Paolo Carnera Archivi - Fabrique Du Cinéma https://www.fabriqueducinema.it La Rivista Del Nuovo Cinema Italiano Fri, 15 Jul 2022 10:24:25 +0000 it-IT hourly 1 Nostalgia di Mario Martone: Favino detective del passato nelle viscere di Napoli https://www.fabriqueducinema.it/focus/nostalgia-di-mario-martone-favino-detective-del-passato-nelle-viscere-di-napoli/ https://www.fabriqueducinema.it/focus/nostalgia-di-mario-martone-favino-detective-del-passato-nelle-viscere-di-napoli/#respond Wed, 25 May 2022 06:56:29 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=17238 Mario Martone è un artista infaticabile. Senza menzionare nel dettaglio tutte le incursioni a teatro e nell’opera lirica (che comunque, solo nell’ultimo anno e mezzo, hanno registrato delle vette ne Il filo di mezzogiorno, da Goliarda Sapienza, e nella trilogia di film-opera per la Rai, Traviata, Barbiere di Siviglia e Bohème), Martone si è messo […]

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Mario Martone è un artista infaticabile. Senza menzionare nel dettaglio tutte le incursioni a teatro e nell’opera lirica (che comunque, solo nell’ultimo anno e mezzo, hanno registrato delle vette ne Il filo di mezzogiorno, da Goliarda Sapienza, e nella trilogia di film-opera per la Rai, Traviata, Barbiere di Siviglia e Bohème), Martone si è messo al lavoro sul suo ultimo film immediatamente dopo le impegnative riprese di Qui rido io. Anzi, in realtà è successo durante: come ha raccontato in una intervista rilasciata a Film TV Ippolita di Majo, il lavoro su Nostalgia era cominciato nel lockdown del 2020, che di fatto spezzò in due le riprese del film su Eduardo Scarpetta, interrotto dopo gli interni a Roma e al quale mancavano due settimane di esterni da girare a Napoli.

Nostalgia è un romanzo postumo di Ermanno Rea, grande scrittore napoletano che ha fatto letteratura sublime attingendo alla sua esperienza di giornalista cominciata negli anni ’50 all’Unità di Napoli, all’angiporto Galleria (oggi piazzetta Matilde Serao), una redazione che all’epoca era una palestra eccezionale e si ammantò, successivamente, di alone leggendario. Dopo Mistero Napoletano, La dismissione, Napoli Ferrovia e Il sorriso di don Giovanni (per citarne alcuni), Rea non fece in tempo a vedere pubblicato Nostalgia, uscito nel 2017, un anno dopo la morte dell’autore.

Mario Martone sul set di Nostalgia
Mario Martone in una pausa delle riprese di “Nostalgia” (ph: Elio Di Pace).

Al centro del romanzo, l’amicizia virile di Felice Lasco e Oreste Spasiano, inseparabili, simbiotici nel bene e soprattutto nel male, cresciuti nel Rione Sanità, il più misterioso e mistico dei quartieri antichi di Napoli, un quartiere di catacombe, di cimiteri, di riti sacri e pagani, di fondaci e palazzi monumentali, scavato nel tufo della collina di Capodimonte e al quale Ermanno Rea ha sempre fatto riferimento ed è sempre tornato, come in alcuni bei momenti di cui si legge già in Napoli Ferrovia.

Martone cominciò subito i sopralluoghi alla Sanità, accompagnato dal direttore della fotografia Paolo Carnera, e nel settembre del 2021 le riprese ebbero inizio. Per quanto ci sia potuta essere programmazione, il Rione Sanità non è stato uno sfondo neutro ma, formicolante della sua varia e febbrile umanità, ha avuto una vita propria che Martone è stato geniale ad accogliere e integrare dentro al film. Stabilito il campo base in un parcheggio nelle viscere del rione, agili furgoncini con le macchine da presa, le attrezzature per la presa diretta, i costumi e i fabbisogni di scenografia correvano avanti e indietro per i vicoli, la maggior parte della troupe sfrecciava in motorino per raggiungere più in fretta le location, la complicità degli abitanti aiutava ad avere a disposizione punti di vista privilegiati da balconi, terrazzi, cortili e vasci (i bassi).

Se nel romanzo Rea si cala nei panni di un narratore interno che racconta le vicende di Felice e Oreste, nel film Martone inventa un raffinato concerto di sguardi: a volte noi siamo Felice Lasco, altre volte, pedinandolo con la macchina a mano oppure seguendolo dall’alto con teleobiettivi strettissimi che lo isolano dallo sfondo, lo stiamo evidentemente spiando, come lo sta spiando Oreste Spasiano, l’amico perduto che Felice vuole ritrovare dopo quarant’anni di assenza da Napoli e di lontananza dall’anziana madre.

Ma non può bastare un affettuoso viaggio nella memoria: non può bastare a Oreste, che si è sentito tradito dall’amico che ha ricostruito la propria vita in un’altra città, in un’altra nazione, in un altro continente, e non basta neanche alla madre di Felice, giunta a un grado di consunzione raccontato da Martone con una pietas magistrale, che consegna a una ideale antologia alcune scene di questo film.

Pierfrancesco Favino Nostalgia
Pierfrancesco Favino.

La seconda, grande differenza rispetto all’opera di Rea è che il romanzo comincia dalla fine. Martone e di Majo, sfrondando la storia di ogni dettaglio cronachistico o giornalistico, hanno invece privilegiato uno svelamento progressivo della vicenda: Martone non vuole fare un film “sociale”, ma vuole raccontare un sentimento, una vicenda umana, e se Felice scende negli inferi, nel vero senso della parola, noi ci scenderemo con lui. E se si guarda Nostalgia da questa prospettiva, non si fa fatica a considerarlo un gemello, in chiave maschile, de L’amore molesto, dove la Delia di Anna Bonaiuto pure si trasforma in detective di un doloroso passato. E, a voler essere più naïf, il parallelismo non finisce qui: L’amore molesto è l’unico film di Martone a essere stato in concorso al Festival di Cannes, raggiunto proprio quest’anno da Nostalgia.

Infine, come sempre nei film di Martone, un accenno alla statura degli interpreti, fra nuove e antiche collaborazioni: Pierfrancesco Favino nei panni di Felice è monumentale, non solo per lo studio fatto sulla lingua, una commistione di napoletano, riacquisito poco a poco con l’avanzare del film, e l’arabo, la lingua del lavoro e dell’amore, ma per una caratterizzazione del personaggio che parte dal modo in cui cammina e arriva fino al modo in cui mangia e beve; l’orco Oreste Spasiano di Tommaso Ragno, chiuso nel suo fatiscente castello da cui domina il quartiere, nerboruto, animalesco nelle espressioni verbali e fisiche, una presenza così misteriosa e temibile che, arrivati alla fine del film, si potrebbe tentare una acrobazia interpretativa e immaginare che non esista, che sia un demone, uno dei tanti che infestano le grotte della Sanità; il padre Rega cucito addosso a Francesco Di Leva, che trasmette fedelmente al suo personaggio una missione che è propria della sua quotidianità, con il NEST di San Giovanni a Teduccio; sempre grandi, Aurora Quattrocchi nei panni della madre, Luciana Zazzera nel ruolo della commara e Nello Mascia, un po’ guantaio, un po’ angelo custode.

 

 

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America Latina: ogni famiglia infelice è infelice a modo suo https://www.fabriqueducinema.it/cinema/nuove-uscite/america-latina-ogni-famiglia-infelice-e-infelice-a-modo-suo/ Tue, 18 Jan 2022 08:41:47 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=16644 È con delle immagini dal sapore documentaristico che Damiano e Fabio D’Innocenzo scelgono di simulare il viaggio che conduce nel regno del loro ultimo film, America Latina, passato in concorso all’ultima Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia e ora nei cinema dal 13 gennaio. Prosegue il sodalizio con Elio Germano, profondamente convincente nei panni del […]

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È con delle immagini dal sapore documentaristico che Damiano e Fabio D’Innocenzo scelgono di simulare il viaggio che conduce nel regno del loro ultimo film, America Latina, passato in concorso all’ultima Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia e ora nei cinema dal 13 gennaio. Prosegue il sodalizio con Elio Germano, profondamente convincente nei panni del benestante dentista Massimo Sisti, sulla cui villa in provincia di Latina termina quel viaggio in mezzo alla natura della prima sequenza. Una volta dentro, il registro stilistico dei fratelli D’Innocenzo si ripresenta sin da subito nel dipingere un’atmosfera da oscuro presagio all’interno di quello che sembra essere l’idillio di un padre di famiglia che vive con la moglie (Astrid Casali) e le due figlie (Carlotta Gamba e Federica Pala).

La sconvolgente scoperta di una ragazzina (Sara Ciocca) legata nella sua cantina apre le porte al corpo del film: la manifestazione e la costruzione della colpa del protagonista, che scuote i sotterranei della sua casa e aggredisce il suo mondo immacolato. Il conflitto insorge andando ad intaccare quegli elementi simbolo dell’armonia iniziale, come il pianoforte: se prima Massimo vi si avvicina per imparare un’ordinata scala musicale, nella seconda metà del film si ritrova a picchiare con violenza sui tasti, rendendolo un ottimo correlativo oggettivo e sonoro delle oscillazioni della sua mente. Notevole come il lavoro sul suono partecipi in modo estremamente efficace al processo di accerchiamento del protagonista, per cui anche il mangiare una torta assume dei tratti rivoltanti. Un reparto sonoro, arricchito dalle musiche dei Verdena, che completa ciò che già trasmettono i frequenti primissimi piani e alcune (ma significative) inquadrature in controluce, come a mettere l’uomo davanti a un giudizio incombente.

Su quest’ultima osservazione va ad inserirsi una delle maggiori lodi al film, la fotografia, curata da Paolo Carnera. Le pervasive tonalità di rosso e di blu-verde si impongono da una parte come acute risonanze psicologiche, dall’altra come riflessi di una natura, quella del protagonista, sempre più dominata da un istinto selvaggio. Quando insegue in macchina tra le strade di campagna l’amico Simone (Maurizio Lastrico), una caldissima luce infiamma il suo sguardo, che ora sembra quello di un giaguaro che si muove nella foresta (dell’America Latina) in cerca della sua preda, così come in una delle scene finali può essere accostato a un alligatore che nuota in acque gelide. In entrambi i casi si ha l’immagine di un uomo che in solitaria si aggira in un mondo animale, con tutti i suoi simboli e le sue leggi.

Il film si configura come una stratificazione di piani che sfumano alterità e realtà, assurdo e verosimile, un’ulteriore evidente marca stilistica dei fratelli D’Innocenzo, che con America Latina scrivono e dirigono un’altra “favolaccia” in un castello apparentemente perfetto ma circondato dal buio di una palude. Qui dentro si consuma la tragedia di Massimo Sisti, così disperatamente alla ricerca di un bersaglio, di un’espiazione, che finirà per trasformare il suo rifugio in una gabbia, il suo status dominante in quello di preda, in un film che vede distruggere le più alte mistificazioni maschili della vita borghese.

 

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America Latina dei D’Innocenzo, un film in sottrazione https://www.fabriqueducinema.it/festival/america-latina/ Fri, 10 Sep 2021 04:59:00 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=16044 Quinto e ultimo dei film italiani del concorso di Venezia 78 è l’atteso ritorno dei fratelli D’Innocenzo, America Latina, scritto dai registi e prodotto da The Apartment con Vision e Le Pacte. “America Latina è un film sulla luce e abbiamo scelto il punto di vista privilegiato dell’oscurità per osservarla”, dichiarano gli autori, introducendo subito all’atmosfera […]

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Quinto e ultimo dei film italiani del concorso di Venezia 78 è l’atteso ritorno dei fratelli D’Innocenzo, America Latina, scritto dai registi e prodotto da The Apartment con Vision e Le Pacte.

America Latina è un film sulla luce e abbiamo scelto il punto di vista privilegiato dell’oscurità per osservarla”, dichiarano gli autori, introducendo subito all’atmosfera di mistero che aleggia per tutta la durata: è la storia di un affermato dentista pontino, Massimo Sisti, che nella presentazione dei personaggi e della vicenda individuiamo subito come un privilegiato, affermato professionalmente, con una famiglia amorevole che è la sua ragione di vita, tre cani, villa di design un po’ cattedrale nel deserto. E già dalla location principale e quasi unica, che è la casa, si evince che il film proporrà sempre scenari che possono essere l’uno il rovescio della medaglia dell’altro: una dimora invidiabile, ma che può anche essere un terribile labirinto, un’amicizia sincera ma che potrebbe nascondere delle ombre, una famiglia meravigliosa, ma con alcune incrinature.

Ed è un livello sotterraneo vero e proprio, cioè la cantina della villa di Massimo, a diventare il vaso di Pandora delle sue paure: il dentista, una sera, vi accede, e fa la scoperta che dà l’innesco alla vicenda narrativa. Una discesa negli inferi. Un inferno mentale, ma pur sempre un interno. Una vicenda narrativa che con l’incedere del film viene raccontata come progressiva proiezione mentale del protagonista, che è interpretato da Elio Germano, perfettamente in parte, e che regge il film sulle proprie spalle.

Sebbene siano due film molto diversi, il dentista Massimo Sisti potrebbe essere uno dei personaggi che popolano il caleidoscopico mondo di Favolacce, un vicino di casa, il cui dramma, però, è introflesso, e non scaricato con la violenza verso l’esterno. È un film, America Latina, in cui come mai prima nel cinema dei due gemelli l’immagine si fa portatrice di senso, e allo scopo è decisivo il contributo di Paolo Carnera: anche in pieno giorno, c’è un senso di cupezza che pervade sia gli interni che gli esterni, le tende di casa sono spesso chiuse, i volti quasi sempre ridotti a silhouette.

Ma con Favolacce ci sono anche profonde differenze, c’è il tentativo dei fratelli di ragionare come per contrasto: laddove lì l’affresco era corale, qui il film è un’emanazione del solo assoluto protagonista, perfino le familiari presenze della moglie e delle figlie sono raccontate con tratti spettrali, complici anche i costumi di Massimo Cantini Parrini, che in alcune scene sono decisivi alla restituzione del senso del racconto.

Insomma, in America Latina i D’Innocenzo sottraggono, sottraggono, sottraggono, lasciano allo spettatore il compito di reperire le informazioni necessarie, sacrificano la sceneggiatura fino all’essenziale di dialoghi e azioni e affidano tutto alla creazione di atmosfere di luce, rumori e musiche, per le quali va fatta una speciale menzione ai Verdena, che è un piacere ritrovare al cinema.

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