Rai Archivi - Fabrique Du Cinéma https://www.fabriqueducinema.it La Rivista Del Nuovo Cinema Italiano Tue, 11 Jan 2022 09:47:24 +0000 it-IT hourly 1 Blanca: anatomia di una serie di successo (e perché poteva non esserlo) https://www.fabriqueducinema.it/serie/blanca-anatomia-di-una-serie-di-successo-e-perche-poteva-non-esserlo/ Tue, 30 Nov 2021 13:35:45 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=16520 Non sappiamo dove arriverà Blanca. Se diventerà uno dei prodotti di punta di Rai Uno e Rai Fiction, se conquisterà anche il pubblico estraneo alla tv generalista, se proseguirà per altre venti stagioni sostituendosi a Don Matteo. Ma oggi, nel pieno del suo debutto e a ridosso del finale di stagione, il fenomeno merita d’essere […]

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Non sappiamo dove arriverà Blanca. Se diventerà uno dei prodotti di punta di Rai Uno e Rai Fiction, se conquisterà anche il pubblico estraneo alla tv generalista, se proseguirà per altre venti stagioni sostituendosi a Don Matteo. Ma oggi, nel pieno del suo debutto e a ridosso del finale di stagione, il fenomeno merita d’essere osservato da vicino per una serie di elementi che, se contestualizzati nel contenitore Rai e in relazione al target di riferimento, indicano un (elettrizzante) cambiamento in corso. 

Il look 

Da subito Blanca si è caratterizzata attraverso i costumi della protagonista, a cura di Monica Saracchini e Angelo Poretti, con un look che rimanda felicemente allo stile comic. Blu elettrico, giallo fluo, rosso e verde sono dominanti nell’abbigliamento di Blanca, mentre il cinturone sempre presente definisce la silhouette e l’armatura di Giannetta, collocandosi nel tradizionale fetish del ‘vitino a vespa’ che ha popolato la narrazione femminile e le sexy villain del fumetto americano. 

Lo stile pop della serie si impone poi con una color correction estremamente satura e irrealistica per il gusto abitudinario della prima serata Rai (virando spesso anche sui toni del verde e strizzando l’occhio al Teal&Orange). Il comun denominatore è proprio la costruzione di un mondo visivo che orbita attorno a un’eroina della porta accanto, la cui cecità si trasforma quasi in un superpotere. Con tutte queste scelte Blanca opta per un biglietto da visita che potrebbe disturbare il suo target, e invece piace (se lo share non è un’opinione). 

Bando alla noia 

Dal modo in cui avrebbero raccontato la cecità di Blanca, si giocava invece buona parte della riuscita della serie. La regia firmata da Jan Michelini e Giacomo Martelli trova l’incontro armonioso tra il fine educativo (strutturando e decostruendo gli ambienti dal punto di vista di una non vedente e portandoci a immedesimarci nella disabilità della protagonista) e una chiave decisamente accattivante. Senza inciampare in soporiferi spiegoni pietisti, il mondo buio di Blanca trova un linguaggio fumettistico, vivace e dissacrante. 

L’olofonia 

Due tecniche su tutte risultano particolarmente interessanti: l’olofonia e l’uso del buio. Blanca è infatti la prima serie ad utilizzare totalmente la tecnica di Audio Immersivo dell’olofonia, che esplora lo spazio sonoro a 360°. Essenziale il lavoro sperimentale in fase di presa diretta sul set (ad opera del fonico Roberto Sestito, del microfonista Leonardo Giambi e di una lunga serie di assistenti e sotto-unità), completato poi da una fase di post-produzione e mix altrettanto raffinata e rischiosa (con Marco Giacomelli e Matteo Lugara). 

Perché è così centrale il merito d’aver utilizzato l’olofonia? Perché è una novità. Perché ci restituisce, se ascoltata in cuffia, una riproduzione del suono vicinissima a quella registrata dall’apparato uditivo umano. E dunque facilita l’identificazione con Blanca (non vedente), sostituendosi a un’ipotetica soggettiva e diventando una sorta di punto macchina sonoro. E poi perché è un’invenzione italiana risalente agli anni Ottanta, che ha richiesto non poca fatica in fase di lavorazione: qualcosa di cui vantarci, dunque. 

L’uso del buio 

Un discorso che si replica nel modo in cui Blanca sperimenta le possibilità tecniche offerte dall’ovvia dicotomia cecità-buio. La regia propone infatti una ‘stanza nera’ che, all’occorrenza, isola Blanca dalla condizione dello spettatore vedente, ponendolo insieme alla protagonista in un non-luogo che si popola poco a poco delle percezioni sensoriali di Blanca. Ogni indizio uditivo e percettivo che lei acquisisce muovendosi nello spazio, si trasforma in vfx e inizia a riempire la stanza nera. Noi siamo con lei. 

Struttura verticale ma godibile

Questo diventa inevitabilmente anche un punto a favore della struttura verticale della serie, che segue comunque lo standard episodico ancora caro alla Rai, dove la narrazione ruota attorno ai vari omicidi da risolvere ogni puntata. Ma se un caso che potrebbe annoiare viene risolto dalla lente della cecità di Blanca, con il gusto dell’olofonia, della stanza nera e del décodage (tecnica in cui la protagonista è specializzata), anche il crimine di puntata scorre in modo godibile. E per noi non si traduce solo in un polpettone riscaldato da buttar giù nell’attesa che succeda qualcosa d’interessante, ma diventa una sfida condivisa. Insomma: non ci interessa scoprire il colpevole, ma come Blanca arriverà a scoprirlo. 

Patrizia Rinaldi e Maria Chiara Giannetta 

E qui chiudiamo, last but not least, con la coppia Rinaldi-Giannetta. Alla prima va il merito di aver creato il personaggio dei romanzi noir da cui la serie è tratta, alla seconda va quello di interpretarlo con tutto il piglio, l’ironia e la verve necessaria. Perché Blanca è un personaggio fortemente caratterizzato, e non solo dalla sua condizione di cecità (niente da invidiare ad alcuni piattissimi e stereotipati protagonisti Netflix). Ha i vizi, i difetti e le sfumature di una persona a cui possiamo affezionarci in fretta: odia cucinare, è spocchiosa, pensa al sesso, è una fanatica orgogliosa dell’umorismo nero. E, vero colpo di scena, è sexy. Non è solo una vittima, ma anche una giovane donna che sa di poter piacere. In sintesi, Blanca possiede quello di cui ha bisogno un buon personaggio: è ben scritto e recitato anche meglio.

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RaiPlay, la Rai più contemporanea https://www.fabriqueducinema.it/focus/raiplay-la-rai-piu-contemporanea/ https://www.fabriqueducinema.it/focus/raiplay-la-rai-piu-contemporanea/#respond Thu, 07 Oct 2021 14:04:41 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=16212 La rete digitale dell’azienda di Stato sta vivendo un momento d’oro. Grazie alla ricchissima library Rai che rende disponibile on demand e alla sua offerta originale di serie e film, RaiPlay conta oggi 19 milioni di utenti registrati. Ne parliamo con Elena Capparelli, direttrice di RaiPlay dal 2019, che si è occupata da pioniera dello […]

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La rete digitale dell’azienda di Stato sta vivendo un momento d’oro. Grazie alla ricchissima library Rai che rende disponibile on demand e alla sua offerta originale di serie e film, RaiPlay conta oggi 19 milioni di utenti registrati. Ne parliamo con Elena Capparelli, direttrice di RaiPlay dal 2019, che si è occupata da pioniera dello sviluppo digitale dell’azienda fin dai primi anni Duemila.

È un caso che il suo mandato coincida con il boom di RaiPlay?

Sicuramente lo spartiacque è stato il novembre 2019, con il lancio della nuova versione di RaiPlay per il quale è stato scelto un programma straordinario come Viva Raiplay di Fiorello. E in questo ultimo anno, a partire dal primo lockdown, il pubblico degli utenti (molto bilanciato fra uomini e donne) è cresciuto di quasi 5 milioni: ma il dato ancora più interessante è l’alta percentuale di retention, che sta a indicare quanto gli utenti usufruiscono dei nostri contenuti. Cioè, io posso registrarmi per vedere un contenuto una tantum, ma se torno spesso significa che trovo regolarmente contenuti che mi soddisfano. Ecco, una media di 4 milioni e mezzo di utenti ogni mese torna a veder i nostri contenuti. Questo significa che ci considerano una piattaforma dove possono trovare contenuti diversi che li soddisfano in momenti diversi.

Chi sono gli utenti di RaiPlay?

Le ricerche ci dicono che si tratta in gran parte di un pubblico giovane: per oltre il 48% gli utenti di RaiPlay hanno meno di 44 anni; in alcuni casi, oltre il 60% degli utenti ha meno di 24 anni, come nel caso dell’esclusiva assoluta di Nudes, il reboot della serie norvegese sul revenge porn pensata proprio per un pubblico di giovanissimi. O nel caso di Mental, teen drama premiato l’estate passata al Prix Italia basato sul format originale finlandese Sekasin, co-produzione Rai Fiction e Stand by me, che racconta con grande rispetto storie di giovani con fragilità psichica, grazie anche alla consulenza scientifica della Dott.ssa Paola De Rose dell’Unità di Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù. Mental è inoltre l’esempio, a mio parere, dei valori che devono caratterizzare il servizio pubblico, che deve essere capace non solo di guardare agli ascolti ma anche di affrontare temi complessi e scomodi.

“Nudes” la prima serie tv italiana sul revenge porn.
“Nudes” la prima serie tv italiana sul revenge porn.

Qual è oggi il ruolo di RaiPlay nella galassia del servizio pubblico?

Direi che innanzitutto ha un ruolo complementare, perché ospita l’estensione digitale di tutti i contenuti che vanno in onda sulla Rai. Ma nel fare questo allarga anche il target, perché intercetta pubblici che si perderebbero con una visione lineare. Oggi i fattori che incidono sul successo di un contenuto presso un pubblico non sono solo la sua qualità ed efficacia, ma anche quanto tempo quel pubblico ha a disposizione, in che forma e attraverso quale device. Se, ad esempio, io posso fruire di un contenuto quando mi sposto in bicicletta e non lo trovo disponibile on demand con un podcast, cercherò un’altra piattaforma che mi dà qualcosa di analogo ma nella forma che mi serve. Ma ormai accade spesso anche gli utenti vadano direttamente su RaiPlay, com’è stato per Una pezza di Lundini, oggetto di un vero e proprio culto fra i giovani che l’hanno visto subito sulla piattaforma, spesso nemmeno sapevano che andava in onda su Rai2. Inoltre RaiPlay ha avuto e ha un ruolo importante anche nell’alfabetizzazione digitale delle fasce di pubblico dei meno giovani: i lunghi periodi trascorsi in casa durante l’emergenza sanitaria hanno spinto anche i gli anziani a installare RaiPlay, magari con l’aiuto di figli e nipoti, accelerando una digitalizzazione collettiva che probabilmente avrebbe richiesto più tempo. Del resto da noi gli “over” possono trovare sceneggiati storici come La piovra o fiction come Un medico in famiglia, che, con l’ultima stagione andata in onda nel 2016, resta fra i titoli più visti ogni giorno. Nella linea di una continuità rinnovata nelle forme, a breve vedremo anche la nuova serie di Superquark più di Piero Angela, in cui si parlerà d’amore: puntate brevi di 15 minuti circa in cui Angela, volto notissimo della TV generalista, affiancato da giovani ricercatori, è “trasportato” in un formato diverso da quello in cui siamo sempre stati abituati a vederlo.

Vorrei approfondire con lei il discorso sui giovani: dal vostro osservatorio, cosa vogliono vedere e cosa no?

Direi che il bisogno degli utenti più giovani è molteplice. C’è indubbiamente un bisogno di intrattenimento, che è letteralmente esploso quando sono arrivati i grossi player internazionali con la loro immensa offerta di serie. I ragazzi hanno una conoscenza incredibile di tutto il mondo della serialità mondiale, sono abituati al binge watching, fanno passaparola sui social sui titoli che amano di più. E noi abbiamo infatti acquistato tante produzioni straniere, per lo più di stampo europeo (HBO Europe, BBC) come Stalk, Beforeigners, Pure, Foodie Love, scegliendo temi che riguardassero i ragazzi e i giovani adulti, e che infatti da loro sono state largamente apprezzate. Ad esempio ai 25-35enni è piaciuto molto Pure: la protagonista è una ragazza che soffre di un disturbo ossessivo compulsivo, raccontato in maniera molto ironica ma sempre con solide basi medico-scientifiche. Invece la norvegese Beforegneirs, un mix di fantascienza e thriller, è una lettura metaforica dell’arrivo dei migranti nelle società occidentali (nella serie in realtà emergono nelle acque di Oslo dal passato). Ma i giovani hanno anche un grande bisogno che si parli di loro e di avere loro stessi la parola, per essere compresi nella loro forza ma anche nelle loro paure: un titolo a cui tengo molto, pensato per rappresentare questo tipo di esigenza, è Tu non sai chi sono io, una docuserie sulla Gen Z alle prese con la crescita che ora arriva alla seconda serie. Infine, c’è un’esigenza di contenuti formativi a cui abbiamo cercato di rispondere insieme a Rai Scuola, Rai Cultura e alle reti generaliste. Molti ragazzi durante la maturità, ad esempio, hanno potuto vedere trasmissioni, documentari e film messi a disposizione nell’apposita sezione learning, che è stato anche un modo di trasformare l’intrattenimento in edutainment.

“Pure"
“Pure”

Con quali competitor vi confrontate?

Ragioniamo in un’ottica di servizio pubblico e perciò siamo meno legati a una visione puramente commerciale, ma guardiamo con attenzione ai numeri che ci fornisce l’auditel online tutti i giorni. I nostri competitor sono i broadcaster che hanno piattaforme digitali e naturalmente gli OTT (Amazon, Neflix, Disney+ ecc). Ma io sono convinta che giochiamo una partita tutta nostra. Il 50% della platea digitale che guarda contenuti più lunghi di mezz’ora guarda RaiPlay, il che è un dato estremamente significativo: vuol dire che gli utenti ci scelgono per contenuti lunghi e complessi, non per un consumo mordi e fuggi. E questo perché abbiamo una ricchezza di offerta che nessuno ha, composta da tutti i canali della Rai, tutti i programmi e la nostra offerta originale. Parliamo di 4400 titoli fra fiction, documentari, teatro, musica e film. Abbiamo scoperto che i giovani guardano tantissimo cinema: noi abbiamo una library di 1200 film, fra cui molti classici (le antologiche di Eric Rohmer e François Truffaut tra tutti), ma gli utenti trovano anche i formati meno comuni, adatti magari ad audience più piccole e segmentate che in un palinsesto generalista si perderebbero, come ad esempio i cortometraggi.

Su quale tipo progetti state lavorando? Avete in cantiere collaborazioni come quella con 42° Parallelosu docuserie non fiction, sulla linea di Ossi di seppia?

Sì, il tema documentaristico è uno dei nostri interessi prioritari, abbiamo già individuato vari progetti in tal senso. Ossi di seppia rappresenta bene uno degli obiettivi più consoni al servizio pubblico, quello cioè di tenere viva la memoria storica del Paese: questa docuserie, con immagini delle Teche Rai e fotografie d’archivio, è stata infatti l’occasione per raccontare alle giovani generazioni alcuni dei casi mediatici più clamorosi degli ultimi trent’anni attraverso le parole di un narratore centrale nella vicenda. Il progetto è nato prima della pandemia, ma il Covid ci ha suggerito risonanze come quella con il metodo Di Bella. Nella puntata dedicata alla sedicente cura contro il cancro che poi si rivelò un fake, avevamo l’obiettivo di far capire che è necessario avere delle competenze specifiche per parlare di scienza: la battaglia sulla terapia Di Bella che si consumò alla fine degli anni Novanta, raccontata da una dei protagonisti, l’allora Ministro della salute Rosy Bindi, fu forse l’inizio del populismo mediatico per cui in TV le opinioni di personaggi noti spesso sono messe sullo stesso piano delle conoscenze scientifiche consolidate, una dinamica che abbiamo purtroppo visto ripetersi anche in tempi recenti.

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Inchiesta sulla nuova legge cinema, 2a puntata https://www.fabriqueducinema.it/focus/inchiesta-sulla-nuova-legge-cinema-2a-puntata/ https://www.fabriqueducinema.it/focus/inchiesta-sulla-nuova-legge-cinema-2a-puntata/#respond Sun, 10 Dec 2017 09:16:54 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=9738 Nella prima puntata (Il rilancio del cinema passa anche dalla TV, 13 ottobre), avevamo analizzato, nel dettaglio, le disposizioni contenute nella cosiddetta legge cinema, voluta dal Ministro per i Beni e le Attività Culturali e il Turismo Dario Franceschini. Un provvedimento che intende introdurre nel nostro Paese, a partire dal 2019, delle quote obbligatorie, nella programmazione televisiva […]

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Nella prima puntata (Il rilancio del cinema passa anche dalla TV, 13 ottobre), avevamo analizzato, nel dettaglio, le disposizioni contenute nella cosiddetta legge cinema, voluta dal Ministro per i Beni e le Attività Culturali e il Turismo Dario Franceschini. Un provvedimento che intende introdurre nel nostro Paese, a partire dal 2019, delle quote obbligatorie, nella programmazione televisiva e negli investimenti nel cinema e nell’audiovisivo, più rigide e severe di quelle attualmente in vigore. In queste ultime settimane l’iter legislativo del decreto è proseguito con l’acquisizione dei pareri favorevoli sia del Consiglio di Stato (6 novembre), sia di quello delle competenti Commissioni Parlamentari (15 e 16 novembre).  A seguito di questi pronunciamenti, il 22 novembre, il Consiglio dei Ministri ha approvato, in esame definitivo, tre decreti legislativi che, in attuazione della nuova legge sul cinema, riformano in modo organico il settore della produzione audiovisiva, introducendo nuove norme sul lavoro nel settore cinematografico e audiovisivo, sulla tutela del pubblico non adulto e sulla promozione delle opere italiane ed europee.

inchiesta sulla legge cinemaDunque il tema rimane caldo, al centro dell’antica e ricorrente contrapposizione fra le ragioni “dello Stato” e quelle “del mercato”, tra interventisti e liberisti, che lascia intravedere ulteriori possibili sorprese nel processo di conversione del decreto, soprattutto nell’incertezza delle logiche, delle convenienze e delle alleanze politiche che caratterizzeranno il periodo pre-elettorale. Nell’attesa di eventuali nuovi sviluppi, noi proseguiamo nel monitoraggio di questo iter, attraverso una serie d’interviste a esperti dei vari settori coinvolti. Dopo l’intervista ad Alberto Simone, esponente degli autori dell’Anac, abbiamo chiesto il parere di Antonio Ferraro, produttore televisivo e cinematografico che ha ricoperto incarichi manageriali sia in RAI sia in Mediaset, occupandosi proprio di programmazione cinematografica.

Il nuovo decreto Franceschini ha visto una decisa reazione da parte dei broadcaster che lo giudicano eccessivo rispetto alle proprie strategie economiche e editoriali con impatti finanziari definiti allarmanti. Che cosa mi dici in proposito?

È facile scegliere come bersaglio l’odiata (da parte di molti autori, intellettuali passatisti e produttori senza visione di mercato) televisione, alla quale da sempre si chiede, alla fin fine, solo di finanziare senza discutere progetti che, a detta di chi li propone, saranno fondamentali nello sviluppo delle coscienze e – perché no? – dei sicuri successi. Ho usato volutamente il termine generico e impreciso “televisione” perché questo sembra essere lo spirito del decreto: non una virtuosa attenzione a che i nuovi soggetti che arrivano nel nostro mercato investano ragionevolmente sulla produzione italiana ma, semplicemente, una pezza per compensare i ritardi (ormai un anno e mezzo di fermo in attesa della nuova legge e dei decreti delegati) e le ombre (i piccoli e medi produttori lamentano un impianto che rischia di favorire solo poche, blindatissime, produzioni) della nuova legge sul cinema.

Hai lavorato sia in RAI sia in Mediaset come responsabile della programmazione dei prodotti cinematografici. Come valuti oggi le potenzialità televisive del prodotto cinema in generale e di quello italiano in particolare sulle reti generaliste, dove nel prime time sembra ormai, salvo rare eccezioni, un prodotto di ripiego?

La mia più intensa stagione televisiva, per molti aspetti densa di soddisfazioni e di successi conseguiti con grande fatica e dedizione, è stata sostanzialmente quella dell’epica – e allora reale – concorrenza tra RAI e Mediaset. Allora, giova ricordarlo, i film e (per merito del nostro lavoro a RAI2, quando per primi in Europa li usammo con grande successo in collocazioni importanti), i TV-movies e le serie (la nostra coraggiosa intuizione di proporre Beautiful nel prime time della domenica ha fatto scuola) erano un terreno fondamentale di scontro tra i due network principali. Parliamo però di anni luce fa (televisivamente parlando), quando in Italia non c’era neanche la pay, la fiction era un genere presente ma non così largo e le generaliste avevano una programmazione con modulazioni da pay-tv, per cui il film (se ben scelto e programmato) era un genere di buon successo. In seguito, da un lato, l’arrivo della pay, della pay per view e poi del web e, dall’altro lato, un cinema sempre più indirizzato alle fasce giovani o giovanissime (quelle più assenti davanti allo schermo generalista) hanno reso i film una tipologia di scarso appeal, soprattutto per l’audience, amplissima, indifferenziata e tendenzialmente adulta della prima serata.

inchiesta sulla legge cinemaQuindi da una parte i broadcaster, contrari al decreto, e dall’altra gli autori e i produttori, favorevoli, nonostante qualcuno sottolinei che gli stessi produttori, o almeno una parte, non sarebbero pronti alla sfida. Insomma quali saranno i reali benefici per l’industria dell’audiovisivo?

È ovvio che, nell’immediato, autori e produttori siano d’accordo con il decreto: sulla carta si apre loro qualche spazio in più e la definizione di spazi di prime time dedicati al prodotto nazionale fa intravedere anche la possibilità di ottenere più soldi per la cessione dei loro diritti. Però – a prescindere dalla sgradevole impressione dirigista che dà il decreto (il Governo e il Ministro che si fanno programmatori televisivi!) e dal concetto stesso di prima serata che ha un senso per le TV generaliste ma molto, molto meno per i nuovi soggetti – non è difficile prevedere che, così come ci sono da anni molti film che nascono solo perché rispettano i parametri burocratici e ideologici del finanziamento pubblico (l’insopportabile politically correct, nemico di ogni libertà creativa), si svilupperà un filone di film-similfiction adattissime alla collocazione sul piccolo schermo ma ulteriori macigni sull’accidentatissimo percorso del nostro cinema, già maciullato dalle pastoie politico-burocratiche alle quali è sottoposto.

Una regolamentazione più chiara e stringente può da sola innescare un processo virtuoso di rafforzamento del fragile comparto della produzione italiana o deve essere accompagnata da un salto di qualità dei modelli produttivi?

Non vale solo per il nostro Paese, ma è evidente che un’industria dell’audiovisivo può reggere solo se conquista una platea internazionale. Noi da anni abbiamo abdicato a questa funzione (fino a qualche decennio fa eravamo secondi solo agli Stati Uniti nelle esportazioni). Qualche segnale sta arrivando da alcune serie TV (Montalbano, Romanzo Criminale, Gomorra) e questo ci dovrebbe far capire che l’unico salto di qualità può venire dall’attenzione libera e senza pregiudizi al mercato e alle sue richieste. Serve, naturalmente, l’ausilio dello Stato per aiutare la necessaria “eccezione culturale” di un genere che ha bisogno di costanti innovazioni. Serve molto meno il dirigismo politico e lo strabordare delle istituzioni in ambiti non di loro competenza.

Il decreto s’ispira al modello francese e anticipa alcuni regolamenti in discussione EU, come quello di estendere le quote anche ai produttori tipo Netflix, Amazon ecc. Perché dunque queste polemiche se lo scenario europeo si muove nella stessa direzione?

Certamente, chiedere a queste nuove realtà (così come alla 7, che non dà segnali in questo senso) di investire nel prodotto nazionale ed europeo è certamente giusto ma la sensazione e che – almeno nell’immediato – i produttori si stiano preparando, preventivamente, a rivolgersi alle più abbordabili e note TV generaliste, con i rischi che abbiamo visto. Aggiungerei, sommessamente, che non è detto che l’Europa (spesso attraversata da pruderie intellettualistiche e autoriali) sia sempre nel giusto ma, comunque, se vogliamo pensare al modello francese, quanto dovremo aspettare perché si crei un CNC (Centre national du Cinema) italiano, che faccia gestire il cinema dagli addetti ai lavori – con severe norme di rotazione, perché non si amplifichino posizioni di privilegio – e sempre meno dalla politica?

Parliamo adesso di fiction televisiva, un mercato per ora nelle mani di pochi operatori, che negli ultimi anni ha visto significativi tagli di budget da parte dei principali broadcaster. La competizione RAI-Mediaset, finora unici veri produttori, non sembra aver favorito l’industria dell’audiovisivo, limitando la sperimentazione per paura dei flop e chiudendo il mercato a nuovi linguaggi e quindi a giovani autori e produttori. Come superare questa impasse?

La risposta è, direi, in quanto ho osservato prima: una produzione che abbia come punto di riferimento il mercato vero (non solo quello ripetitivo degli ascolti televisivi del giorno dopo) e che veda i nuovi media come una risorsa e non come un fastidio ha, inevitabilmente, bisogno di nuova linfa creativa e tecnica e deve necessariamente sperimentare per trovare nuove soluzioni. Anni fa, lo ricordo, avevamo scommesso su qualcosa che sembrava fuori dalla nostra portata: il cartoon italiano. Abbiamo, allora, vinto la scommessa ma, poi, scelte miopi e scarso coraggio industriale e creativo hanno di nuovo relegato in una nicchia i nostri prodotti. Si tratta, come sempre, di non sprecare o usare clientelarmente le risorse. Ce la possiamo fare?

*Antonio FerraroManager e produttore televisivo e cinematografico, giornalista pubblicista, soggettista, sceneggiatore, autore. È stato membro del Consiglio Nazionale dello Spettacolo del Ministero del Turismo e dello Spettacolo e, fino al 2014, delle Commissioni Finanziamento Film. Inoltre è stato responsabile dei palinsesti e delle redazioni cinema e fiction di Mediaset e coordinatore dell’offerta cinematografica di Stream.

 

 

 

 

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L’Arena e la rivincita degli ex https://www.fabriqueducinema.it/serie/auditel-tv-serie-tv/larena-la-rivincita-degli-ex/ https://www.fabriqueducinema.it/serie/auditel-tv-serie-tv/larena-la-rivincita-degli-ex/#respond Thu, 16 Nov 2017 15:46:17 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=9621 La stagione televisiva autunnale si avvia stancamente verso le cosiddette strenne natalizie, senza che l’offerta generalista abbia proposto qualcosa di rilevante e tanto meno d’innovativo. Una stagione incolore senza significative sorprese, nella quale, emblematicamente, il programma che finora ha raccolto il maggior ascolto, a parte le serate sportive della Nazionale, è stata una replica de […]

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La stagione televisiva autunnale si avvia stancamente verso le cosiddette strenne natalizie, senza che l’offerta generalista abbia proposto qualcosa di rilevante e tanto meno d’innovativo. Una stagione incolore senza significative sorprese, nella quale, emblematicamente, il programma che finora ha raccolto il maggior ascolto, a parte le serate sportive della Nazionale, è stata una replica de Il commissario Montalbano, che con l’episodio Una voce di notte ha superato i 6,5 milioni di telespettatori (superiore anche all’ascolto, intorno ai 6 milioni, del film La musica del silenzio, in onda il 2 ottobre, che narra la storia del celebre cantante Andrea Bocelli).

Un record di ascolto stagionale, per una replica di Montalbano, che suona quasi come un monito del pubblico, un “consenso eloquente”, che in un certo senso ridimensiona le performance delle altre fiction seriali di stagione e che non viene eguagliato neppure dai buoni risultati delle ultime importanti new entries: La strada di casa che su RAI1 ha esordito, martedì 14 novembre, con 5,7 milioni di telespettatori (anche se in assenza di una contro-programmazione su Canale 5, dove il concerto di Zucchero ha realizzato un imbarazzante 6,3% di share); e Rosy Abate, spin-off della serie Squadra Antimafia, che domenica 12 novembre ha debuttato su Canale 5 con un ascolto pari a 5 milioni circa di telespettatori (20,2% di share).

Nel complesso una stagione di fiction che, finora, non ha entusiasmato né il pubblico né la critica. Anche la serie Sirene, prima commedia fantasy prodotta dalla RAI, “la più attesa della stagione” per la sua forte valenza innovativa, ideata da Ivan Cotroneo, per la regia di Davide Marengo, dopo un avvio promettente (20%) si è ridimensionata al 14%, anche per la concorrenza de Le tre rose di Eva 4 su Canale 5. Poche novità anche sul fronte dell’intrattenimento, dove i maggiori ascolti hanno premiato vecchi talent come Tu sì que vales su Canale 5 e Tale quale show 7 su RAI1, oltre all’intramontabile, o meglio al rivitalizzato, nella versione Vip, reality Grande fratello.

il programma Stasera Casa MikaLe poche sperimentazioni come il nuovo show Celebration con Neri Marcorè e Serena Rossi su RAI1 e Stasera CasaMika 2, su RAI2, non hanno incontrato i favori del pubblico. Riprendono fiato i tradizionali talk-show informativi, aiutati da una cronaca politica vivacizzata dalle elezioni siciliane e da una cronaca sociale scossa dal clamore dello scandalo internazionale delle molestie sessuali, che ha messo in moto il solito “tribunale mediatico”, con lunghe maratone televisive su tutte le reti. Un’offerta televisiva ridondante e in forte competizione che spesso produce un giornalismo autoreferenziale e rissoso, più attento all’audience che alla qualità dell’informazione. E, in effetti, più che le novità editoriali, a movimentare la scena televisiva di questa stagione sono state soprattutto le polemiche riguardanti il trasferimento del talk-show Che tempo che fa da RAI3 a RAI1, con riferimento sia ai costi eccessivi sia alla validità strategica di tale operazione di palinsesto.

Polemiche ravvivate dalla discesa in campo di Massimo Giletti con il suo programma Non è l’Arena, che ha esordito su La7, in prima serata, domenica 12 novembre. Una sfida diretta, lanciata nei confronti di Fazio e più in generale della RAI, nella quale, in questa prima “ripresa”, Giletti ha segnato un clamoroso successo con quasi 2 milioni di spettatori e il 9% di share (triplicando gli ascolti della domenica su La7), mentre Fazio è rimasto ancorato a un 14% di share, valore inferiore alle attese. E qui si aprono due riflessioni: la prima relativa al significato, non solo editoriale, di questa sfida, la seconda relativa al futuro assetto del palinsesto domenicale.

Quella che poteva sembrare un’impresa impossibile, “uno scontro tra Davide e Golia”, ha dato un esito difficilmente prevedibile. L’orgoglio ferito di un gruppo di professionisti, Giletti e i suoi collaboratori, fortemente motivati dai successi passati e dal desiderio di un immediato riscatto, la complicità e la solidarietà di validi professionisti di grande esperienza, anch’essi “ex uomini RAI”, come Giovanni Minoli e Andrea Salerno, nuovo direttore de La7, hanno reso allettante una scelta di palinsesto molto rischiosa: portare la sfida in prime-time contro Fazio anziché il pomeriggio della domenica contro le sorelle Parodi, e dando al confronto il sapore di una rivincita degli ex.

E il valzer degli addii non sembra esaurirsi: è di questi giorni l’ultimo clamoroso e polemico abbandono, quello di Milena Gabanelli, che, «dopo 30 anni di lavoro», lascia la RAI con un nostalgico ma divertente video e un commentatissimo post su Facebook: «Oggi ho consegnato il badge, la chiave della mia stanza, il telefono aziendale, la scheda del computer, sono passata a salutare questo pezzo di famiglia (redazione di Report)… Me ne vado con l’orgoglio di lasciare una bella eredità». Un’altra grande e amata professionista “tradita” e ora in cerca di autore e di riscatto.

La seconda riflessione ci riporta più direttamente a quanto già anticipato nel mio precedente articolo in merito alla validità della scelta editoriale di RAI1.

L’exploit della serie Rosy Abate su Canale 5, che ritrova nella domenica una zona franca per la programmazione della sua fiction, il deludente risultato complessivo delle reti RAI, dove RAI3 non supera il 5%, e ora l’incidenza della new entry Non è l’Arena, rendono sempre più problematico per la RAI l’attuale assetto di palinsesto della domenica. Se le cose non migliorano, si profila l’ipotesi di uno spostamento di Che tempo che fa e di un riposizionamento della fiction di RAI1, nella giornata che ha sempre rappresentato una collocazione strategica e vincente.

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Che tempo che fa, il programma condotto da Fabio Fazio, trasferito da RAI 3 a RAI 1 in questa stagione televisiva, è da mesi oggetto di polemiche e anche di scontro politico, con riferimento ai costi, ai compensi, agli aspetti produttivi e alla stessa validità editoriale di questa importante novità del palinsesto di RAI 1.

I toni sono stati particolarmente accesi, a volte eccessivi, come spesso succede quando le polemiche riguardano personaggi famosi che non solo dividono il pubblico in sostenitori e detrattori, ma che offrono spunti per attacchi mediatici sul piano politico-ideologico e valutazioni di “tipo etico-sociale”, che poi trovano nel web il terreno adatto per infiammare gli animi.

l’acquario di Che tempo che fa

Il programma ha debuttato su RAI 1 il 24 settembre scorso con un esito brillante, oltre 5 milioni di telespettatori e 21% di share, poi l’ascolto è leggermente calato nelle settimane successive, e nella quarta puntata, quella del 15 ottobre, ha registrato uno share del 14,9%, pari a 3.762 mila telespettatori. Un risultato che, nonostante l’evidente attenuante dovuta al boom di ascolti su Sky del derby Inter-Milan, e all’impostazione “di servizio” della puntata, ha rivitalizzato il fronte dei detrattori.

Fin dall’inizio della programmazione, del resto, lo scontro si era inevitabilmente concentrato sul terreno dei risultati Auditel, considerati, da entrambi gli schieramenti, la controprova finale del valore del programma e della correttezza dei suoi costi. Un giudizio correlato sia alle aspettative di ascolto dichiarate, sia al confronto diretto con la fiction di Canale 5, L’isola di Pietro, dove la presenza di Gianni Morandi, come protagonista, in qualche modo lasciava trasparire anche una sfida in termini di popolarità.

In un articolo del Corriere della sera di domenica 15 ottobre, quindi precedente alla serata in questione, intitolato Tre chiavi di lettura per interpretare gli ascolti di “Che tempo che fa”, veniva osservato che nei confronti del programma di Fazio «i dati sono stati più “usati” che “interpretati”» e che una valutazione “senza pregiudizi” indicava che la media, allora pari al 19% (sceso al 18,6% dopo la quarta puntata), era superiore alla media della domenica di RAI 1 nel corso dell’anno (16,8%), e che quindi «Fazio ha portato un paio di punti alla serata» e che «I conti si fanno a fine stagione, ma per ora Che tempo che fa rispetta quanto meno le aspettative». In effetti, salvo sorprese eclatanti, è corretto attendere la fine dell’intera stagione per  formulare un giudizio definitivo e statisticamente significativo, considerando che le variabili che possono influenzare i risultati d’ascolto delle singole domeniche sono molteplici: la stessa programmazione di Mediaset è una variabile decisiva. Che succederà, per esempio, dopo le sei puntate della fiction con Morandi?

l'isola di pietro competitor di che tempo che fa

Evitando quindi giudizi affrettati sui numeri, è comunque legittimo proporre alcune osservazioni più generali sulle strategie editoriali. Poiché questa scelta di palinsesto incide direttamente sull’assetto di due reti RAI, e anche sulle strategie di programmazione della fiction RAI, che, peraltro, oggi vede in campo non solo RAI 1 ma anche RAI 2, occorrerà riflettere sugli equilibri complessivi del nuovo assetto di programmazione. Per quanto riguarda RAI 3, per esempio, ci si domanda quali saranno le ricadute in termini di ascolto e di visibilità di quest’operazione che non ha avuto il tempo per essere “ammortizzata”. Va rilevato che oggi, in uno scenario caratterizzato da un’offerta sempre più frammentata, l’incidenza del brand di un programma e di un conduttore assume un peso strategico crescente sulla visibilità e sul valore attrattivo di una rete (si pensi all’impatto di X factor su TV8 e di Crozza sulla NOVE). Nel caso di RAI 3, la storia del programma indica che la sua incidenza sulla crescita della rete è andata al di là del solo valore del brand.

Che tempo che fa debutta su RAI 3 nel settembre del 2003, come programma dell’access prime-time (dalle 20.00 alle 21.15) del weekend (sabato e domenica con una breve anteprima di lancio il venerdì), cioè come “programma-traino” della prima serata. In effetti, a quell’epoca la rete, dopo aver risolto il problema dell’access nei giorni feriali con la soap Un posto al sole, soffriva, nelle serate del fine settimana, la mancanza di una soluzione editoriale sufficientemente competitiva. Il ritorno di Fabio Fazio alla RAI, dopo l’esperienza a La7, offrì alla rete l’opportunità di avvalersi di un importante conduttore per sperimentare, in quello spazio, un nuovo e ambizioso progetto editoriale.

Inizialmente, con un titolo ispirato al Che tempo fa di Bernacca, prendendo spunto dall’abitudine, molto british, di “attaccare bottone” parlando del tempo, il programma dava spazio alle informazioni metereologiche italiane e internazionali, collegandosi con personaggi noti e con corrispondenti, per poi allargare il discorso a temi, fatti ed eventi di attualità. In seguito, il programma abbandonerà progressivamente la meteorologia per trasformarsi in un vero e proprio talk show di costume che, grazie anche all’ingresso della Littizzetto nel 2005, e ai prestigiosi ospiti intervistati da Fazio sul modello dei “late show” americani, diventerà un programma-cult, un brand di successo, che identifica fortemente la terza rete.

La forza del brand e la conseguente intensa fidelizzazione del pubblico, unite alla sua strategica collocazione di palinsesto hanno offerto alla rete un’ulteriore opportunità editoriale: la possibilità di sperimentare una programmazione modulare, abbinando Che tempo che fa a quei programmi informativo-divulgativo di prima serata, che avevano target omogenei e durate contenute. E così sono nate le accoppiate vincenti con Ulisse di Alberto Angela, il sabato, e con Report di Milena Gabanelli, la domenica.

Il progetto editoriale si è poi implementato allungando la durata di Che tempo che fa fino alle 21.30, anche nella prospettiva di valorizzare quest’asset strategico per un eventuale traino di nuove produzioni sperimentali.

Va detto che negli ultimi anni questa programmazione modulare è stata abbandonata a seguito dell’allungamento della durata di Che tempo che fa fino a coprire l’intero prime-time. Una scelta discutibile in termini di strategie aziendali (anche per via degli effetti penalizzanti sugli ascolti delle fiction di RAI 1), ma che, comunque, aveva mantenuto alte le performance della fascia prime-time di RAI 3 con share superiori al 10%.

che tempo che fa

Con il passaggio di Fazio a RAI 1, in questo inizio di stagione 2017, gli ascolti della domenica della fascia prime-time di RAI 3 sono calati al 4,4% di share e il palinsesto appare vincolato alla programmazione di film. Anche la somma degli ascolti di RAI 1 e RAI 3, della stessa fascia, è calata di qualche punto rispetto a quella degli autunni passati: dal 26,6% del 2015, al 23% della stagione autunnale in corso. Per ora ad avvantaggiarsi sembra essere Canale 5, che incrementa il suo share di oltre 2 punti. Ma al di là degli aspetti numerici, sul piano strettamente editoriale occorre notare che il nuovo palinsesto domenicale di RAI 1 offre a Canale 5 un’invitante “zona franca” per collocare la propria fiction di produzione, dopo che, negli ultimi anni, la netta supremazia dei titoli di RAI 1e la discesa in campo di RAI 2, con una propria offerta di fiction, avevano notevolmente ridotto gli spazi di manovra di Mediaset, creandole serie difficoltà di programmazione.

Si tratta di vedere se Mediaset saprà sfruttare quest’opportunità con fiction competitive, in grado perlomeno di eguagliare gli attuali risultati de L’isola di Pietro.

Quella della domenica è stata storicamente una collocazione canonica per le miniserie e per la fiction seriale di RAI 1, che ha registrato in passato ascolti record, anche con produzioni sperimentali: si pensi alla prima serie di Braccialetti rossi che nel 2014 superò i 7 milioni di spettatori con il 26 % di share.

Fino a quando Che tempo che fa, su RAI 3, aveva avuto come orario di chiusura le 21.30, si era creata con RAI 1 un’efficace sinergia, una sorta di staffetta, che vedeva un consistente flusso di pubblico migrare, alla chiusura di Fazio, verso la fiction della rete ammiraglia. Inoltre la forte complementarità dell’offerta delle tre reti RAI (fiction, telefilm, talkshow), rendeva pressoché inattaccabile la sua programmazione domenicale di prima serata, costringendo spesso Mediaset a soluzioni rinunciatarie.

L’indubbia esigenza della rete ammiraglia di diversificare la propria offerta con generi televisivi diversi dalla fiction e dall’intrattenimento, ha trovato una risposta immediata e potenzialmente efficace nell’acquisizione di un programma e di un conduttore di successo, già ampiamente “sperimentati” su un’altra rete, si tratta ora di vedere quali saranno, nel lungo periodo, gli effetti di questa scelta, dalla quale ritengo sia difficile tornare indietro, sull’insieme e sugli equilibri delle componenti editoriali coinvolte.

 

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Negli ultimi anni abbiamo assistito, nelle reti generaliste, a una massiccia crescita dei talk show politici, distribuiti a macchia di leopardo in tutte le fasce orarie, un fenomeno che è stato definito dai massmediologi l’anomalia italiana, in relazione alla tipologia dei programmi, alla durata e al flusso eccessivo di politica che invade i palinsesti, rispetto a quanto avviene negli altri paesi.

Anche nella fascia prime-time dei palinsesti generalisti sono oggi presenti numerosi talk show politici (da distinguere dai programmi d’inchiesta come Report), che dopo un periodo di programmazione disordinata hanno trovato, nelle ultime stagioni, un graduale assestamento delle collocazioni, evitando sovrapposizioni che potrebbero compromettere ulteriormente i già esigui e calanti ascolti auditel e cercando di ritagliarsi una propria nicchia di pubblico.

corrado formigli conduce piazza pulitaScorrendo i palinsesti settimanali troviamo il Lunedì Quinta colonna con Paolo del Debbio su Retequattro, il Mercoledì La gabbia open con Gianluigi Paragone su La7, il Giovedì Piazzapulita con Corrado Formigli su La7.

La sola sovrapposizione ancora presente è quella del martedì tra #cartabianca condotto da Bianca Berlinguer su RAI3 e Dimartedì con Giovanni Floris su La7.  In questo caso a spiegare lo scontro diretto intervengono motivazioni legate inizialmente alla difesa del brand televisivo e poi all’orgoglio aziendale. Dopo l’addio di Floris, per RAI3 si trattava, infatti, di confermare la continuità del “marchio di fabbrica” Ballarò e della sua collocazione storica nella serata del martedì, a prescindere dal conduttore.  Per La7 e per Floris si trattava, invece, di dimostrare che, a prescindere dal brand, il martedì era ormai uno spazio informativo di Floris, che aveva occupato come conduttore fin dal 2002.

Una volta “rottamato”, nel luglio 2016, fra mille polemiche, il Ballarò condotto dal giornalista di Repubblica Massimo Giannini, e dopo il fallimento di Politics, condotto da Gianluca Semprini (giornalista proveniente da SkyTg24), “l’orgoglio RAI” ha affidato a un’apprezzata giornalista interna, Bianca Berlinguer, il compito di contrastare il format di Floris.

In realtà, dopo quasi tre anni dall’addio di Floris, e dopo le tante polemiche che hanno accompagnato questo lungo duello e vivacizzato il dibattito sul ruolo dei talk-show politici, volendo fare un bilancio, mi sembra di poter dire che sul piano editoriale non ci sono stati vincitori ma solo perdenti, sia sul piano qualitativo sia su quello quantitativo.

gianluigi paragone conduce la gabbia openNonostante le promesse di rinnovamento non è emersa alcuna significativa evoluzione nelle formule televisive proposte e nel complesso si è assistito a un progressivo calo di spettatori. Se si confrontano i dati del periodo marzo-aprile 2017 con quelli del 2016, la somma degli ascolti dei due talk show è sensibilmente calata: Dimartedi (con una media inferiore al 5%) ha perso un punto e mezzo di share e #cartabianca (con una media intorno al 4%) ha perso 2 punti rispetto al Ballarò del 2016, condotto da Giannini. Siamo lontani dagli ascolti dello storico Ballarò (13% di media con puntate che, nei periodi caldi, superavano il 15%) e a questo punto, scomparso anche il marchio originale, questo confronto diretto appare senza grandi prospettive per entrambi i competitor.

Occorre ricordare che il brand BallaròFloris (2002-2014), è stato il risultato di un forte e costante impegno produttivo e ideativo di RAI3, inserito in una struttura di palinsesto equilibrata, coerente e fortemente consolidata, che poteva contare sul pubblico molto fidelizzato della rete (in tempi in cui la transizione alla TV digitale e la conseguente dispersione del pubblico erano ancora allo statu nascenti). Dunque un successo, ormai irripetibile, costruito nel tempo e in altri tempi, e determinato da una molteplicità di fattori, fra i quali anche le indubbie qualità del conduttore.

bianca berlinguer conduce cartabiancaGli andamenti dei due talk del martedì si collocano, peraltro, in uno scenario caratterizzato da un calo generalizzato degli ascolti medi di tutti i talk di prima serata. Rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso (marzo-aprile) La gabbia open scende al 2,6% di media; Piazzapulita scende al 3,8%, tiene Quintacolonna con il 4,9% di media. Un calo che procede parallelamente a un invecchiamento del pubblico di tutti i programmi considerati, che oscilla dai 2 ai 3 punti percentuali (con età medie che variano dai 61 ai 64 anni).

Gli ascolti medi assoluti, che nel migliore dei casi raggiungono il milione di telespettatori, risentono delle lunghe durate dei programmi (intorno alle 3 ore), che chiudono dopo la mezzanotte e costringono il pubblico a faticose maratone e a un crescente abbandono della visione nel corso della serata. Il tutto per aumentare lo share, ormai utilizzato, spesso in modo improprio, come principale indicatore per decretare “vincitori e vinti”.

Calo di ascolti, invecchiamento del pubblico, bassa permanenza*, basso tasso d’innovazione dei format e dei linguaggi, sono indicatori negativi dello stato di salute di un’offerta considerata ridondante, cui si rimprovera di esser condizionata da un esasperato inseguimento degli ascolti, che spinge ad alzare i toni, a spettacolarizzare, a trasformare gli studi in tante piccole arene, con applausometri annessi, a privilegiare la logica dell’urlo e dell’insulto.  Una logica, però, che alla lunga non sembra ripagare.

* permanenza: è un indicatore della “fedeltà” di visione. Cioè il rapporto tra il numero di minuti visti mediamente dagli ascoltatori di un certo programma e la durata dello stesso. (Glossario Auditel)

 

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Fiction di stagione: Un bilancio https://www.fabriqueducinema.it/serie/auditel-tv-serie-tv/fiction-stagione-un-bilancio/ https://www.fabriqueducinema.it/serie/auditel-tv-serie-tv/fiction-stagione-un-bilancio/#respond Wed, 03 May 2017 07:44:13 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=8112 La stagione primaverile si avvia stancamente verso la fase finale, mancano poche settimane all’avvio della programmazione estiva e alla definizione dell’offerta autunnale, che sarà presentata nel mese di giugno, e già si possono fare i primi bilanci. Protagonista di questa stagione è stata ancora una volta l’offerta di fiction con l’indiscussa affermazione di quella targata […]

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La stagione primaverile si avvia stancamente verso la fase finale, mancano poche settimane all’avvio della programmazione estiva e alla definizione dell’offerta autunnale, che sarà presentata nel mese di giugno, e già si possono fare i primi bilanci.

Protagonista di questa stagione è stata ancora una volta l’offerta di fiction con l’indiscussa affermazione di quella targata RAI, a fronte di una débâcle delle serie proposte da Mediaset. Trascinati dagli ascolti record del Commissario Montalbano, che con il suo 40% di share è stato l’evento della stagione, i titoli della RAI hanno spesso realizzato ascolti ai livelli dell’era pre-digitale: da Un passo dal cielo 4 (25% di share, quasi sei milioni di ascoltatori nell’ultima puntata) ai recenti Di padre in figlia (27% di share, oltre 6,5 milioni di telespettatori) e Sorelle (che ha chiuso con il 27% e oltre 6 milioni di telespettatori).

Al contrario Mediaset, nel 2017, ha inanellato una serie d’insuccessi, da Il bello delle donne ad Amore pensaci tu, solo parzialmente riscattati da L’onore e il rispetto 5 (che ha registrato il 15% di share) e ha fatto abbondante ricorso ai prodotti d’acquisto: dalle soap d’importazione come Il segreto, sia nel prime time sia nel day time, ai film.

In questo senso la crescente supremazia della RAI, se da una parte rappresenta un suo punto di forza editoriale, dall’altra rischia di trasformarsi in un punto di debolezza per la nostra fragile industria audiovisiva, che già negli ultimi anni ha registrato un crescente calo di produzione sia per numero di ore sia per quantità di titoli.

I valori dell’auditel, infatti, riflettono anche il diverso impegno finanziario e produttivo dei vari operatori del sistema televisivo italiano. Un’offerta squilibrata, in cui, secondo l’Osservatorio sulla fiction italiana (Ottobre 2016), il 76% della produzione «poggia sulle politiche produttive e editoriali della sola televisione pubblica», dove la fiction rimane un pilastro della programmazione: su RAI1 copre mediamente almeno quattro prime-serate su sette, concentrando circa la metà dell’intera offerta di fiction italiana, e dove nella stagione in corso ha rilanciato gli appuntamenti con la fiction anche su RAI2, con ottimi risultati (Rocco Schiavone, La porta rossa, Ispettore Coliandro), sia di ascolto sia per tasso d’innovazione.

Considerando che la produzione italiana di Sky è ancora giovane e limitata, anche se innovativa e prestigiosa (Romanzo criminale, Gomorra, The young pope), il rischio che si profila è che gli insuccessi di Mediaset possano disincentivarne la produzione e comportare una minor presenza di fiction italiana nei suoi palinsesti futuri e quindi un’ulteriore riduzione degli investimenti in un mercato già debole, «concentrato in una trentina di società che fatturano circa 470 milioni di euro».

Le ragioni di questa “sfida ineguale” vanno sicuramente ritrovate in una maggiore dinamicità (anche sul piano dell’apertura al mercato dei produttori) e sistematicità della produzione RAI, che ha saputo coniugare titoli “stagionati” (molto fidelizzati) con nuove produzioni e serie innovative. Ha puntato molto sull’identità (biografie, storia nazionale) e molto sul filone crime sia nella variante “solare” (Montalbano, Don Matteo), sia in quella meno convenzionale e più “ombrosa”, ma sempre giocata sulla forte caratterizzazione dei protagonisti: eroi/antieroi accattivanti e capaci di conquistare e fidelizzare il pubblico di riferimento (in quest’ottica è in arrivo, nei prossimi giorni, Maltese-il romanzo del commissario con Kim Rossi Stuart, una produzione Palomar, che racconta le gesta di un altro eroe solitario che si muove nella Trapani della seconda metà degli anni Settanta).

Si aggiunga che il pubblico della RAI è certamente per età, caratteristiche socio-culturali e abitudini di consumo mediatico, più vicino a questo genere televisivo, specie nella sua accezione più tradizionale e generalista, rispetto al pubblico del gruppo Mediaset, più esposto ai cambiamenti e alla concorrenza indotti dal nuovo scenario digitale. Diventa, dunque, necessario che Mediaset ritrovi una nuova identità narrativa, com’era avvenuto in passato con i successi de I Cesaroni, Elisa di Rivombrosa, Distretto di polizia ecc., ripensando il prodotto, sperimentando, ma anche interagendo più attivamente con il mondo della produzione indipendente e con quello autoriale e le sue creatività multimediali emergenti.

E difatti a Mediaset qualcosa si muove: alcune grandi serie come Squadra antimafia e L’onore e il rispetto saranno abbandonate, mentre si annunciano nuovi titoli. Una serie dedicata a Franca Sozzani, direttrice di Vogue Italia, per raccontare il made in Italy della moda e dei suoi talentuosi stilisti che ci hanno resi famosi nel mondo; Liberi sognatori, quattro film dedicati a eroi italiani che hanno sacrificato la vita per combattere la mafia; La valanga, che intende ricostruire il dramma dell’hotel di Rigopiano.

Un cambio di passo che punta sulla nostra storia, sui talenti e gli eroi del nostro paese e che tende a rafforzare la valenza sociale della fiction, una progettualità che per tematiche e intenti sembra però collocarsi più vicino al modello RAI che non a quelli più dinamici e innovativi della cosiddetta “televisione convergente”.

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La danza immobile https://www.fabriqueducinema.it/serie/recensioni-tv-serie-tv/la-danza-immobile/ https://www.fabriqueducinema.it/serie/recensioni-tv-serie-tv/la-danza-immobile/#respond Fri, 17 Mar 2017 16:48:17 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=4355 In queste settimane abbiamo assistito a una serie di movimenti tattici di palinsesto da parte delle reti ammiraglie, con cambiamenti improvvisi di programmazione intesi a rafforzare gli ascolti dei propri programmi. Canale5 ha invertito la programmazione de Il segreto (da domenica al venerdì) con quella di Amore pensaci tu (da venerdì a domenica), RAI1 ha […]

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In queste settimane abbiamo assistito a una serie di movimenti tattici di palinsesto da parte delle reti ammiraglie, con cambiamenti improvvisi di programmazione intesi a rafforzare gli ascolti dei propri programmi.

Canale5 ha invertito la programmazione de Il segreto (da domenica al venerdì) con quella di Amore pensaci tu (da venerdì a domenica), RAI1 ha lanciato la nuova fiction di Cinzia TH Torrini Sorelle al giovedì, anziché alla domenica, spostando A un passo dal cielo al martedì e ha riproposto le repliche di Che Dio ci aiuti alla domenica. RAI2 ha tolto la Porta rossa dal venerdì per non far concorrenza a Standing ovation, e così via.

Una danza di titoli che sembra movimentare i palinsesti, ma che in realtà ci riporta a logiche concorrenziali di altri tempi, quando le reti ammiraglie si contendevano il primato serata per serata con ascolti che, però, allora complessivamente superavano ampiamente il 50%.

I tatticismi di palinsesto, per posizionare i programmi, per “creare appuntamento” e fidelizzare il pubblico, rispondevano a logiche editoriali precise, finalizzate a consolidare non solo il primato del gruppo, ma soprattutto quello delle reti ammiraglie che, principali portatrici di pubblicità, dominavano il sistema televisivo generalista. Erano tempi in cui l’offerta televisiva limitata rendeva la costruzione dei palinsesti e il meccanismo antinomico di programmazione e contro-programmazione un fattore importante del successo.

Oggi, in un sistema digitale multicanale, in una dimensione di piena convergenza, in cui il pubblico strutturale delle TV generaliste non supera il 40% dell’audience, dove cresce la popolazione convergente che si muove con tranquillità da una rete all’altra, da un mezzo all’altro e dà sempre meno importanza agli appuntamenti fissi, ci si chiede se abbia ancora senso questo tatticismo esasperato delle reti leader, che spesso non solo non dà risultati, ma finisce per infastidire il pubblico.

Prendiamo ad esempio i cambiamenti citati. Venerdì 10 marzo Standing ovation, nonostante l’assenza della Porta rossa è calato al 14% di share, mentre il Segreto di Canale5 ha registrato il 12,4%: il totale delle due reti ammiraglie ha raggiunto solo il 26,6%. Domenica 12 marzo la replica di Che Dio ci aiuti 3 ha realizzato il 13% e Amore pensaci tu l’8%: totale delle due reti 21%. Giovedì 9 marzo la nuova fiction di RAI1 Sorelle si è imposta con un buon 23,5% di share mentre il film di Canale5 Philomena si è fermato all’8,25%: totale delle due reti 31%.

Dunque nessun evidente vantaggio per i programmi a seguito dei cambiamenti operati, ma solo la conferma che siamo in presenza di un processo di dispersione del pubblico che rende sempre meno efficaci i meccanismi di fidelizzazione alle reti. Anche le forti oscillazioni dell’audience del prime-time delle due principali reti generaliste (si passa dal 15% di una serata al 30% di quella successiva) indicano che si è persa quella stabilità degli ascolti che è stata in passato un importante indicatore della fedeltà alle reti.

In un sistema che offre molteplici opzioni, il concetto di gradimento finisce con il prevalere su quello di fedeltà, non si sceglie passivamente la rete ma si ricerca il programma più gradito.

In questa logica si collocano anche le performance delle new entry TV8 e NOVE, che hanno ottenuto risultati di ascolto significativi con programmi caratterizzati da un forte brand: Italia’s got talent (TV8) e Fratelli Crozza (NOVE), che hanno compensato la debole notorietà delle reti.

In questo scenario si ha pertanto la sensazione che quest’affannosa competizione quotidiana, che questo gioco dell’audience, con le sue sfide déjà-vu, con i proclami di vittoria alimentati dai media e dai siti internet, diventino per le reti generaliste, e in particolare per le due reti dominanti RAI1e Canale5, un utile alibi, che contribuisce a mascherare un congenito immobilismo progettuale e a ritardare quel profondo rinnovamento dell’offerta che il nuovo scenario televisivo richiederebbe.

 

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A chi giova quella porta (rossa) chiusa? https://www.fabriqueducinema.it/serie/auditel-tv-serie-tv/a-chi-giova-quella-porta-rossa-chiusa/ https://www.fabriqueducinema.it/serie/auditel-tv-serie-tv/a-chi-giova-quella-porta-rossa-chiusa/#respond Wed, 08 Mar 2017 12:51:18 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=4317 I numerosi fans de “La porta rossa”, la fiction di RAI2 scritta da Carlo Lucarelli e Giampiero Rigosi, si sono sorpresi ed anche irritati nello scoprire che la 4a puntata della serie televisiva, prevista per venerdì 3 marzo, era stata rinviata e sostituita con il film Non stop. La fiction che inizialmente aveva una cadenza […]

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I numerosi fans de La porta rossa”, la fiction di RAI2 scritta da Carlo Lucarelli e Giampiero Rigosi, si sono sorpresi ed anche irritati nello scoprire che la 4a puntata della serie televisiva, prevista per venerdì 3 marzo, era stata rinviata e sostituita con il film Non stop. La fiction che inizialmente aveva una cadenza bisettimanale, il mercoledì e il venerdì, nella nuova programmazione andrà in onda solo il mercoledì.

L’improvviso cambiamento di palinsesto trova una spiegazione nell’esigenza aziendale di evitare il ripetersi di una concorrenza interna con la rete ammiraglia, dopo che, il venerdì precedente, il 24 febbraio, Standing ovation, l’intrattenimento di RAI1condotto da Antonella  Clerici, aveva perso 3 punti (scendendo dal 18 al 15%), a fronte del buon risultato de La porta rossa con il 13,24% di share e 3,3 milioni di spettatori. Di fronte a questi risultati non sono mancate le critiche “del giorno dopo” nei confronti di una scelta definita autolesionista «per via dei profili di pubblico molto simili dei due programmi RAI» (entrambi molto femminili, con prevalenza di pubblico di età tra i 45-64 anni e sopra i 65).

In realtà, fino allora, la vera sfida del venerdì sembrava essere quella tra le due fiction in campo, La porta rossa di RAI2 e Amore pensaci tu di Canale5. Una sfida, peraltro, ampiamente vinta da RAI2, considerato il forte calo degli ascolti di Canale5 passato dal 12,2% di share (2,8 milioni) al 9,7% (2,3milioni).

Il ripensamento della RAI nasce probabilmente da un’iniziale sottovalutazione della fragilità del varietà di RAI1, emersa con evidenza in occasione del confronto diretto con La porta rossa, una serie pensata per RAI1 e poi spostata su RAI2 per via del suo “taglio molto sperimentale”, dai forti toni noir, in cui poliziesco e sovrannaturale s’intrecciano in un solo racconto.

Una decisione questa che indica come la programmazione della fiction su RAI2 rimanga comunque problematica, a causa sia dei pochi spazi di palinsesto disponibili, sia dei rischi di sovrapposizione di pubblico con RAI1, inevitabili se si considera che le reti RAI hanno storicamente target di riferimento simili: il cosiddetto “pubblico fedele RAI”, che ha un profilo molto tradizionale e si muove preferibilmente all’interno dei canali della televisione di Stato. I prodotti di fiction, in particolare, per quanto innovativi, risentono di questa contiguità di pubblici e richiedono tempi lunghi per ritagliarsi e fidelizzare i target più giovani e dinamici.

D’altra parte l’intento di riportare la fiction su RAI2 è un progetto recente, che comporta non solo la ricerca di nuovi stili e linguaggi, ma anche la definizione di un assetto di palinsesto stabile e aziendalmente coerente. Finora, alternandosi sulle due sole giornate disponibili, mercoledì e venerdì, RAI2 è riuscita ad avviare un percorso virtuoso prima con il rilancio del trasgressivo Ispettore Coliandro, poi con il dissacrante Rocco Schiavone e ora con La porta rossa, che con i suoi circa 3,3 milioni di telespettatori e un 13% di share (nelle prime tre puntate), nettamente superiore alle medie di rete, apre nuovi interrogativi: qual è il limite del successo consentito a RAI2 in relazione agli obiettivi di ascolto e pubblicitari della rete ammiraglia? Quale sarebbe stata la resa di questa fiction contesa fra le due reti se programmata su RAI1? E di conseguenza quali sono i criteri di assegnazione fra le diverse reti (tasso di sperimentazione, linguaggio, aspettative di ascolto)?

Tornando al nostro venerdì 3 marzo, l’assenza de La porta rossa, e una RAI2 ridimensionata (7,6% di share), sembra, in effetti, aver ridato un po’ di fiato a RAI1, con Standing ovation risalita al 17% (3,8 milioni).

Ma se guardiamo al futuro, a condizionare e a colorire i prossimi venerdì sarà la presenza di un “piccolo grande outsider”. Mi riferisco ai sorprendenti ascolti del debutto di Fratelli di Crozza, che sempre venerdì 3 marzo, su rete NOVE, canale del gruppo Discovery-Italia (Dmax, Focus e Real Time) ha realizzato un ascolto di 1.471.000 telespettatori pari al 5,5% (a fronte di una media di rete intorno all’1%), facendo percepire la dinamicità della televisione “convergente” (che ciò può essere fruita su più strumenti e piattaforme, PC, tablet, cellulare ecc.), con un “simulcast” su tutte le altre reti del gruppo che ha portato l’ascolto complessivo a oltre due milioni di telespettatori e uno share del 7,7%.

Crozza sembra diventato insomma un “brand televisivo” capace di spostare un pubblico rilevante su un piccolo canale digitale, aprendo nuove prospettive di mercato e anche di programmazione per la cosiddetta “popolazione convergente”.

 

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La nuova stagione della fiction di Mediaset si apre con un esordio deludente, a fronte dei buoni andamenti della fiction di RAI1 e all’imminente e atteso debutto di quella di RAI2 (Porta rossa).

Il primo titolo messo in onda da Canale5 nel 2017, Il bello delle donne… alcuni anni dopo, revival, in 8 puntate, di un grande successo degli anni  passati (2001-2003), ha raggiunto un ascolto del 12% nelle prime due puntate, pari a circa 3 milioni di telespettatori, per scendere ulteriormente, nella terza puntata di venerdì 27 gennaio, al 10,93% e a 2,6 milioni circa di spettatori, in assenza, peraltro, di una significativa contro programmazione di RAI1 (intorno al 14% rispettivamente con Music quiz – Speciale Porta a porta – Music quiz).

Si tratta di un insuccesso che si inserisce nella scia di altri risultati deludenti che hanno riguardato molte delle serie TV proposte da Canale5 nel 2016. Per questo alcuni osservatori parlano di una fase critica della fiction Mediaset, che, attenta solo ai target commerciali, non avrebbe saputo rinnovare la propria offerta e adeguarsi alle forti trasformazioni del sistema televisivo, le cui ricadute sui gusti, sulle abitudini di consumo e sulla stessa composizione dei pubblici di riferimento avrebbero invece richiesto un ripensamento delle strategie editoriali di un genere fondamentale per le reti generaliste.

Senza entrare nel merito di queste riflessioni, che potranno trovare più o meno conferma nei prossimi mesi, è indubbio che la RAI in queste ultime stagioni abbia saputo, con maggior efficacia, consolidare e ampliare il magazzino dei propri titoli “sicuri”, dimostrando una maggior dinamicità anche nella sperimentazione di nuovi percorsi narrativi (si pensi a L’allieva, alla Mafia uccide solo d’estate, a Rocco Schiavone, ai Bastardi), con il risultato che il divario tra la fiction di RAI1 e quella di Canale5 è sensibilmente aumentato.

Questa maggiore solidità dell’offerta RAI è anche riferibile, almeno in parte, a un’accurata strategia di programmazione, imperniata sulla stabilità e sul costante presidio delle collocazioni di palinsesto, peraltro funzionali alle scelte produttive (si pensi alla potenzialità delle tre serate consecutive di fiction: domenica, lunedì e martedì, che hanno consentito sia di gestire con grande flessibilità le “delicate” e preziose miniserie in due puntate, punto di forza dei piani di fiction degli anni passati, sia di alternarle con la lunga serialità, sia di sfruttare tatticamente i possibili raddoppi ravvicinati delle puntate).

La fidelizzazione del pubblico alla fiction RAI è stata senza dubbio facilitata dal fatto di poter contare su un forte bacino di spettatori più anziani, ma è stata perseguita con costanza attraverso la costruzione di appuntamenti fissi coerenti in termini di target di riferimento e di tipologia di prodotto, come nel caso della serata del giovedì. Un appuntamento, quello del giovedì, che nasce in tempi lontani, con Don Matteo 4, per contrastare il successo del reality il Grande Fratello (le cui prime edizioni furono programmate di giovedì), con una contro programmazione totalmente alternativa per genere e per audience, che si è poi consolidata nel tempo grazie al sapiente avvicendamento di alcune  nuove brillanti commedie familiari con l’inossidabile Don Matteo.

Tornando all’attuale scenario presidiato da titoli di RAI1 come Che Dio ci aiuti, Un passo dal cielo, I bastardi di Pizzofalcone, per la fiction Mediaset si profila una stagione particolarmente delicata, in cui i margini di manovra dei prodotti in arrivo rischiano di restringersi anche a fronte della recente entrata in scena di un nuovo competitor: RAI2.

La seconda rete della RAI, dopo essere stata (fine anni ’80-primi anni ’90) l’incubatrice della moderna fiction televisiva, grazie alle felici intuizioni del suo direttore Giampaolo Sodano (va ricordato che anche il mitico Commissario Montalbano nasce su RAI2, dove furono trasmesse le prime tre serie), aveva progressivamente abbandonato questo genere televisivo per sostituirlo con i telefilm seriali americani, che sono stati, e rimangono in parte, un suo asset identitario.

Ora RAI2 modifica la sua strategia e reinveste nella fiction, cercando ovviamente di differenziarsi da RAI1 con serie innovative, adatte al suo pubblico di riferimento più giovane e dinamico.

I titoli finora messi in campo, Ispettore Coliandro, Rocco Schiavone e l’imminente Porta rossa (un mistery firmato «dalla penna del maestro del noir Carlo Lucarelli», con Lino Guanciale e Gabriella Pession, regia di Carmine Elia), si collocano in questa prospettiva.

Con l’entrata in scena di RAI2 e con il conseguente maggior affollamento degli appuntamenti di fiction assisteremo probabilmente a nuovi riposizionamenti di palinsesto e/o a nuove interessanti sfide come quella tra Rocco Schiavone (RAI2) e Solo (Canale5) dello scorso novembre.

* Sociologo e giornalista, è stato dirigente della RAI dove ha ricoperto importanti incarichi nella sperimentazione, nel marketing di prodotto e nell’area palinsesti e strategie editoriali. È stato autore e redattore in numerosi programmi televisivi tra cui Mixer di Giovanni Minoli, Un po’ artista un po’ no, Eureka e Numeri zero e supervisore della soap Un posto al sole.

 

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