Saverio Costanzo Archivi - Fabrique Du Cinéma https://www.fabriqueducinema.it La Rivista Del Nuovo Cinema Italiano Wed, 23 Oct 2024 14:20:04 +0000 it-IT hourly 1 Rebecca Antonaci, giovane leonessa https://www.fabriqueducinema.it/magazine/cover/rebecca-antonaci-giovane-leonessa/ https://www.fabriqueducinema.it/magazine/cover/rebecca-antonaci-giovane-leonessa/#respond Tue, 16 Apr 2024 13:59:48 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=19051 Rebecca Antonaci, appena ventenne, originaria di Viterbo dove ha studiato cinema in una “scuola comune”, come la definisce lei, ha lo sguardo e la voce della purezza, ma la grinta di una leonessa che ha trovato il modo di uscire dalla gabbia. Da esordiente è la protagonista assoluta dell’ultimo film di Saverio Costanzo, Finalmente l’alba, […]

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Rebecca Antonaci, appena ventenne, originaria di Viterbo dove ha studiato cinema in una “scuola comune”, come la definisce lei, ha lo sguardo e la voce della purezza, ma la grinta di una leonessa che ha trovato il modo di uscire dalla gabbia.

Da esordiente è la protagonista assoluta dell’ultimo film di Saverio Costanzo, Finalmente l’alba, presentato in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia. Rebecca, che interpreta Mimosa, si è posta di fronte alla macchina da presa come una pagina bianca: buca lo schermo e lo attraversa per puntare dritta al cuore dello spettatore con un’interpretazione magistrale e un lavoro di mimesi e rispecchiamento degni di un attore navigato, diciamo di un Willem Dafoe, di cui ormai Rebecca è amica. All’attivo ha spettacoli teatrali, piccole parti in serie tv, lo spot Barilla dove ha conosciuto Saverio Costanzo e un album (Morfina) di canzoni interamente scritte e composte da lei. Iniziamo la nostra chiacchierata proprio dalla musica.

Prima di essere un’attrice sei una cantautrice. Le tue canzoni sono delicate, magnetiche. Da dove nasce la passione per la musica?

La musica è arrivata prima del cinema, ho iniziato a studiarla quando ero piccola. Ha sempre fatto parte di me perché mi permette di esprimere me stessa appieno. Quando sono ispirata tiro fuori cose che non avrei mai pensato, perché è l’inconscio a parlare, la musica mi aiuta a entrare in contatto con le parti più nascoste di me. Quando interpreto una parte è diverso, perché sono sempre io ma dentro altri personaggi, anche se la prima regola della recitazione è «conosci te stesso», perché se non conosci te stesso non puoi conoscere il tuo personaggio.

E allora parliamo di cinema, parliamo del tuo debutto come opera prima assoluta con Finalmente l’alba: come sei arrivata, da esordiente, a un film così importante?

È successo grazie a una serie di incontri giusti al momento giusto. Io e Saverio Costanzo ci siamo incontrati sul set dello spot Barilla, anche se in quell’occasione non era stato possibile conoscerci davvero perché era stato tutto molto veloce. Durante le riprese però lui mi aveva osservata e – poi mi ha detto – ha subito pensato a me per il ruolo di Mimosa. Anche nella scrittura della sceneggiatura era me che immaginava, me lo ha confidato solo quando abbiamo finito di girare il film! Comunque niente è stato dato per scontato, ho fatto dieci provini, uno più difficile dell’altro, Saverio mi ha messo alla prova in tutti i modi.

C’è un film che ti ha fatto capire che volevi essere un’attrice? Che tipo di cinema ti piace?

Ci sono diversi registi che mi stanno a cuore, David Lynch, Quentin Tarantino, Edgar Wright, David Cronenberg. Il film che mi ha più toccato è Maps to the Stars, proprio di Cronenberg. Parla dell’ambiente degli attori, soprattutto degli aspetti negativi, dei problemi e delle paranoie che ti possono venire quando fai questo mestiere e l’ho apprezzato perché mi ci sono rivista, anche se sono soltanto all’inizio  della carriera. Mi ha aperto la mente su questo mondo, mi ha spronata e mi ha fatto capire quali sono i pericoli in cui non voglio cadere.

Come ti senti quando reciti? Il dolore che sei riuscita a trasmettere nella scena magistrale in cui “interpreti” una poesia, da dove è uscito? Chi riesce a trasmettere un’emozione così forte non può che essere una persona empatica.

In effetti sono una persona estremamente empatica e sensibile, sento tutto con grande intensità, che sia gioia, dolore o solitudine, perciò quando recito sto davvero male. Una volta che entro in un personaggio mi porto dentro il suo dolore per un bel po’ perché entro in contatto con me stessa, coi miei ricordi… Nella scena della poesia è successo proprio così, perché ero talmente dentro al personaggio di Mimosa che non ho neanche dovuto usare la tecnica o ricorrere a memorie personali, mi sono realmente immedesimata. È uscito tutto con naturalezza, senza artifici. E sono davvero molto contenta perché la scena è arrivata al pubblico.

Come è avvenuta questa profonda immedesimazione con Mimosa?

Credo sia stato un connubio fra tecnica e istinto, però con Mimosa ho sentito una connessione fin dalla prima lettura della sceneggiatura e non so perché. In realtà siamo due persone molto diverse, eppure mi sono sentita come se fossi sua madre, ho avuto la sensazione di volerla proteggere, dandole tutto quello che potevo. È un personaggio che ancora mi sento addosso. Mentre giravamo le prime sequenze e mi sono ritrovata con attori come Willem Dafoe, Lily James e Joe Keery, mi dicevo: “Ma stiamo scherzando? Sono in una scena con questi tre, ma che sta succedendo?”. Ero incredula proprio come Mimosa.

Mimosa rappresenta l’innocenza, e in una favola nera la sua purezza spicca ed emerge ancora di più. Ma alla fine trova la leonessa che è in lei. Quella scena sembra proprio un invito a tutti noi, sembra suggerirci di camminare affianco al nostro leone, a non averne più paura.

 Sicuramente questo film mi ha fatto crescere come persona e come attrice, è stata un’esperienza assolutamente formativa. La leonessa però la sto affrontando adesso, perché quando ho girato il film ero piccola, avevo solo 17 anni. Dovevo ancora finire la scuola. Era tutto bello, la parte più difficile è arrivata quando è finito il film perché sono tornata al liceo, alla vita normale. Questa esperienza mi ha dato tanto ma mi ha anche tolto tanto e sto imparando solo ora ad accettare tutto, a vivere con serenità e ad affrontare le cose una alla volta. Questo è un mestiere bellissimo, ma è anche pieno di incertezze, non sai mai quando lavorerai… quindi affrontare il leone forse significa affrontare te stesso e il lavoro che hai scelto.

Saverio Costanzo ti ha scelta per la tua autenticità, la caratteristica principale anche del tuo personaggio. Com’è stato lavorare con lui? Cosa ti porti dentro?

L’insegnamento più grande che mi ha dato Saverio è come arrivare all’anima del personaggio. Lui ti toglie ogni schema, ogni forma di overacting, nota tutto, ha una grandissima sensibilità e una grande empatia perché capisce in che situazione sei e ti aiuta a entrare nell’anima del personaggio. Amo moltissimo la sua visione del film e la sua visione delle cose in generale e del mondo femminile, delicata, sensibile. E poi Saverio mi ha regalato un film stupendo: a prescindere dal fatto che c’ero anche io in quel film, lo avrei amato comunque.

Com’è stato recitare con grandi divi di Hollywood? In particolare Willem Dafoe nel film è un po’ la tua guida, quasi una figura paterna. È stato così anche sul set?

Più che una figura paterna Willem è stato un amico. È in grado di capirti subito, ti legge completamente, mi ha fatto sentire a mio agio sul set e anche divertire, fra un ciak e l’altro, con le sue smorfie! È stato molto stimolante lavorare con lui, è un attore con la “a” maiuscola, però ho scoperto che è anche una bellissima persona.

E ora cosa vedi nel tuo futuro? C’è un regista o una regista con cui sogni di lavorare?

Cerco di non avere pretese, mi piace pensarmi come una pagina bianca pronta a essere “scritta” e sono sicura che arriverà il progetto giusto nel momento giusto. Però il mio sogno segreto è poter girare un horror. Io ho una grande paura dei film horror, mi fanno stare male per giorni e quindi vorrei proprio girarne uno dove interpreto la parte del mostro sanguinario, quello che spaventa gli altri… Credo sarebbe l’unico modo per superare questa paura.

Scrivi canzoni. Ma hai mai pensato di scrivere una storia? Magari una storia per il cinema?

Oltre alle canzoni scrivo anche poesie, ma sono cose molto intime quindi le tengo per me. Mi piacerebbe scrivere una sceneggiatura, anche se adesso mi sento ancora acerba, però è una possibilità che tengo aperta. Mi attira l’idea di parlare di solitudine, un po’ come fa Sofia Coppola.

Fotografa Roberta Krasnig: assistente Davide Valente
Stylist: Flavia Liberatori
Hair and Makeup
Ilaria di Lauro

Abiti: Meimeij; Federica Tosi; Alysi

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Finalmente l’alba, film ambizioso con un’esordiente di incredibile talento https://www.fabriqueducinema.it/cinema/nuove-uscite/finalmente-lalba-film-ambizioso-con-unesordiente-di-incredibile-talento/ https://www.fabriqueducinema.it/cinema/nuove-uscite/finalmente-lalba-film-ambizioso-con-unesordiente-di-incredibile-talento/#respond Tue, 13 Feb 2024 08:43:34 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=18963 I film di un autore eccezionale come Saverio Costanzo si aspettano sempre con grande trepidazione: anche laddove non convincono pienamente, anche quando possono sembrare diseguali e non sempre uniformemente ispirate, le opere di Costanzo rappresentano ogni volta un tassello importante nel panorama contemporaneo del cinema italiano, sia per ciò che il regista ha da dire, […]

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I film di un autore eccezionale come Saverio Costanzo si aspettano sempre con grande trepidazione: anche laddove non convincono pienamente, anche quando possono sembrare diseguali e non sempre uniformemente ispirate, le opere di Costanzo rappresentano ogni volta un tassello importante nel panorama contemporaneo del cinema italiano, sia per ciò che il regista ha da dire, sia per lo stile con cui mette in scena le proprie storie. È quindi con grande gioia che si può salutare Finalmente l’alba, presentato in concorso a Venezia 80, nove anni dopo Hungry Hearts.

Si tratta di un film molto ambizioso, opus magnum prodotto da Fremantle, Wildside e Rai Cinema, e per governare un tale impianto Saverio Costanzo si è potuto avvalere di collaboratori eccellenti come il direttore della fotografia Sayombhu Mukdeeprom (il film è girato in 35mm), la montatrice Francesca Calvelli, la costumista Antonella Cannarozzi, la scenografa Laura Pozzaglio.

Il film si apre con un film: in un granuloso bianco e nero, scorrono le scene finali di un dramma di guerra di stampo neorealista, con un soldato americano che mette in salvo una bambina dopo che la madre è stata uccisa a sangue freddo da un ufficiale della Wehrmacht; fatto il proprio dovere, il soldato si allontana sulla scalinata di piazza di Spagna, in una inquadratura potentissima che a noi spettatori tornerà utile più avanti… Si accendono le luci, l’incanto svanisce, conosciamo la protagonista del film, anche se non lo sappiamo ancora: la giovane Mimosa, timida adolescente romana appassionata di cinema, in compagnia della madre e della sorella maggiore, Iris, che ha il sogno di fare l’attrice, e che viene intercettata (grazie alla sua bellezza) da un giovanotto spavaldo, che le promette di farle fare la comparsa nel nuovo, colossale peplum che gli americani stanno girando a Cinecittà.

Finalmente l'albaIn casa la notizia che la figlia maggiore vada a Cinecittà crea scompiglio, ma alla fine i genitori acconsentono: da qui, possiamo già immaginare gli sviluppi della storia, e cioè che sarà la timida (e più pudica) sorella minore, Mimosa, ad attirare l’attenzione della grande macchina da cinema americana, richiesta in scena addirittura dalla protagonista del film, la star planetaria Josephine Esperanto. La lunga e bella sequenza ambientata a Cinecittà, nel quale si possono cogliere i riferimenti cinematografici che più ci piacciono, in particolare non si può non pensare a Bellissima di Luchino Visconti, ha il suo acme nel secondo film nel film: la scena finale di un monumentale film storico, che ha come riferimento principale Cleopatra di Mankievicz e che spinge a una riflessione sull’impianto formale pensato da Saverio Costanzo: sia il film “neorealista” d’apertura che il “peplum” non sono girati in uno stile facsimile a quello dell’epoca, ma sono entrambi interpretazioni libere e contemporanee di quel peculiare genere cinematografico, nel montaggio, nella scelta delle lenti, nell’uso della luce, nella direzione degli attori.

La giovane Mimosa, tuttavia, intrufolandosi nei corridoi degli stabilimenti, si imbatte in un cinegiornale grazie al quale Costanzo stabilisce il “colore”, l’atmosfera nella quale è calato il film, e che a ben vedere è anche una dichiarazione di quale sia l’embrione effettivo di Finalmente l’alba: un grave fatto di cronaca nera del 1953, la morte della ventunenne Wilma Montesi, modenese, fidanzata con un poliziotto (anche Mimosa, lo scopriamo nelle scene iniziali, è in procinto di sposarne uno che, palesemente, non ama), ma con l’ambizione di entrare nel mondo del cinema, e ritrovata annegata sulla spiaggia di Torvaianica. Un caso ancora irrisolto.

Il rapporto fra Mimosa e Josephine Esperanto raggiunge, grazie alle riprese del colossal, un tale grado di complicità che la diva decide di portare con sé la ragazza per tutta la notte – con l’aiuto di un mefistofelico ma gentile traghettatore interpretato dallo straordinario Willem Dafoe -, in una lunga odissea che si svolge per gran parte nella villa di Capocotta di un signore molto potente, e nel quale si dispiega un caleidoscopio di eventi goliardici, goderecci ma anche dolorosamente grotteschi al quale prendono parte anche personaggi realmente esistiti, come il compositore Piero Piccioni, Alida Valli interpretata da Alba Rohrwacher, e tanti altri personaggi-maschere loschi e spaventosi.

L’enorme corpo cinematografico rappresentato dalla festa notturna ha il chiaro intento di suggerire, dapprima in maniera più allusiva e poi sempre più chiaramente, che l’esistenza di Mimosa e quella della povera Wilma Montesi sono sovrapponibili: Mimosa è Wilma? Ci troviamo di fronte a una allucinazione? Ci troviamo di fronte a una riproposizione dei medesimi eventi del caso della ragazza modenese, quasi a stabilire una implacabile serialità di questi macabri episodi che si svolgono all’ombra delle dorate promesse del mondo cinematografico?

Saverio Costanzo ci lascia liberi di crederlo, ma è probabilmente in questa rischiosa fase del film che c’è un momento di stagnazione che fa fare al racconto una brusca frenata, rispetto al più serrato ritmo della prima parte. Finalmente l’alba comunque si riscatta nel bellissimo finale: ritorna piazza di Spagna, ma stavolta in una veste nuova, sul volto di Rebecca Antonaci, la protagonista: ennesimo, incredibile talento scoperto da Saverio Costanzo, che dopo essersi inventato grazie all’Amica geniale una intera generazione di giovani, bravissimi attori napoletani, ora regala al cinema italiano una grande attrice dal futuro sicuramente radioso.

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Venezia 75: L’amica geniale tra fiaba, realtà e nostalgia https://www.fabriqueducinema.it/festival/venezia-75-lamica-geniale-tra-fiaba-realta-e-nostalgia/ https://www.fabriqueducinema.it/festival/venezia-75-lamica-geniale-tra-fiaba-realta-e-nostalgia/#respond Sun, 02 Sep 2018 17:05:21 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=11227 In una casa buia suona il telefono. A rispondere è una donna anziana di nome Elena. Una voce dall’altro capo della linea la informa che Lila è scomparsa senza lasciare tracce. Elena si reca allora alla scrivania, accende il computer e comincia a scrivere. In un lungo flashback, la scena si sposta allora nei quartieri […]

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In una casa buia suona il telefono. A rispondere è una donna anziana di nome Elena. Una voce dall’altro capo della linea la informa che Lila è scomparsa senza lasciare tracce. Elena si reca allora alla scrivania, accende il computer e comincia a scrivere. In un lungo flashback, la scena si sposta allora nei quartieri napoletani del secondo Dopoguerra, quando la donna, al tempo bambina, ha incontrato per la prima volta quella che sarebbe diventata la sua migliore amica. Questo è l’inizio di L’amica geniale, nuova serie firmata HBO, RAI Fiction e TIM Vision, le cui prime due puntate sono state proiettate in esclusiva in conclusione alla quarta giornata della Mostra del Cinema di Venezia.

Una produzione dal sapore internazionale, dunque, capace di raccontare una storia totalmente italiana debitrice nell’estetica al cinema d’autore e al panorama internazionale. Saverio Costanzo, regista di tutti gli episodi, crea un micro-cosmo lontano ma culturalmente radicato, che trasporta lo spettatore in una favola filtrata dallo sguardo della giovane protagonista. Il personaggio di Elena, che si spartisce equamente la scena con l’amica geniale Lila, racconta infatti gli eventi con ingenuità, lasciando trapelare un’innocenza tipica della giovane età. Grazie a lei, scopriamo i vari personaggi che popolano il rione napoletano, che si anima di figure tra loro opposte.

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Proprio in quest’ultimo elemento si cela la vera forza del progetto che, nonostante le due figure centrali, si delinea come un grande affresco di volti e di personalità, che permettono di suggerire un senso di dolce nostalgia. Naturalmente, questa multiformità narrativa si sviluppa in modo interessante anche grazie all’ottimo libro da cui è tratta, ovvero l’omonimo best-seller scritto da Elena Ferrante. Il merito non può però essere attribuito esclusivamente all’autrice del romanzo: la cinepresa di Saverio Costanzo si muove infatti con decisione tra le differenti figure, indagando senza essere invasivo le loro vite. Lo sguardo del cineasta, come si è detto coincidente spesso con quello della protagonista, girovaga tra i palazzi con sommessa raffinatezza, non entrando quasi mai nelle case ma spiando le vicende dalle finestre e dai corridoi.

La funzionale ricostruzione scenografica, curata da Giancarlo Basili, aggiunge veridicità a questo turbinio di storie, che acquistando gradualmente verosimiglianza. Al contrario, la fotografia di Fabio Cianchetti, tendente invece ad una colorazione calda, rifiuta il mero realismo, facendosi ambasciatrice di una velata malinconia, dovuta al ricordo di un mondo che ormai sembra essere mutato inesorabilmente. Queste due dimensioni, all’apparenza opposte l’una all’altra, sono in realtà perfettamente equilibrate, in quanto riflessi di una reminiscenza tanto tangibile quanto ormai effimera. L’espediente del racconto nel racconto, che proseguirà probabilmente fino all’ultima puntata, permette una maggiore libertà narrativa ed espositiva, merito chiaramente di una memoria che dissolve i confini tra realtà e finzione.

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La riuscita di queste prime due puntate non è tuttavia solo merito del regista e degli operatori, ma anche degli attori. Sebbene non sia ancora possibile giudicare gli interpreti degli episodi successivi, è più che possibile affermare che le protagoniste più giovani siano perfette nel proprio ruolo. Elisa Del Genio è abile nel caratterizzare in modo duplice Elena, bambina che nonostante un’estrema dolcezza non si nasconde davanti al pericolo. Più taciturna, Lila – incarnata da Ludovica Nasti – dialoga invece con lo sguardo e con il movimento del corpo, apparendo altrettanto espressiva. Se non è possibile commentare l’intera produzione, in uscita a partire dal 30 ottobre, le prime due puntate di L’amica geniale offrono dunque ottime premesse per una serie che non solo intreccia fiaba e realtà, ma convince sia nella narrazione, sia nella messa in scena.

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