piattaforme streaming Archivi - Fabrique Du Cinéma https://www.fabriqueducinema.it La Rivista Del Nuovo Cinema Italiano Wed, 01 Sep 2021 15:06:55 +0000 it-IT hourly 1 Anna Foglietta tra cinema pop e indipendente: «Ma dentro tremo» https://www.fabriqueducinema.it/cinema/interviste/anna-foglietta/ Thu, 15 Apr 2021 08:50:45 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=15443 Quattro candidature ai David, una ai Globi d’Oro, altre cinque ai Nastri d’Argento più due vittorie: quando le elenco tutti i riconoscimenti della sua carriera, come previsto Anna Foglietta ride e fa un gesto netto con la mano, come a dirmi “non è niente di ché”. Sappiamo che non è così, soprattutto perché del percorso […]

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Quattro candidature ai David, una ai Globi d’Oro, altre cinque ai Nastri d’Argento più due vittorie: quando le elenco tutti i riconoscimenti della sua carriera, come previsto Anna Foglietta ride e fa un gesto netto con la mano, come a dirmi “non è niente di ché”. Sappiamo che non è così, soprattutto perché del percorso di Anna Foglietta colpisce un insolito e invidiabile equilibrio.

Cammina, funambolica, tra la gavetta a teatro e l’esordio in televisione, fino a quel fortunato salto in lungo dritta nel cinema mainstream dei grandi incassi. Diventa un volto della commedia italiana, che si traduce anche in popolarità e guadagno economico, eppure continua a scegliere puntualmente l’incognita del cinema indipendente e delle opere prime. E, a dirla tutta, ci vede piuttosto lungo.

A oggi potresti rilassarti, comodissima, su progetti che incassano senza troppe fatiche. Che vuol dire per te scegliere di investire in un’incognita e non soltanto in grandi produzioni e registi noti?

Io la vedo come un’incognita solo in parte: anche i grandi registi possono commettere un errore e non centrare un film. Sono molto attratta dalle opere prime e dai giovani perché hanno uno sguardo sul reale che è completamente diverso dal mio e che mi aiuta a comprendere come comunicare con le nuove generazioni. È una questione anagrafica, ma è anche vero che ora le cose vanno talmente più veloci rispetto a prima, che un divario di dieci anni pesa come un trentennio di differenza.

A volte ho l’impressione che tu ti senta più a tuo agio nel cinema indipendente: ci ho preso?

Ci hai preso, è assolutamente così. Credo di sentirmi più libera. Se si va a snocciolare la mia carriera è un po’ particolare: ho fatto una grande gavetta ma ho avuto anche la fortuna di iniziare a lavorare nel mainstream super pop. Arrivando dal teatro ho esordito in TV con La squadra, che in realtà era un prodotto indipendente nel panorama televisivo dell’epoca: tra sceneggiatura, regia e cast, c’era un taglio che poi magari non ho ritrovato in Distretto di polizia. Poi ho iniziato a lavorare con i grandi maestri della commedia, in primis Carlo Vanzina, e ho fatto il cult movie di Massimiliano Bruno, Nessuno mi può giudicare. Insomma, sono stata lanciata nella grande commedia all’italiana diventandone uno dei volti, ma in parallelo sentivo che non era esattamente il ruolo per il quale avevo iniziato a fare questo mestiere.

Ti mancava qualcosa?

Non c’è un filone nel quale voglio rientrare, però ci sono delle cose che mi piace esplorare. Ecco, nel momento in cui ho avuto l’opportunità di essere lanciata da film che hanno incassato e mi hanno resa popolare, offrendomi anche candidature e premi, ho potuto permettermi di ritagliarmi delle piccole oasi di sperimentazione. Parallelamente al filone più pop, ho provato anche a crescere senza abbandonare la motivazione che mi ha spinto a fare questo mestiere: la ricerca.

Ora immagino ti capiti di dover scegliere tra un film “pop” e un’opera indipendente: come ti muovi di fronte a questi bivi?

Posso dire con grande onestà intellettuale che per me l’aspetto economico e contrattuale ha sempre una rilevanza minore. Sono una donna che si è formata in una condizione socio-economica molto umile, quindi non ricerco per forza gli agi. Negli ultimi dieci anni le mie scelte sono state dettate solo dall’interesse, ma prima era diverso. Ricordo bene quando sono arrivati i primi guadagni. La mia prima pubblicità fu nel 2000. Fa davvero molto ridere, immagina: mi chiama Gabriele Muccino per uno spot delle Pagine Gialle. Mi danno 5 milioni di lire per due giorni di riprese. Io guadagnavo 30 mila lire a replica a teatro, facendomi un mazzo incredibile. All’epoca con mia madre ci prendevamo il Porto, il liquore, alle cinque del pomeriggio: sembravamo due anziane, parlavamo nel nostro salottino e ci dicevamo: «Ma ti rendi conto? Secondo me si so’ sbagliati».

Ci si abitua mai a guadagnare bene?

Forse crescendo. Credo sia parallelo a un discorso di dignità: le scelte che fai devono ricevere anche una gratificazione economica per iniziare davvero a goderti quello che hai costruito. Ci si abitua davvero? Io vengo da una famiglia modesta e il fatto che sono diventata una persona che può permettersi degli agi l’ho vissuto quasi come un tradimento. Il denaro però per me ha un’importanza, soprattutto rispetto ai miei figli: non mi piace che abbiano l’idea che sia tutto semplice, lo trovo volgare e raccapricciante. Di contro, se c’è da concedermi il lusso di un regalo, ora penso che me lo sono sudato e quindi è giusto che io me lo conceda.

Mi fa sorridere che tu abbia utilizzato il concetto di «tradimento»: è lo stesso che uso con la mia psicoterapeuta quando parlo del rapporto con i soldi.

Infatti ci ho scritto uno spettacolo su questo, si intitola La bimba col megafono e parla proprio del percorso di elaborazione in cui deve emanciparsi dalla sua condizione proletaria, per usare un termine un po’ marxista. Ma non ho mai dimenticato le mie origini e ne sono orgogliosa.

Anna Foglietta in Un giorno all'improvviso
Anna Foglietta in “Un giorno all’improvviso”.

Un giorno all’improvviso di Ciro D’Emilio è stato un “cavallo indipendente” vincente: come è nato quell’incontro?

È arrivato nella mia vita nel 2014. Succede che sto girando Tutta colpa di Freud di Paolo Genovese, dove Emanuela Ianniello, la moglie di Ciro D’Emilio, è l’assistente di edizione. È lei a segnalarmi a Ciro per Un giorno all’improvviso. Io davvero non so come abbia fatto ad intravedere in me quel personaggio mentre sul set interpretavo una trentenne rampante, super up e omosessuale, che poi decide di diventare etero: piena commedia. Le devo molto per aver colto qualcosa ed essere stata così lungimirante. A detta sua potevo essere adatta a interpretare una madre affetta da narcisismo patologico che viene accudita dal figlio quindicenne. Ed è così che arrivo a leggere la sceneggiatura: è potente e dolorosissima, do la mia disponibilità e firmo la lettera d’intenti. Poi passano tre anni finché Ciro non mi richiama e cominciamo a lavorare.

E non passano tre anni qualsiasi: Noi e la Giulia, Perfetti sconosciuti, Il premio, uno dietro l’altro. Qualcuno, al tuo posto, forse ci avrebbe ripensato…

Questa è una di quelle scelte che non fai minimamente per soldi. Mio marito mi diceva: «Ti vai a fare ’sto bagno di dolore, ma sei sicura? Con tre figli, pensaci, lavori tanto, sei stanca». Ma sapevo che era una di quelle cose importanti che dovevo fare nella vita, e col senno del poi devo riconoscermi un certo fiuto per queste storie. E poi è come andare in palestra: prima ti dedichi alle spalle, poi tapis roulant e poi un po’ di trazioni. Ogni linguaggio dell’attore va allenato come fosse un muscolo diverso. L’attore deve sempre essere molto tonico: nel flaccidume la recitazione non trova un terreno fertile.

Deve essere tosto, però, il passaggio continuo tra una grande produzione e «un bagno di dolore». Non hai mai paura?

Io ho molta paura. Sono una donna che risulta assolutamente risoluta e forte, ma facendo questo mestiere ovviamente non lo sono. Mi auto-convinco ma dentro tremo. Ogni volta che inizio un nuovo progetto, soprattutto questi film “da salto nel vuoto”, ho crisi di ansia, non dormo, ho mal di testa. Si instaura uno schema fisico di malessere che quasi è diventato un rito scaramantico: spero che il mio corpo lo produca perché così mi preparo. In realtà è un travaglio: ho paura ma poi mi dico anche che si può sbagliare, non è detto che ogni volta la scelta sia giusta. Però mi ritrovo quasi sempre a riguardare il progetto e dirmi che ho fatto bene.   

Per esempio Il contagio di Botrugno-Coluccini è un’opera prima indipendente che avrebbe meritato più risonanza, non trovi?

Parliamo di due pezzi di cuore, Matteo e Daniele sono due amici fraterni per me, come Ciro. Un giorno all’improvviso è stato in concorso a Orizzonti a Venezia, Il contagio alle Giornate degli Autori, sono due riflettori diversi nello stesso Festival. Credo che il film di Ciro abbia avuto una strategia di comunicazione e un impatto mediatico differente, e che la critica lo abbia amato particolarmente, era una partitura perfetta. In maniera diversa, Il contagio è piaciuto ma non completamente, veniva da un romanzo apprezzatissimo e il confronto tra letteratura e cinema è sempre complicato. Resta il fatto che rispetto al panorama generale è una spanna sopra alla media.

E poi nel cinema indipendente non è neanche detto che il termometro del successo arrivi nelle mani del pubblico. Come ti spieghi allora certi exploit di popolarità?

Vabbè, dipende anche molto dal sapersi proporre e vendere. Non cito nessuno perché rischierei di essere fuori luogo e sgradevole [ride]. Ci sono film che sono stati osannati dalla critica e li trovo più che mediocri, anzi, ruffiani e furbetti. Però evidentemente non ci capisco niente io e ci capiscono tutto gli altri.

La cosa ti fa arrabbiare?

Rispetto a questo mercato e a queste logiche di venerazione io mi trovo francamente impreparata e incredula. Ho smesso di arrabbiarmi perché penso che certe cose vadano comprese, piuttosto che opporsi. Ma continuo a preferire l’onestà di certi altri progetti.

Anna Foglietta in Il contagio
Anna Foglietta in una scena de “Il contagio”.

Qui entrano in gioco anche le piattaforme streaming on-demand. Stiamo andando nella stessa direzione del giornalismo online? Un “dentro tutti” in cui pesci buoni e cattivi convivono nello stesso acquario?

Tante volte inizio un film ma se non mi piace, dopo dieci minuti lo interrompo. Questa è la risposta che credo debba essere più analizzata: lo facciamo tutti. I film sulle piattaforme streaming non si vedono: si consumano. Li mettiamo, li cambiamo, non ce ne frega niente di arrivare fino in fondo ma ci permettiamo di giudicarli senza averne visto nemmeno la metà. Ma che vuol dire? Al cinema sei lì, ti concentri, cerchi di entrare in una storia e coglierne gli aspetti, poi hai tutti gli elementi per poter valutare. È inevitabile che i film sulle piattaforme siano visti con meno attenzione. Ormai esiste il fenomeno del Double Screen: mentre guardo la TV consulto il cellulare. Però si è capito quanto margine di fruizione ci sia sulle piattaforme e quindi si produce tantissimo, e di conseguenza nella massa dell’offerta la qualità a volte rischia di venire meno. Parlo soprattutto della scrittura, che ha bisogno di tempo e sedimentazione per emergere in tutta la sua unicità. Di certo il settore dell’audiovisivo ne sta guadagnando, perché non c’è mai stato tanto lavoro come in questo periodo. E di questo sono felice, soprattutto considerando l’anno terribile che abbiamo vissuto.

Ma qualche bella scoperta l’hai fatta ultimamente sulle piattaforme?

Sono reduce da SanPa e ne sono rimasta colpita, mi è piaciuto moltissimo. E poi Fleabag, The Marvelous Mrs. Maisel e Ozark che ha una fotografia bestiale, sono tutte cose che ho amato tanto. 

Alessandro Borghi, Matilda De Angelis, Benedetta Porcaroli, i tantissimi usciti da Skam: talenti che noi fabriquers avevamo anticipato, sono stati nostre cover in tempi non sospetti. Anche tu li avevi intercettati?

Con Benedetta abbiamo fatto Perfetti sconosciuti, ricordo di aver subito detto: «È pazzesca, che viso e che determinazione!». Mi piace perché è una ragazza molto concentrata. Con Borghi andavamo in palestra insieme ai tempi di Un medico in famiglia, poi lo ritrovai durante il provino di Non essere cattivo: aveva fatto una trasformazione fortissima, glielo dissi. Mi sono trovata davanti un attore con un’emotività, un cuore e una preparazione unica in Italia. Da quel provino ho capito che era un talento, un outsider. Con Matilda ho fatto Il premio e tante di quelle chiacchierate: io amo quella donna. Trovo che sia un talento a tutto tondo, a Sanremo potrebbe fare anche la conduttrice, e poi canta divinamente! Recita con verità e spontaneità, è bellissima, ha testa, è interessante, studia tutto e non solo il settore. È una immersa nella vita.

È anche la prova che stiamo assistendo al ritorno di una vecchia maniera di fare scouting: giovani attori con gavetta minima o nulla alle spalle, che però vengono lanciati subito in serie A e iniziano a studiare solo dopo. C’è poco da dire, alcuni sono forti davvero. Il tuo invece è un percorso di gavetta serrata e lunghe attese: come guardi a questo cambiamento?

Il nostro mestiere, soprattutto quando ti lancia in una grande popolarità e sei molto giovane, ti rende impreparato. Questo è l’unico vero rischio. Non vedo criticità nel diventare popolari, acquisire un ruolo e solo dopo approfondire il mestiere: il processo accademico, se non hai davvero un quid in più, può appiattirti e livellare il tuo vero estro. Questo è un lavoro che più lo fai e più lo impari (anche se una grande attrice un po’ âgée mi ha detto che invece col tempo si può anche diventare dei cani). Ma farei attenzione al sistema che ti osanna, soprattutto adesso con i social: quando non hanno il riflettore puntato magari lo devono ricreare, e quindi sono sempre accesi. Però stare sempre “on” nel nostro mestiere non porta quasi mai alla felicità.

Ma poi è così bella tutta questa storia dei riflettori?

No, è molto faticoso in realtà. Devi sempre stare in parte. Io cerco sempre di mantenere inalterata la mia spontaneità, ma è inevitabile che io stia facendo una performance. Anche ora, durante quest’intervista.

 

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La guerra dello streaming: Amazon, Netflix e la Coda Lunga https://www.fabriqueducinema.it/magazine/industry/streaming-netflix-amazon/ Wed, 10 Feb 2021 10:57:55 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=15194 Le piattaforme OTT (Over The Top) permettono agli spettatori di vedere quello che vogliono, dove vogliono e quando vogliono. E mentre il mercato del video on demand si fa sempre più affollato, la sfida al vertice resta quella tra Netflix e Amazon Prime Video. C’è un concetto economico che spiega agevolmente il successo di queste […]

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Le piattaforme OTT (Over The Top) permettono agli spettatori di vedere quello che vogliono, dove vogliono e quando vogliono. E mentre il mercato del video on demand si fa sempre più affollato, la sfida al vertice resta quella tra Netflix e Amazon Prime Video. C’è un concetto economico che spiega agevolmente il successo di queste due piattaforme di streaming sul mercato globale: quello di Long Tail. Il termine Coda Lunga è stato impiegato per la prima volta nel 2004 da Chris Anderson, saggista statunitense e giornalista dell’Economist.

Per spiegare questo concetto è necessario rifarsi al contesto storico. In un periodo caratterizzato dall’economia dell’abbondanza e dalla rivoluzione digitale, come quello che abbiamo vissuto negli ultimi anni, la legge economica è quella che potremmo definire della “taglia unica”: ovvero, le strategie di marketing puntano a individuare dei prodotti capaci di adattarsi alle esigenze di un’ampia fetta di mercato. Oggi però sono in crescita alternative che cercano di guadagnare spazio: la teoria della Long Tail spiega proprio come l’attenzione dei consumatori sia cambiata, finendo per spostarsi lentamente dalle hit ai prodotti di nicchia. Se le hit all’interno di un grafico sulle vendite sono la testa (un picco) e le nicchie la coda (lente ma costanti), noteremo come quest’ultima tenda all’infinito, producendo una grande quantità di vendite ma spalmate nel tempo.

Sia Amazon che Netflix sono riuscite a trasferire nei propri piani marketing questo diverso concetto economico, applicandolo alla vendita degli abbonamenti. Come afferma Anderson, siamo passati da un mercato di massa a una massa di mercati: se l’economia classica si fondava sulla scarsità, nella nostra epoca caratterizzata dall’abbondanza i prodotti di massa sono destinati a essere sorpassati da quelli di nicchia e le nicchie, sommate fra loro, superano i numeri del mainstream. Questo elemento, secondo la teoria economica del giornalista statunitense, potrebbe portare Amazon Video a battere sulla lunga distanza Netflix, che per ora regna incontrastato.

In Italia, stando ai dati Auditel raccolti durante il lockdown, nel corso dell’anno il numero di visualizzazioni dei contenuti proposti dalle piattaforme streaming è raddoppiato. E, secondo i dati rilasciati dal sito di monitoraggio flussi Reelgood, durante il terzo trimestre del 2020 Netflix ha raggiunto il 25% dei flussi rispetto al 21% ottenuto da Prime Video. L’analisi di Sensemakers con i dati Auditel e Audience Analytics di Comscore confermano la crescita sia di Netflix che di Amazon Video. Entrambi i player però si dichiarano disinteressati ai volumi di traffico – il corrispettivo degli ascolti televisivi – mentre puntano ad aumentare il numero di abbonati e quindi a far parlare di sé il più possibile, per rafforzare la propria brand identity.

streaming illustrazione di Mattia Distaso
La guerra dello streaming, illustrazione per Fabrique du Cinéma di Mattia Distaso.

Le strategie impiegate dai due player sono però molto diverse: Netflix sa cosa il pubblico desidera grazie al suo algoritmo rivoluzionario, punta sulla quantità e l’hype creato attraverso i social e attua una politica di espansione geografica per raggiungere l’ampiezza di mercato di Amazon. La piattaforma di Jeff Bezos invece segue una strategia completamente diversa, entra di traverso nel mercato video e ha come obiettivo il mantenere la retention, cioè assicurarsi che il cliente resti all’interno del proprio universo: per questo punta su titoli recenti ed esclusivi in aggiunta a tutta un’altra serie di servizi inclusi nell’abbonamento, trascurando un po’ il piano comunicativo. Amazon vuole produrre meno e meglio della concorrenza, coinvolgendo i grandi paesi europei, come ha dichiarato Georgia Brown (direttrice delle produzioni originali di Amazon per l’Europa) a Screen International, laddove Netflix punta a dei contenti sì locali ma con un appeal internazionale.

Diverso è anche l’approccio ai social: mentre Netflix usa una strategia pervasiva ma dal tone of voice divertente e informale, Amazon applica un approccio mirato e discreto. Se i dati dell’audience del colosso californiano sono blindatissimi, non accade la stessa cosa per i suoi profili social che, proprio tramite il tasso di engagement e il numero di interazioni, mostrano in modo trasparente il livello di coinvolgimento del pubblico. In questo modo, Netflix incoraggia attraverso i social la produzione di una grande quantità di contenuti generati dagli utenti stessi, i cosiddetti User Generated Content (UGC), spingendo gli utenti a un dialogo continuo con i profili ufficiali dell’azienda. La strategia social di Netflix differisce quindi per la capacità di rendersi virale, creando un tasso di engagement altissimo. Amazon Prime Video è in ascesa, ma continua ad avere problemi a raggiungere i numeri della piattaforma rivale anche perché la sua social strategy rimane vaga, rendendo meno riconoscibile la sua identità. Prime Video così si riduce a essere un vantaggio aggiuntivo all’interno di un ecosistema più ampio di servizi, un’appendice periferica, nonostante la qualità dei contenuti sia molto più alta della media.

Secondo gli analisti, Prime Video potrebbe riguadagnare terreno con relativa facilità scommettendo su show di punta dall’appeal globale e trasformandosi in un servizio distinto dall’abbonamento Prime: acquisterebbe in autonomia e riconoscibilità, a patto di continuare a investire nei media digitali. Infatti, nel corso del 2019, Amazon ha quadruplicato la spesa per i media, superando come principale inserzionista di servizi streaming Netflix che invece, come Hulu, si è ritrovato a tagliare oltre il 40% degli investimenti, secondo quanto segnalato nella ricerca MediaRadar di MarketingDive.

Non è un caso che l’aumento della spesa media di Amazon per promuovere i servizi video arrivi proprio mentre il mercato dei servizi OTT diventa sempre più affollato e competitivo, rendendo la ricerca dell’attenzione dello spettatore ancora più urgente che in passato. Ad aumentare gli investimenti non sono solo Amazon, Apple e Disney ma le stesse società di social media come Facebook: tutti stanno investendo nella programmazione originale allo scopo di mantenere gli utenti coinvolti nelle app mobili il più a lungo possibile, intenti a produrre contenuti e a generare intrattenimento come accade su Instagram tramite IGTV e Instagram Stories.

Puntare però sulle strategie di marketing più che sui contenuti finirà per creare un’assuefazione nello spettatore, che sarà spinto a ricercare una più alta qualità nelle nicchie – nella coda lunga dell’economia – proprio come sostiene Anderson. Se in questa guerra dello streaming Netflix si rivelasse la testa e Prime Video la coda, allora il futuro delle piattaforme OTT potrebbe ancora sorprenderci.  

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Ogni giorno sulla pagina Facebook di Fabrique i consigli sui migliori film da vedere sulle piattaforme streaming in questi lunghi giorni di reclusione domestica: Netflix, Amazon Prime, RaiPlay e SkyGo.

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