Salmo Archivi - Fabrique Du Cinéma https://www.fabriqueducinema.it La Rivista Del Nuovo Cinema Italiano Wed, 01 Sep 2021 08:11:11 +0000 it-IT hourly 1 La canzone nostra, in esclusiva Mace con il suo nuovo videoclip, feat. Blanco e Salmo https://www.fabriqueducinema.it/magazine/musica/la-canzone-nostra/ https://www.fabriqueducinema.it/magazine/musica/la-canzone-nostra/#respond Mon, 11 Jan 2021 10:21:29 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=14860 Esce oggi il videoclip di La canzone nostra, primo estratto dal prossimo album di Mace, Obe. Insieme al producer anche Blanco e Salmo, per un pezzo dal sound ambient-romantic con un video in bianco e nero e l’energia del punk hardcore. Alla regia, ancora una volta gli YouNuts! (Antonio Usbergo e Niccolò Celaia). «Ci lega […]

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Esce oggi il videoclip di La canzone nostra, primo estratto dal prossimo album di Mace, Obe. Insieme al producer anche Blanco e Salmo, per un pezzo dal sound ambient-romantic con un video in bianco e nero e l’energia del punk hardcore. Alla regia, ancora una volta gli YouNuts! (Antonio Usbergo e Niccolò Celaia). «Ci lega quest’amicizia in comune con Salmo ma non avevamo mai avuto modo di lavorare insieme» racconta Mace. «Questo è il primo vero videoclip che giro per me». Disc jockey, produttore e beatmaker attivo dal 2002: nella visione creativa di un artista come Mace, quando arriva il videoclip? «Arriva nel momento in cui dici: ok, questa traccia è una bomba che abbiamo tra le mani, deve diventare un video. Ma fosse per me vorrei fare un video per ogni traccia che produco. Sono un amante del videoclip, del cinema e dell’estetica visiva».

Mace in La canzone nostra
Mace in “La canzone nostra”

È Salmo ad avere subito l’idea del videoclip, così come quella di affidarla agli YouNuts! (a cui è legato da una collaborazione ormai storica): «Volevamo citare un video dei primi anni Duemila, I’m so crazy di Par-T-One vs INXS – spiega Mace – Ci sono scene di pogo con corpi seminudi che si toccano. Vederlo in un periodo in cui siamo tutti chiusi in casa con la paura del contagio è ancora più forte».«Salmo ha una capacità incredibile di concepire i suoni e le immagini in parallelo. A me capita più il contrario: quando mi blocco su una composizione musicale apro un film e lo mando in play senza audio: lascio che le immagini ispirino i suoni. Dal concept iniziale di Salmo gli YouNuts! hanno iniziato a tirar fuori altre idee, come quella delle pedane di vetro riprese da sotto. Le sovrapposizioni dei volti mi ricordano moltissimo gli anni Settanta di Ken Russel: hanno mescolato vari linguaggi e hanno spaccato».

la canzone nostra con Salmo
Salmo nel videoclip “La canzone nostra”

Mace, Blanco e Salmo insieme in un brano fatto di contrasti, con un romanticissimo sofferto presente già nel titolo e una base che passa dall’ambient all’elettronica. L’idea è nata a più step. «Stavo scrivendo una composizione ambient strumentale, ispirata a un compositore giapponese anni ’80, un pioniere, Hiroshi Yoshimura». Poi la scoperta di Blanco su Spotify e il colpo di fulmine: «Sono impazzito. Era uno dei migliori artisti che avevo ascoltato in Italia negli ultimi anni. L’ho invitato subito in studio: aveva solo pezzi molto aggressivi con un animo punk e ho voluto provare a decontestualizzarlo, facendolo cantare sulla base strumentale ambient». E alla fine arriva Salmo, che ascolta la traccia di Blanco in studio da Mace: colpo di fulmine anche per lui. «Gli ho detto: beh, allora mettici su una strofa anche tu».

Con un’unica giornata di riprese e una shot list fittissima, il video è stato girato in uno studio di posa a Milano: «Ci serviva un posto così grande da contenere due set, anzi quasi tre – spiega Antonio Usbergo degli YouNuts! – a partire da quello della pioggia e dal limbo per girare le immagini con gli effetti di luce e la scena del vetro. Era importante ottenere un’impressione di vastità».

Blanco in La canzone nostra
Blanco con uno dei registi.

I due registi hanno pensato ogni effetto di luce proprio per dare maggiore risalto al bianco e nero, ereditato dalla reference proposta inizialmente da Salmo, Mace e Blanco: «La canzone nostra richiedeva un video un po’ onirico. Alla scena del pogo abbiamo aggiunto la pioggia, come suggerisce il testo, per renderlo epico e iconico». Per la resa estetica finale, invece, non è stata utilizzata una LUT aggressiva: «Abbiamo girato con dei file flat – spiega Niccolò Celaia degli YouNuts! – Poi abbiamo tolto la saturazione e aumentato un po’ il contrasto ai monitor regia che avevamo sul set per avere un riferimento del look che volevamo raggiungere. Il grosso del lavoro di color è stato fatto da Rosario Balistreri sotto nostre indicazioni».

Riuscitissimi anche i virtuosismi di macchina, realizzati interamente in fase di ripresa, con una testata cartoni Lambda a 3 assi montata su binario: «Abbiamo giocato con dei movimenti in avvicinamento al soggetto mentre facevamo ruotare la camera sull’asse orizzontale. All’inizio eravamo molto in ansia su come ottenere il movimento di rotazione a 360, ma alla fine vedendo i test e parlando con amici e colleghi, abbiamo scelto di farlo così. Ed è venuto molto bene».

Muovendosi su un’energia diversa da quella del sound che racconta, il video di La canzone nostra completa il brano con un’insolita poetica pogata, esaltata da due grandi frontman in scena. Mentre Blanco, appena 17enne, divora lo spazio e si presta a una follia da giovanissimo Joker, Salmo lo accompagna senza mai sovrastarlo, entrando e uscendo insieme ai giochi di luce creati per lui, come un deus ex machina dagli occhi felini. «Sono degli showman pazzeschi – conclude Mace – Anche io mi sono sciolto molto in video per i miei standard: stare accanto a due presenze così istrioniche è contagioso».

Credits
Regia: YouNuts! (Antonio Usbergo e Niccolò Celaia); Produzione: Antonio Giampaolo per Maestro Production; Organizzatore: Lorenzo Bramati; Discografica: Island Records
Foto di scena: Steve B.

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Mauro Aragoni: dal fantasy sardo allo spaghetti western https://www.fabriqueducinema.it/serie/mauro-aragoni-dal-fantasy-sardo-allo-spaghetti-western/ Mon, 13 Jul 2020 07:16:03 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=14223 Dopo il successo del suo cortometraggio Nuraghes s’Arena, con protagonista il rapper Salmo, Mauro Aragoni, uno dei più promettenti registi esordienti del panorama contemporaneo del cinema italiano, è ora sul set della serie That dirty black bag, prodotta da Palomar in collaborazione con Bron, di cui può Aragoni può rivelare ancora molto poco: si solo […]

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Dopo il successo del suo cortometraggio Nuraghes s’Arena, con protagonista il rapper Salmo, Mauro Aragoni, uno dei più promettenti registi esordienti del panorama contemporaneo del cinema italiano, è ora sul set della serie That dirty black bag, prodotta da Palomar in collaborazione con Bron, di cui può Aragoni può rivelare ancora molto poco: si solo che è stata definita “un western, con un pizzico di horror e mistero, e con elementi di steampunk”.

Dopo il fortunato Nuraghes, Mauro Aragoni è al lavoro su una serie internazionale

In esclusiva per Fabrique, ripartendo dal successo di Nuraghes (2017), da poco più di un mese disponibile anche in streaming, lo abbiamo intervistato spaziando tra cinema e serie, tra nuovi e vecchi progetti, tra personalissime fonti di ispirazione e progetti futuri.

Nuraghes, il tuo apprezzatissimo corto, che si potrebbe definire un fantasy proto-sardo, è da poco più di un mese disponibile sulle piattaforme on demand; perché secondo te è ancora attuale?

 Molti fan lo riguardano spesso proponendomi diversi significati e interpretazioni, o facendomi parecchie domande su cose che mi chiedo persino io. Una volta lessi il commento di un ragazzo che spiegava il finale ad altri spettatori e ne rimasi affascinato anche io. Credo sia perché è un’opera onirica, che apre diverse strade. Questo rende Nuraghes suggestivo e curioso, e forse per questo resta ancora adesso attuale.

Da dove scaturisce un’idea così insolita?

Per quanto sia una storia inventata, il corto è ispirato da una civiltà realmente esistita della quale purtroppo non si sa molto; questa civiltà è così misteriosa e visivamente potente che ho optato per girare il film nel modo più oscuro. La trama è molto semplice, volutamente banale direi, ma proprio per questo regala spazio alla regia e alle atmosfere creando l’equilibrio tra storia e visione.

Nuraghes di Mauro Aragoni
Un’immagine del cortometraggio di Mauro Aragoni

Parliamo ora del progetto che ti sta tenendo impegnato in questi mesi: That dirty black bag. Anzitutto, qual è per te la differenza fondamentale tra lavorare a un cortometraggio e lavorare a una serie?

Le serie sono colossi. È molto difficile fare una serie, ci sono infiniti particolari, incastri che complicano  le cose, più di quanto accade a un film o un lungometraggio. Spesso basta spostare una pedina, un secondo, un dettaglio per far crollare interamente una linea che dura delle ore. Le serie sono delicate, complesse e lunghe. Sul set devi dare il meglio di te in meno tempo cercando di ottenere la stessa qualità dei film. È una sfida, ma anche un elemento cruciale dell’evoluzione del racconto seriale; tant’è che se oggi le serie non avessero la qualità del cinema e fossero rimaste alle fiction di vecchio stampo, personalmente non avrei scelto di lavorarci.

Quali sono i nomi che ti hanno di più influenzato per la realizzazione di Nuraghes e che continuano a essere una guida anche per la nuova serie?

Ho sempre amato Carpenter, Kubrick e Tarantino. Nuraghes prende anche molta ispirazione dal manga Berserk e da Valhalla Rising di Refn: tutti nomi e titoli che mi guidano anche nella realizzazione di That dirty black bag, oltre ovviamente alla trilogia di Leone.

Come procede questa tua esperienza internazionale a capo di un grossa produzione? E quali sono i progetti futuri?

Procede bene anche se è molto impegnativa. Sto vivendo un periodo molto particolare della mia vita, lavorare in una serie internazionale con i grandi del cinema non è solo un’occasione, ma anche il sogno di una vita e un grande onore. Riguardo al futuro, ho tanti film nel cassetto, tante idee tra cui Nuraghes 2, ma diciamo che per ora non vedo l’ora di avere tra le mani il cofanetto blu ray di That dirty black bag.

 

 

 

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Salmo. Il più autentico di tutti https://www.fabriqueducinema.it/magazine/musica/salmo-il-piu-autentico-di-tutti/ https://www.fabriqueducinema.it/magazine/musica/salmo-il-piu-autentico-di-tutti/#respond Tue, 23 Jul 2019 07:53:56 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=13190 È l’uomo del momento. Le radio passano le sue canzoni. I social moltiplicano i suoi video. I media si litigano le sue interviste, le sue parole, la sua schiettezza. Sto parlando di Salmo, il più autentico di tutti. Ho l’occasione di parlarci tramite il super efficiente fratello-manager Sebastiano che, senza troppi giri di parole, ci mette […]

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È l’uomo del momento. Le radio passano le sue canzoni. I social moltiplicano i suoi video. I media si litigano le sue interviste, le sue parole, la sua schiettezza. Sto parlando di Salmo, il più autentico di tutti. Ho l’occasione di parlarci tramite il super efficiente fratello-manager Sebastiano che, senza troppi giri di parole, ci mette in contatto e con ancor meno vezzi formali inizia la piacevole chiacchierata con Salmo; le frasi di circostanza da intervista per i rotocalchi non interessano a me e tantomeno a lui, che mi chiama “fra’” e scherza su se stesso e sul mondo. Sarebbe superfluo parlare ancora della sua storia, quella musicale almeno, quella che lo ha accompagnato fino al suo ultimo album, Playlist, che sta facendo incetta di primati e dischi di platino «la mia storia ha anche un po’ rotto le palle» mi dice lui ridendo e saltando a piè pari la breve introduzione.

Arriviamo al dunque, quindi, parlando di cinema, di questa connessione che va avanti da tempo e che ora, dopo l’uscita del video di Lunedì, sembra inevitabile, quasi scontata. Ma prima di andare nello specifico del video, facciamo un passo indietro e Salmo mi parla del suo rapporto con il cinema, ricorda di esserne appassionato da quando era piccolo, ma non un cultore, «non uno di quei patiti che collezionano film, che sanno tutto». La sua intuizione è stata quella di inserire il cinema nei videoclip prima di molti altri. Per spiegarsi mi cita Yoko Ono del 2011, tratto da The Island Chainsaw Massacre: l’impostazione di quel video aveva un mood molto cinematografico, nel montaggio, nei colori, nelle riprese, cominciando a mettere una distanza tra lui e gli altri rapper.

salmo

Gli chiedo se il cinema, i video e quindi il pensiero per immagini tipico della scrittura filmica influenzino i suoi testi: racconta che qualcosa si è modificato in lui, quello che prima nasceva per concetti e idee, adesso nasce con le immagini già dentro, ad esempio quando ha scritto Lunedì aveva già in mente il video, è stato Alessandro Borghi poi a metterci molto del suo facendolo diventare quel piccolo capolavoro che possiamo ammirare. Poi la sua risposta apre una dissertazione interessante sulla realtà dei videoclip e la loro importanza nella scrittura e nell’immagine dell’artista, dimostrando una capacità di analisi che spesso sfugge agli artisti, a volte anche ai manager stessi: «Ormai i video musicali sono in una sorta di limbo». Mi spiega che è un problema di veicolo più che di prodotto, ad esempio chi fa film ha le sale oppure Netflix, insomma è messo in un contesto buono per il suo mercato.

«Chi fa musica come me, invece, spende centomila euro per fare un video, ma quel video non viene messo su Netflix (uno mio sì, però parlo in generale), ma viene caricato dentro il frullatore di Youtube, dove capita di trovarti in coda a video veramente inutili. Si dovrebbe pensare a un canale apposito, ad esempio se Netflix avesse l’intelligente idea di creare una sezione per i videoclip sarebbe una bomba. Non è così facile, non è che possono rivoluzionare tutto il sistema, però pensa a una piattaforma dedicata solo ai video musicali».

salmo

Salmo a valorizzare una sua canzone con Netflix c’è riuscito, l’unico in Italia a uscire sulla piattaforma con un video realizzato insieme a cast e troupe di Narcos Messico, set ideale per la sua Sparare alla luna e per lo storytelling immaginato dal cantante. Al momento la collaborazione si è fermata lì, ma speriamo che Netflix possa seguire il consiglio. Alla fine della lunga chiacchierata, l’ultima domanda sembra naturale: già altrove Salmo aveva parlato delle sue intenzioni, di tanti che lo vedono come attore mentre lui in realtà studia come regista e fa esperienza, co-dirigendo i suoi video e talvolta anche quelli di altri, come per la canzone Sabato di Jovanotti, allora mi ritrovo a chiedergli se e quando avverrà questo salto dal microfono alla macchina da presa.

Salmo frena, dice che probabilmente non ci sarà, non adesso, non così di botto. Sa che in Italia, specialmente in quest’epoca di gogne social e flotte di opinionisti da commento compulsivo, fare un passo falso significa bruciarsi. «Io sto molto attento a tutto quello che faccio, anche nella musica sarei potuto scadere – precisa – però so adesso quali sono i passi che non devo fare, e il primo passo è non fare un film mio» (il pensiero corre rapidamente a tutti quei comici, cantanti, youtuber o altro, ingurgitati dalle produzioni e sputati sul mercato). Comunque Salmo crede sia stato importante partire davanti alla cinepresa e non dietro, perché per arrivare un giorno a dirigere un attore bisogna sapere cosa si prova a esserlo. E lui ha dato prova delle sue abilità attoriali in più occasioni, mostrandosi perfettamente a suo agio all’interno di produzioni di livello internazionale, da Netflix fino al meraviglioso rapporto di squadra instaurato proprio sul set di Lunedì.

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“Zeta” – il rap è la risposta https://www.fabriqueducinema.it/cinema/recensioni/zeta-il-rap-e-la-risposta/ https://www.fabriqueducinema.it/cinema/recensioni/zeta-il-rap-e-la-risposta/#respond Tue, 26 Apr 2016 12:04:27 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=3053 Arriva nelle sale “Zeta”, diretto da Cosimo Alemà, una strepitosa carriera di regista di videoclip e due lungometraggi all’attivo (At the end of the day, La Santa). La storia, ambientata nella periferia romana, narra le vicende di un ragazzo, Alex in arte Zeta, che ha come obiettivo fare del rap, la sua passione, il mezzo per sfondare […]

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Arriva nelle sale Zeta”, diretto da Cosimo Alemà, una strepitosa carriera di regista di videoclip e due lungometraggi all’attivo (At the end of the day, La Santa).

La storia, ambientata nella periferia romana, narra le vicende di un ragazzo, Alex in arte Zeta, che ha come obiettivo fare del rap, la sua passione, il mezzo per sfondare e fuggire da un ambiente che gli sta stretto. Insieme all’amico Marco forma un duo, gli Anti, ma è solo come solista che riesce a farsi notare. Alex deve andare avanti da solo e lasciare Marco e l’amica Gaia: scoprirà, però, che è soltanto non dimenticando da dove viene e restando fedele ai suoi affetti che potrà diventare un uomo ed essere davvero felice.

Nel cast oltre ai tre protagonisti Diego Germini, Irene Vetere e Jacopo Olmo Antinori, brillano le rap star italiane: Clementino, Rocco Hunt, Fedez, J-Ax, Salmo, Ensi, Briga, Baby K, Lowlow, Tormento, Rancore, Shade, Noyz Narcos, Shablo e Metal Carter.

Zeta è un film che racchiude in sé tante storie, tanti filoni di intreccio: è la vicenda di un ragazzo che non sopporta il luogo in cui vive, si sente soffocare dalla realtà che lo circonda e che non lo rappresenta; è un racconto di amicizia leale e sincera come sempre più si incontrano solo nei film e, difficilmente, nella realtà; è una favola d’amore profondo e tormentato tra due ragazzi; è, soprattutto, una storia di passione per il rap, un sentimento viscerale che si rivela come l’unico modo per riuscire a sentirsi libero e appagato.

Ma la pellicola di Alemà è anche la fotografia impietosa di una realtà di periferia, che è ambientata a Roma ma potrebbe essere dovunque, di una situazione di disagio e di povertà che porta spesso i ragazzi a compiere scelte sbagliate, a mettersi in guai molto più grandi di loro. E allora il rap diventa l’unico modo per fuggire da questo squallore: mettersi le cuffie aiuta a isolarsi, a distaccarsi dalla miseria umana e culturale che circonda questa generazione di giovani. La musica, per il protagonista, è anche il mezzo per cercare di scappare materialmente dal suo quartiere: cercherà di farsi notare nel mondo del rap che conta, quello delle case discografiche e dei club frequentati dagli artisti.

Questo racconto di borgata, che si va a sommare a quelli che abbiamo visto recentemente sullo schermo, si pensi a Lo chiamavano Jeeg Robot o a Non essere cattivo, non ha forse la profondità descrittiva e la capacità di analisi impietosa di Claudio Caligari o l’ironia graffiante e l’originalità di Gabriele Mainetti. Si prefigge però uno scopo diverso: raccontare, sopra ogni cosa, il rap e il suo impatto sulle nuove generazioni, soprattutto quelle di periferia, e in questo riesce senz’altro a raggiungere il suo obiettivo.

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