Venezia 80 Archivi - Fabrique Du Cinéma https://www.fabriqueducinema.it La Rivista Del Nuovo Cinema Italiano Thu, 14 Mar 2024 16:47:00 +0000 it-IT hourly 1 Finalmente l’alba, film ambizioso con un’esordiente di incredibile talento https://www.fabriqueducinema.it/cinema/nuove-uscite/finalmente-lalba-film-ambizioso-con-unesordiente-di-incredibile-talento/ https://www.fabriqueducinema.it/cinema/nuove-uscite/finalmente-lalba-film-ambizioso-con-unesordiente-di-incredibile-talento/#respond Tue, 13 Feb 2024 08:43:34 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=18963 I film di un autore eccezionale come Saverio Costanzo si aspettano sempre con grande trepidazione: anche laddove non convincono pienamente, anche quando possono sembrare diseguali e non sempre uniformemente ispirate, le opere di Costanzo rappresentano ogni volta un tassello importante nel panorama contemporaneo del cinema italiano, sia per ciò che il regista ha da dire, […]

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I film di un autore eccezionale come Saverio Costanzo si aspettano sempre con grande trepidazione: anche laddove non convincono pienamente, anche quando possono sembrare diseguali e non sempre uniformemente ispirate, le opere di Costanzo rappresentano ogni volta un tassello importante nel panorama contemporaneo del cinema italiano, sia per ciò che il regista ha da dire, sia per lo stile con cui mette in scena le proprie storie. È quindi con grande gioia che si può salutare Finalmente l’alba, presentato in concorso a Venezia 80, nove anni dopo Hungry Hearts.

Si tratta di un film molto ambizioso, opus magnum prodotto da Fremantle, Wildside e Rai Cinema, e per governare un tale impianto Saverio Costanzo si è potuto avvalere di collaboratori eccellenti come il direttore della fotografia Sayombhu Mukdeeprom (il film è girato in 35mm), la montatrice Francesca Calvelli, la costumista Antonella Cannarozzi, la scenografa Laura Pozzaglio.

Il film si apre con un film: in un granuloso bianco e nero, scorrono le scene finali di un dramma di guerra di stampo neorealista, con un soldato americano che mette in salvo una bambina dopo che la madre è stata uccisa a sangue freddo da un ufficiale della Wehrmacht; fatto il proprio dovere, il soldato si allontana sulla scalinata di piazza di Spagna, in una inquadratura potentissima che a noi spettatori tornerà utile più avanti… Si accendono le luci, l’incanto svanisce, conosciamo la protagonista del film, anche se non lo sappiamo ancora: la giovane Mimosa, timida adolescente romana appassionata di cinema, in compagnia della madre e della sorella maggiore, Iris, che ha il sogno di fare l’attrice, e che viene intercettata (grazie alla sua bellezza) da un giovanotto spavaldo, che le promette di farle fare la comparsa nel nuovo, colossale peplum che gli americani stanno girando a Cinecittà.

Finalmente l'albaIn casa la notizia che la figlia maggiore vada a Cinecittà crea scompiglio, ma alla fine i genitori acconsentono: da qui, possiamo già immaginare gli sviluppi della storia, e cioè che sarà la timida (e più pudica) sorella minore, Mimosa, ad attirare l’attenzione della grande macchina da cinema americana, richiesta in scena addirittura dalla protagonista del film, la star planetaria Josephine Esperanto. La lunga e bella sequenza ambientata a Cinecittà, nel quale si possono cogliere i riferimenti cinematografici che più ci piacciono, in particolare non si può non pensare a Bellissima di Luchino Visconti, ha il suo acme nel secondo film nel film: la scena finale di un monumentale film storico, che ha come riferimento principale Cleopatra di Mankievicz e che spinge a una riflessione sull’impianto formale pensato da Saverio Costanzo: sia il film “neorealista” d’apertura che il “peplum” non sono girati in uno stile facsimile a quello dell’epoca, ma sono entrambi interpretazioni libere e contemporanee di quel peculiare genere cinematografico, nel montaggio, nella scelta delle lenti, nell’uso della luce, nella direzione degli attori.

La giovane Mimosa, tuttavia, intrufolandosi nei corridoi degli stabilimenti, si imbatte in un cinegiornale grazie al quale Costanzo stabilisce il “colore”, l’atmosfera nella quale è calato il film, e che a ben vedere è anche una dichiarazione di quale sia l’embrione effettivo di Finalmente l’alba: un grave fatto di cronaca nera del 1953, la morte della ventunenne Wilma Montesi, modenese, fidanzata con un poliziotto (anche Mimosa, lo scopriamo nelle scene iniziali, è in procinto di sposarne uno che, palesemente, non ama), ma con l’ambizione di entrare nel mondo del cinema, e ritrovata annegata sulla spiaggia di Torvaianica. Un caso ancora irrisolto.

Il rapporto fra Mimosa e Josephine Esperanto raggiunge, grazie alle riprese del colossal, un tale grado di complicità che la diva decide di portare con sé la ragazza per tutta la notte – con l’aiuto di un mefistofelico ma gentile traghettatore interpretato dallo straordinario Willem Dafoe -, in una lunga odissea che si svolge per gran parte nella villa di Capocotta di un signore molto potente, e nel quale si dispiega un caleidoscopio di eventi goliardici, goderecci ma anche dolorosamente grotteschi al quale prendono parte anche personaggi realmente esistiti, come il compositore Piero Piccioni, Alida Valli interpretata da Alba Rohrwacher, e tanti altri personaggi-maschere loschi e spaventosi.

L’enorme corpo cinematografico rappresentato dalla festa notturna ha il chiaro intento di suggerire, dapprima in maniera più allusiva e poi sempre più chiaramente, che l’esistenza di Mimosa e quella della povera Wilma Montesi sono sovrapponibili: Mimosa è Wilma? Ci troviamo di fronte a una allucinazione? Ci troviamo di fronte a una riproposizione dei medesimi eventi del caso della ragazza modenese, quasi a stabilire una implacabile serialità di questi macabri episodi che si svolgono all’ombra delle dorate promesse del mondo cinematografico?

Saverio Costanzo ci lascia liberi di crederlo, ma è probabilmente in questa rischiosa fase del film che c’è un momento di stagnazione che fa fare al racconto una brusca frenata, rispetto al più serrato ritmo della prima parte. Finalmente l’alba comunque si riscatta nel bellissimo finale: ritorna piazza di Spagna, ma stavolta in una veste nuova, sul volto di Rebecca Antonaci, la protagonista: ennesimo, incredibile talento scoperto da Saverio Costanzo, che dopo essersi inventato grazie all’Amica geniale una intera generazione di giovani, bravissimi attori napoletani, ora regala al cinema italiano una grande attrice dal futuro sicuramente radioso.

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Seydou Sarr: Garrone mi ha mostrato qualcosa di me che non conoscevo https://www.fabriqueducinema.it/magazine/cover/seydou-sarr-garrone-mi-ha-mostrato-qualcosa-di-me-che-non-conoscevo/ https://www.fabriqueducinema.it/magazine/cover/seydou-sarr-garrone-mi-ha-mostrato-qualcosa-di-me-che-non-conoscevo/#respond Tue, 28 Nov 2023 09:13:43 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=18837 Leone d’argento a Venezia 80 e Premio Mastroianni all’attore protagonista: se Io Capitano è stato uno dei casi cinematografici di quest’anno, al pari Seydou Sarr è stata una scoperta davvero inattesa. È a lui che dedichiamo la nuova cover Fabrique du Cinéma, giovane senegalese scelto da Matteo Garrone per raccontare l’epica della migrazione senza morbosità, […]

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Leone d’argento a Venezia 80 e Premio Mastroianni all’attore protagonista: se Io Capitano è stato uno dei casi cinematografici di quest’anno, al pari Seydou Sarr è stata una scoperta davvero inattesa.

È a lui che dedichiamo la nuova cover Fabrique du Cinéma, giovane senegalese scelto da Matteo Garrone per raccontare l’epica della migrazione senza morbosità, senza distorsioni voyeuristiche e senza rincorrere un messaggio ad ogni costo. Ha sempre sognato il calcio: il grande cinema è arrivato per caso, presentandosi ai casting del film organizzati a Thiès, a un’ora e mezza da Dakar. La storia di Seydou è incredibilmente simile a quella del suo personaggio: e proprio come lui, su quello che arriverà dopo rimane un’affascinante incognita. Nel frattempo ci racconta il viaggio.

Seydou, partiamo dal provino per il film: come ti sei preparato? Avevi capito realmente cosa stavi andando a fare?

No, davvero non lo sapevo cosa stavo andando a fare, perché c’erano tante altre persone, credo più di cento. Mia sorella mi ha accompagnato e mi ha aiutato molto a sostenere l’audizione.

Quanto è durato il viaggio di Seydou Sarr insieme a questo personaggio che ha il suo stesso nome? La preparazione, lo studio, le riprese?
Direi che in tutto è durato più o meno tre mesi: quando eravamo in Senegal la

situazione era più tranquilla, ma la parte più complessa è iniziata in Marocco: lì è stato davvero difficile, c’erano molte emozioni che dovevo esprimere. Quanto alla preparazione, a essere sinceri non ne ho avuto il tempo, perché era la mia prima volta su un set e non sapevo cosa mi aspettava.

Cosa sapevi dell’Italia prima di questo film? Condividevi le vere e durissime avvertenze che la madre di Seydou dà al figlio?

A dire il vero dell’Italia non sapevo granché, perché il mio sogno era andare in Europa. Per quanto riguarda gli ammonimenti della madre a Seydou, è giusto che lei glieli abbia dati, è sua madre, ma non possono trattenerlo. Lui vuole aiutare la famiglia, e alla fine ci riuscirà. Ecco, io penso che Seydou abbia ragione a non ascoltare la madre, perché non può restare a casa senza fare nulla, anche se realizzare il suo desiderio sarà tutt’altro che facile.

Tu invece hai vissuto per diversi mesi a casa della mamma di Matteo Garrone. È un aneddoto curioso. Come è successo?

Sì, è vero, sono stato da lei per quasi un anno. È successo quando avevamo finito le riprese ed ero tornato in Senegal: poi però mi è stato detto che dovevamo girare una nuova scena in Italia con Moustapha [Moustapha Fall, che nel film interpreta Moussa, il cugino di Seydou ndr], e le riprese avrebbero richiesto altri quattro giorni. Mi sono detto che non sarei rimasto in Italia solo per quattro giorni. Così ho chiamato Matteo per dirgli che mi sarebbe piaciuto prolungare il mio soggiorno e lui mi ha invitato ad andare a casa della madre.

Hai vinto il Premio Mastroianni come Miglior attore emergente: Mastroianni è un’istituzione, rappresenta la grande storia del cinema. Tu fino a poco fa sognavi il calcio.

Quando ho ricevuto il premio a Venezia ero davvero contento e fiero. Se ora avrò la possibilità di continuare con il cinema lo farò, perché il modo in cui Matteo ha lavorato con noi mi ha permesso di capire che c’era qualcosa che dormiva in me da molto tempo e che non conoscevo. Ma anche il calcio non lo lascerò, perché è sempre stato il mio sogno.

Qual è l’immagine o la scena del film che ti colpisce di più, ogni volta che lo guardi?

Sicuramente è la scena in cui una signora anziana doveva morire tra le mie braccia durante la traversata del deserto. Anche mio padre è morto tra le mie braccia: di colpo non vedevo più la signora, vedevo mio padre, ed è stato un momento difficile.

Hai paura di quello che succederà dopo? Dopo il film, dopo Garrone, dopo gli Oscar, dopo un debutto così inaspettato e fortunato?

No, non ho paura. Perché se avrò la possibilità di continuare con il cinema, lo farò, altrimenti farò qualcos’altro. Per me non esistono lavori di serie B.

Fotografa Roberta Krasnig, assistente Davide Valente; Stylist Flavia Liberatori, assistente Vittoria Pallini; Hairstylist Adriano Cocciarelli per Harumi; Makeup Iman El Feshawy; Abiti Paul Smith, Fendi, Sandro

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Una sterminata domenica, l’esordio di Alain Parroni a Venezia 80 https://www.fabriqueducinema.it/magazine/opera-prima/una-sterminata-domenica-lesordio-di-alain-parroni-a-venezia-80/ Tue, 25 Jul 2023 10:49:11 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=18613 Chi scrive lo considera uno dei suoi più cari amici, ma questo non conta più: ormai sono subentrati anche i pezzi grossi a credere in lui (piccola rivincita: noi lo scriviamo su queste pagine dal lontano 2017). Oggi, invece, a produrre il suo esordio Una sterminata domenica sono Giorgio Gucci (Alcor), Domenico Procacci (Fandango) e […]

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Chi scrive lo considera uno dei suoi più cari amici, ma questo non conta più: ormai sono subentrati anche i pezzi grossi a credere in lui (piccola rivincita: noi lo scriviamo su queste pagine dal lontano 2017). Oggi, invece, a produrre il suo esordio Una sterminata domenica sono Giorgio Gucci (Alcor), Domenico Procacci (Fandango) e Wim Wenders (Road Movies), e il film sarà in concorso nella sezione Orizzonti a Venezia 80.

La difficoltà della chiacchierata non sta tanto nell’evitare spoiler e linciaggio, ma nell’offrire un assaggio dell’atipicità del personaggio e della sua opera prima. Questo film esiste, senza esistere davvero, da almeno sei anni. Nel frattempo Parroni ha vissuto in un bunker, si è infilato in situazioni al limite della follia, ha combattuto contro chi avrebbe potuto produrlo. Alla fine ha vinto lui. È riuscito a fare esattamente il film che voleva fare: un film assurdo. E per un esordiente è quasi impossibile. Chi scrive ha goduto e subìto in prima persona i risvolti di questa estenuante gestazione, per questo, quando Parroni dice: «Non mi sembra che questo film mi abbia completamente risucchiato», io alzo un sopracciglio. E poi scoppiamo a ridere.

Nel 2017 la nostra intervista su Fabrique si chiudeva con te che già parlavi di questo film. Dicevi che sarebbe stato «un lavoro collettivo, quel circo che tanto mi diverte». Lo è stato?

Caspita! Un lavoro di cinque anni dev’essere per forza collettivo, sennò diventi pazzo. Eppure tante persone avrebbero potuto dirmi: «Adesso però sticazzi, è il tuo lavoro, non il nostro». Questo circo invece ci ha permesso di fare tantissime cose improvvisate, che forse sono le più belle del film. Penso alla mia famiglia numerosa, che mi ha aiutato con i provini in un periodo in cui ad Ardea stava succedendo di tutto: facevo i casting mentre giravano Super Sex, sembrava la città del cinema. Ho vissuto questi anni come una jam session, ma in realtà è andata abbastanza come avevo programmato.

Ecco, Ardea: tutto inizia e torna lì, per te.

Il film è ambientato nel luogo in cui sono cresciuto e da cui, come tutti durante gli studi, mi sono allontanato. Lo dico senza voler fare la classica vignetta di Alain che prende il treno e va in città, però è così. In terza media marinavo la scuola per andare a Piazza del Popolo e il film questa dimensione ce l’ha. Già questo è stato doloroso: girare un film a Napoli sarebbe stata una vacanza, invece tornare a casa e provare ad essere sincero è un’altra cosa. Ho vissuto con i ragazzi del film situazioni e serate distruttive che ogni adolescente di provincia conosce. Ho scoperto un sacco di cose sui miei genitori che non sapevo, ho trascorso molto tempo al bar dove mio padre usciva da ragazzino, i suoi amici dell’epoca mi hanno raccontato storie che probabilmente lui non mi avrebbe mai detto. Non fanno parte del film, ma mi hanno permesso di crescere per girare questo film.

Tre personaggi principali: Alex, Brenda e Kevin. Hai scelto degli sconosciuti.

Sono giovanissimi, non hanno grandi esperienze alle spalle. Ho fatto moltissime interviste nel corso degli anni a ragazzi reali, perché mi serviva partire da lì per scrivere la sceneggiatura. Quelle testimonianze le ho poi infilate a forza dentro gli attori che ho scelto, cioè la realtà della campagna romana impiantata in un attore di Torino e uno del Lago di Garda. Quello che ho sempre immaginato era prima di tutto visivo, quindi non mi interessava se Zac non fosse cresciuto ad Ardea: dopo una settimana gli si è attaccata addosso.

una sterminata domenica
Alain Parroni sul set di “Una sterminata domenica” (ph: Roberto Pioli).

Molto prima dei casting, e molto prima che qualcuno volesse produrti, hai iniziato a fare delle interviste per trovare gli attori giusti. Racconta.

Dopo aver letto la sceneggiatura, un produttore mi aveva detto: «Non esistono adolescenti così. Dove sono i genitori? Perché non gliene frega un cazzo della scuola?». Io gli avevo risposto: «Perché, i genitori di Sailor Moon dove erano mentre combatteva?». Ma dovevo anche dimostrarglielo, così il giorno dopo sono tornato a provocarlo con le prime dieci interviste: «Sicuro che non esistono questi adolescenti?». Ho iniziato a cercare ragazzi giovanissimi, i miei cugini, i loro amici e gli amici degli amici. Li intervistavo e a distanza di due anni tornavo a parlare con tutti.

Una sterminata domenica: che storia è questa?

Come me la racconto io: è un triangolo amoroso estivo, che parte equilatero e in autunno diventa scaleno. Come la racconterei ai distributori: è un film di formazione su tre adolescenti, tra i 16 e i 20 anni, che cercano di affermarsi nel mondo attraverso l’unico strumento che hanno: attirare l’attenzione in qualsiasi modo. Che poi è anche quello che dovresti fare quando giri il tuo primo film. Nella nostra intervista del 2017 dicevamo che avrebbe dovuto essere un proiettile. Piombo puro. Credo lo sia, soprattutto a livello visivo. Questo è quello che ho dentro: adesso lo vedete?

Se questo film avesse un genere?

Se proprio dovessi scegliere, mi farebbe sorridere se venisse etichettato come un coming of age o come un teen drama. È un genere con cui sono cresciuto. E poi realizzare questo film è stato anche il mio, di coming of age.

Qual è il pubblico per un film come il tuo?

In fase di casting mi hai detto che, secondo te, le scelte che stavo facendo non avrebbero reso il film accessibile a tutti.

Ti ho detto che il rischio era quello di impacchettarlo come un film pop, ma che poi l’avrebbero preso come un presuntuoso film d’autore.

Però anche le scelte d’autore oggi sanno essere stordenti. Io credo che alle basi del film ci sia un teen drama a tutti gli effetti, che ne possa godere qualsiasi ragazzino, e nella prima parte del film ci crederanno. Poi forse rischieranno di sentirsi bombardati.

Tu non volevi solo fare la tua opera prima, volevi anche dimostrare che si può girare un film in modo diverso rispetto a quello che ti viene imposto.

Io non capisco come gli altri non lo capiscano. Quando non trovavo i produttori sono arrivato a riprogettare tutto come un film fotografico, l’avrei fatto da solo, così. Come puoi farti mettere sotto dalla visione di un produttore? Se credi in un’idea, come fai a non girarla come vuoi tu? Io non penso che ci sia tutta questa competizione come ci vogliono far pensare quando siamo giovani. Sembra che tutti vogliano fare un film, ma non è davvero così.

Dopotutto, adesso sei prodotto da Wim Wenders. Se lo chiederanno tutti: come l’hai agganciato?

Avevo un film pronto ma non lo stavo girando e quindi stavo impazzendo. Sognavo il Giappone da una vita: ci vado. Come itinerario uso Tokyo-Ga di Wim Wenders, un film bellissimo che racconta Ozu. Vado nello stesso bar del film e conosco la signora che ha incontrato Wenders quarant’anni prima e via così, finché non arrivo alla tomba di Ozu. Gli porto il whisky come ha fatto Wenders e poi gli dico: «Ozu, porco Giuda, io non riesco a fare un film». Dopo due settimane Giorgio Gucci mi chiama: «Sono andato al MIA, c’è Wenders che cerca opere prime da realizzare. Ci ha detto di inviargli il tuo materiale». Poco dopo mi sono ritrovato con la fotocopia del passaporto di Wenders per partecipare al bando del Ministero. Oggi stiamo chiudendo il film sempre con il Giappone di mezzo: è surreale che mi abbia detto di sì il compositore di Evangelion, l’anime che guardavo da ragazzino ad Ardea. Alla fine di tutto dovrò tornare lì, ringraziare Ozu e portargli un’altra bottiglia di whisky.

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