Silvio Orlando Archivi - Fabrique Du Cinéma https://www.fabriqueducinema.it La Rivista Del Nuovo Cinema Italiano Wed, 19 Jul 2023 13:09:18 +0000 it-IT hourly 1 Il sol dell’avvenire. Il Moretti che aspettavamo da tanto https://www.fabriqueducinema.it/cinema/nuove-uscite/il-sol-dellavvenire-il-moretti-che-aspettavamo-da-tanto/ https://www.fabriqueducinema.it/cinema/nuove-uscite/il-sol-dellavvenire-il-moretti-che-aspettavamo-da-tanto/#respond Thu, 20 Apr 2023 13:28:32 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=18399 Dopo la prova opaca di Tre piani torna da protagonista Nanni Moretti. Dalle prime immagini Il sol dell’avvenire trasmetteva già buone sensazioni, ma alla visione si rivela come una folgorante rinascita. Il suo alter ego è Giovanni, regista autoriale e navigato, che tanto gli somiglia, alle prese con il suo set ambientato nel quartiere Quarticciolo […]

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Dopo la prova opaca di Tre piani torna da protagonista Nanni Moretti. Dalle prime immagini Il sol dell’avvenire trasmetteva già buone sensazioni, ma alla visione si rivela come una folgorante rinascita. Il suo alter ego è Giovanni, regista autoriale e navigato, che tanto gli somiglia, alle prese con il suo set ambientato nel quartiere Quarticciolo di una Roma del ’56, dove il Partito Comunista raccordava parti importanti della vita e del lavoro delle persone.

Moretti escogita un intreccio di metacinema tra la Roma borghese attuale, popolata di personaggi assortiti, ognuno con la sua piccola fragilità, ognuno con la sua stortura, e il quartiere popolare di quasi settant’anni fa. Da psicoterapeuti che rispondono al telefono durante le sedute a produttori francesi dalla doppia vita; da registi ciecamente dediti a una compiaciuta violenza filmica fino ad attrici impuntate sull’improvvisare oltre il copione. Queste e tante altre le piccole e grandi rigidità e tic Moretti ce li fotografa nella sua nuova galleria con una lucidità giocosa e pedante a fasi alterne.

Il regista si prende cura dello spettatore con lezioni di cinema e sogni politici rivolti al passato togliattiano, ma profondamente attinenti alle tante svolte che hanno portato a oggi. Ma ipotizza pure un Quarticciolo ancora senza luce negli anni Cinquanta, e magari qualcuno potrebbe prendersela per la licenza, più che poetica, cinematografica. Resta il fatto che Moretti mostra a modo suo l’impegno politico attraverso il grande schermo con Silvio Orlando e Barbora Bobulova, segretario di sezione del PCI lui, sua moglie sarta tesserata e militante lei. Grazie a loro, la comunità artistica di un circo ungherese fuggito dalle repressioni sovietiche troverà il sostegno del PCI e del quartiere. Barbora e Silvio sono gli attori che seguono Giovanni, anche se i sabot della prima saranno motivo di reprimende morettiane da consegnare all’immaginario dei fan. 

Tanto autocitazionismo negli stilemi, inevitabile per un grande vecchio – lo fa anche Spielberg nel suo ultimo lavoro – ma anche tanto puro morettismo che inevitabilmente dividerà. Ma la costruzione del pastiche è così complessa e ricca di stratificazioni che potrebbe coinvolgere anche ben oltre il pubblico degli aficionados. Certo, Cannes arriva tra un mese, e l’affermazione sulla Croisette dov’è in concorso, spingerebbe Il sol dell’avvenire ulteriormente. 01 Distribution intanto scommette impegnandoci ben 500 sale.

Ed è una scommessa anche per i produttori. Nel ruolo della moglie produttrice di Giovanni abbiamo una Margherita Buy schiacciata dallo sguardo iperuranico del marito regista. E grazie a lei, Moretti, insieme alle sceneggiatrici Francesca Marciano, Federica Pontremoli e Valia Santella, ci schiude le vie alternative, professionali e non, di una donna giunta al capolinea del proprio matrimonio. La fotografia di Michele D’Attanasio esplode meglio che in Tre piani per lscelta del colore. Splendidi poi nella loro leggerezza musicale gli intermezzi sognanti ed estemporanei con Blu Yoshimi e Michele Eburnea, in un’epoca a metà strada tra il ’56 e il nostro 2023. Certo anche Moretti, come tanti registi italiani, non molla il vizietto della cantatina corale in macchina. Ma è con i suoi ben noti cliché che torna in sala un Nanni profondamente autoironico e giocoso, proprio passando attraverso la sua stessa pedanteria. Come il grande soliloquio sul set di un giovane regista assetato di sangue, al quale metterà i bastoni tra le ruote. Scena surreale, ma al tempo stesso lezione di cinema altissima quanto tragicomica perché disseziona il concetto di violenza estetizzata. Una sequenza della quale si parlerà certamente in futuro.

il sol dell'avvenire
Silvio Orlando e Barbora Bobulova,

Il sol dell’avvenire si scopre come il lavoro più complesso e multiforme di Moretti. Quindi giù con stilettate folgoranti al mercato delle piattaforme streaming; lo sguardo sensibile contro pregiudizi sull’omosessualità; la riflessione sull’accettazione di coppie etero con età molto distanti; le co-distribuzioni internazionali “strada facendo” necessarie alla sopravvivenza di un set; il musical come punteggiatura estetica; dire qualcosa di sinistra attraverso il cambiamento sociale a prescindere dalle bandiere rosse; la sostituzione della vespa coi monopattini elettrici; l’egocentrismo pervicace dei vecchi, registi e non; l’impiego di grandi attori europei come Mathieu Amalric, Jerzy Stuhr, Zsolt Anger; e alcune curiose preveggenze. Una è il pericoloso orso fuggito dal circo, sembra scritto apposta pensando al triste caso JJ4. Invece il film è stato girato l’anno scorso, in estate, e con la sua vitalità fa centro perché fa ridere e commuovere.

 

 

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Siccità, la Roma più arida di sempre è targata Paolo Virzì https://www.fabriqueducinema.it/festival/siccita-la-roma-piu-arida-di-sempre-e-targata-paolo-virzi/ https://www.fabriqueducinema.it/festival/siccita-la-roma-piu-arida-di-sempre-e-targata-paolo-virzi/#respond Fri, 09 Sep 2022 07:24:25 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=17625 Tanti, troppi film sono ambientati a Roma, non è una novità. Ma quando un autore ne fa una distopia decidendo di prosciugarla per una crisi idrica, ovviamente giusto con effetti visivi, la cosa si fa più interessante. Mettiamoci pure un bel cast numeroso messo in scena con bilanciata coralità aggiunto alla firma di Paolo Virzì […]

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Tanti, troppi film sono ambientati a Roma, non è una novità. Ma quando un autore ne fa una distopia decidendo di prosciugarla per una crisi idrica, ovviamente giusto con effetti visivi, la cosa si fa più interessante. Mettiamoci pure un bel cast numeroso messo in scena con bilanciata coralità aggiunto alla firma di Paolo Virzì e il gioco è fatto. Almeno per le prime aspettative che si erano già viste dal trailer. Il regista livornese sbarca al Lido ufficialmente fuori concorso, inoltrandosi nelle spire del drammatico, non sempre generose con lui, ma lo spettacolare azzardo per Siccità ci conduce quasi dalle parti del disaster movie. E anche per la situazione di surreale stasi apocalittica nel cuore della nostra Italietta di sfruttatori e di sfruttati, nonché per il generoso parterre di attori, ricorda vagamente L’ingorgo di Luigi Comencini.

In questa Roma anche sui pavimenti delle case borghesi vivono di nascosto gli scarafaggi, Virzì ci tiene sempre a farci notare quanto la sete e la sporcizia diventino generali e trasversali in questa Roma in caduta libera. L’acqua è razionata e i vigili urbani inseguono i trasgressori che utilizzano l’acqua per lavare l’auto. Cosa vietatissima. Intanto l’estate torrida ha seccato il Tevere mostrandocelo vuoto come una specie di giallastra discarica abusiva.

Dai quartieri bene l’influencer Tommaso Ragno dispensa saggezze fioccanti di like e commenti col suo smartphone; l’autista Valerio Mastandrea attraversa invece la città e le manifestazioni violente alle prese con allucinazioni dal suo passato sedute sul suo sedile posteriore; Elena Lietti spreca acqua annaffiando di nascosto una piantina mentre messaggia febbrilmente; Silvio Orlando fa un carcerato di Rebibbia, sorridente pure se di lungo corso; e Gabriel Montesi è un borgataro che ricomincia a lavorare dopo un difficile periodo di stop.

Ma ci sono pure Vinicio Marchioni, Sara Serraiocco, Monica Bellucci, Max Tortora, Emanuela Fanelli, Claudia Pandolfi e Diego Ribon (gustosissimo il suo serioso climatologo veneto salito agli onori delle cronache). Tutti personaggi necessari i loro, ognun col proprio peso narrativo, e perfettamente stilizzati. Pregio di una scrittura orizzontale che tesse una rete abilmente snodata dall’inizio alla fine lasciandoci esplorare i meandri di un mondo-Roma inedito e stupefacente. E, nella loro tragicità, prendendo vita dal calamaio di un commediografo, non mancano neanche di farci sorridere amaramente.

Giunge alla sua opera più matura Virzì, complice anche la pandemia Covid. Siamo di fronte a un affresco distopico e di costume perché racconta non proprio un futuro, ma un oggi diverso, possibile e speriamo non probabile, fatto di anime che sono tra noi. Forse è questo lo spirito del tempo colto da un regista come lui. Per questo Siccità è accostabile alla sua pièce teatrale Se non ci sono altre domande, ma pure al suo più celebre Ferie d’agosto. Entrambi corali, totali, e guarda caso, con Silvio Orlando.

Impressionano il dramma ambientale e sociale, il senso di sconforto e disorientamento di fronte alla privazione di acqua. H2O come elemento fondamentale della vita, dell’equilibrio e della sanità. Toglierla a un paese e alla sua capitale fa venire quasi le traveggole, come una visione di pre-Natività in mezzo al letto seccato del Tevere, quando uno dei protagonisti guarderà attonito un uomo simile a un San Giuseppe immigrato, in cammino a condurre con sé un asinello sul quale siede una ragazzina incinta. Insomma, Siccità vi potrebbe seriamente scoppiare dentro al cuore quando uscirà al cinema. Non all’improvviso, ma il 29 settembre.

 

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Ariaferma, il carcere (metaforico) di Servillo e Orlando https://www.fabriqueducinema.it/festival/ariaferma-il-carcere-metaforico-di-servillo-e-orlando/ Mon, 06 Sep 2021 15:34:59 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=15970 È sempre una gioia quando vede la luce delle sale un nuovo film di Leonardo Di Costanzo, autore poliedrico, mente dai vasti orizzonti che per il cinema cosiddetto di finzione ha sempre attinto alla lunga e fruttuosa esperienza da documentarista, e ha portato avanti un percorso coerente, come se si fosse prefissato fin dall’esordio di […]

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È sempre una gioia quando vede la luce delle sale un nuovo film di Leonardo Di Costanzo, autore poliedrico, mente dai vasti orizzonti che per il cinema cosiddetto di finzione ha sempre attinto alla lunga e fruttuosa esperienza da documentarista, e ha portato avanti un percorso coerente, come se si fosse prefissato fin dall’esordio di imporsi come il regista degli spazi chiusi, dei microcosmi, dell’isolamento, delle fughe surreali dai luoghi reali. Ariaferma, scritto dal regista insieme a Valia Santella e Bruno Oliviero (una sceneggiatura che non ha un solo cedimento, né nella struttura, né nei dialoghi), racconta un momento critico all’interno di un carcere situato in un luogo imprecisato, come sempre in Di Costanzo la geografia si dirada e perde via via la sua connotazione, e il teatro dell’azione diventa come sospeso in una nube: la casa circondariale chiude, ma i trasferimenti vengono bloccati per problemi burocratici, e dodici detenuti devono restare lì, in un luogo abbandonato e spettrale, e con loro tutto il personale di guardia, a capo del quale c’è Toni Servillo, che per schematizzare come si fa nei polizieschi americani fa lo sbirro buono, in coppia con lo sbirro cattivo che invece è Fabrizio Ferracane.

I dodici ospiti del carcere sono tutti molto diversi fra loro, ognuno a rappresentare un “tipo”: c’è il giovane con istinti suicidi, ci sono gli extracomunitari, c’è il pedofilo da tutti messo al bando, e c’è quello misterioso, il più mite, che però – viene detto a un certo punto, senza rivelare pienamente il mistero – è anche il più pericoloso di tutti: si chiama Carmine Lagioia (interpretato magistralmente e in sottrazione da Silvio Orlando), e gli viene successivamente conferito l’incarico di chef, diventando di conseguenza un po’ il “sindaco” del carcere, da tutti rispettato, e l’unico con l’autorità di trattare con il Gaetano Gargiulo di Servillo.

È questo incontro a generare la tensione narrativa che dà l’acqua della vita alla storia, con Gargiulo che prova a porre le distanze fra sé e il detenuto, ma col passare del tempo i due trovano i punti d’incontro: il culmine è uno scambio di battute che potrebbe fare da epigrafe a tutto il film, che suona tipo “Lagioia, sei tu che sei in carcere”, e il detenuto ribatte “E perché, voi no?”. Non potrebbe avere più ragione.

Ariaferma segna un po’ una svolta, un’evoluzione, e perché no una summa nel cinema di Di Costanzo: c’è una regia solidissima, splendida somma non algebrica di direzione degli attori e gusto figurativo, coadiuvato dalla fotografia di Luca Bigazzi che con Di Costanzo riesce a esprimersi sempre ad altissimi livelli, come già ne L’intervallo. Importante anche il sonoro di Xavier Lavorel, che ha il suo momento trionfale a chiusura della scena più importante del film e anche una delle più belle e memorabili di questo festival: la cena, di notte, a lume di torce elettriche a causa della mancanza di elettricità, con detenuti e agenti che siedono al tavolo insieme, annullando l’effetto del carcere diventando quello che sono: esseri umani.

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