Spike Lee Archivi - Fabrique Du Cinéma https://www.fabriqueducinema.it La Rivista Del Nuovo Cinema Italiano Mon, 21 Jun 2021 17:06:42 +0000 it-IT hourly 1 La sexy comedy rivoluzionaria di Spike Lee https://www.fabriqueducinema.it/magazine/opera-prima/spike-lee-il-fratello-di-shes-gotta-have-it/ https://www.fabriqueducinema.it/magazine/opera-prima/spike-lee-il-fratello-di-shes-gotta-have-it/#respond Wed, 09 May 2018 07:44:13 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=10268 In concorso a Cannes con il suo ultimo lavoro Blakklansman, Spike Lee è considerato uno dei più celebri registi afroamericani: nei suoi film ha trattato importanti temi politici e sociali come il razzismo, le relazioni interrazziali, la discriminazione e l’integrazione. Nonostante sia nato in Georgia da un padre jazzista e da una madre insegnante, Shelton […]

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In concorso a Cannes con il suo ultimo lavoro Blakklansman, Spike Lee è considerato uno dei più celebri registi afroamericani: nei suoi film ha trattato importanti temi politici e sociali come il razzismo, le relazioni interrazziali, la discriminazione e l’integrazione.

Nonostante sia nato in Georgia da un padre jazzista e da una madre insegnante, Shelton Jackson Lee è stato il cantore di New York. Nel 2015 ha ricevuto l’Oscar alla carriera e di recente, insieme alla moglie (ovvero la produttrice Tonya Lewis), ha realizzato per Netflix la serie-tv She’s Gotta Have It tratta dal suo omonimo film d’esordio del 1986, conosciuto in Italia con il titolo Lola Darling. Spike Lee produce, dirige, monta e persino recita in She’s Gotta Have It.

Il film racconta di una ragazza afroamericana, un’artista indipendente che vive in un minuscolo appartamento di Brooklyn, e delle relazioni che ha con i suoi tre amanti. La prima scena del film è tutta per Nola Darling (Tracy Camilla Johns – Lola nella versione italiana), che seduta sul suo letto si rivolge alla telecamera: «Vorrei farvi sapere che l’unica ragione per cui sto facendo questo è perché la gente pensa di conoscermi».

Nola rivendica con decisione la propria libertà, rifiuta le etichette e vive con disinvoltura la sua sessualità. La scelta di una protagonista afroamericana era quasi una novità assoluta per l’epoca, probabilmente l’unico precedente era Whoopi Goldberg nel film Il colore viola diretto da Steven Spielberg.

Il film fu girato in dodici giorni nel corso di una lunga e calda estate, con un budget limitato al quale contribuirono diversi amici, compresa la nonna di Spike Lee con ben quattromila dollari. Per ridurre ancora di più i costi, il regista ha offerto alcuni ruoli a conoscenti e parenti: la sorella ha interpretato la migliore amica di Nola e il padre ha recitato la parte della figura paterna di Nola, oltre ad aver composto la colonna sonora del film.

She’s Gotta Have It non ottenne un gran successo di critica ma racimolò qualche premio in USA e in Europa e un incasso di sette milioni di dollari. Inoltre, il personaggio interpretato da Spike Lee, Mars Blackmon, divenne una vera e propria icona afroamericana: il regista lo interpretò anche nelle pubblicità che diresse per le Air Jordan, le Nike di Michael Jordan, da cui è tratta l’iconica frase it’s gotta be da shoes (deve essere merito delle scarpe).

Provocatorio e onirico, Spike Lee si contraddistingue soprattutto nell’uso cromatico: She’s Gotta Have It è girato in bianco e nero, tranne un’unica scena a colori. La sua firma però resta il double dolly, presente in quasi ogni suo film: il dolly è la cinepresa messa su dei binari, l’uso alla Spike Lee consiste nel mettere sui binari sia la cinepresa che l’attore, per farlo spostare in un modo fluido e innaturale.

Tutto in She’s Gotta Have It dimostra l’originalità e la sensibilità del giovane regista: si dice infatti che Spike Lee avesse scritto la sceneggiatura del suo film d’esordio dopo aver consultato moltissime donne, soprattutto riguardo a questioni relative alla sessualità. Si pensa che sia stato questo a decretare il suo successo tra gli afroamericani, soprattutto tra le spettatrici.

Raramente nel cinema si sono mostrate donne così al di fuori dagli stereotipi e, ancora più raramente, un uomo ha deciso di raccontarle e soprattutto di ascoltarle. Spike Lee l’ha sempre fatto con coraggio e senza sovrastrutture, portando sul grande schermo quella parte di America che non trovava spazio al cinema.

Su questo film, Spike Lee ha dichiarato: «per prima cosa mi venne in mente il titolo: She’s Gotta Have It. La gente si sarebbe chiesta: che cosa deve avere lei? E per scoprirlo sarebbe andata al cinema». Per scoprire cosa deve avere Nola, ora basta recuperare il film d’esordio di Spike Lee o fare un giro su Netflix, perché non contano le piattaforme, contano le storie e quella di Nola è una cosa che you gotta have it, trust me.

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Il talento che piace a Scorsese: Jonas Carpignano e “A Ciambra” https://www.fabriqueducinema.it/cinema/interviste/talento-piace-scorsese-jonas-carpignano-ciambra/ https://www.fabriqueducinema.it/cinema/interviste/talento-piace-scorsese-jonas-carpignano-ciambra/#respond Mon, 25 Sep 2017 09:06:15 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=9340 Nato a New York da madre afroamericana con origini caraibiche e padre torinese vissuto per molti anni a Roma, Jonas Carpignano è cresciuto muovendosi tra la Grande Mela e la provincia della capitale italiana (fra Monte Porzio Catone e Frascati) e oggi è considerato uno dei più promettenti talenti cinematografici emergenti a livello internazionale. Dopo […]

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Nato a New York da madre afroamericana con origini caraibiche e padre torinese vissuto per molti anni a Roma, Jonas Carpignano è cresciuto muovendosi tra la Grande Mela e la provincia della capitale italiana (fra Monte Porzio Catone e Frascati) e oggi è considerato uno dei più promettenti talenti cinematografici emergenti a livello internazionale.

Dopo l’esordio nel 2015 con Mediterranea, in cui raccontava il viaggio di due migranti dal Burkina Faso a Rosarno, distribuito solo recentemente in Italia ma che ha avuto un’ottima accoglienza all’estero e in particolare negli Stati Uniti, il 33enne cineasta italoamericano è nelle sale in questi giorni con la sua seconda opera A Ciambra, presentata con notevole successo allo scorso Festival di Cannes (Quinzaine).

In questo stimolante spaccato della comunità stanziale romena di Gioia Tauro che prende vita attraverso gli occhi del quattordicenne Pio Amato, Jonas Carpignano conferma la tensione verso un cinema di finzione dalla forte impronta realista che non rinuncia alla costante ricerca di uno sguardo cinematografico potente e raffinato. D’altronde, non è certo un caso che il suo talento sia stato riconosciuto da Martin Scorsese, tra i produttori esecutivi di A Ciambra. Con Jonas, che vive da anni a Gioia a stretto contatto con i protagonisti dei suoi film, abbiamo avuto l’opportunità di parlare a lungo di influenze cinematografiche, prossimi progetti e, soprattutto, del suo peculiare modo di intendere e di vivere il cinema.

un'immagine di A Ciambra di Jonas Carpignano

Come sei entrato in contatto con un autore del calibro di Martin Scorsese e qual è stato il suo contributo a livello creativo?

Alcune persone che lavorano con Scorsese, tra cui il suo agente e la sua produttrice, sono sempre alla ricerca di progetti per aiutare i registi emergenti. Alcuni co-finanziatori di questo fondo avrebbero già voluto investire in Mediterranea e dopo averlo visto mi hanno subito comunicato l’intenzione di collaborare con me al secondo film. Per me si è trattato di un sogno e il ruolo di Scorsese è stato molto importante per trovare il giusto equilibrio tra i momenti più narrativi del film e quelli in cui senti di stare vivendo a contatto con Pio e la sua famiglia. Mi ha fatto capire quali erano i momenti più forti e quali i più ripetitivi, sacrificabili in fase di montaggio. Insieme abbiamo ad esempio lavorato molto alla scena della cena, che per lui doveva essere mantenuta senza tagliarla più di tanto in quanto fondamentale per capire i rapporti all’interno della famiglia Amato e i motivi per cui Pio non potrà mai uscire dal suo mondo.

Qual è il cinema a cui ti senti più vicino e quali sono i tuoi punti di riferimento?

Come per la mia storia personale sono legato a più culture, così mi sento vicino a tipi di cinema anche molto diversi tra loro. Non sono uno alla Spielberg che ha sempre saputo di voler fare il regista, ma quello del cinema fin da piccolo l’ho sentito un mondo non lontano da me, anche grazie al rapporto con mio nonno, che ha lavorato molti anni per Carosello ed era sposato con la sorella di Luciano Emmer. Lui mi ha fatto conoscere le opere di Visconti e Bertolucci, due miei grandi punti di riferimento insieme a Rossellini e De Sica. Però sento presente in modo forte anche il cinema americano degli anni Settanta e Novanta, di cui mi nutrivo quando andavo con gli amici nelle sale del Bronx a guardare i film di registi come lo stesso Scorsese, Altman o Coppola.

un'immagine di A Ciambra di Jonas Carpignano

Per quanto riguarda invece i cineasti più contemporanei?

Tra gli italiani sicuramente c’è Alice Rohrwacher, che conosco bene. Stimo tutto quello che fa e mi dà sempre una mano quando mi serve. Adoro poi tutti i lavori di Andrea Arnold, la regista britannica di American Honey e Fish Tank. Tra gli americani, invece, ammiro molto Benh Zeitlin, un carissimo amico che per me è stato sempre come un fratello maggiore. Lavorando con lui in Re della terra selvaggia ho imparato che non c’è necessariamente bisogno di fare un film con una struttura cinematografica tradizionale e solida, ma che è possibile adattare la narrazione ai ritmi del luogo in cui si gira. Passare da assistente di Spike Lee in Miracolo a Sant’Anna al film di Benh mi ha arricchito molto, dandomi la possibilità di toccare con mano due modi di fare cinema assai differenti. Personalmente tento di rimanere fedele a me stesso, seguendo l’influenza del cinema che amo e con cui sono cresciuto. Non riuscirei mai a fare, ad esempio, un cinema asciutto come quello dei Dardenne, che non ha quei momenti surreali e musicali che a me invece interessano molto.

L’uso delle musiche in effetti è molto importante nei tuoi film. In Mediterranea, e ancora di più in A Ciambra, sottolineano i momenti di maggiore intensità emotiva dei protagonisti.

Parto sempre dal presupposto di voler inquadrare i miei personaggi in maniera diversa rispetto a come siamo abituati nel cinema europeo di stampo realista o nei telegiornali. Se si vuole aderire davvero al loro punto di vista e vedere il mondo con i loro occhi è importante cogliere non solo i momenti più drammatici ma anche quelli più leggeri e spensierati, che ci permettono di non perdere delle importanti sfumature della loro esistenza e che spesso sono accompagnati proprio dall’ascolto della musica. Anche per le persone che vivono nelle circostanze più pesanti, la vita non è mai solo una tragedia. Inoltre, la musica pop presente in A Ciambra ci fa sentire queste persone più vicine a noi, dato che è un tipo di musica conosciuta da tutti i ragazzi italiani, da Milano a Gioia Tauro. La componente musicale unisce e permette al pubblico di sentirsi sulla stessa lunghezza d’onda emotiva dei personaggi.

un'immagine di A Ciambra di Jonas Carpignano

Del tuo cinema colpisce molto la capacità di proporre uno sguardo che osserva senza giudicare, oggettivo ma non per questo freddo o distante.

L’idea di fondo alla base del mio cinema è proprio questa: mostrare la vita di alcune persone senza giudicarle. Giudicare è una cosa che non faccio mai e questo si riflette in maniera naturale nel mio modo di intendere il cinema. Ciò che mi interessa davvero è entrare nei mondi che voglio raccontare senza porre un filtro tra pubblico e personaggi, rimanendo il più possibile fedele al loro sguardo. Per questo cerco sempre di evitare di contestualizzare troppo: Pio in A Ciambra non si ferma ad ammirare il mare o non si meraviglia delle cose brutte che lo circondano. Se il contesto per lui non è importante perché lo dà per scontato, allora per me non ha senso soffermarmici. Anche perché nel momento in cui cerchi di dare una visione che va oltre il punto di vista del protagonista, inevitabilmente anteponi una tua opinione e inizi a giudicare. In A Ciambra, così come in Mediterranea, non si ha tempo per giudicare perché si è immersi nel punto di vista dei protagonisti.

Pensi di continuare a vivere a Gioia Tauro lavorando nella direzione di questa tua poetica o ti dedicherai a qualcosa di diverso?

Negli anni ho imparato che per me è essenziale lasciare spazio alla curiosità. Se ci sarà qualcosa in futuro che mi stimolerà cercherò di analizzarla e di spostarmi per farne un film. Forse un giorno un parente di mia madre dei Caraibi mi inviterà nelle Barbados e lì troverò qualcosa che vorrò raccontare. Tutto è possibile nella vita. Detto questo, ora come ora a Gioia Tauro sto molto bene perché ho il tempo di guardare tanti film, leggere libri e ho gli stimoli giusti per continuare a fare il mio lavoro. Se abitassi Roma o New York non troverei tutto questo tempo da dedicare al cinema. In questo momento ad esempio sto scrivendo il mio nuovo film, che sarà ambientato sempre a Gioia Tauro ma racconterà una realtà diversa, quella di una ragazza italiana che vive nel centro storico insieme alla famiglia e deve decidere se rimanere a Gioia o partire. Questa famiglia la conosco da anni, ma nei prossimi mesi cercherò di stare ancora di più con loro per approfondirne ulteriormente la storia.

 

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