Pier Paolo Pasolini Archivi - Fabrique Du Cinéma https://www.fabriqueducinema.it La Rivista Del Nuovo Cinema Italiano Mon, 21 Jun 2021 17:26:57 +0000 it-IT hourly 1 Accattone di Pier Paolo Pasolini, intellettuale corsaro https://www.fabriqueducinema.it/magazine/opera-prima/accattone-di-pier-paolo-pasolini-intellettuale-corsaro/ https://www.fabriqueducinema.it/magazine/opera-prima/accattone-di-pier-paolo-pasolini-intellettuale-corsaro/#respond Tue, 13 Nov 2018 09:23:35 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=11810 Pier Paolo Pasolini è stato un intellettuale corsaro, come i suoi scritti, e uno dei più grandi protagonisti del Novecento italiano. La sua vita ha destato scandalo, il mistero irrisolto del suo omicidio fa ancora discutere e la sua impronta sulla storia del cinema e della letteratura è indelebile. Pasolini inizia a lavorare nel mondo […]

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Pier Paolo Pasolini è stato un intellettuale corsaro, come i suoi scritti, e uno dei più grandi protagonisti del Novecento italiano. La sua vita ha destato scandalo, il mistero irrisolto del suo omicidio fa ancora discutere e la sua impronta sulla storia del cinema e della letteratura è indelebile.

Pasolini inizia a lavorare nel mondo del cinema nel 1954 come sceneggiatore per Soldati, Fellini e Bertolucci (per il suo esordio, La commare secca), che era anche il suo aiuto regista in Accattone. L’opera prima di Pasolini è stata costellata di problemi in fase di produzione e distribuzione: Accattone (1961) doveva essere prodotto da Federico Fellini che però si era tirato indietro all’ultimo momento, scontento del girato giornaliero, valutato come sgrammaticato, consigliando lapidario a Pasolini «torna a scrivere, è meglio».

La pellicola del regista friulano è una metafora di quella parte di Italia che vive nelle periferie delle grandi città, senza poter sperare di migliorare la propria condizione. La scelta di utilizzare soprattutto attori non-professionisti, nasce dalla convinzione di Pasolini che i ragazzi di vita non siano rappresentabili, poiché sono soggetti incontaminati e privi di sovrastrutture sociali.

accattone

Accattone è il soprannome di Vittorio Cataldi (un iconico Franco Citti), un sottoproletario che tenta di sopravvivere nella periferia romana. Accattone vive di espedienti, lascia la moglie, tradisce gli amici, sfrutta una prostituta, ruba, si mette nei guai e perde la vita in un incidente. Pasolini ritrae in modo impietoso, ma per certi versi glorificante, una gioventù sola e disgraziata ma anche felice, in modo spudorato e incontenibile. Accattone è un film duro, come era dura la vita nelle periferie del mondo, ma è anche poetico, un inno all’amore per gli esseri umani fragili, corrotti e senza speranze.

Il costo approssimativo del film si aggira intorno al budget di una pellicola di serie B, circa cinquanta milioni. Presentato alla 26ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia – fuori concorso – il 31 agosto 1961, il film di Pasolini riceve critiche e aspre contestazioni. Memorabile la prima romana del film, al cinema Barberini, dove un gruppo di giovani neofascisti cerca di impedirne la proiezione, lanciando contro lo schermo bottiglie d’inchiostro e finocchi, per sbeffeggiare l’omosessualità di Pasolini. Il film riceve anche il blocco della censura, Accattone infatti è stato il primo film del cinema italiano ad essere vietato ai minori di 18 anni.

L’esordio di Pasolini viene spesso catalogato come uno dei film più importanti della storia del cinema italiano, ma è anche un simbolo di innovazione e di un nuovo tipo di autorialità. Il punto di forza della pellicola sta nel realismo della recitazione, Pasolini fotografa la realtà come nessun altro regista sa fare, anche se non è visionario come Fellini e non ha la padronanza tecnica del mezzo che caratterizza la regia di Antonioni. Mette in scena la vita vera così come è ed è questo che rende il suo cinema la perfetta metafora della realtà.

accattone

La macchina da presa di Pasolini segue il protagonista lungo le strade polverose di un’estate romana bruciata dal sole, nella borgata, tra le baracche e le macerie, e lo fa con uno stile essenziale: pochi movimenti di macchina, numerosi primi piani, con quello stile un po’ agé da film muto. Con la splendida fotografia in bianco e nero di Tonino Delli Colli e il montaggio dal ritmo perfetto di Nino Baragli, che contribuiscono a una resa perfetta dei tempi e delle immagini.

Accattone con i suoi ladri e le sue prostitute, mostrando l’ultimo tra gli ultimi, strappa il cinema alle star di Hollywood e regala ai suoi ragazzi di vita un posto nell’immaginario comune del novecento. Pasolini porta sul grande schermo un cinema poetico che non si fa merce e non serve il potere, scomodo e sincero. Questo lo sapeva bene, di Accattone lui stesso diceva «non sarà nemmeno un film bello, non lo so; l’ho immaginato come un film angoloso, fuori delle regole, con la macchina da presa costantemente puntata sulle facce dei protagonisti. Sarà comunque un film sincero».

Er mondo è de chi cià li denti, ci ricorda il film, il cinema è di chi ha uno sguardo nuovo sulle cose e nessuna paura, come Pier Paolo Pasolini che non voleva compiacere nessuno, solo far sentire la sua voce.

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Ermanno Olmi, artigiano e sperimentatore https://www.fabriqueducinema.it/magazine/icone/ermanno-olmi-artigiano-e-maestro/ https://www.fabriqueducinema.it/magazine/icone/ermanno-olmi-artigiano-e-maestro/#respond Tue, 08 May 2018 12:39:13 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=10261 Ermanno Olmi (Bergamo 1931 – Asiago 2018) è uno dei cineasti più grandi che il cinema italiano abbia mai avuto. I dettagli della sua biografia, oltre che della sua carriera di regista, ne fanno una figura letteralmente eccezionale nella storia della cultura del nostro Paese. Nato da famiglia operaia, formatosi dentro l’ultima propaggine della cultura […]

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Ermanno Olmi (Bergamo 1931 – Asiago 2018) è uno dei cineasti più grandi che il cinema italiano abbia mai avuto. I dettagli della sua biografia, oltre che della sua carriera di regista, ne fanno una figura letteralmente eccezionale nella storia della cultura del nostro Paese.

Nato da famiglia operaia, formatosi dentro l’ultima propaggine della cultura contadina nel Novecento, Olmi è sempre stato un autodidatta: iniziato al cinema dagli esperimenti condotti nel campo del documentario industriale – che allo stesso tempo gli garantirono grande libertà espressiva e accesso a macchine e tecnologie d’avanguardia (basti pensare all’impiego del Cinemascope per raccontare la grande epopea dell’industria elettrica Edisonavolta) – resta per tutta la vita un autore artigiano che spesso inventa e talvolta anche costruisce con le sue stesse mani dispositivi tecnici (famoso il suo monopiede di legno senza aggancio, sul quale poggiare senza vincoli la macchina sostenuta dal corpo dell’operatore) e corredi per la messa in scena (si pensi alle armi e a complementi per alcuni dei costumi  di Camminacammina 1983).

Autodidatta anche nella costruzione della sua cultura personale – ricchissima, composita, articolata, trasversalmente nutrita di molte letture eccentriche, di musica, di teatro, di pittura -, Olmi ha incontrato e lavorato insieme a molte delle figure di spicco della letteratura italiana – tra gli altri l’amico Mario Rigoni Stern con il quale ha scritto diversi dei suoi documentari e del quale ha cercato di trasporre per il cinema Il sergente nella neve, vedendosi poi costretto alla rinuncia – e più in generale della cultura europea (scrisse insieme a Pier Paolo Pasolini due dei suoi primi cortometraggi, Manon, finestra due e Grigio; fu produttore di L’età del ferro di Roberto Rossellini, tra i suoi riferimenti cinematografici più diretti; realizzò una registrazione in video di uno dei lavori teatrali di J. Grotowski, Apocalypsis cum figuris).

Troppo spesso schiacciato dalla critica italiana nell’angusto e riduttivo ruolo di “regista cattolico”, Olmi ha raccolto durante tutto l’arco della sua carriera riconoscimenti e onori in tutto il mondo (guadagnandosi la Palma d’Oro nel 1978 con quello che ancora oggi è considerato tra i suoi lavori più celebri e più compiuti, L’albero degli zoccoli, e il Leone d’Oro dieci anni più tardi per il suo primo cimento produttivamente internazionale, La leggenda del santo bevitore), conservando un rigore e una coerenza di rara intensità e continuità, seguitando a scrivere e dirigere con lucida maestria fino alle ultime stagioni, firmando negli anni più recenti due film testamento come Torneranno i prati (che riprende il discorso pacifista iniziato con I recuperanti portandolo a compimento in una trasfigurazione implicitamente autobiografica) e Vedete, sono uno di voi, raffinatissimo documentario a metà tra cinediario e film saggio.

Poeta del racconto essenziale ed ellittico, sperimentatore instancabile e prolifico, Ermanno Olmi è stato  anche grande direttore d’attori, forse grazie alla sue esperienza teatrale, capace di guidare con precisione ed efficacia star internazionali – Rutger Hauer, Rod Steiger, Michael Lonsdale – e attori non professionisti, accordandone e contemperandone in una tela armoniosa voci e gesti.

Olmi, sempre particolarmente attento alle istanze e alle vicende dell’infanzia e della prima giovinezza che spesso ha messo al centro dei suoi film, è stato uno dei cineasti italiani più attivamente e più lungamente impegnato nell’educazione e nella guida di nuove generazioni di filmmaker. Dalla sua “scuola informale” Ipotesi cinema hanno preso il via, nei primi anni Ottanta, le strade di molti dei registi italiani degli ultimi quarant’anni, e così hanno seguitato a fare nuove leve cinematografiche dopo che il collettivo olimano ha ricominciato gli incontri e i lavori presso la Cineteca di Bologna nei primi anni Duemila.

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Grieco: “Quello che vi hanno raccontato su Pasolini è un film della Pixar” https://www.fabriqueducinema.it/cinema/recensioni/grieco-quello-che-vi-hanno-raccontato-su-pasolini-e-un-film-della-pixar/ https://www.fabriqueducinema.it/cinema/recensioni/grieco-quello-che-vi-hanno-raccontato-su-pasolini-e-un-film-della-pixar/#respond Mon, 04 Apr 2016 07:31:19 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=2949 Il regista de “La macchinazione” ci racconta il film che vuole fare finalmente luce sul delitto del grande intellettuale, compreso il coinvolgimento della P2. Per parlare de La macchinazione, il film di David Grieco dedicato agli ultimi mesi di vita di Pier Paolo Pasolini, è necessaria una premessa che vi racconteremo in forma di un aneddoto incentrato […]

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Il regista de “La macchinazione” ci racconta il film che vuole fare finalmente luce sul delitto del grande intellettuale, compreso il coinvolgimento della P2.

Per parlare de La macchinazione, il film di David Grieco dedicato agli ultimi mesi di vita di Pier Paolo Pasolini, è necessaria una premessa che vi racconteremo in forma di un aneddoto incentrato sul pressbook. Parliamo della cartella stampa con informazioni e note di regia fornita come sempre a cronisti e critici per prepararli alla visione del film. Ebbene, raramente capita di appassionarsi così tanto solo sfogliando quelle pagine, in cui il regista ha voluto inserire una cronistoria della vera e propria persecuzione mediatica e politica del grande intellettuale, con una ricostruzione dettagliata di tutte le tappe che hanno portato al suo assassinio e a quei fatidici mesi descritti nel film.

Questo per dire che La macchinazione, interpretato da un Massimo Ranieri incredibilmente somigliante, non è da valutare soltanto in base ai classici parametri di una recensione, poiché ciò che colpisce in esso è soprattutto la volontà di fare chiarezza su tanti aspetti cruciali di questo triste pezzo di Storia italiana. Prima di tutto sulla dinamica dell’omicidio, che le indagini dei decenni successivi hanno provato essere ben più di una semplice notte di sesso andata male. Fondamentale però è anche il collegamento dell’assassinio con Petrolio e con la velata denuncia rivolta tramite quelle pagine da Pasolini a Eugenio Cefis, un personaggio oscuro dell’industria italiana legato anche alla fondazione della P2. Ma la chiarezza riguarda anche la complessità del pensiero di questo grande personaggio, che in tempi non sospetti già prevedeva la progressiva perdita di senso e di “pietà” del nostro contemporaneo, così come mostra un grezzo ma molto ben piazzato flash-forward (o visione, che dir si voglia) di un futuro abitato da masse spersonalizzate, trasformate in una disumana sequela di numeri.

Come nasce l’esigenza di realizzare oggi un film su Pier Paolo Pasolini?

L’esigenza ce l’ho da 40 anni, solo che speravo lo facesse qualcun altro. Invece mi sono guardato intorno, ho visto che non c’era rimasto più nessuno e ho pensato: stai a vedere che tocca proprio a me? La molla però è stata la mancata collaborazione con Abel Ferrara. Dovevo scrivere il suo film ma non ci siamo trovati per niente. Ora dopo tutto quello che ho passato mi sento anche di ringraziarlo per avermi dato la spinta necessaria a cominciare il progetto.

La scelta è caduta subito su Massimo Ranieri?

Immediatamente. Ancora prima di cominciare a scrivere il film l’ho chiamato e gli ho detto: “Se tu lo fai, allora lo scrivo”. Non avevo alcuna intenzione di fare un casting per cercare Pasolini o di prendere un attore straniero. Lui mi ha risposto che lo voleva fare ma era intimorito, e dato che anch’io avevo paura gli ho suggerito che forse questo era il carburante migliore per imbarcarsi in un’opera così ambiziosa e folle.

Cosa manca di più all’Italia, oggi, di Pasolini?

Beh, Pasolini stesso. Intellettuali così non ce ne sono più nemmeno all’estero: in quegli anni ce n’erano in Francia e anche in Germania e noi avevamo Pier Paolo. Ma questo lo sanno benissimo anche i giovani che oggi leggono le sue opere e lo capiscono molto meglio di quanto lo capivamo noi all’epoca. Perfino io che ero suo amico lo consideravo un rompiscatole e perciò gli contestavo tutto, come fanno i figli con i padri. Dopo 40 anni quello che lui vedeva arrivare è arrivato, eccome, quindi non c’è neppure più bisogno di ulteriori spiegazioni.

Parliamo della ricostruzione del delitto: nel film tiri in ballo anche la Banda della Magliana, i servizi segreti, la stessa industria del cinema con una precisione che non lascia spazio al “non detto”.

Ho voluto chiamare le cose per nome. Non volevo fare un film “fighetto” perché Pasolini non me l’avrebbe perdonato e perché, in generale, non è nel mio impulso. Ho cercato di ricostruire ciò che Pasolini è stato, quello che gli hanno fatto e soprattutto perché gliel’hanno fatto, non tanto per la mia generazione ma per quelle più giovani. Perché bisogna ricominciare a parlare di lui.PPP

Nonostante tutte le prove emerse nel corso degli anni c’è ancora chi dice che “se l’è cercata”…

Sì, questo è stato il loro alibi. Era facile uccidere un omosessuale nell’Italia di allora e di oggi, e si sentivano così forti di questa copertura che hanno commesso una marea di errori. Personalmente amo la magistratura e la giustizia, ma 40 anni dopo abbiamo ancora una sentenza grottesca che è peggiore di tutte quelle che sono state emesse sulle varie stragi italiane. Perché in quella sentenza non c’è una parola vera. In quella su Moro o sulla strage di Bologna c’è almeno una parte di verità, qui invece proprio nulla. La Storia e la Giustizia italiana hanno scritto un film completamente diverso, un film della Pixar che non c’entra proprio nulla con quel che avvenne quella sera.

Quindi si è trattato indubbiamente di una macchinazione, come dice il titolo. Il che spinge a chiedersi quali fossero le ragioni che hanno portato a organizzarla.

Le ragioni sono evidenti. Se fossi stato un politico corrotto o un agente dei servizi segreti, che a tutto risponde tranne che al suo Stato, o un’eminenza grigia nell’ombra della realtà italiana, anche io lo avrei ucciso. Ma non avendo le sottigliezze di queste persone, l’avrei ammazzato in modo semplice, come potrebbero ammazzare me uscendo di casa. Invece hanno voluto costruirci intorno questa macchinazione. D’altra parte Pasolini scriveva sui giornali cose che nessuno nel mondo ha mai avuto il coraggio di scrivere sulle trame oscure che vedeva nel proprio Paese. Mino Pecorelli, giornalista di destra, e Mauro De Mauro, giornalista di sinistra, sono stati uccisi per molto meno.

Parlando sempre di Mattei, e quindi di Cefis, è raro che si parli del delitto Pasolini in connessione con la P2, come hai fatto invece tu.

È qualcosa che mi è stato evidente riprendendo in mano Petrolio e rileggendolo in vari modi. Tutti si sono chiesti cosa fosse esattamente questa opera: un romanzo, un saggio, nessuno di questi ecc. In realtà Petrolio è la scoperta della P2. Pasolini non gli sapeva dare un nome, così come all’inizio non sapevamo darglielo noi diversi anni dopo quando abbiamo scoperto che esisteva. Ma Petrolio, come diceva Pasolini, è semplicemente mettere in collegamento le cose fra loro e tirarne le somme, e quindi è la descrizione di una rete di potere tentacolare che altro non è se non la P2. Persone più preparate di me hanno scritto di Petrolio, ma questa cosa, che a me pare di un’evidenza assoluta, è sfuggita a tutti.

In collaborazione con Radio Kaos

 

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