Riccardo Scamarcio Archivi - Fabrique Du Cinéma https://www.fabriqueducinema.it La Rivista Del Nuovo Cinema Italiano Wed, 23 Oct 2024 14:10:55 +0000 it-IT hourly 1 Te l’avevo detto, Ginevra Elkann ci riprova https://www.fabriqueducinema.it/cinema/nuove-uscite/te-lavevo-detto-ginevra-elkann-ci-riprova/ https://www.fabriqueducinema.it/cinema/nuove-uscite/te-lavevo-detto-ginevra-elkann-ci-riprova/#respond Mon, 29 Jan 2024 10:24:21 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=18933 Siamo in una Roma accaldata e giallastra. Anomalie termiche portano il caldo sopra i 35°. Ma siamo a gennaio, e i personaggi di questa coralità intitolata Te l’avevo detto sembrano un bel po’ spaesati anche per questo motivo. E soprattutto presi dalle personali vicende che condurranno ognuno di loro a venire a capo dei mille […]

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Siamo in una Roma accaldata e giallastra. Anomalie termiche portano il caldo sopra i 35°. Ma siamo a gennaio, e i personaggi di questa coralità intitolata Te l’avevo detto sembrano un bel po’ spaesati anche per questo motivo. E soprattutto presi dalle personali vicende che condurranno ognuno di loro a venire a capo dei mille rimandi di una vita. C’è la pornostar sul viale del tramonto ispirata a Cicciolina di Valeria Golino che dovrà fare i conti con la sua stalker un po’ nevrotica Valeria Bruni Tedeschi. C’è la giovane badante bulimica alle prese con un flirt da pianerottolo Sofia Panizzi, e ci sono poi i sottotitolati Greta Scacchi e Danny Huston, per l’occasione sorella e fratello sacerdote, americani, con l’incombenza di trovare una collocazione per le ceneri della loro madre.

Quest’opera seconda di Ginevra Elkann segue l’esordio di Magari, anno 2019, del quale mantiene Riccardo Scamarcio e Alba Rohrwacher, in coppia anche lì, ma qui divorziati e con un bambino conteso. La narrazione intessuta questa volta ambisce a una tridimensionalità che non spicca mai il volo. Vuoi perché i dialoghi tante volte scorrono farraginosamente – la sceneggiatura è scritta dalla regista con Chiara Barzini e Ilaria Bernardini – vuoi per la scelta di non spingere mai gli eventi ad un climax realmente catartico. Ma latitano anche invenzioni originali in macchina da presa. L’intenzione di stendere un affresco un po’ distopico sulla catastrofe ambientale imminente abitata da storie di singoli con esistenze al capolinea non era neanche malvagia, anzi, se ne poteva creare un bel ponte metaforico quanto attuale. Anche se qui Paolo Virzì con Siccità è arrivato un po’ prima. Il fatto è che sviluppo ed esecuzione risultano leggeri, e i personaggi mollicci. Queste donne dalle vite inciampate sui problemi potevano essere molto di più. E il cast lavora davvero bene con quel che ha, ma sempre limitatamente al proprio ruolo. Va bene, c’è la scelta di far bisbigliare alcuni personaggi, e questo è uno dei peccati capitali del nostro cinema negli ultimi lustri, ma le emozioni che lo schermo ci inocula restano poche e sfuggenti.

Con la sua ottima confezione tecnica, la fotografia opportunamente polverosa e appannata è di Vladan Radovic, Te l’avevo detto arriva in sala il primo febbraio distribuito da Fandango. Avendo prodotto in Italia i buoni esordi di Duccio Chiarini, con Short Skin, e Lamberto Sanfelice, con Cloro, ma pure i primi due film dell’iraniano Babak Jalali, Frontier Blues e Land, l’impressione è che Ginevra Elkann ha forse maturato più e meglio il ruolo di producer. Con pazienza, l’aspettiamo alla sua opera terza, o alle prossime produzioni. L’ultimissima nota di merito va a Riccardo Senigallia. È lui a comporre per la colonna sonora alcune musiche estremamente intriganti che salvano il film.

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Il legame, quando il folklore diventa horror https://www.fabriqueducinema.it/magazine/opera-prima/il-legame-quando-il-folklore-diventa-horror/ https://www.fabriqueducinema.it/magazine/opera-prima/il-legame-quando-il-folklore-diventa-horror/#respond Tue, 06 Oct 2020 08:59:29 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=14403 Il cinema italiano ha alle proprie spalle una lunga tradizione horror che oggi appare però piuttosto appannata. Dopo un grande successo ottenuto tra gli anni Sessanta e Settanta, grazie soprattutto a registi del calibro di Mario Bava e Riccardo Freda, in tempi recenti sono pochi i giovani autori che si cimentano con i racconti del […]

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Il cinema italiano ha alle proprie spalle una lunga tradizione horror che oggi appare però piuttosto appannata. Dopo un grande successo ottenuto tra gli anni Sessanta e Settanta, grazie soprattutto a registi del calibro di Mario Bava e Riccardo Freda, in tempi recenti sono pochi i giovani autori che si cimentano con i racconti del brivido. Se lo scorso anno Roberto De Feo ha convinto critica e pubblico grazie a The Nest, pellicola che ha anche conquistato una nomination ai Fabrique Awards 2019, quest’anno un’altra opera prima a tinte horror è riuscita ad attirare l’attenzione degli spettatori: si tratta de Il legame, esordio targato Netflix di Domenico Emanuele de Feudis.

Ambientato in un piccolo angolo di mondo disperso nella campagna pugliese, questo nuovo lungometraggio prodotto da HT Film e Indigo segue le vicende di Emma (Mia Maestro), una giovane donna che decide di trascorrere qualche giorno di vacanza insieme al futuro marito Francesco (Riccardo Scamarcio) e a Sofia (Giulia Patrignani), la figlioletta avuta da una precedente relazione. I tre si recano nella villa diroccata della madre di Francesco, ed Emma scopre suo malgrado che quel luogo antico cela misteriosi segreti, poggiati su oscure tradizioni e strani rituali magici. Nulla però è come sembra, e la realtà è più terrificante di quanto sembra. O, almeno, vorrebbe esserlo.

Il legame, Domenico De Feudis
Domenico De Feudis sul set de “Il legame”

Seppur lodevole nelle intenzioni di raccontare una storia horror dai connotati interamente italiani, l’opera prima di De Feudis non riesce totalmente a convincere, apparendo vincente nella sua prima parte, ma virando verso soluzioni meno riuscite nella seconda. Se in apertura infatti il regista costruisce una storia particolare, sorretta da una buona scrittura che si muove con destrezza nel folklore del meridione italiano, la conclusione sferza repentinamente verso un immaginario differente e più prevedibile, rileggendo l’intera storia come l’ennesima variazione sul tema della possessione demoniaca, già ampiamente sfruttata tanto in America quanto nella vicina Spagna.

Ciononostante, la regia di De Feudis appare comunque conscia dei suoi predecessori e, pur non distanziandosi da essi, rispetta le regole del genere e riesce comunque a mantenersi in linea con i suoi modelli. Gli vengono in aiuto una buona colonna sonora e un’ottima fotografia, oltre che un parterre di personaggi secondari ben interpretati.

Il legame è quindi un film che, anche alla luce delle premesse che propone, avrebbe potuto (e dovuto) rischiare di più, non rifacendosi solo ai modelli internazionali, ma trovando un proprio elemento distintivo, solo inizialmente accennato. A ogni modo, Domenico Emanuele de Feudis ha il merito di aver esplorato un genere da tempo assopito nell’industria italiana, che oggi, proprio come ieri, ha ancora qualcosa da raccontare.

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Lo spietato: un gangster movie italiano firmato Netflix https://www.fabriqueducinema.it/cinema/nuove-uscite/lo-spietato-un-gangster-movie-italiano-firmato-netflix/ https://www.fabriqueducinema.it/cinema/nuove-uscite/lo-spietato-un-gangster-movie-italiano-firmato-netflix/#respond Fri, 05 Apr 2019 08:33:04 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=12836 La Milano “da bere” di fine anni Settanta costituisce lo scenario ideale, in cui si muove Santo Russo (Riccardo Scamarcio), criminale calabrese cresciuto nell’hinterland milanese, protagonista de Lo spietato: gangster comedy all’italiana, del regista Renato De Maria. Sognatore insaziabile, Santo Russo pensa in grande e decide di seguire le sue aspirazioni alla conquista di un […]

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La Milano “da bere” di fine anni Settanta costituisce lo scenario ideale, in cui si muove Santo Russo (Riccardo Scamarcio), criminale calabrese cresciuto nell’hinterland milanese, protagonista de Lo spietato: gangster comedy all’italiana, del regista Renato De Maria. Sognatore insaziabile, Santo Russo pensa in grande e decide di seguire le sue aspirazioni alla conquista di un ruolo da leader della mala, proprio all’interno di quella città colorata dal boom economico che aveva sempre guardato con gli occhi distanti della periferia. Diviso tra l’angelica e remissiva moglie (Sara Serraiocco) e l’amante disinvolta (Marie-Ange Casta), la sua losca quotidianità passa attraverso sequestri, rapine, traffici di droga ed esecuzioni a sangue freddo, mirando alla ricchezza con mezzi e scelte tattiche.

Scritto da Renato De Maria insieme agli sceneggiatori Valentina Strada e Federico Gnesini, il film è liberamente ispirato al libro di stampo cronachistico-giudiziario Manager Calibro 9 di Piero Colaprico e Luca Fazzo, edito da Garzanti. «Il film che aspettavo di fare, da tutta la vita» ha dichiarato il regista, chiamando a raccolta le sue appassionanti visioni dei gangster e noir americani, le memorie giovanili della Milano degli anni Ottanta, unite alla tragedia greca che caratterizza l’ascesa verso il potere e la sua conseguente perdita disastrosa.

lo spietato 2

Riccardo Scamarcio tratteggia sapientemente i panni di un ambizioso e avido criminale poi pentitosi, seguendo una narrazione che combina in modo originale violenza e ironia. «Sono molto grato a Renato per avermelo offerto, mi sono molto divertito nel farlo» ha dichiarato l’attore, sul suo personaggio, in un anno per lui particolarmente proficuo dal punto di vista cinematografico. «Il motivo per cui uno poi fa l’attore è principalmente perché vuole giocare, e questo film mi ha fatto veramente divertire e giocare» un ruolo chiave dunque, che gli ha permesso di sfoggiare tutto il suo estro creativo.

Rigorosa la scelta dei costumi nella ricostruzione dell’epoca mediante un ripescaggio negli archivi delle maison di Versace e Armani, colorando i personaggi e lo scenario narrativo di colori che vanno dal giallo a simboleggiare la furbizia, al blu della potenza e al rosso tipico della violenza.

lo spietato 1

Un film tutto italiano anche per il repertorio e la colonna sonora di grande impatto che vede la firma di Riccardo Senigallia – a rinnovare il suo forte legame con il cinema, dando continuità alla collaborazione con Renato De Maria, giunta ormai al quarto film – e quella di Emiliano Di Meo. Interessante inoltre, la svolta inedita relativa al doppiaggio con una versione inglese del film a cura dei due attori protagonisti Riccardo Scamarcio e Sara Serraiocco.

Prodotto da BiBi Film con Rai Cinema, il film avrà un’uscita evento nelle sale dall’8 al 10 aprile seguita da una distribuzione successiva affidata a partire dal 19 aprile, alla piattaforma digitale di Netflix, accogliendo con grande interesse la sfida di un film fatto per il pubblico che gioca con il genere utilizzandolo ironicamente e rendendolo potenzialmente visibile per una platea mondiale.

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Cosa fai a Capodanno? Quando la commedia sexy incontra il noir https://www.fabriqueducinema.it/cinema/nuove-uscite/cosa-fai-a-capodanno-quando-la-commedia-sexy-incontra-il-noir/ https://www.fabriqueducinema.it/cinema/nuove-uscite/cosa-fai-a-capodanno-quando-la-commedia-sexy-incontra-il-noir/#respond Thu, 15 Nov 2018 13:35:43 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=11819 Un elegante chalet in montagna e una coppia che all’improvviso riceve ospiti inattesi. Entrano un uomo in sedia a rotelle, Alessandro Haber, accompagnato da una Vittoria Puccini in versione bellezza emo. Poi una signora attempata, Isabella Ferrari, insieme a un ventenne, Ludovico Succio. In questo cast ognuno nasconde qualcosa agli altri, e a tenere le […]

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Un elegante chalet in montagna e una coppia che all’improvviso riceve ospiti inattesi. Entrano un uomo in sedia a rotelle, Alessandro Haber, accompagnato da una Vittoria Puccini in versione bellezza emo. Poi una signora attempata, Isabella Ferrari, insieme a un ventenne, Ludovico Succio. In questo cast ognuno nasconde qualcosa agli altri, e a tenere le fila degli ospiti sgraditi sono i misteriosi padroni di casa Luca Argentero e Ilenia Pastorelli, ai quali si aggiungono la coppia scambista interpretata da Riccardo Scamarcio e Valentina Lodovini, più il contrappunto comico-filosofico di Massimo De Lorenzo e Carlo De Ruggeri, corrieri sfigati tra le nevi, ingaggiati per consegnare una cena di crudi, crostacei e champagne. Si presenta così Cosa fai a Capodanno? commedia nera firmata dallo sceneggiatore, qui regista esordiente, Filippo Bologna.

cosa fai a capodanno 1

Scrittore toscano venuto fuori tra romanzi e sceneggiature, Bologna è anche tra gli autori di Perfetti sconosciuti. E questo film ne ricalca la modalità della storia corale in interni tra coppie che pian piano scoprono il gioco. Qui però si punta alla black comedy, e vista qualche situazione pulp, si propone uno stile da fratelli Coen, anche se spesso si sfiora L’ultimo Capodanno di Marco Risi. Ma siamo lontani da quella corrosività dirompente. Complici la presenza di Haber, che nel cult ultrasatirico del ’99 interpretava un notaio sadomaso, qui invece uno scambista guardone. La neve e la notte stringono da fuori questa decina di personaggi infidi e sconosciuti tra loro al calduccio di una magione montana. Il pensiero allora andrebbe anche a The Hateful Eight, il western pulp di Tarantino tutto neve e sangue. La riuscita di Cosa fai a Capodanno? rimane però un tantino diversa.

Sinceramente coraggiosa l’intuizione di mettere insieme così tanti ingredienti all’esordio registico assoluto per Bologna. Il ricco cast lo ripaga abbastanza bene, magari Haber appare un po’ scolastico, ma funzionale al suo personaggio altisonante che s’involerà in una scena madre tutta sua. La coppia Pastorelli/Argentero va forte. Lei raro animale da macchina da presa, talento puro che va per giunta raffinandosi; lui attore umile cresciuto con l’esperienza, e ora, superati i 40 e abbandonato il viso pulito da Postal Market riesce in ruoli sporchi, personaggi con stratificazioni (im)morali da scoprire, tutto intrecciato ad arte con una gamma espressiva in piena espansione. Buone anche le incursioni di Arianna Ninchi e Sidy Diop. Mentre un’altra nota felice sono le musiche di Pasquale Catalano più una selezione di brani editi non male.

cosa fai a capodanno 2

Quel che rimane avvolta da qualche difficoltà è la storia. Alcuni nodi risultano forzati e certe linee narrative tra personaggi faticano a ritrovarsi producendo inutili attese e piccoli squilibri nel pastiche. Come nel caso, senza troppo spoilerare, della sparizione di Scamarcio e Lodovini o nel dubbio incontro tra la Ninchi e Succio. Soffre allora anche una regia alle prime armi. Il film non è brutto, scorre tutto sommato discretamente, ma tra cast, coralità narrativa e compresenze numerose sul set, citazioni e importanti rimandi più o meno voluti più un sostanzioso e cercato intreccio dei generi, era un’opera sinceramente difficile per esordire. Bologna ne esce con qualche graffio e cerotto magari, ma nessun osso rotto. L’intrattenimento c’è e la noia se ne sta sempre a debita distanza.

Come pregi spiccano la voglia di un cinema italiano anche un pochino osé. Forse non come il marketing che recentemente ha promosso, o promesso il film, pubblicandone il red band trailer nientemeno che su PornHub. Al cinema dal 15 novembre, e al netto delle sue fragilità, Cosa fai a Capodanno? è un piccolo tassello che potrebbe rivelarsi significativo sul pubblico italiano in quanto a voglia di trasgredire dai soliti dettami buonisti o telefonati della commedia italiana più prevedibile.

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A Cannes l’Euforia di Valeria Golino supera l’esame https://www.fabriqueducinema.it/festival/a-cannes-leuforia-di-valeria-golino-supera-lesame/ https://www.fabriqueducinema.it/festival/a-cannes-leuforia-di-valeria-golino-supera-lesame/#respond Thu, 17 May 2018 07:03:57 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=10391 In concorso nella sezione “Un certain regard” del Festival di Cannes 2018, Euforia, seconda regia cinematografica di Valeria Golino, conferma tutti i difetti e i pregi del cinema italiano medio d’autore: il focus sui personaggi più che sull’intreccio, la capacità di creare singole sequenze d’impatto emotivo e poetico (più spesso poeticizzante), la cronica difficoltà nel […]

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In concorso nella sezione “Un certain regard” del Festival di Cannes 2018, Euforia, seconda regia cinematografica di Valeria Golino, conferma tutti i difetti e i pregi del cinema italiano medio d’autore: il focus sui personaggi più che sull’intreccio, la capacità di creare singole sequenze d’impatto emotivo e poetico (più spesso poeticizzante), la cronica difficoltà nel costruirci intorno un film propriamente detto.
Une veloce sinossi: Matteo (Riccardo Scamarcio) e Ettore (Valerio Mastandrea) sono due fratelli estremamente diversi, il primo è un imprenditore carismatico e apertamente omosessuale, mentre il secondo è un uomo pacato che vive ancora nella piccola città di provincia dove entrambi sono nati e cresciuti. La scoperta della malattia di Ettore permette ai due fratelli di avvicinarsi e conoscersi veramente, di evidenziare le differenze e di comporre le distanze.
euforia diretto da valeria golino
Non riconosciamo una personalità registica peculiare nella Golino, ma di sicuro una solida preparazione tecnica e una capacità di trovare la giusta distanza dagli eventi messi in scena. L’omosessualità di Marco non è per nulla caricata dei luoghi comuni a cui (troppo) spesso il nostro cinema ancora si affida, e l’evento da cui prende le mosse la vicenda (la malattia di Ettore, che lo costringe a trasferirsi a Roma a casa del fratello) non scade mai nel pietismo o nella lacrima facile.
Mastandrea offre una prova misurata senza rinunciare ad alcuni vezzi di repertorio, ma è Scamarcio, dopo l’ottima prova in Loro di Sorrentino, a confermare di star vivendo una seconda fase di carriera migliore di quanto la prima avrebbe potuto far credere. Fase iniziata proprio qui a Cannes due anni fa, e ancora al Certain regard, con Pericle il nero di Stefano Mordini.
Una ridda di comprimari più o meno indovinati accompagnano la strana coppia di questa sorta di anomalo “buddy movie” (Isabella Ferrari, Jasmine Trinca, che al Regard rimette in palio il titolo di miglior interprete portato a casa l’anno scorso con Fortunata di Castellitto), il cui unico difetto, non da poco, è, come già anticipato, quello di essere scevro di snodi narrativi davvero convincenti, e di andare avanti a strappi.
Una visione non indimenticabile ma, quando i due protagonisti danzano sulle note di Guardo gli asini che volano nel ciel, celebre numero di Stanlio e Ollio, un velo di commozione vi stringerà inevitabilmente la gola. Non più di una sufficienza piena, ma neanche meno.

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“Pericle il nero”: un film che parla due lingue https://www.fabriqueducinema.it/cinema/recensioni/pericle-il-nero-un-film-che-parla-due-lingue/ https://www.fabriqueducinema.it/cinema/recensioni/pericle-il-nero-un-film-che-parla-due-lingue/#respond Tue, 17 May 2016 07:27:00 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=3164 Pericle (Riccardo Scamarcio) è una persona che per mestiere umilia le sue vittime, sodomizzandole, per conto della Camorra. È un uomo solo, a cui Scamarcio soprattutto nella prima parte dona uno sguardo rassegnato, perso, quello di un individuo che ha accettato quel tipo di vita perché non l’ha neppure scelta, ci si è trovato dentro, […]

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Pericle (Riccardo Scamarcio) è una persona che per mestiere umilia le sue vittime, sodomizzandole, per conto della Camorra. È un uomo solo, a cui Scamarcio soprattutto nella prima parte dona uno sguardo rassegnato, perso, quello di un individuo che ha accettato quel tipo di vita perché non l’ha neppure scelta, ci si è trovato dentro, cresciuto in un ambiente che l’ha formato in quel modo (guarda il trailer).

Con questo adattamento dell’omonimo romanzo di Giuseppe Ferrandino, Stefano Mordini, alla sua terza prova nel lungometraggio, ci vuol dire che gran parte della nostra vita è già – ingiustamente – decisa alla nostra nascita, e che da quell’origine è difficile fuggire. C’è però una possibilità di salvezza, di cambiamento: un incontro, come quello con una donna matura e altrettanto sola, che sembra uscito da un film di Rohmer.

Pericle il nero è infatti un film dal respiro europeo, non propriamente italiano. A partire dalla freddezza dei luoghi, intelligentemente utilizzati all’interno di una messa in scena calcolata e funzionale, si inserisce in quel filone di noir intimisti ambientati in aree dell’Europa (il Belgio e il nord della Francia, in questo caso) che si fanno esternazione di uno stato esistenziale: qui, la solitudine. Per tutto il corso dell’opera si avverte la pesantezza di una vita soffocante, triste, da cui non sembra esserci via di fuga. Non è però detta l’ultima parola. Una finestra si apre nel momento in cui, proprio grazie al suddetto incontro, questo film italiano comincia a parlare un’altra lingua, il francese, diventando per buona parte della sua durata una pellicola bilingue. E se guardiamo indietro, ricordiamo di aver già visto qualcosa del genere nella parte iniziale di Alaska di Claudio Cupellini (ambientato a sua volta in Francia, appunto), che per certi versi si avvicina a Pericle il nero in quanto racconto di solitudini che si incontrano e si incrociano.

Il genere, cioè il noir, è nel film di Mordini uno sfondo, una parete scura su cui sono proiettate le ombre di persone e personaggi che vagano coi loro fardelli, col peso delle loro insoddisfacenti vite sulle spalle, in una stasi che il regista accoglie dandole forma, per prendere gli spettatori in sala e trasportarli per un paio di ore in un universo in cui nessuno sembra aver trovato la felicità, se non nella possibilità di un finale, di un’agognata boccata d’aria, di un’ultima speranzosa partenza.

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