The Pills Archivi - Fabrique Du Cinéma https://www.fabriqueducinema.it La Rivista Del Nuovo Cinema Italiano Mon, 21 Jun 2021 17:17:27 +0000 it-IT hourly 1 Cinema e web: una lunga storia d’amore https://www.fabriqueducinema.it/focus/cinema-web-lunga-storia-damore/ https://www.fabriqueducinema.it/focus/cinema-web-lunga-storia-damore/#respond Wed, 06 Dec 2017 14:15:25 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=9723 Sono diversi anni che assistiamo alle trasposizioni cinematografiche di fenomeni del web. Sono anni che vediamo produzioni e distribuzioni investire milioni di euro per lanciare i famosi youtubers nel mondo del cinema. E sono anni che assistiamo al fallimento di queste operazioni. Perché l’industria cinematografica si muove in questa direzione? Forse il problema è sempre […]

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Sono diversi anni che assistiamo alle trasposizioni cinematografiche di fenomeni del web. Sono anni che vediamo produzioni e distribuzioni investire milioni di euro per lanciare i famosi youtubers nel mondo del cinema. E sono anni che assistiamo al fallimento di queste operazioni. Perché l’industria cinematografica si muove in questa direzione? Forse il problema è sempre lo stesso. In Italia non esiste una vera industria cinematografica e per questo numeri, statistiche e risultati non creano un precedente. Ogni produttore e distributore è convinto della genialità della propria operazione, di aver trovato la gallina dalle uova d’oro, il Checco Zalone del web. Tanto alla fine si sa che i dati nel nostro Paese non sono poi così importanti. Come in televisione, anche nel cinema spesso e volentieri si sottolineano solo i grandi successi, e non i grandi flop. Ma l’analisi degli insuccessi in un’industria è fondamentale, perché permette di correggere il tiro, di migliorarsi e andare nella giusta direzione.

Dietro al discorso che andiamo a fare, c’è quindi un approfondimento più generale del fenomeno: non si tratta di singoli film, della critica all’uno o all’altro, ma dell’analisi di un linguaggio.

immagine da Game Therapy
“Game Therapy”

Il primo postulato fondamentale è che il linguaggio del web non è un linguaggio cinematografico. Forse negli anni a venire potrà diventare l’ottava forma d’arte dopo il cinema, ma sicuramente le leggi che lo governano sono completamente differenti da quelle che regolano la settima arte. Il cinema è una forma d’arte dove la visione è dilatata, l’attenzione ai dettagli è costante, il suono, i colori, la recitazione sono elementi che non possono passare in secondo piano. Ma soprattutto il linguaggio narrativo e la sua struttura seguono schemi e regole ben precise, e anche le eccezioni rientrano tutte nel paradigma di una STORIA da raccontare, compiuta (parliamo di un cinema apprezzato dalla critica e dal pubblico).

Il linguaggio del web e la sua fruizione è molto diverso. Tutto si abbassa di vari livelli, tutto è concentrato, spremuto, segmentato. La comicità, il nonsense, l’irrazionale, la burla, la parodia, divampano. Viviamo in una società dove l’uso dei social e degli smartphone si è espanso a dismisura, ogni individuo fruisce di contenuti web a qualsiasi ora della propria giornata, siamo costantemente bombardati da video, fotografie, immagini. In questo bombardamento rientrano anche le webserie, gli youtuber, gli sketch e le gag degli artisti 2.0. Queste piccole opere devono essere capaci di strappare un sorriso, un interesse, in pochi minuti. E in pochi minuti possono ottenere migliaia di visualizzazioni. Non è importante la qualità tecnica, non è importante il livello di recitazione degli interpreti, la cosa importante è che l’amalgama del tutto porti al risultato prefissato, che può andare dalla semplice risata alla vendita di un prodotto.

Questi due elementi vendita e contenuto si fondono spesso palesemente, perché così funziona il web. È un grande mercato che ti entra dentro casa. È un contenuto gratuito, fruito quasi sempre attraverso lo smartphone (anche questo un mezzo compresso, non un cinemascope con il dolby sorround!). E se un prodotto ha successo può raggiungere milioni di persone, un pubblico grande come quello del prime time televisivo, e superarlo. E dunque ha un potenziale di visibilità decisamente più alto di quello cinematografico. Anche perché essendo un contenuto gratuito e condivisibile, gli utenti possono postarlo sulle proprie pagine suggerirlo sotto forma di link, e fare un passa parola mediatico senza paragoni. Tutto questo e molto altro è il mondo del web. Ha le sue regole, il suo funzionamento, il suo linguaggio espressivo. Ed è impossibile da trasferire sul grande schermo.

Sempre meglio che lavorare dei The Pills
“Sempre meglio che lavorare”

Se si vuole ottenere un simile successo commerciale al cinema, ci si aspetta che una storia mantenga ritmo e intensità dall’inizio alla fine, che faccia ridere se si tratta di una commedia, o che colpisca le emozioni più profonde se si tratta di un dramma, e via dicendo. Tutto si dilata e il pubblico che paga un biglietto, che spende dieci euro e dedica 90 e passa minuti della propria vita solo ed esclusivamente alla fruizione di un’opera si aspetta qualcosa in cambio. Si aspetta di identificarsi in ciò che vede e di provare emozioni.

Perché questo è il cinema. Una forma d’arte il cui successo è sempre più determinato da una storia che funzioni, da un’interpretazione credibile e da un coinvolgente impatto visivo. I milioni di persone che visualizzano un contenuto sul proprio smartphone in forma gratuita non si muoveranno mai in massa per vedere lo stesso contenuto a pagamento e in un arco temporale più lungo e all’interno di un luogo/spazio predefinito. È come se si decidesse di esporre le fotografie più visualizzate su Instagram in un museo, pensando che i milioni di persone che le hanno visualizzate accorrerebbero in massa. Non è così, perché il pubblico del web concede al contenuto un’attenzione disinteressata, veloce, rapida, spesso disattenta.

Ma soprattutto è il contenuto che entra nella vita dello “spettatore”, non è lo spettatore che si muove verso il contenuto (e quindi prende l’automobile o i mezzi pubblici e va al cinema). Oltretutto i contenuti audiovisivi presenti sul web in Italia hanno per la maggior parte un livello culturale inferiore rispetto ad altre opere artistiche. Questo perché si aprono a un pubblico più vasto e con un livello culturale basso (sosteneva Umberto Eco che «Internet è la patria degli scemi del villaggio»), ma allo stesso tempo ha un enorme potenziale, quello di permettere a un pubblico non acculturato di avvicinarsi in piccole dosi alla cultura. Sempre che si voglia seguire questa strada.

Dunque perché produzioni e distribuzioni spendono milioni di euro nella trasposizione cinematografica dei fenomeni del web? Forse solo per azzardo. In un futuro dove il cinema sarà dominato dai grandi blockbuster internazionali e il pubblico è destinato ad assottigliarsi a favore di quello del video on demand, forse l’investimento più azzeccato sarebbe quello di entrare a spada tratta nella produzione di contenuti di qualità direttamente sul web in maniera sempre maggiore, come stanno facendo molti colossi internazionali (da Amazon a Netflix) e collegare la produzione web alla pay per view.

Immagine da Si muore tutti democristiani
“Si muore tutti democristiani”

Oppure ripartire da produzioni intelligenti e originali (come il successo di Perfetti sconosciuti) creandoci attorno una vera industria cinematografica. I dati parlando da soli, a partire dal film dei The Pills Sempre meglio che lavorare, passando per Game Therapy e Addio fottuti musi verdi, i film delle star del web hanno riscosso una sequela di critiche e flop al box office. Per provare ad avere successo anche nel cinema bisognerebbe ripartire da zero, annullare quello che si è fatto sul web, e adattarsi al linguaggio cinematografico. Vedremo se i prossimi Social Dream e Si muore tutti democristiani (che peraltro ha ricevuto buone critiche al Festival di Roma, per la capacità di allontanarsi dagli sketch proposti sul web e proporre un film “vero”), riusciranno ad adeguarsi alle leggi del grande schermo.

Una cosa è certa, per non rischiare di bruciare questi promettenti talenti le grandi produzioni dovrebbero accompagnarli nella trasformazione verso il linguaggio filmico fornendo loro lo strumento principe della narrazione cinematografica, lo sceneggiatore professionista, figura a volte bistrattata in Italia, ma che risulta fondamentale per questo genere di operazioni. L’unico, con la sua esperienza, capace di creare una struttura di genere forte e compiuta, mutando la comicità del web in storie dal ritmo, tempo e respiro cinematografico.

* L’opinione di Tommaso Agnese – Regista, scrittore e produttore creativo

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Carl Brave x Franco 126, live in Roma https://www.fabriqueducinema.it/magazine/musica/carl-brave-x-franco-126-live-roma/ https://www.fabriqueducinema.it/magazine/musica/carl-brave-x-franco-126-live-roma/#respond Thu, 18 May 2017 07:37:42 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=8532 Dieci tracce. Dieci tracce che sembrano una sola. Dieci fotografie statiche, che bastano per riempire lo spazio buio degli Ex Magazzini, a Roma, sotto l’ombra bucherellata del Gazometro. Dieci tracce che hanno lanciato Carl Brave x Franco 126 nell’harem digitale dei cantanti di cui se ne dice un gran bene. Il perché non è ben […]

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Dieci tracce. Dieci tracce che sembrano una sola. Dieci fotografie statiche, che bastano per riempire lo spazio buio degli Ex Magazzini, a Roma, sotto l’ombra bucherellata del Gazometro. Dieci tracce che hanno lanciato Carl Brave x Franco 126 nell’harem digitale dei cantanti di cui se ne dice un gran bene.

Il perché non è ben chiaro a nessuno, quasi mi viene voglia da chiederlo a tutti i ragazzi ammucchiati sotto al palco, a tutta la fila che incontro mentre entro nel locale e scambio qualche rapido saluto. Cosa sono? Carl Brave x Franco 126 si sono presentati con una compilation di polaroid sfuocate e sovraesposte e una cascata di parole che ci disegnano qualcosa di così naturale da chiederci se non ci siamo già visti.

Quando attaccano, tutta la fauna accaldata che si stringe in questo piccolo club si mette a cantare a squarciagola, tipo cori da stadio, persino i due ragazzi sul palco sembrano stupirsene, ancora un po’ incerti mentre testano il risultato della loro creatività.

Carl Brave x Franco 126 in concerto a Roma giovedì 11 maggio 2017Occhiali da sole, camicie colorate e un atteggiamento fin troppo sfrontato se lo confrontiamo poi con le loro canzoni. Cosa sono? Vengono dall’hip hop, strizzano l’occhio alla musica indie, corteggiano il pop e fanno il verso da una parte ai cantautori dall’altra alla trap. Cosa sono non è chiaro e forse è questo il motivo per cui ci piacciono, quell’attrazione semi-illogica verso la novità, la ricerca dello stupore.

Chitarra, batteria, sassofono, strumenti che si mescolano bene, il riverbero dell’autotune a volte disturba, ma non distrae da questa passeggiata nei vicoli di Roma, di una Trastevere umana e partecipe. Queste canzoni non ti fanno emozionare, non ti fanno pensare, non ti fanno piangere, ma sono una scorpacciata di realtà, intrisa di una malinconia velata di gente senza posto.

I loro testi sono sinceri, sono loro stessi vomitati su ogni rima e raccontano quella realtà generazionale che forse si può raccontare solo così. La leggerezza con cui si vive tra cose serie e cose frivole è riflessa perfettamente nel loro palleggiare tra la morte di un nonno ai like su facebook, tra le “guardie” e i genitori che invecchiano; in quella naturale tranquillità con cui si parla di droghe, di canne, di rom, di AIDS, di negri e di “lelle” (lesbiche). Non c’è nessuno che si offende, non c’è traccia di morale, c’è uno scudo fatto di trasparenza e di romanità che li protegge. Tanti ragazzini con gli occhi un po’ rossi mi strillano intorno ogni singola frase, ripassando tutto il glossario contemporaneo che va dal car sharing allo “zozzone”, dagli onnipresenti sanpietrini alla “solita vecchia Santa Maria”, dall’Atac all’ACAB; d’un tratto mi vedo seduto con loro sull’ingresso di una chiesa, davanti al bar San Calisto, una birra in mano a far passare un’altra innocua serata romana.

Carl Brave x Franco 126Non c’è un senso di rivalsa mentre cantano, non c’è quella sopravvalutazione di sé tipico retaggio del rap, la spavalderia di chi mostra la coda tipo pavone; tutto questo non c’è in Carl Brave x Franco 126, ci sono solo due ragazzi a mollo, che cercano di non affogare in questa pozza urbana. Nessuna ricerca sociologica può essere più accurata di questa melodia, nel raccontare la generazione di mezzo dei figli di Roma, non i ricchi snob, non i poveri delle periferie. I figli di Trastevere, dei turisti, dei vucumpra’, della John Cabot, delle birre dal “bangladino.

Dieci tracce, dieci polaroid che già prima di approdare su Spotify hanno vagabondato su YouTube e rimbalzato da una bacheca all’altra. C’è da ringraziare Bomba Dischi per l’ennesimo regalo. Carl sgambetta rigido sul palco, Franco sembra più sciolto con la sua maglietta di Wojtyla. In mezzo alla folla scorgo Gemitaiz e qualcuno dei The Pills, una sorta di meadley/jam conclusivo mi annuncia la fine di un concerto per forza di cose breve ma intenso. L’odore dell’erba aleggia nell’ambiente ma l’elettricità si percepisce ancora nell’aria.

Chissà se allontanandosi dalle mura di questa città tutto questo carico emozionale possa essere percepito, se questa poetica sommessa ma mai arrendevole, questa slavina di riferimenti sia, allo stesso modo, comprensibile. Per adesso ce li godiamo noi, da qui.

 

 

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2016 al via: gli italiani al box office https://www.fabriqueducinema.it/cinema/incassi/2016-al-via-gli-italiani-al-box-office/ https://www.fabriqueducinema.it/cinema/incassi/2016-al-via-gli-italiani-al-box-office/#respond Wed, 03 Feb 2016 16:30:05 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=2614 Nel 2016 ci saranno le Olimpiadi di Rio, il transito di Mercurio e a quanto pare i nati sotto il segno del Leone godranno di grandi fortune. Insomma tutta una serie di questioni importanti, ma per noi cinefili assolutamente secondarie e trascurabili. Le nuove uscite, gli immancabili ritorni e gli assenti, questo prima di tutto. […]

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Nel 2016 ci saranno le Olimpiadi di Rio, il transito di Mercurio e a quanto pare i nati sotto il segno del Leone godranno di grandi fortune. Insomma tutta una serie di questioni importanti, ma per noi cinefili assolutamente secondarie e trascurabili. Le nuove uscite, gli immancabili ritorni e gli assenti, questo prima di tutto.

Il 2016 è cominciato all’insegna dei grandi nomi, in cartello tante novità per tutti i gusti. Film comici, commedie americane, stelle del firmamento contemporaneo e blockbuster: che abbiate un palato più o meno raffinato non avrete scuse per non portare il/la vostro/a ragazzo/a al cinema di sabato sera. Ma parliamo di numeri e vediamo come stanno andando le cose nelle sale italiane in questo inizio d’anno.

Quarto film per il nuovo fenomeno dei botteghini Checco Zalone. Uscito nei cinema il 1 gennaio 2016, Quo vado? per la regia di Gennaro Nunziante, è il grande record del Bel Paese. Con 7 milioni di euro (oltre 930.000 spettatori) è il film che ha incassato di più nel suo primo giorno nei cinema italiani. Per farsi un’idea, Star Wars – Il risveglio della forza, ha incassato solo 1,8 milioni di euro. Una buona dose di comicità, satira e ironia unite a un’inusuale e costosa operazione di marketing, che in questo caso semplicemente hanno funzionato. Alla quinta settimana di programmazione, l’osannato comico barese perde il primo posto in classifica e si “ferma” a 63,6 milioni complessivi. Insomma “soldi a catinelle” per Checco nazionale.

Ottimo risultato anche per la coppia Carlo Verdone-Antonio Albanesi, che con L’abbiamo fatta grossa ha vinto il box-office di sabato scorso, chiudendo il weekend sopra i tre milioni. Buone notizie anche per un altro binomio tutto italiano: Vincenzo Salemme-CarloBuccirosso. Il duetto della comicità partenopea conquista le sale di questo weekend: Se mi lasci non vale raccoglie ben 1,8 milioni complessivi.

Tre anni dopo l’inatteso boom de La migliore offerta (9 milioni di euro d’incasso, sei David, sei Nastri, 4 Ciak d’Oro e un European Film Awards) torna al cinema anche il maestro Giuseppe Tornatore. La corrispondenza, dramma amoroso surreale, incassa nelle prime settimane di programmazione 2,5 milioni di euro: tutto sommato un buon risultato.

Le produzioni italiane più piccole stentano a reggere il confronto con i colossi del cinema italiano e internazionale. Parliamo dell’esordio cinematografico dei The Pills, paladini di YouTube e dell’immobilismo post-adolescenziale a tutti i costi, come da loro stessi dichiarato. Un seguito fortemente territoriale quello dell’ensemble comico romano, che con Sempre meglio che lavorare tenta di superare i confini del Tevere. I pupilli di Valsecchi incassano dopo la prima settimana di programmazione 357 mila euro. Da segnalare anche la commedia corale di Laura Morante, Assolo. L’opera prima italo-francese dell’attrice, Ciliegine, era una riuscita prova dell’abilità della Morante anche alla regia, capace di alternare cliché drammatici a una sana dose di leggerezza. Assolo, invece, non convince il pubblico e, complice la concorrenza, guadagna complessivamente 1,5 milioni con percentuali in discesa settimana dopo settimana.

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The Pills secondo Ivan Silvestrini https://www.fabriqueducinema.it/cinema/recensioni/the-pills-secondo-ivan-silvestrini/ https://www.fabriqueducinema.it/cinema/recensioni/the-pills-secondo-ivan-silvestrini/#respond Sat, 23 Jan 2016 14:54:45 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=2563 È appena uscito nelle sale The Pills – Sempre meglio che lavorare, decisamente imperdibile per i fan degli eroi di Giardinetti. Luca Vecchi mette su un racconto contemporaneo (iper-citazionista come piace a voi) e a tratti straziante sull’inesorabile fine dell’adolescenza, impossibile non sentire che dentro di noi c’è almeno un po’ di Luigi e le sue […]

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È appena uscito nelle sale The Pills – Sempre meglio che lavorare, decisamente imperdibile per i fan degli eroi di Giardinetti.

Luca Vecchi mette su un racconto contemporaneo (iper-citazionista come piace a voi) e a tratti straziante sull’inesorabile fine dell’adolescenza, impossibile non sentire che dentro di noi c’è almeno un po’ di Luigi e le sue turbe, davvero sorprendente la prova attoriale di Matteo.

Aggiungete il meglio della musica hipster contemporanea da uno splendido brano (no spoiler) dei Thegiornalisti a due azzeccatissime ballate di Calcutta e ne uscirà fuori un cocktail davvero alternativo a ciò che di solito viene prodotto al cinema in Italia. Quando ci si mette tanto cuore è difficile essere clinicamente impeccabili, i The Pills hanno voluto essere generosi, forse troppo, ma non riesco a fargliene una colpa. Quindi daje.

regista di Monolith, Come non detto, Under, Una grande famiglia – 20 anni prima

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The Pills, la generazione web arriva al cinema https://www.fabriqueducinema.it/cinema/recensioni/the-pills-la-generazione-web-arriva-al-cinema/ https://www.fabriqueducinema.it/cinema/recensioni/the-pills-la-generazione-web-arriva-al-cinema/#respond Sat, 16 Jan 2016 15:37:59 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=2529 Dopo il successo ottenuto su YouTube con le loro pillole di saggezza post adolescenziali, Luca Vecchi, Matteo Corradini e Luigi Di Capua adattano il format al grande schermo perdendo, però, in efficacia. In una realtà cinematografica italiana, che lamenta l’assenza di produttori coraggiosi e visionari, Pietro Valsecchi rappresenta la classica eccezione che conferma la regola. […]

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Dopo il successo ottenuto su YouTube con le loro pillole di saggezza post adolescenziali, Luca Vecchi, Matteo Corradini e Luigi Di Capua adattano il format al grande schermo perdendo, però, in efficacia.

In una realtà cinematografica italiana, che lamenta l’assenza di produttori coraggiosi e visionari, Pietro Valsecchi rappresenta la classica eccezione che conferma la regola. Il suo stile personale, infatti, è quello di scommettere in modo particolare sui giovani talenti e su dei linguaggi nati in luoghi diversi dal sancta sanctorum della sala cinematografica. Stiamo parlando, in particolare, di canali televisivi giovani, come MTV, trasmissioni comiche e il web. Da qui il doppio esperimento de I soliti idioti, il successo al box office di Zalone con Quo vado e l’ultima scoperta di Valsecchi, ossia i tre ragazzi di The Pills, fenomeno di YouTube pronto ad esordire al cinema dal 21 gennaio con il lungometraggio The Pills – Sempre meglio che lavorare, diretto da Luca Vecchi e distribuito da Medusa (in cui compare fra l’altro anche Margherita Vicario, cover del numero 2 di Fabrique).

Ma chi sono esattamente questi The Pills? Al secolo rispondono al nome di Luca Vecchi, Matteo Corradini e Luigi Di Capua, ossia tre ragazzi con il merito di aver raccontato in pillole di comicità romana, il “fancazzismo” consapevole e orgoglioso di una generazione di trentenni saldamente ancorata all’immobilismo post adolescenziale. Così, con un format dalla scenografia essenziale, in cui la fa da padrone esclusivamente un tavolo da cucina, e la scelta stilistica del bianco e nero, i tre sono diventati il nuovo caso del web, conquistando con la loro comicità “neorealista” il pubblico di YouTube e quello televisivo di Italia 1 nel late night show  Non ce la faremo mai.

A questo punto il passaggio da Internet al grande schermo è inevitabile, ma i rischi di snaturare il prodotto iniziale sono dietro l’angolo. Infatti, come successo per I soliti idioti, le cui pillole non hanno retto alla lunghezza narrativa di un film, anche The Pills soffre dello stesso problema, vedendo ridimensionato l’effetto innovativo del progetto da un linguaggio più tradizionale che, molto semplicemente, non si adatta alla loro natura. Il fatto è che di Capotonda e Pif, in grado di fare il salto di qualità o di adattarsi a più realtà narrative, non ce ne sono poi molti.

Così, nonostante il modo creativo con cui Vecchi utilizza la macchina da presa e alcune idee vincenti, come l’ironia sui trentenni e gli adolescenti nevrotici di Muccino, Gabriele e Silvio, e il lavoro concepito come unica sostanza proibita con cui sballare, l’avventura cinematografica di questi tre bambinoni si chiude fin troppo prevedibilmente con la consapevolezza di dover cercare ognuno la “propria cicorietta”, ossia quel piatto detestato da piccoli e, poi, improvvisamente apprezzato da adulti.

Tanto per dire che crescere, in fondo, è una questione di gusto.

 

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