Stefano Accorsi Archivi - Fabrique Du Cinéma https://www.fabriqueducinema.it La Rivista Del Nuovo Cinema Italiano Wed, 29 Nov 2023 08:28:57 +0000 it-IT hourly 1 Il campione, la forza della leggerezza https://www.fabriqueducinema.it/cinema/nuove-uscite/il-campione-la-forza-della-leggerezza/ https://www.fabriqueducinema.it/cinema/nuove-uscite/il-campione-la-forza-della-leggerezza/#respond Fri, 12 Apr 2019 11:22:10 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=12911 Negli ultimi anni, il cinema italiano si è più volte confrontato con il mondo dello sport: se l’acclamato Veloce come il vento di Matteo Rovere ha raccontato la storia di due fratelli accomunati solo dall’amore per le corse automobilistiche e il meno fortunato Tiro libero di Alessandro Valori ha messo in scena il declino e […]

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Negli ultimi anni, il cinema italiano si è più volte confrontato con il mondo dello sport: se l’acclamato Veloce come il vento di Matteo Rovere ha raccontato la storia di due fratelli accomunati solo dall’amore per le corse automobilistiche e il meno fortunato Tiro libero di Alessandro Valori ha messo in scena il declino e la rinascita di un viziato giocatore di basket, Enrico Maria Artale con il suo Il terzo tempo si è invece concentrato sul rugby, ricorrendo alla pratica agonistica per raccontare nuovamente il riscatto di un ragazzo travolto dalle difficoltà della vita.

Ultimo in ordine di tempo, Il campione di Leonardo D’Agostini sembra dunque porsi in perfetta continuità con il passato, replicando una formula ormai rodata. Così come per i predecessori, il lungometraggio prodotto dal già nominato Rovere e da Sydney Sibilia mette infatti in scena un racconto di auto-affermazione e rivalsa a sfondo sportivo, seguendo la quotidianità di Christian Ferro (Andrea Carpenzano), giovane promessa del calcio italiano che, annebbiato dal successo e dalla ricchezza, vive una vita totalmente sregolata, alternando gli allenamenti con la squadra della Roma a imprevedibili serate in discoteca, piccoli furti e risse dentro e fuori dal campo.

il campione 1

Preoccupato per la mancanza di disciplina del suo astro nascente, il presidente del club romano (Massimo Popolizio) decide allora di adottare una drastica soluzione: convinto che solo la scuola possa impartirgli la disciplina necessaria, ordina a Ferro di prepararsi ad affrontare la tanto temuta maturità, pena l’esclusione dalle partite domenicali, costringendolo anche a seguire un programma di lezioni private, impartite dall’insegnante Valerio (Stefano Accorsi). L’incontro tra il giovane Christian e l’intellettuale Valerio porterà il ragazzo a capire ciò che davvero conta nella vita e a combattere per ottenerlo.

Sceneggiato da Giulia Steigerwalt e Antonella Lattanzi, le quali hanno scritto rispettivamente Moglie e marito e 2night, Il campione si delinea dunque fin dalle prime sequenze come un racconto volutamente tradizionale, che non desidera stupire per colpi di scena o svolte improvvise, ma punta abilmente sulla semplicità. Proprio la decisione di adottare una narrazione chiara e lineare, che in certi casi è un’arma a doppio taglio, risulta qui vincente: se ormai molteplici produzioni preferiscono puntare sull’eccesso di stile e scrittura – si vedano rispettivamente l’enfasi pulp del recente Dolceroma o le iperboli narrative dei cinepanettoni et similia –, commedie garbate come Il campione sono infatti piuttosto rare e proprio per questo sempre più necessarie.

il campione 2

L’assenza di particolari eccedenze espressive consente inoltre di porre l’accento sull’umanità degli stessi personaggi, che diventano così il centro del racconto. Nonostante il film sia anzitutto una commedia e l’umorismo non venga (quasi) mai a mancare, momenti più drammatici permettono di caratterizzare due figure a tutto tondo, interpretate con successo da due volti noti del vecchio e del nuovo cinema italiano. Stefano Accorsi, tornato in sala dopo più di un anno da A casa tutti bene di Gabriele Muccino, incarna infatti un uomo all’apparenza incapace di accettare le difficoltà della vita, ma pronto a combattere quando necessario. Andrea Carpenzano, in un ruolo sicuramento più scanzonato rispetto al Manolo de La terra dell’abbastanza, è invece un ragazzo viziato e strafottente, che nasconde però una grande bontà d’animo.

Se Accorsi è un divo riconosciuto nel panorama cinematografico tricolore, il più giovane Carpenzano si dimostra nuovamente una stella in ascesa, particolarmente affine al ruolo del ragazzo inaspettatamente sensibile e profondo. Accanto a loro, si muovono poi personaggi secondari che, pur non essendo approfonditi come i due protagonisti, appaiono indubbiamente ben interpretati. Degni di nota, sono soprattutto il tirannico presidente della Roma, il cui volto è quello dal sempre bravissimo Massimo Popolizio, e la giovane fidanzatina Alessia, che, complice l’abilità e la freschezza di Ludovica Martino, riesce a rubare più di una volta la scena all’innamorato Christian.

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David, Avanti i Giovani. Ma non troppo https://www.fabriqueducinema.it/focus/david-avanti-i-giovani-ma-non-troppo/ https://www.fabriqueducinema.it/focus/david-avanti-i-giovani-ma-non-troppo/#respond Tue, 28 Mar 2017 13:41:18 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=4403 I vincitori: Che “La pazza gioia” di Paolo Virzì fosse il vincitore annunciato, almeno nella categoria Miglior Film, era cosa risaputa. Un’eventualità talmente probabile che ieri, sulla pagina di Wikipedia, c’era chi ci aveva scommesso fin dalla mattina. Delle 17 nomination per il film, Virzì ne ha incassate cinque (miglior film, miglior regia, migliore attrice […]

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I vincitori: Che La pazza gioia” di Paolo Virzì fosse il vincitore annunciato, almeno nella categoria Miglior Film, era cosa risaputa. Un’eventualità talmente probabile che ieri, sulla pagina di Wikipedia, c’era chi ci aveva scommesso fin dalla mattina. Delle 17 nomination per il film, Virzì ne ha incassate cinque (miglior film, miglior regia, migliore attrice protagonista, scenografo e acconciatore), lasciando il resto agli altri due talenti, entrambi under 40, che avevano prenotato il podio: Matteo Rovere con Veloce come il vento (6 premi vinti tra cui miglior attore protagonista, fotografia e montaggio) e Edoardo De Angelis con Indivisibili (6 premi tra cui miglior sceneggiatura, produttore, attrice non protagonista e – sarebbe stato uno scandalo altrimenti – le musiche). Miglior regista esordiente Marco Danieli con La ragazza del mondo (peraltro già premiato da Fabrique lo scorso dicembre), David Giovani a In guerra per amore di Pif.

Gli sconfitti: Tanti. A partire da Marco Bellocchio, che con Fai bei sogni non ha vinto nessuna statuetta delle dieci per cui era stato nominato. È tornato a mani vuote anche Mine di Fabio Guaglianone e Fabio Resinaro, così come Piuma di Roan Johnson, il cui cast in stato di grazia avrebbe meritato qualcosa di più – almeno in fase di nomination.

Ma il grande sconfitto della serata è Fiore di Claudio Giovannesi: premiato una sola volta, con il riconoscimento a Valerio Mastandrea come miglior attore non protagonista, Fiore avrebbe meritato di più. Difficile per tema e costruzione, realizzato in condizioni se non estreme non certo di comodo, avrebbe potuto incassare senza colpo ferire un premio per la produzione, alla coraggiosa Pupkin di Rita Rognoni, riuscita a girare in carcere e a portare il film a Cannes. Avrebbe potuto ricevere un riconoscimento per l’eccezionale performance della sua attrice protagonista, Daphne Scoccia: senza nulla togliere alla brava Valeria Bruni Tedeschi, un David avrebbe potuto incoraggiarne la carriera, darle una rete protettiva, una piccola certezza. E per tutte queste ragioni Giovannesi avrebbe dovuto vincere la regia: per aver saputo mettere insieme i pezzi di un puzzle complesso (a partire dagli attori), per averci creduto con passione, per aver girato la “sua” storia senza compromessi.

Ma forse un podio con tre trentenni, accanto a un giovane maestro come Virzì, sarebbe stato davvero troppo rivoluzionario.

La cerimonia: Chiunque ricordi il siparietto indecoroso tra Paolo Ruffini e Sophia Loren durante l’ultima cerimonia a gestione RAI, converrà che il passaggio a Sky resta una misura di sicurezza indispensabile. Cattelan ha condotto con garbo (anche troppo) una macchina che pecca ancora di autoreferenzialità: funzionano i siparietti comici sul cinema italiano, funzionano i tempi rigorosi, il red carpet, il palco, la confezione da grande evento. Quel che non va è la platea. Sono gli stessi premiati i primi a non credere a quello che stanno facendo. Quando per una standing ovation di 120 secondi ne servono 70 per far alzare tutti in piedi, allora c’è un problema.

Dovrebbe essere chiaro, alla platea dei David, che su quel palco non si sale da artisti, ma da star. Bisogna crederci, perché la confezione – tappeto rosso, lustrini, vestiti – promette questo agli spettatori. Agli invitati perciò non si richiede un intellettuale distacco, ma una performance completa. Basterebbe prepararsi un discorso decente da fare sul palco (come hanno fatto Stefano Accorsi e Valerio Mastandrea), o inventarsi qualcosa di più scoppiettante per animare il momento (grazie, Valeria Bruni Tedeschi).

Considerino, gli autori di Cattelan, la possibilità di sferzare con un pizzico di cattiveria quella platea impigrita e comodamente adagiata nel proprio status. Potrebbe far comodo, a tal scopo, mescolare gli artisti e la loro poesia con il pubblico e la realtà dell’entertaining moderno. Va bene Manuel Agnelli, va bene Eva Riccobono. Ma sarebbe stato così scandaloso se su quel palco fossero saliti Bello Figo o Chiara Ferragni?

TUTTI I PREMI

MIGLIOR FILM

La pazza gioia prodotto da Marco BELARDI per Lotus Production (una società di Leone Film Group) con Rai Cinema per la regia di Paolo VIRZÌ

MIGLIORE REGISTA

Paolo VIRZÌ per il film La pazza gioia

 MIGLIORE REGISTA ESORDIENTE

Marco DANIELI per il film La ragazza del mondo

MIGLIORE SCENEGGIATURA

Nicola GUAGLIANONE, Barbara PETRONIO, Edoardo DE ANGELIS per il film Indivisibili

MIGLIORE SCENEGGIATURA ADATTATA

Gianfranco CABIDDU, Ugo CHITI, Salvatore DE MOLA per il film La stoffa dei sogni

MIGLIORE PRODUTTORE

Attilio DE RAZZA, Pierpaolo VERGA per il film Indivisibili

 MIGLIORE ATTRICE PROTAGONISTA

Valeria BRUNI TEDESCHI per il film La pazza gioia

MIGLIORE ATTORE PROTAGONISTA

Stefano ACCORSI per il film Veloce come il vento

MIGLIORE ATTRICE NON PROTAGONISTA

Antonia TRUPPO per il film Indivisibili

MIGLIORE ATTORE NON PROTAGONISTA

Valerio MASTANDREA per il film Fiore

MIGLIORE AUTORE DELLA FOTOGRAFIA

Michele D’ATTANASIO per il film Veloce come il vento

MIGLIORE MUSICISTA

Enzo AVITABILE per il film Indivisibili

MIGLIORE CANZONE ORIGINALE

“ABBI PIETÀ DI NOI” musica, testi di Enzo AVITABILE interpretata da Enzo AVITABILE, Angela e Marianna FONTANA per il film Indivisibili

MIGLIORE SCENOGRAFO

Tonino ZERA per il film La pazza gioia

MIGLIORE COSTUMISTA

Massimo CANTINI PARRINI per il film Indivisibili

MIGLIOR TRUCCATORE

Luca MAZZOCCOLI per il film Veloce come il vento

MIGLIOR ACCONCIATORE

Daniela TARTARI per il film La pazza gioia

MIGLIORE MONTATORE

Gianni VEZZOSI per il film Veloce come il vento

MIGLIOR FONICO DI PRESA DIRETTA

Presa diretta: Angelo BONANNI – Microfonista: Diego DE SANTIS – Montaggio e Creazione suoni: Mirko PERRI – Mix: Michele MAZZUCCO per il film Veloce come il vento

MIGLIORI EFFETTI SPECIALI VISIVI

Artea Film & Rain Rebel Alliance International Network per il film Veloce come il vento

MIGLIOR FILM DELL’UNIONE EUROPEA

Io, Daniel Blake, di Ken LOACH (Cinema)

MIGLIOR FILM STRANIERO

Animali notturni, di Tom FORD (Universal Pictures)

DAVID GIOVANI

In guerra per amore, di Pierfrancesco DILIBERTO

 MIGLIOR DOCUMENTARIO DI LUNGOMETRAGGIO

Crazy for football, di Volfango DE BIASI

 MIGLIOR CORTOMETRAGGIO

A casa mia, di Mario PIREDDA

DAVID SPECIALE ALLA CARRIERA

Roberto Benigni

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“Veloce come il vento” https://www.fabriqueducinema.it/cinema/recensioni/veloce-come-il-vento/ https://www.fabriqueducinema.it/cinema/recensioni/veloce-come-il-vento/#respond Thu, 07 Apr 2016 06:31:10 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=2957 In Italia è arrivato il momento di sperimentare, o meglio, è arrivato il momento in cui le produzioni e le distribuzioni italiane hanno deciso di legittimare e far accedere al circuito mainstream i film di genere, film di registi che, evidentemente, si sono formati guardando altrove, guardando videoclip, film d’azione, film americani, film della Hollywood […]

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In Italia è arrivato il momento di sperimentare, o meglio, è arrivato il momento in cui le produzioni e le distribuzioni italiane hanno deciso di legittimare e far accedere al circuito mainstream i film di genere, film di registi che, evidentemente, si sono formati guardando altrove, guardando videoclip, film d’azione, film americani, film della Hollywood degli anni ’80: Spielberg, Lucas, Cameron, Howard. I capolavori del nuovo cinema. Dopo Lo chiamavano Jeeg Robot e prima di Monolith c’è Veloce come il vento.

L’avvento di tre film davvero poco italiani, direbbe Stanis La Rochelle. Eppure questo «in realtà è un film italianissimo, dialettale! Le macchine da corsa, poi, sono il racconto di un’eccellenza nostrana. Anche culturalmente questo è un film molto nostro… è che fino ad ora c’è stata una reticenza, quasi una paura, dei produttori nel fare un action movie», per dirlo con le parole del regista. Matteo Rovere (Un gioco da ragazze, 2008 e Gli Sfiorati, 2011) sceglie infatti un mondo tutto italiano che però, in Italia non si è quasi mai esplorato: le corse automobilistiche.

Liberamente ispirato a una vita vera, quella di Carlo Capone, pilota di rally, il film ci racconta la storia di Giulia De Martino, figlia di una tradizione di meccanici e piloti con la passione per l’alta velocità, alle prese con una famiglia che cade a pezzi e con il ritorno del fratello maggiore, tossico, ex astro nascente del rally, che sarà per lei la crisi definitiva. Sarà Loris infatti (un tormentato Stefano Accorsi che finalmente dimette i panni dell’attore impegnato e à la page per rispolverare la sincerità dei suoi primi ruoli, Jack Frusciante è uscito dal gruppo, 1996, Radiofreccia, 1998) a farle capire che le curve non si possono fare tonde, vanno “tagliate”, in pista come nella vita, che “se hai tutto sotto controllo vuol dire che non vai abbastanza veloce”, che se non si è disposti a correre dei rischi non vale neanche la pena di mettersi in gioco.VCIV_S.ACCORSI Pilota pp_MGL3347Veloce come il vento è, infatti, un film che va molto al di là del suo genere che, in questo caso, «è solo un vestito per raccontare altre cose»; si va al di là della pista da corsa, in una storia che affronta individui a confronto con la responsabilità, la redenzione, il rispetto e le rivincite, sia personali che familiari.

Il film di Matteo Rovere è un salto in avanti per quella produzione italiana che aspira a inserirsi in un discorso internazionale, non solo per il buon livello tecnico del lavoro e per la sua estetica, ma anche nell’affrontare in maniera (finalmente!) sinceramente onesta una questione molto importante e di moda nelle discussioni degli ultimi tempi, accademiche e non: la parità di genere. Giulia è una pilota, senza che nessuno le dica che “questo è un lavoro da uomini”, è una meccanica, senza per questo essere meno donna. Giulia ha i capelli rasati di lato e tinti di blu ma va alle feste indossando vestito, tacchi e rossetto. Non affronta le cose a testa alta, da maschio, né porta orgogliosamente i tacchi e i capelli corti, Giulia è naturalmente e sinceramente umana.

Questo grazie a una scrittura notevole (merito dello stesso regista in collaborazione con Filippo Gravino e Francesca Manieri) che costruisce un personaggio femminile in un mondo esclusivamente maschile senza per questo problematizzarne la femminilità e tantomeno metterla in discussione. Non perché non sia interessante riconoscere la polarizzazione di maschile e femminile ma perché, forse, è giunto il momento di accettare serenamente che si può rimanere se stessi senza sentirsi in dovere di adeguarsi al mondo di riferimento. «Calo gli individui nelle storie e nei mondi senza chiedermi se siano uomini o donne, in questo senso credo di aver fatto un film gender fluid» sintetizza efficacemente il regista. Tra i molti pregi del film va riconosciuto un lavoro di produzione non consueto per il cinema italiano che generalmente, se si ingegna così tanto è per grandiose ricostruzioni storiche (Baarìa, 2009).

Le scene d’azione sono reali, nel senso che sono girate davvero, tra circuiti di Monza, Vallelunga e Imola, e nel senso che sono intense, trascinando lo spettatore dritto nel circuito, col fiato sospeso e il battito accelerato. Questo perché l’ispirazione viene, racconta Rovere, «da quegli action movie europei tipo Ronin, che fin da piccolo mi hanno fatto vedere scene d’azione reali, con poca finzione, pochi effetti digitali, in questo il film è quasi analogico», costruite «ragionando tra noi con la troupe, organizzandoci per divertirci un po’ e cercare di fare qualcosa di nuovo», cosa che effettivamente hanno fatto. Per realizzare le scene di corsa, sia quelle su pista che quelle nel centro urbano, hanno ideato e costruito un mezzo ad hoc: la fast car. Veloce come il vento è un film che, speriamo, sia il segnale che un altro cinema è veramente possibile, senza fare sempre rima con trafile produttive infinite o, peggio, autoproduzione.

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