conquistare un grande bagaglio di esperienza sul campo, che in queste settimane di quarantena ha messo al servizio degli attori in lezioni su Zoom molto seguite. Abbiamo colto l’occasione per chiederle consigli, osservazioni e speranze su come rendere formativo e creativo questo periodo di grande complessità.
Quale è stata la tua formazione per approdare a un mestiere così particolare?
La mia formazione è stata legata principalmente all’idea di voler svolgere attività di insegnamento. Ho studiato a Napoli, la mia città, mi sono laureata in Lettere e l’idea era quella di proseguire per questa strada. Successivamente, per amore, mi sono trasferita a Roma dove ho avuto modo di conoscere il mondo dello spettacolo. Grazie anche all’incontro con Pietro Valsecchi – chi lo conosce sa quanto sia rigoroso nel suo mestiere – e facendo molta gavetta mi è stato possibile costruire quel complesso di esperienze che uso sempre nel mio lavoro.
Quali credi siano le caratteristiche principali che debba possedere un buon casting director?
Credo che si debba possedere la giusta dose di curiosità e vivacità culturale per poter cominciare a muovere i primi passi in questo mestiere. Bisogna esercitare la mente a pensare, ricordare e soprattutto a immaginare un certo attore per un determinato ruolo, quindi l’elasticità mentale è davvero importante. Anche se, ripeto, la caratteristica principale per un buon casting director è la curiosità umana, un profondo interesse nei confronti della persona che si ha di fronte. Si deve poi aggiungere il rapporto con il regista che è fondamentale e anche in questo caso si deve cercare di cogliere la personalità del proprio collega. In poche parole ci si deve rendere conto del grande valore del “capitale umano” con cui si sta collaborando.
Quali sono i consigli che daresti agli attori in questo periodo di quarantena?
Anzitutto devo dire che, in special modo i più giovani, non si sono fatti intimidire da questo periodo di blocco delle attività. Al contrario stanno cercando di reagire attivamente e di spendere il tempo in casa per una formazione continua. Fortunatamente le nuove tecnologie ci permettono di essere sempre in relazione e questo fa in modo che lo scambio e lo studio non si arrestino mai. Il consiglio è quello di non fermarsi e di far evolvere questo momento così particolare in un periodo di grande arricchimento e di reale maturazione: leggete, informatevi, la cultura rimarrà sempre l’elemento fondamentale per il mestiere dell’attore, e non solo.
Come è, a tuo avviso, l’approccio delle nuove generazioni di attori al mondo del lavoro?
Devo dire che l’idea di avere “tutto e subito” ha finalmente abbandonato il modo di pensare e di approcciarsi al lavoro dei giovani interpreti. In generale credo proprio che l’odierna fascia d’età tra i 20 e i 25 abbia davvero una marcia in più. Possiedono una voglia di apprendere, di mettersi in discussione e soprattutto una curiosità che considero peculiari del loro essere. Hanno un’ emotività e una sensibilità straordinaria, sono delle vere e proprie “macchine da guerra”. Ammetto di essere davvero affascinata dalle nuove generazioni e da come riescono a porsi in ogni ambito.
A proposito della tua formazione umanistica e letteraria, hai delle letture specifiche da consigliare?
Al momento mi sto dedicando ai gialli Simenon ma il mio preferito è J.R. Moehringer. Credo sia il migliore, a partire da Il bar delle grandi speranze fino ai suoi ultimi lavori. Lo consiglierei davvero a chiunque.