Rome Independent Film Festival (RIFF) Archivi - Fabrique Du Cinéma https://www.fabriqueducinema.it La Rivista Del Nuovo Cinema Italiano Tue, 06 Sep 2022 13:17:59 +0000 it-IT hourly 1 Acqua che scorre non porta veleno: quando finisce un amore https://www.fabriqueducinema.it/magazine/futures/acqua-che-scorre-non-porta-veleno-quando-finisce-un-amore/ https://www.fabriqueducinema.it/magazine/futures/acqua-che-scorre-non-porta-veleno-quando-finisce-un-amore/#respond Wed, 22 Jun 2022 07:30:47 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=17300 Regista e produttrice appena 25enne, Letizia Zatti ha studiato alla Luchino Visconti di Milano e si è fatta notare al RIFF con la storia di una donna che si introduce di nascosto nella casa del suo ex compagno, quella che un tempo era stata di entrambi. Nel corto Acqua che scorre non porta veleno, Matilde soffre […]

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Regista e produttrice appena 25enne, Letizia Zatti ha studiato alla Luchino Visconti di Milano e si è fatta notare al RIFF con la storia di una donna che si introduce di nascosto nella casa del suo ex compagno, quella che un tempo era stata di entrambi. Nel corto Acqua che scorre non porta veleno, Matilde soffre per l’amore perduto e Zatti cuce sulla protagonista una regia intima e sensoriale, utilizza palette di colore e spazi come strumenti narrativi realizzando un equilibrio perfetto tra estetica e contenuto.

Nonostante la vocazione registica hai studiato produzione alla Luchino Visconti di Milano. Perché questo percorso?

Sono stata presa alla Visconti a 19 anni, subito dopo il liceo. Ero piccola e quindi ho scelto produzione perché in me convivono creatività e pragmaticità. Col senno di poi è stata la scelta più giusta: mi ha permesso di lavorare su set pubblicitari e cinematografici. L’incontro fondamentale è avvenuto con l’aiuto regista Miguel Lombardi, che venne a farci un corso di aiuto regia. A lui devo praticamente tutta la mia esperienza sui set, è stato il mio maestro. Poi, in realtà, non ho mai avuto il mito della regia. La vocazione registica mi si è rivelata set dopo set, è semplicemente il ruolo in cui più mi sento me stessa. Senza aver studiato produzione però, probabilmente sarebbe stato tutto più improvvisato.

 

In Acqua che scorre non porta veleno Matilde ripercorre gli stessi spazi, annusa l’odore dell’ex dalla sua camicia e si immerge nella vasca piena d’acqua, dove un tempo facevano il bagno insieme. La casa-nido è quasi un terzo personaggio. Che tipo di lavoro hai fatto sugli spazi e con l’attrice protagonista?

È proprio così. La storia narra la fine di una relazione, ma ancora di più narra un legame profondo con la casa. Era questo il tema che volevo approfondire. Ognuno di noi vive la propria casa in modo diverso: c’è chi la considera solo un tetto sotto cui dormire e c’è chi invece cura ogni dettaglio. C’è chi di case ne ha cambiate trenta e chi invece vive tutta la vita nello stesso posto in cui è nato e cresciuto. Io ho vissuto in dodici case diverse nell’arco di 24 anni e quella che si vede nel corto è stata la prima casa che ho veramente sentito mia. L’ho fotografata spesso, per cui scegliere le inquadrature è stato abbastanza facile, la scelta della macchina fissa voleva restituire proprio questo terzo punto di vista, quello delle mura della casa. L’acqua poi è un elemento subdolo: si insinua, penetra lentamente e rovina un’abitazione facendola marcire in profondità. Ma ha anche un alto contenuto simbolico: lenisce, lava, cura. Emilia [Emilia Scarpati Fanetti, l’attrice protagonista] ha da subito capito cosa volevo raccontare, era un tema che sentiva vicino perché aveva vissuto un’esperienza simile. Ho voluto fare tutte le prove in casa, anche quella costumi con gli attori, in modo che avessero familiarità con il luogo.

Acqua che scorre non porta velenoLe cose che ci passano per la mente sono quasi sempre inconfessabili, il voyeurismo di Matilde, la sua difficoltà nel lasciar andare, ci mettono di fronte alla sua ferita. Il tuo è un cinema intimista, fatto di sentimenti quotidiani e cose minuscole. Cosa aspiri a raccontare e in quale forma?

Il cinema che voglio fare è un cinema intimo, ricco di un sottotesto che rende onore più ai volti e alle piccole emozioni che alle grandi gesta. Sono affascinata dalle dinamiche psicologiche che si creano dietro le relazioni umane e ossessionata dal perché le persone diventano ciò che sono. Per ora sento che questa è la mia via: storie semplici ma con un universo dietro, un punto di vista chiaro e una forma estetizzante ma mai fine a se stessa. Ogni giorno che passa cambiamo e ci evolviamo, quindi chissà, un giorno potrei cambiare del tutto approccio.

Cosa ti auguri per il cinema post-pandemico?

Non ho particolari storie che vorrei vedere, tutto è già stato scritto, tutto è già stato detto. Vorrei vedere film che più che focalizzarsi sul cosa raccontare, si concentrino sul come farlo. Spero vivamente che la visione in sala riesca a sopravvivere nella sua essenza popolare e che non diventi solo per un pubblico d’élite. Fare i film per un’élite non mi interessa, la mia missione è quella di arrivare a tutti.

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La santa piccola, un film capace di osare, apre la 20a edizione del Riff https://www.fabriqueducinema.it/festival/la-santa-piccola-un-film-capace-di-osare-apre-la-20a-edizione-del-riff/ Sat, 20 Nov 2021 13:32:08 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=16407 Erotismo, bellezza, sacro e profano: questi gli ingredienti principali de La santa piccola, il film d’apertura della 20a edizione del Riff–Rome Independent Film Festival. L’opera prima di Silvia Brunelli, tratta dall’omonimo romanzo di Vincenzo Restivo, ci porta a Napoli, in un rione soleggiato dove tutti si conoscono. I protagonisti sono Mario (Vincenzo Antonucci) e Lino […]

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Erotismo, bellezza, sacro e profano: questi gli ingredienti principali de La santa piccola, il film d’apertura della 20a edizione del RiffRome Independent Film Festival. L’opera prima di Silvia Brunelli, tratta dall’omonimo romanzo di Vincenzo Restivo, ci porta a Napoli, in un rione soleggiato dove tutti si conoscono. I protagonisti sono Mario (Vincenzo Antonucci) e Lino (Francesco Pellegrino), due amici inseparabili le cui giornate sono intrappolate nella routine. Tutto però è destinato a cambiare quando Annaluce (Sophia Guastaferro) la sorellina di Lino, inizia a fare miracoli diventando la santa protettrice del rione. Per i due ragazzi si apre un mondo nuovo che li porterà a prendere percorsi diversi, fino a mettere in repentaglio la cosa più importante: la loro amicizia.

La santa piccola, vincitore della Biennale College veneziana, è l’opera scelta per aprire la rassegna diretta da Fabrizio Ferrari, che quest’anno presenta 95 opere tra lungometraggi, documentari e corti da Italia, Germania, Polonia, Repubblica Ceca, Spagna, Portogallo, Brasile, Argentina, Cile, Usa, Canada, Burkina Faso, Libano. Tra queste, 21 anteprime mondiali, 9 anteprime europee, 45 anteprime italiane.

Nella conferenza stampa che si è tenuta al rinnovato Cinema Troisi, Silvia Brunelli, accompagnata dalla co-sceneggiatrice Francesca Scanu, ha detto emozionata: «Per me è doppiamente simbolico trovarmi qui, al Cinema Troisi. È la prima proiezione dopo Venezia e avere l’opportunità di debuttare a Roma in questa sala storica è una grande gioia. Io sono trasteverina e questa era la sala dove passavo i pomeriggi con mia nonna a vedere i cartoni animati».

Come nasce l’approccio all’erotismo del film, che invece ultimamente è sempre più è “bandito” dal nostro cinema?

SB: Attraverso il sesso ho voluto raccontare l’arco di trasformazione dei due protagonisti, seguendone l’emotività e lo sviluppo. Ho voluto mostrare integralmente i loro corpi perché volevo mettermi alla prova, sapevo che era il mio primo lungometraggio e se non avessi trovato il coraggio di osare ora non lo avrei più fatto.

Qual è il suo rapporto con Napoli?

SB: Questo film non avrebbe potuto essere ambientato in nessun’altra città perché il folklore, l’umanità e il sentire religioso che lo pervadono sono interamente napoletani. Durante la pandemia avevamo proposto per ragioni di comodità di girare qui a Roma, alla Garbatella, ma ci siamo subito resi conti che la storia non funzionava. Amo Napoli, è una città piena di contrasti e conflitti.

In definitiva, che cosa prova Lino per Mario?

Francesca Scanu: Questa domanda ha messo in crisi anche noi per tutto il processo di scrittura. Raccontiamo un momento di transizione nella vita di questi due ragazzi e pensiamo che non sia fondamentale dare una risposta chiara al fatto se Lino sia o non sia omosessuale. Lino si sta ancora scoprendo o molto più semplicemente vive la sua sessualità in modo più libero e disinibito. Abbiamo lasciato Lino avvolto in questo velo di ambiguità.

SB: Mario è un personaggio che non agisce in termini di direzione e movimento ma solo internamente ed emotivamente. Lino, invece, non si ferma mai, deve colmare le sue difficoltà emotive ed è per questo che forse neanche si accorge che Mario inizia a guardarlo in un altro modo. Lino è contemporaneo perché è estremamente fluido, ricerca solo qualcuno che non lo faccia sentire abbandonato ma amato.

 

 

 

 

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Al via dal 15 novembre la XVIII edizione del Rome Independent Film Festival https://www.fabriqueducinema.it/cinema/news/al-via-dal-15-novembre-la-xviii-edizione-del-rome-independent-film-festival/ https://www.fabriqueducinema.it/cinema/news/al-via-dal-15-novembre-la-xviii-edizione-del-rome-independent-film-festival/#respond Thu, 14 Nov 2019 07:42:21 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=13364 Dal 15 al 22 novembre si terrà la XVIII edizione del RIFF – Rome Independent Film Festival (qui il sito ufficiale) diretto da Fabrizio Ferrari, che torna al Nuovo Cinema Aquila al Pigneto con un programma fitto di eventi, incontri e proiezioni. Tanti i titoli italiani e internazionali in anteprima al Festival. Film d’apertura di quest’anno […]

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Dal 15 al 22 novembre si terrà la XVIII edizione del RIFF – Rome Independent Film Festival (qui il sito ufficiale) diretto da Fabrizio Ferrari, che torna al Nuovo Cinema Aquila al Pigneto con un programma fitto di eventi, incontri e proiezioni. Tanti i titoli italiani e internazionali in anteprima al Festival.

Film d’apertura di quest’anno venerdì 15 alle 20.20 sarà Nancy opera prima di Christina Choe presente al festival. Nancy ha come protagonista Andrea Riseborough, nei panni di una donna convinta di essere stata rapita da bambina. Quando incontra una coppia la cui figlia è scomparsa trent’anni prima, la realtà e la finzione cominciano a confondersi. Con l’approfondirsi del loro legame, i dubbi ragionevoli lasciano il posto a credenze ostinate e il potere dell’emozione minaccia di superare ogni razionalità. Un mystery drama che ha esordito al Sundance Film Festival e vincitore del premio Independent Spirit Award per la miglior sceneggiatura esordiente.

Il Concorso Internazionale Lungometraggi, aperto a opere prime e seconde, è composto da 9 titoli, di cui 8 in anteprima italiana. Tema che accomuna tutte le opere è dar luce ad un mondo di immagini difficili da far emergere. Si parte da 37 Seconds del regista giapponese Hikari vincitore della sezione Panorama alla Berlinale 2019, che affronta il tema della disabilità di una giovane autrice di manga che vive su una carrozzina. Il secondo titolo El despertar de la hormigas della regista costaricana Antonella Sudasassi appena presentato alla Festa del Cinema di Roma e prima in concorso alla Berlinale 2019, che racconta la storia, girata tra Costa Rica e Spagna, dell’emancipazione incerta ma irreversibile di una giovane madre che vive in una società altamente patriarcale. Si passa poi a Lapu dei registi colombiani César Alejandro Jaimes e Juan Pablo Polanco presentato al Sundance Film Festival che affronta la tematica della morte in modo inedito. By a Sharp Knife dello slovacco Teodor Kuhn racconta la storia di un padre che ha perso il figlio. Negative Numbers del georgiano Uta Beria, anche lui presente al festival, esplora la società post sovietica partendo da un centro di detenzione giovanile. Direttamente dal Rotterdam International Film Festival, in concorso anche il film dei fratelli statunitensi Matthews Lost Holiday e come ogni anno in concorso sarà presente anche un’opera che affronta la tematica LGBTQ, in questo caso Tremors del guatemalteco Jayro Bustamante. Non meno importanti i film italiani come Affittasi Vita di Stefano Usardi con Massimiliano Varrese e Tensione Superficiale di Giovanni Aloi con Cristiana Dell’Anna.

Fuori Concorso sarà presentato il film Di Tutti i Colori di Max Nardari con un ricco cast composto da Nino Frassica, Alessandro Borghi, Giancarlo Giannini, Tosca d’Aquino e Paolo Conticini.

Sono 9 anche i Documentari Italiani in concorso, molti dei quali in anteprima mondiale, per guardare alla realtà attraverso la lente dei più promettenti cineasti del panorama indipendente. Tra i temi portati sul grande schermo quest’anno piccoli e grandi eroi alle prese con sfide quotidiane e “extra-ordinarie”. Anbessa della talentuosa regista italoamericana Mo Scarpelli, che ha debuttato alla Berlinale 2019, vede il suo giovane protagonista lottare contro il “mostro” del progresso, incarnato da un gigantesco condominio di Addis Abeba. Libero e indipendente è anche il protagonista di Màt Sicuri l’ultimo Diogene, opera prima di Francesco Dradi, Fabrizio Marcheselli e Antonio Cavaciuti, trio di scrittori e giornalisti emiliani, dedicata all’unico clochard di cui esista un monumento in una piazza. Nel cast Alvaro Evangelisti e Alessandro Haber. Spiritualità e arte sono il fulcro di Sidival fila, opera di Frate Francesco Di Pede, realizzata in collaborazione con la Scuola di cinema Sentieri Selvaggi e presentata al Festival di Venezia, sulla vita del grande artista contemporaneo Fra Sidival. Ci saranno poi tre omaggi a tre grandi nomi del cinema d’autore. Ciao Anita di Jacques Lipkau Goyard e Marco Kuveiller, autobiografico, è un omaggio affettuoso all’indimenticata diva e amica Anita Ekberg. Negli ultimi mesi della sua vita, l’attrice si racconta con sottile sarcasmo, mostrando l’altro volto della diva che ha fatto sognare intere generazioni. Luigi Di Gianni: Soul of the South, della giornalista e documentarista italoamericana Jeannine Guilyard, celebra l’opera del compianto maestro, Luigi Di Gianni, premiato a Venezia per Magia Lucana, nell’anno della sua scomparsa. Pastrone! di Lorenzo De Nicola, biografo accreditato e già aiuto alla regia di cineasti di fama internazionale, rende omaggio ad una delle figure più emblematiche della storia del cinema, Giovanni Pastrone, regista del Cabiria kolossal del 1914 e autore di molti altri celebri film. Epica è anche l’impresa raccontata in Moby Dick o il Teatro dei Venti da Raffaele Manco, già filmmaker per Report, Presa Diretta, La grande storia e per i principali canali italiani. Infine, due storie intime ed emozionanti. Samira’s Dream di Nino Tropiano è un racconto di formazione, elegante e introspettivo che sarà presentato in anteprima italiana prima di partecipare al Marché du Film di Cannes 2020. Un uomo deve essere forte, opera LGBTQ di Ilaria Ciavattini e Elsi Perino, che sullo sfondo della provincia del Nord Italia, porta sul grande schermo un toccante percorso di transizione.

Saranno 9 anche i Documentari Internazionali in concorso in anteprima per il pubblico del RIFF. Con un team da Oscar, Barbara Bentree, regista e musicista già conosciuta negli Usa, presenta Dave Grusin Not Enough Time un ritratto mozzafiato di uno dei più straordinari protagonisti della musica e del cinema, Dave Grusin, compositore di colonne sonore di film del calibro de Il laureato con Paul Simon e Tootsie, Premio Oscar per “Milagro” di Robert Redford, 8 Nomination agli Oscar, 80 Nomination ai Grammy e molti altri riconoscimenti. Non da meno è il protagonista di Peter Lindbergh: Women’s Stories, documentario acclamato alla Berlinale 2019 e firmato dal francese Jean Michel Vecchiet su colui che è stato definito come uno dei maggiori fotografi di moda di tutti i tempi, scomparso da poco all’età di 74 anni, pioniere indiscusso di un nuovo modo di fotografare la moda senza ritocchi ed eccessivi artifici. Tra i testimoni Naomi Campbell e tanti altri grandi nomi che Lindbergh ha reso immortali nei suoi scatti. Anche l’attualità e le tematiche sociali irrompono al RIFF con il brasiliano Your Turn di Eliza Capai (Berlinale 2019, sezione Generation) sulle grandi proteste in Brasile, Antarctic Traces dell’austriaca Michaela Grill, che regala immagini spettacolari portando all’attenzione la questione ambientale, The World According to Amazon diretto da Adrien Pinon e Thomas Lafarge, sulla carriera di Jeff Bezos il fondatore, presidente e amministratore delegato dell’omonimo colosso dell’e-commerce. Ancora tre opere dedicate al tema LGBTQ: Madame dello svizzero Stéphane Riethauser, vincitore del Premio della Giuria al Festival del Documentario di Madrid, in competizione a Locarno e presentato in anteprima mondiale a Visions Du Reel 2019; l’argentino Miserere di Francisco Ríos Flores, proiettato tra gli altri alla Berlinale (sezione Talents) e il poetico Mr. Dimitris e Mrs. Dimitrula del greco Tzeli Hadjidimitriou. In Bakosó: AfroBeats of Cuba la musica afro-caraibica è al centro del doc. di Eli Jacobs-Fantauzzi uno straordinario viaggio alla scoperta di un sound irresistibile.

Tra i Cortometraggi in concorso: Daughter di Daria Kashcheeva, dal Toronto International Film Festival e vincitore dell’U.S. Academy of Motion Picture Arts and Sciences – Student Oscar, il corto della regista dal titolo To Accept che ha vinto il Nespresso Talents al Festival di Cannes, Toomas Beneath the Valley of the Wild Wolves di Chintis Lundgren dal Toronto International Film Festival, Butterflies in Berlin di Monica Manganelli: il primo lavoro della regista, La ballata dei senzatetto, dopo aver vinto il Best Animation al Los Angeles Short Film Festival si è qualificato per gli Oscar 2016, ha vinto il Nastro d’argento per l’animazione nel 2016 e lo stesso anno era nella cinquina dei film d’animazione candidati ai David di Donatello.

10 i cortometraggi arrivati da dieci diversi Paesi e scuole di cinema. C’è il nostrano Racconto Notturno, storia di una bizzarra relazione con Riccardo De Filippis e Martina Querini, diretti da Gianluca Granocchia. C’è la Russia di Autumn 35, cortometraggio visionario dalle sfumature thriller della studentessa Daria Elkonina; la Svezia di Melanie, piccolo gioiello e dirompente coming of age della giovane regista Lisa Meyer. Si vola poi in Polonia con l’intenso rapporto fra una madre e una figlia messo in scena da Michal Hudzikowski in I’ve got something for you too e in Belgio dalla regista Setareh Samavi che racconta (e si racconta) di due donne che ritrovano loro stesse affrontando il passato in For Tides. E ancora, c’è l’Israele di Noa del giovane Dekel Nitzan alunno della Berlinale Talents, fino ad arrivare alla Germania e allo sci-fiction Jupiter di Benjamin Pfhol, che ritorna al RIFF con il suo nuovo corto dopo aver partecipato con Ghost nel 2018.

3 le Masterclass organizzate dal RIFF 2019 che si preannunciano di affrontare la contemporaneità cinematografica da un punto di vista tecnico quanto critico. Il 15 novembre alle 18.00 ad aprire le danze sarà l’incontro con il pubblico tenuto da Nadia Zavarova giornalista e critica cinematografica, che discuterà l’effetto delle immagini cinematografiche sulla vita delle persone nel corso degli anni. Dal titolo esplicativo “A Film Star is My Best Friend”, il panel esaminerà in un breve excursus la maniera in cui i dettagli apparentemente invisibili dei film possano andare ad influenzare contesti sociali più complessi. Di natura più pratica gli interventi dei due italiani, Il 17 novembre alle 18.00 Stefano Ratchev affronterà il lavoro della composizione musicale, mentre il 18 novembre alle 18.00 l’incontro “Mostrare l’invisibile” con Andrea Maguolo verterà sulla dimensione contemporanea del video editing professionale, con un occhio alle recenti evoluzioni tecnologiche portate dal mercato digitale.

Tra i giurati di questa edizione: la giornalista e critica cinematografica ucraina Nadia Zavarova, il consulente tedesco per numerosi festival internazionali Bernd Brehmer, la giornalista e scrittrice rumena Tatiana Covor e il musicista e giornalista americano-argentino Diego Petrecolla, insieme agli italiani: il compositore Stefano Ratchev, lo sceneggiatore e regista Salvatore Basile, l’attore e regista Vincenzo Alfieri.

Tra gli Eventi Speciali segnaliamo Il nuovo cinema ucraino: la realtà che ispira con 6 film di giovani registi ucraini che rappresentano diversità nei temi, nei mezzi espressivi, nella sperimentazione, nei generi e nelle storie raccontate sul grande schermo. Tra i titoli Pryputni di Arkadiy Nepytaliuk (2017) una commedia drammatica dove il soggetto criminale balla con la quotidianità di un piccolo paese ucraino. Ironia, assurdità, caratteri espressivi e bellissimi paesaggi, vincitore del Premio per la regia a Odessa Internazionale Film Festival e il premio nazionale ucraino “Zolota Dzyga” alla miglior attrice (Nina Naboka). My father is my mother’s brother di Vadim Ilkov (2018) il doc che è una toccante storia di famiglia e di ispirazione creativa nella vita e nell’arte. Tra i cortometraggi: Desaturated di Marina Stepanska (2019) una dei prominenti giovani registi ucraini. Mia donna di Pavel Ostrikov (2018) la nuova commedia di uno dei più conosciuti giovani talenti (il suo precedente Vypusk 97 ha vinto un premio a Locarno). Sensiz di Nariman Aliev (2016) in cui si inizia a formare lo stile individuale del giovane regista ucraino, che concorre agli Oscar 2020 con Homeward. Weightlifter di Dmytro Sukholytkyy-Sobchuk (2018) il doc. che racconta quale può essere il prezzo della vittoria nel sport professionale, premiato al Kiev IFF Molodist e Grand-prix di Varsavia IFF.

Non mancherà il Focus LGBT – Love & Pride DayIl valore della diversità per sensibilizzare il pubblico a queste tematiche. Saranno presentati il 19 novembre in una maratona dedicata in anteprima italiana: Tremors di Jayro Bustamante (Guatemala/Francia/Lussemburgo), Madame di Stéphane Riethauser (Svizzera), Miserere di Francisco Rios Flores (Argentina), Mr. Dimitris and Mrs. Dimitroula di Tzeli Hadjidmitriou (Grecia), Un uomo deve essere forte di Elsi Perino & Ilaria Ciavattini (Italia).

Torna anche il Focus Spagna – L’animazione Valenciana in cui il Cortoons Gandia Festival e l’IVAC, Istituto Valenciano di Cultura, presentano una proiezione speciale dedicata ai cortometraggi di animazione realizzati nella Comunitá Valenciana. Ad accompagnare la proiezione: Alessandro d’Urso Direttore Artistico di Cortoons Gandia, José Luis Moreno Maicas Director adjunto dell’IVAC e Sara Álvarez Sarrat coordinatrice del Master di Animaziome della UPV, Universitá Politecnica di Valencia.

Altri panel attesi sono L’eccezione Culturale e i nuovi profili di produttore indipendente in collaborazione con CNA Cinema e Audiovisivo Roma dedicato agli operatori del settore: si discuterà dell’Industria Culturale come principale rigeneratore dell’economia italiana ed europea e dell’eccezione culturale e del nuovo profilo di produttore indipendente in Italia e in Europa con l’avvento delle OTT. L’occhio del cinema – il pitching un pitching fra produttori, distributori e i giovani talenti finalisti per la sezione sceneggiature del RIFF. Il focus sul pitching vuole essere un momento di confronto concreto su come presentare in maniera efficace un progetto all’industria internazionale cinematografica.

Inoltre da venerdì 15 nel foyer del Nuovo Cinema Aquila sarà esposta l’installazione di Adele Ceraudo dal titolo “Io non sono pazza” un ’frammento’ di una esperienza, sotto forma di installazione artistica, con la proiezione del corto Io non sono pazza di Duccio Forzano, l’esposizione di alcune opere della Ceraudo, derivanti proprio dalla mostra personale tenutasi nell’Ex Manicomio di Udine e alcuni scatti di back stage del fotografo Alfonso Firmani.

MINI è partner della kermesse con le sue iconiche vetture, auto ufficiali del festival, e con il corto Una tradizione di Famiglia di Giuseppe Cardaci prodotto da MINI FILMLAB, un progetto dedicato ai giovani filmmaker realizzato da MINI ITALIA insieme a OffiCine.

Il RIFF – Rome Independent Film Festival, ideato e diretto da Fabrizio Ferrari, è realizzato con il contributo e il patrocinio della Direzione Generale Cinema – Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, dell’Assessorato alla Cultura e Politiche Giovanili della Regione Lazio e con il Patrocinio del Comune di Roma Assessorato alla crescita culturale.

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“Sex Cowboys” https://www.fabriqueducinema.it/magazine/opera-prima/sex-cowboys/ https://www.fabriqueducinema.it/magazine/opera-prima/sex-cowboys/#respond Thu, 19 Jan 2017 09:24:14 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=3990 Ha vinto l’ultima edizione del RIFF con una storia d’amore e sesso che poco lascia all’immaginazione. Così il 32enne Adriano Giotti racconta la sua opera prima: «Come nel punk con due accordi si riusciva a raggiungere una grande libertà d’espressione, in Sex Cowboys abbiamo cercato di sfruttare al massimo l’essenzialità dei mezzi a disposizione». Adriano avrebbe voluto […]

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Ha vinto l’ultima edizione del RIFF con una storia d’amore e sesso che poco lascia all’immaginazione. Così il 32enne Adriano Giotti racconta la sua opera prima: «Come nel punk con due accordi si riusciva a raggiungere una grande libertà d’espressione, in Sex Cowboys abbiamo cercato di sfruttare al massimo l’essenzialità dei mezzi a disposizione».

Adriano avrebbe voluto scrivere romanzi. L’incontro con Alessandro Baricco alla Scuola Holden però ha inaspettatamente modificato i suoi piani. Lo scrittore aveva infatti da poco realizzato il suo film Lezione ventuno e propose agli studenti un corso pratico di regia. Da lì in avanti la vita di Adriano è cambiata. Ora vive tra Madrid e Roma e dopo una gran quantità di videoclip e corti, ha appena realizzato il suo lungometraggio d’esordio Sex Cowboys, trionfatore al RIFF: un piccolissimo film indipendente (coprodotto con la Inthelfilm di Marco Simon Puccioni) incentrato su una coppia che per sbarcare il lunario riprende i propri rapporti per venderli sul web e dove il sesso viene messo in scena in maniera molto esplicita.

Fabrique ha incontrato Adriano, accompagnato anche dai due protagonisti Francesco Maccarinelli e Nataly Beck’s.

Cos’è che ti ha davvero fatto capire che il tuo ambito era quello dell’audiovisivo e non della narrativa? Come mai hai iniziato con i videoclip?

Perché il cinema a differenza della scrittura è un atto collettivo e per questo motivo mi stimola molto di più. Avendo suonato in un gruppo musicale per diversi anni, iniziare con i videoclip mi sembrava la cosa più naturale. Ne ho girati più di ottanta, spesso per gruppi indipendenti a basso budget, ma anche un paio per i Mallory Knox e gli Hermitage Green che sono stati prodotti dalla Sony. Ho scelto fin dall’inizio, nei clip e poi nei corti, di gestire in prima persona piccoli set, piuttosto che fare l’assistente in grandi set inseguendo i sogni degli altri, anche se avevo pochi mezzi. Ho fatto la stessa cosa con Sex Cowboys, dove siamo riusciti a fare cinema in quattro persone più tre attori.

A proposito di Sex Cowboys, com’è nata l’idea del film e come hai scelto i due protagonisti?

Le cose che scrivo nascono sempre da un’emozione, da esperienze personali o che sento molto vicine. Mi definisco un cercatore di storie, un esploratore, più che uno che si mette a tavolino e scrive. Sapevo che Francesco e Nataly erano i due attori perfetti, sia a livello fisico che di metodo di lavoro, per incarnare i protagonisti. Tanto è vero che Sex Cowboys è iniziato a nascere dentro di me mentre guardavo la relazione che si era instaurata tra loro sul set del videoclip degli Hermitage Green, che abbiamo fatto insieme. Lavoro sempre con attori di metodo che diventano i personaggi. Questo è fondamentale per arrivare a quella verità e a quella fisicità che cerco sempre nelle mie storie.

Francesco: Il fatto che noi tre ci conoscessimo bene e avessimo già lavorato insieme ci ha portato ad avere una grande libertà di comunicazione. Credo di parlare anche a nome di Nataly dicendo che, artisticamente parlando, ci siamo sentiti costantemente protetti da Adriano. Per un film così spinto in cui la fisicità viene messa parecchio a nudo, questa è una cosa straordinaria che ti fa lavorare in maniera serena.

Nataly: Per me recitare è una cosa istintiva e ho vissuto tutto in maniera molto naturale. Dal mio punto di vista fare scene di sesso, anche esplicite, è come girarne una in cui stai bevendo o mangiando. Non mi sono né scandalizzata né preoccupata, era tutto molto fluido e se sul set ero vestita o svestita non faceva alcuna differenza. Abbiamo lavorato molto prima di girare per entrare nei personaggi e questo mi ha davvero aiutato.

Tornando a te, Adriano, il tuo film per diversi aspetti ricorda il cinema di Cassavetes.

Nel progetto di Sex Cowboys che mandavo in giro in cerca di finanziamenti c’era proprio il riferimento esplicito a Cassavetes, di cui sono un grande estimatore. Nel mio film c’è lo stesso spirito: è sostanzialmente autoprodotto, visto che pur di realizzarlo ho investito i miei risparmi personali, e fa leva su attori con cui è stato possibile lavorare molto sul piano dell’improvvisazione. Nelle prove lavoro tanto sull’improvvisazione per tirare fuori ancora più verità di quella che posso aver scritto, perché è chiaro che nelle cose che scrivi c’è una verità intellettuale, mentre negli attori c’è una verità istintiva ed emozionale che è sempre bene cercare di sfruttare appieno.

In Sex Cowboys colpisce molto la costante vicinanza della macchina da presa ai corpi degli attori. Ti sei ispirato allo stile di qualche altro regista in particolare?

Il mio cinema in effetti è molto incentrato sullo stare addosso ai personaggi. La mia è una “visione con”, nel senso che empatizzo con i personaggi e cerco in tutti i modi di far vivere allo spettatore le cose molto da vicino. Da questo punto di vista i miei registi di riferimento sono i Dardenne. Quello che però sento di aver fatto in più in questo film è la combinazione delle riprese con la GoPro tenuta a mano dagli attori con quelle con la Red, che nelle scene di sesso dà un effetto di verità molto forte. Ovviamente per ragioni di censura non ho potuto spingere troppo. Il mio obiettivo in ogni caso non era scandalizzare ma raccontare una storia che fosse reale, anche sul piano della fisicità.

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