stop-motion Archivi - Fabrique Du Cinéma https://www.fabriqueducinema.it La Rivista Del Nuovo Cinema Italiano Mon, 04 Apr 2022 12:28:11 +0000 it-IT hourly 1 Effetti visivi, il manuale di compositing più smart usa Python https://www.fabriqueducinema.it/magazine/visual-effects/effetti-visivi-il-manuale-di-compositing-piu-smart-usa-python/ https://www.fabriqueducinema.it/magazine/visual-effects/effetti-visivi-il-manuale-di-compositing-piu-smart-usa-python/#respond Mon, 28 Mar 2022 13:55:58 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=16951 Gianluca Dentici è un compositor di successo e un VFX supervisor. Romano, ma da diversi anni residente a Londra, ha lavorato ad importanti progetti italiani ed internazionali, che gli sono valsi diverse candidature ai David di Donatello e diversi premi tra cui un Oscar, vinto nel 2017 con il team della società londinese MPC per […]

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Gianluca Dentici è un compositor di successo e un VFX supervisor. Romano, ma da diversi anni residente a Londra, ha lavorato ad importanti progetti italiani ed internazionali, che gli sono valsi diverse candidature ai David di Donatello e diversi premi tra cui un Oscar, vinto nel 2017 con il team della società londinese MPC per Il libro della giungla di Jon Favreau. Oltre ai numerosi impegni sul set ha da poco pubblicato il libro Python Scripting for smart and curious compositors, il primo testo ad affrontare dalla A alla Z, in maniera puntuale, la programmazione Python applicata al software di compositing Nuke. Un mondo complesso e affascinante che abbiamo approfondito con l’aiuto di Gianluca.

Come si realizza un film con effetti visivi?

Il workflow tipico degli effetti visivi si divide in due macro aree: il reparto 3D e il compositing. Il primo è strutturato, al suo interno, in altri dipartimenti che si occupano delle diverse fasi di creazione, quali la ricostruzione delle estensioni scenografiche, le animazioni e le creature. La prima fase è quella della modellazione, dove viene costruito il modello tridimensionale. Nel caso di creature animate, il reparto di rigging si occupa di inserire al loro interno uno scheletro in modo che possano essere successivamente animate dal reparto di animazione. Nella fase di texturing, invece, viene realizzata la texture dei personaggi o degli oggetti virtuali, dal colore alla materia, ad esempio una pelle squamata o un muro di mattoni. ll reparto groom si occupa invece di creare digitalmente il “fur”:  i capelli o il pelo di una creatura, quando necessario. Tra i dipartimenti più vicini al compositing c’è quello del lighting, che si occupa di illuminare le scene in computer grafica, sia per le inquadrature completamente digitali che per quelle ibride, composte cioè sia da una ripresa reale che da elementi digitali. In questo caso la luce virtuale che illumina gli oggetti in computer grafica deve essere il più simile possibile a quella del set affinché possa essere integrata nella maniera più realistica possibile. L’ultimo passaggio, infine, è il rendering. Questa fase richiede molto tempo poiché le immagini vengono calcolate fotogramma per fotogramma (24 per ogni secondo di durata per il cinema) al fine di generare gli elementi virtuali che occorreranno per comporre la scena.

The Truman Show
Jim Carrey in “The Truman Show”.

Il compositing invece di cosa si occupa?

Il compositing è un dipartimento singolo, finalizza l’effetto visivo e lo fa sembrare realistico. Uniamo gli elementi digitali a quelli reali e li amalgamiamo perfettamente. I rendering della computer grafica ci vengono passati sotto forma di passes o layers, che sono praticamente la scomposizione delle caratteristiche dell’oggetto colpito dalla luce, cioè luce diffusa, specularità, riflessi, riflessioni, luci di riempimento e numerose altre,  vale per ogni oggetto o personaggio. Questo offre ai compositors la possibilità di avere il massimo controllo sui livelli e colori nella fase di compositing.  Oltre a oggetti o creature animate possiamo trovarci, però, a inserire anche altri elementi digitali. Tra questi, le set extensions, ovvero le estensioni scenografiche virtuali. In The Truman Show, tanto per citare un film del passato in cui è stata ampiamente usata questa tecnica, la produzione ha ricostruito realmente l’ambientazione al piano terra dove interagivano gli attori, ma le estensioni dei palazzi in altezza sono state realizzate in computer grafica. Possono inoltre essere impiegati elementi fotografici per la ricostruzione di panorami virtuali. In questo caso è il dipartimento di matte painting che se ne occupa lavorando contributi fotografici e pittorici in alta risoluzione su Photoshop. Un ultimo reparto con cui si interfaccia il compositor è quello di FX, che si occupa di creare tutti quegli effetti che richiedono simulazioni dinamiche. Alcuni esempi: l’acqua digitale, come nel film Pirati dei caraibi, dove in molte scene il mare è ricreato in computer grafica, le animazioni di sabbia fatte in Dune e Star Wars, o ancora gli incendi, che dopo essere stati parzialmente realizzati sul set per ragioni di sicurezza, possono essere incrementati in post produzione per ottenere un effetto più drammatico. Tutti questi elementi vengono passati al dipartimento di compositing per realizzare l’inquadratura finale.

È più complesso lavorare su un film completamente in computer grafica o su un film normale con effetti visivi?

Io lavoro principalmente su film con effetti visivi, ma ho esperienza anche in progetti completamente digitali, come Il re leone. È un altro tipo di lavoro ma i passaggi restano gli stessi. In realtà è più difficile quando tutto è virtuale poiché l’aspetto fotografico presenta difficoltà maggiori. Infatti la luce vera sul set ti offre un buon riferimento visivo, quando invece è tutto digitale la devi ricreare affinché risulti realistica; ciò vale anche per la macchina da presa virtuale che inquadra la nostra scena in computer grafica e che deve avere la naturalezza che avrebbe una reale macchina da presa sul set.

Il tuo libro è il primo compendio di programmazione per il compositor…

Il libro ha avuto una grossa eco a livello internazionale perché non esisteva una pubblicazione simile. È un compendio di 1250 pagine che parte dalle basi della programmazione fino a giungere a un livello avanzato. Anche se nel mestiere di compositor non è necessariamente richiesta la conoscenza della programmazione, sicuramente impararla aiuta a migliorare le performances e velocizzare alcuni processi delle fasi del compositing. Per questo motivo il libro è adatto a chi vuole incrementare le proprie conoscenze tecniche/artistiche nel settore.

Qual è l’obiettivo del libro?

L’obiettivo finale è fornire al lettore gli strumenti per poter creare, ad esempio, delle automazioni per comporre insieme diversi elementi digitali customizzando e velocizzando alcuni processi che altrimenti si dovrebbero fare manualmente. Il libro parte da zero e si rivolge quindi anche a chi non possiede alcun tipo di conoscenza di programmazione: come anticipato si basa sul compositing e ciò che si richiede al lettore è almeno la conoscenza di base di un tipico workflow di post-produzione. Il linguaggio di programmazione utilizzato è Python che è semplice da imparare ma molto potente e ampiamente utilizzato in vari settori. Su internet sono disponibili numerosi siti o libri da cui è possibile iniziare a studiare questo linguaggio  in maniera generica, ma spesso si finisce per acquisire una conoscenza non specifica o non completa relativamente al campo di applicazione cui siamo interessati. Perciò ho pensato di scrivere questo libro spiegando il Python applicato direttamente al compositing per il cinema, in particolare al software Nuke. Il libro, inoltre, è volutamente in formato digitale perché, in questo modo è più semplice per il lettore provare i vari codici di programmazione facendo copia/incolla.

The House Netflix
“The House” (2022) su Netflix.

Potresti farmi qualche esempio di applicazione pratica?

Una delle applicazioni più interessanti è quella di creare interfacce con librerie di effetti selezionabili. Ad esempio, se dovessimo simulare degli effetti di riverbero della luce di una candela su una scena è spesso necessario provare diversi set up di curve di animazione randomiche per trovare quello più appropriato,  questa operazione viene spesso effettuata manualmente e richiede tempo. Utilizzando un po’ di programmazione invece è possibile creare un’interfaccia dalla quale l’artista può selezionare il tipo di curva più appropriata.  Un altro esempio riguarda The House, il film in stop motion di Netflix a cui ho partecipato presso Nexus Studios: avevamo la necessità di applicare degli specifici settaggi di rimozione del rumore digitale e modificare l’esposizione su tutti i fotogrammi delle singole inquadrature. Se lo avessimo dovuto fare manualmente avremmo dovuto aprire le inquadrature una per una ed effettuare le modifiche, il che avrebbe richiesto un intervento umano per tutta la durata della fase di acquisizione dei materiali del film. Ho invece creato un’interfaccia in grado di gestire l’automazione che, oltre a effettuare le procedure di cui sopra, al termine del processo spostava anche i fotogrammi in specifiche cartelle, inviava una mail di report e segnalava eventuali errori. In un film in stop motion possono inoltre verificarsi anche alcune particolari problematiche tecniche. Le macchine fotografiche rimangono accese per molte ore al giorno, talvolta con esposizioni lunghe e con settaggi ad alta sensibilità, tutte queste condizioni insieme possono favorire la comparsa di “hot pixels”, che si presentano come puntini rossi sull’immagine che vanno quindi corretti o e sostituiti con il colore dei pixel circostanti. Controllare ogni fotogramma di ogni inquadratura ed eventualmente effettuare queste correzioni a mano richiederebbe un tempo incredibile e specifiche risorse dedicate, ma con un po’ di programmazione è possibile creare uno strumento specifico in grado di effettuare il processo automaticamente.

 

 

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Marco Jemolo: il mio Framed parla di libertà https://www.fabriqueducinema.it/tuttiacasaconfabrique/marco-jemolo-framed/ https://www.fabriqueducinema.it/tuttiacasaconfabrique/marco-jemolo-framed/#respond Wed, 22 Apr 2020 15:36:37 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=13836 In esclusiva per i lettori di Fabrique la visione gratuita, per un periodo di tempo limitato, dei corti più premiati degli ultimi anni: i loro autori sono registi giovani e promettenti, e noi scommettiamo sul loro talento.  FRAMED from marco jemolo on Vimeo. Siamo davvero padroni del nostro destino? Fk è un omino di plastilina, […]

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In esclusiva per i lettori di Fabrique la visione gratuita, per un periodo di tempo limitato, dei corti più premiati degli ultimi anni: i loro autori sono registi giovani e promettenti, e noi scommettiamo sul loro talento. 

FRAMED from marco jemolo on Vimeo.

Siamo davvero padroni del nostro destino? Fk è un omino di plastilina, di quelli usati nel cinema d’animazione, ma ha un’anima profonda e un forte spirito critico. In una sala da interrogatori in un anonimo distretto di polizia, Fk si presenta affermando di essere stato strappato al suo mondo, torturato e umiliato. Gli viene chiesto così di raccontare nel dettaglio le ingiustizie subite.

Selezionato in circa 200 festival e vincitore di numerosi premi e menzioni, Framed è un cortometraggio di animazione in stop motion che racconta i limiti che la società moderna pone alla libertà individuale.

Coinvolte nel progetto importanti realtà  di  Torino,  tra  cui  Torino Piemonte Film Commission, il Centro Sperimentale di Cinematografia – Sezione Animazione, l’Accademia Albertina di Belle Arti, Lacumbia Film, Ouvert e Dfrg.press. La produzione è di Nicoletta Cataldo, Eleonora Diana, Grey Ladder e dello stesso regista Marco Jemolo, 35 anni, romano con una lunga esperienza in UK come filmmaker.

Marco, quali sfide si incontrano nella realizzazione di un lavoro come Framed?

«La principale, senza dubbio, è convincere i produttori a realizzarlo. Bisogna incontrare qualcuno che condivida la tua passione e che capisca, ad esempio, che con la stop motion non è possibile visionare le riprese giorno per giorno… Deve riporre grande fiducia nella troupe. Quindi il primo passo è anche il più difficile. Framed è stato girato a Torino, dove lavorano i migliori animatori d’Italia, nell’estate del 2016. Le riprese sono durate due mesi e pensa: in una giornata proficua portavamo a casa appena due secondi di girato! Altro aspetto insolito: quando si lavora con le tecniche d’animazione, il montaggio è deciso prima di realizzare le riprese, col suono e coi disegni preparatori. Bisogna avere molta immaginazione, avere già in testa il risultato finale, e la fase di storyboard è estremamente minuziosa e meticolosa, così come il videoboard. Bisogna cercare di prevenire qualsiasi imprevisto. Il risultato probabilmente non corrisponderà interamente alla tua idea iniziale, ma lasciare alla squadra un margine di autonomia nella fase creativa rappresenta un valore aggiunto».

CREDITS Director: Marco Jemolo; Production: Nicoletta Cataldo, Grey Ladder, Eleonora Diana, Mar- co Jemolo; Executive Producers: Nicoletta Cataldo, Alessandro Regaldo Cinematographer: Umberto Costamagna; Sound: Emanuela Cotellessa Music Alessandro Marrosu; Cast: Guglielmo Favilla, Dario Penne

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“Lo Steinway”, la tecnica e la poesia https://www.fabriqueducinema.it/magazine/visual-effects/lo-steinway-la-tecnica-la-poesia/ https://www.fabriqueducinema.it/magazine/visual-effects/lo-steinway-la-tecnica-la-poesia/#respond Mon, 08 Jan 2018 09:24:32 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=9618 «L’animazione ha avuto una storia molto ricca, ma il suo futuro è ancora più promettente». A farsi portavoce di questa certezza è Massimo Ottoni, giovane regista del corto d’animazione Lo Steinway che ha conquistato la critica soprattutto per il coraggio sperimentale e per la capacità di utilizzare più tecniche animate in grado di rimandare emozioni […]

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«L’animazione ha avuto una storia molto ricca, ma il suo futuro è ancora più promettente». A farsi portavoce di questa certezza è Massimo Ottoni, giovane regista del corto d’animazione Lo Steinway che ha conquistato la critica soprattutto per il coraggio sperimentale e per la capacità di utilizzare più tecniche animate in grado di rimandare emozioni e stati d’animo con un risultato finale profondamente poetico. Un favore che si è tradotto in una menzione speciale ai Corti d’Argento 2017 e con un premio ottenuto allo ShorTS Film Festival.

Ma come nasce l’iter de Lo Steinway? Questo progetto innovativo, soprattutto per quanto riguarda le scelte produttive italiane, si deve all’unione tra Istituto Luce Cinecittà e il Centro Sperimentale di Cinematografia di Torino, all’interno del quale si trova il dipartimento di animazione. Proprio qui, dopo aver chiesto agli studenti di cimentarsi con il tema della guerra letta, però, in modo diverso, è stato scelto il progetto pensato da Massimo Ottoni e dal suo team che poi hanno dato vita a Ibrido Studio, una realtà a metà tra uno studio e un collettivo di autori di animazione. Così, grazie alle suggestioni nate dal racconto omonimo di Andrea Molesini e alla capacità narrativa per immagini di giovani animatori, è nata la magia inaspettata del film. Qui la Grande Guerra e la trincea diventano quasi un pretesto per raccontare l’interiorità degli uomini. Il tutto accompagnato dalle note dolci di un pianoforte, lo Steinway appunto, che unisce oltre le divise sull’onda dei pensieri e dei ricordi.

Fin dalle fasi iniziali è stato coinvolto Andrea Molesini. Scrittore di fama ed esperto della prima guerra mondiale, ha realizzato una sceneggiatura tratta da un suo racconto. In che modo l’animazione ha dimostrato di essere il linguaggio migliore per portarlo sul grande schermo?

Oltre a essere un noto romanziere, Andrea Molesini è anche un profondo conoscitore della Storia. E i particolari inseriti in sceneggiatura lo dimostrano. Fondamentalmente, però, sono rimasto colpito nel trovarmi di fronte a un racconto di guerra atipico. Qui, infatti, non si parla di grandi battaglie e non vengono descritte scene cruenti. In sostanza viene meno proprio quello che compone l’iconografia classica del film di guerra. Tutto è giocato sull’attesa, sull’interiorità di questi soldati che aspettano mesi prima di assistere a eventi, se così possiamo dire, degni di nota. Come mi ha spiegato lo stesso Molesini quando sono andato a trovarlo a Venezia, la guerra era fatta per la maggior parte proprio da questo tempo sospeso nelle trincee. Ecco perché la cosa interessante è stata proprio andare a scavare nella psicologia dei soldati che, durante le lunghe attese, avevano tutto il tempo di indagare su loro stessi e sugli eventi in cui si trovavano coinvolti. Tutto questo racconto interiore nella sceneggiatura era affidato alle parole, ma non è altrettanto facile rendere i sentimenti e i moti interiori in immagini. Per questo motivo l’animazione è risultato essere il linguaggio migliore per rimandare questi sentimenti  in modo lirico.

still da Lo SteinwayStabilite le suggestioni e le finalità artistiche del racconto, come avete agito dal punto di vista strettamente tecnico?

Partiamo con il concepire una sorta di analogia tra attore e animatore. La persona che modella il pupazzo, lo mette in scena o lo disegna, sta facendo una performance attoriale. Non usa il suo corpo come strumento, ma trasmette determinati imput emotivi a un elemento esterno. Ovviamente si ha a che fare con un linguaggio sintetizzato e, secondo lo stile usato, è possibile rendere una gamma di emozioni in modo più rapido. Per quanto riguarda Lo Steinway, poi, abbiamo cercato di non perdere i dettagli e le sfumature che caratterizzano la recitazione in senso stretto, nonostante siano veramente difficili da ricreare in un pupazzo, visto che non è possibile contare sulla fisicità o sulla mobilità di un volto. In questo caso, dunque, il lato artistico e tecnico sono strettamente legati tra loro. Il modo in cui viene progettato un pupazzo, infatti, determina anche il modo in cui si andrà ad animarlo e muoverlo nella scena.

Andando più nello specifico, quali sono state le fasi produttive più importanti?

Prima di tutto è giusto chiarire che ci si trova di fronte a un progetto molto ambizioso, soprattutto per il panorama italiano. In secondo luogo, poi, si tratta anche della storia meno adatta da ricreare in stop motion. Lavorando con questa tecnica, infatti, ci siamo trovati a dover fronteggiare molti cambi di scena, oltre a un numero importante di scenografie e personaggi. Ogni singolo elemento è stato costruito meticolosamente. In totale al progetto hanno partecipato sette persone, tutte concentrate sull’aspetto visivo. Per quanto riguarda, poi, le diverse fasi della realizzazione, si è partiti dallo storyboard per arrivare fino alla post produzione. Il tutto per un totale di nove mesi di lavorazione. Questo tempo può sembrare molto per chi realizza dei film in live action, per un progetto di animazione, però, è veramente poco.

Quando si organizza la produzione di un film dal vivo il primo passo consiste nell’identificazione delle location e nella costituzione di un cast. Come viene tradotto tutto questo in un film di animazione in stop motion?

Il primo passo è cimentarsi nella costruzione della scenografia e dei pupazzi, in totale venti. Pur avendo già molti personaggi pronti, infatti, si è presentata la necessità di realizzare un duplicato per alcuni di loro. In questo modo, infatti, abbiamo lavorato con due set in contemporanea per avere delle inquadrature diverse della stessa scena. Per chi non conosce bene la tecnica dello stop motion, diciamo che consiste nell’animare dei pupazzi all’interno della scena fotogramma dopo fotogramma. Si tratta di un processo incredibilmente laborioso. Basti pensare che, lavorando dalla mattina alla sera, riuscivamo a terminare la giornata con circa quattro secondi di lavorato a testa. Per questo motivo, dunque, le animazioni in stop motion possono costare anche più di un film hollywoodiano con tanto di cast stellare. Nonostante siano privi di nomi famosi in cartellone e non abbiano grandi effetti speciali, basano tutta la loro qualità proprio sulla mano d’opera.

Dal punto di vista registico qual è stata la difficoltà più grande? 

La stop motion è piena di difficoltà. Ogni aspetto rappresenta un ostacolo da superare. La più grande, però, è legata all’organizzazione della produzione. È fondamentale, infatti, costruire una macchina in cui tutto ha l’obbligo di funzionare perfettamente. E con tutto s’intendono elementi come la sceneggiatura, le luci e le macchine. Questo vale anche per i film in live, ma per l’animazione è una fase particolarmente complessa, visto che non sono consentiti molti margini di errore o ripensamento.

still da Lo SteinwayNel corto avete scelto di utilizzare due linguaggi animati diversi. Da una parte, infatti, c’è lo stop motion che, a un certo punto del racconto, si fonde con il disegno classico in 2D. Come avete lavorato su questo susseguirsi di linguaggi armonizzandoli insieme? 

Essenzialmente si tratta di una scelta concettuale. Avevamo di fronte a noi una sceneggiatura con una varietà di momenti e sentimenti. Da parte nostra abbiamo deciso di creare delle ambientazioni realistiche con lo stop motion, mentre l’introspezione e il viaggio interiore di ogni soldato è stato affidato al disegno classico. Durante la pianificazione questa scelta non convinceva molto i miei collaboratori. In definitiva avevano paura che i due stili stonassero tra loro. A conti fatti, invece, è uno degli aspetti più apprezzati del film. Dal punto di vista produttivo, poi, ci ha permesso di lavorare in contemporanea. Proprio perché la stop motion richiede dei grandi spazi, e per noi non era possibile lavorare su un numero maggiore di due set, poter contare anche su una seconda tecnica da portare avanti in contemporanea ci ha salvato. Detto questo, però, ci tengo a ribadire che si tratta di una scelta ideologica più che tecnica. Era fondamentale, infatti, trovare il linguaggio lirico per evocare la musica del pianoforte in grado di unire gli uomini al di là dell’uniforme.

Importante tanto quanto la realizzazione dei personaggi è stata la costruzione delle diverse scenografie, che hanno contribuito a rimandare un forte senso di realismo.

Si è trattato di un lavoro veramente laborioso. Ogni scena, infatti, è stata creata manualmente e meticolosamente. Tutto parte dalla consapevolezza che, anche quando si mette in scena un elemento per pochi secondi, questo deve essere curato alla pari di tutto il resto. Il rasoio del capitano, ad esempio, è un oggetto grande solo pochi millimetri. Per quanto riguarda, poi, il frammento di stoffa legato al filo che si vede sventolare in più di una scena, si è lavorato aggiungendo altre specifiche. Oltre alle sue proporzioni, infatti, la difficoltà maggiore era rappresentata dalla necessità di animarlo. Per questo motivo, dunque, al momento della costruzione è stato inserito al suo interno un foglio di alluminio per farlo muovere. Da questi particolari è possibile capire come il lavoro di preparazione della scenografia ha rappresentato una delle fasi più impegnative di tutto il film. Non bisogna dimenticare, poi, che ogni singolo elemento deve essere costruito pensando già all’inquadratura. Noi, ad esempio, usavamo delle macchine troppo grandi per riuscire a entrare in alcuni ambienti nel modo migliore. Per questo motivo, dunque, si è pensato di costruire le diverse parti della trincea in modo tale che fossero rimovibili. Allo stesso modo è stato progettato il rudere all’interno del quale viene trovato il pianoforte, che è stato realizzato in proporzioni piuttosto ampie, visto che era alto come una persona. La particolarità, però, consiste, nell’averlo messo in proporzione con dei personaggi alti, più o meno, trenta centimetri. L’ultima sfida è stata rappresentata dalla resa realistica dell’esterno, ossia dell’ambiente naturale che circonda le trincee e che i soldati esplorano. Per ottenere un effetto soddisfacente abbiamo impiegato delle foto scattate nei dintorni di Torino, in particolare vicino alle Alpi, integrate poi dall’inserimento di altri elementi, come alberi appositamente costruiti. In questo modo siamo riusciti a dare l’effetto di un ambiente molto vasto.

 

 

 

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