OTT Archivi - Fabrique Du Cinéma https://www.fabriqueducinema.it La Rivista Del Nuovo Cinema Italiano Wed, 01 Sep 2021 15:06:55 +0000 it-IT hourly 1 La guerra dello streaming: Amazon, Netflix e la Coda Lunga https://www.fabriqueducinema.it/magazine/industry/streaming-netflix-amazon/ Wed, 10 Feb 2021 10:57:55 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=15194 Le piattaforme OTT (Over The Top) permettono agli spettatori di vedere quello che vogliono, dove vogliono e quando vogliono. E mentre il mercato del video on demand si fa sempre più affollato, la sfida al vertice resta quella tra Netflix e Amazon Prime Video. C’è un concetto economico che spiega agevolmente il successo di queste […]

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Le piattaforme OTT (Over The Top) permettono agli spettatori di vedere quello che vogliono, dove vogliono e quando vogliono. E mentre il mercato del video on demand si fa sempre più affollato, la sfida al vertice resta quella tra Netflix e Amazon Prime Video. C’è un concetto economico che spiega agevolmente il successo di queste due piattaforme di streaming sul mercato globale: quello di Long Tail. Il termine Coda Lunga è stato impiegato per la prima volta nel 2004 da Chris Anderson, saggista statunitense e giornalista dell’Economist.

Per spiegare questo concetto è necessario rifarsi al contesto storico. In un periodo caratterizzato dall’economia dell’abbondanza e dalla rivoluzione digitale, come quello che abbiamo vissuto negli ultimi anni, la legge economica è quella che potremmo definire della “taglia unica”: ovvero, le strategie di marketing puntano a individuare dei prodotti capaci di adattarsi alle esigenze di un’ampia fetta di mercato. Oggi però sono in crescita alternative che cercano di guadagnare spazio: la teoria della Long Tail spiega proprio come l’attenzione dei consumatori sia cambiata, finendo per spostarsi lentamente dalle hit ai prodotti di nicchia. Se le hit all’interno di un grafico sulle vendite sono la testa (un picco) e le nicchie la coda (lente ma costanti), noteremo come quest’ultima tenda all’infinito, producendo una grande quantità di vendite ma spalmate nel tempo.

Sia Amazon che Netflix sono riuscite a trasferire nei propri piani marketing questo diverso concetto economico, applicandolo alla vendita degli abbonamenti. Come afferma Anderson, siamo passati da un mercato di massa a una massa di mercati: se l’economia classica si fondava sulla scarsità, nella nostra epoca caratterizzata dall’abbondanza i prodotti di massa sono destinati a essere sorpassati da quelli di nicchia e le nicchie, sommate fra loro, superano i numeri del mainstream. Questo elemento, secondo la teoria economica del giornalista statunitense, potrebbe portare Amazon Video a battere sulla lunga distanza Netflix, che per ora regna incontrastato.

In Italia, stando ai dati Auditel raccolti durante il lockdown, nel corso dell’anno il numero di visualizzazioni dei contenuti proposti dalle piattaforme streaming è raddoppiato. E, secondo i dati rilasciati dal sito di monitoraggio flussi Reelgood, durante il terzo trimestre del 2020 Netflix ha raggiunto il 25% dei flussi rispetto al 21% ottenuto da Prime Video. L’analisi di Sensemakers con i dati Auditel e Audience Analytics di Comscore confermano la crescita sia di Netflix che di Amazon Video. Entrambi i player però si dichiarano disinteressati ai volumi di traffico – il corrispettivo degli ascolti televisivi – mentre puntano ad aumentare il numero di abbonati e quindi a far parlare di sé il più possibile, per rafforzare la propria brand identity.

streaming illustrazione di Mattia Distaso
La guerra dello streaming, illustrazione per Fabrique du Cinéma di Mattia Distaso.

Le strategie impiegate dai due player sono però molto diverse: Netflix sa cosa il pubblico desidera grazie al suo algoritmo rivoluzionario, punta sulla quantità e l’hype creato attraverso i social e attua una politica di espansione geografica per raggiungere l’ampiezza di mercato di Amazon. La piattaforma di Jeff Bezos invece segue una strategia completamente diversa, entra di traverso nel mercato video e ha come obiettivo il mantenere la retention, cioè assicurarsi che il cliente resti all’interno del proprio universo: per questo punta su titoli recenti ed esclusivi in aggiunta a tutta un’altra serie di servizi inclusi nell’abbonamento, trascurando un po’ il piano comunicativo. Amazon vuole produrre meno e meglio della concorrenza, coinvolgendo i grandi paesi europei, come ha dichiarato Georgia Brown (direttrice delle produzioni originali di Amazon per l’Europa) a Screen International, laddove Netflix punta a dei contenti sì locali ma con un appeal internazionale.

Diverso è anche l’approccio ai social: mentre Netflix usa una strategia pervasiva ma dal tone of voice divertente e informale, Amazon applica un approccio mirato e discreto. Se i dati dell’audience del colosso californiano sono blindatissimi, non accade la stessa cosa per i suoi profili social che, proprio tramite il tasso di engagement e il numero di interazioni, mostrano in modo trasparente il livello di coinvolgimento del pubblico. In questo modo, Netflix incoraggia attraverso i social la produzione di una grande quantità di contenuti generati dagli utenti stessi, i cosiddetti User Generated Content (UGC), spingendo gli utenti a un dialogo continuo con i profili ufficiali dell’azienda. La strategia social di Netflix differisce quindi per la capacità di rendersi virale, creando un tasso di engagement altissimo. Amazon Prime Video è in ascesa, ma continua ad avere problemi a raggiungere i numeri della piattaforma rivale anche perché la sua social strategy rimane vaga, rendendo meno riconoscibile la sua identità. Prime Video così si riduce a essere un vantaggio aggiuntivo all’interno di un ecosistema più ampio di servizi, un’appendice periferica, nonostante la qualità dei contenuti sia molto più alta della media.

Secondo gli analisti, Prime Video potrebbe riguadagnare terreno con relativa facilità scommettendo su show di punta dall’appeal globale e trasformandosi in un servizio distinto dall’abbonamento Prime: acquisterebbe in autonomia e riconoscibilità, a patto di continuare a investire nei media digitali. Infatti, nel corso del 2019, Amazon ha quadruplicato la spesa per i media, superando come principale inserzionista di servizi streaming Netflix che invece, come Hulu, si è ritrovato a tagliare oltre il 40% degli investimenti, secondo quanto segnalato nella ricerca MediaRadar di MarketingDive.

Non è un caso che l’aumento della spesa media di Amazon per promuovere i servizi video arrivi proprio mentre il mercato dei servizi OTT diventa sempre più affollato e competitivo, rendendo la ricerca dell’attenzione dello spettatore ancora più urgente che in passato. Ad aumentare gli investimenti non sono solo Amazon, Apple e Disney ma le stesse società di social media come Facebook: tutti stanno investendo nella programmazione originale allo scopo di mantenere gli utenti coinvolti nelle app mobili il più a lungo possibile, intenti a produrre contenuti e a generare intrattenimento come accade su Instagram tramite IGTV e Instagram Stories.

Puntare però sulle strategie di marketing più che sui contenuti finirà per creare un’assuefazione nello spettatore, che sarà spinto a ricercare una più alta qualità nelle nicchie – nella coda lunga dell’economia – proprio come sostiene Anderson. Se in questa guerra dello streaming Netflix si rivelasse la testa e Prime Video la coda, allora il futuro delle piattaforme OTT potrebbe ancora sorprenderci.  

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Lo scorso aprile, in un altrimenti anonimo martedì post-pasquale, i media di tutto il mondo salutano un avvenimento atteso da mesi: la tv via cavo americana HBO lancia ufficialmente la propria versione online, sempre a pagamento, ma aperta a tutti i possessori di dispositivi iOS e non solo agli spettatori già abbonati al suo pacchetto di pay-tv.

La destinazione si chiama HBO Now e non è sola nell’universo della rete: altre emittenti americane nel frattempo sono sbarcate sul web con un’offerta cosiddetta standalone, cioè autonoma rispetto a quella veicolata attraverso i canali tradizionali di distribuzione dei programmi tv quali cavo, etere e satellite. Tra queste il potente broadcaster CBS e Sling TV, costola della satellitare Dish, che tra l’altro include contenuti di altri canali proponendosi perciò come aggregatore di programmi tv con costi diversi e offerte diverse ritagliate sulle esigenze dei nuovi utenti della tv online. Quelli che negli USA hanno da tempo battezzato cord cutters e che stanno tagliando il “cordone ombelicale” della cable tv per rivolgersi a nuovi operatori, detti over the top (OTT), capaci di trasmettere direttamente su internet e bypassare con lo streaming i vecchi modelli di business e di comunicazione, abbattendo di conseguenza anche i prezzi proposti al pubblico.

Morale della favola? Dopo un braccio di ferro andato avanti per anni con HBO, i fan di Game of Thrones che non intendevano acquistare l’abbonamento alla pay-tv solo per vedere la loro serie preferita, alla fine hanno vinto e si sono potuti godere legalmente in streaming l’inizio della quinta stagione. Può sembrare assurdo a un pubblico come il nostro, abituato in larga parte ad aspettare i nuovi episodi rigorosamente in versione pirata il giorno dopo la messa in onda dall’altra parte dell’Atlantico, ma nel 2012 gli spettatori USA lanciarono addirittura una petizione sul web, Take My Money, HBO!, per convincere il canale a sganciare la sua app per la tv everywhere dal costoso pacchetto via cavo, permettendo così agli internauti di pagare per vedere con tranquillità la loro serie anziché rivolgersi all’offerta illegale. Il paradosso è che fino allo scorso aprile ciò non è avvenuto, lasciando che il serial balzasse ogni volta in cima alla classifica degli show più piratati sul web.

A convincere HBO a fare il salto verso internet non sono stati perciò i tanto vituperati “scariconi”, che a quanto pare non hanno mai inciso tanto sugli introiti del network da spingerlo ad abbandonare le rendite assicurate dal vecchio modello distributivo: a determinare il cambiamento è stato invece l’incalzare dello streaming legale offerto proprio dagli OTT, i cui nomi sono ormai noti a livello mondiale. Si tratta dei famosi servizi di video on demand come Netflix, che con meno di 10 dollari al mese permettono di accedere a un catalogo con migliaia di titoli tra film e serie tv, tra cui spiccano anche titoli autoprodotti e presenti in esclusiva sulla piattaforma, come il celeberrimo House of Cards. Ma ci sono molti altri servizi di video on demand ad abbonamento (SVOD), come Amazon Prime, che dopo aver contribuito a “smaterializzare” l’home entertainment, restringendo in modo significativo il già sofferente mercato di DVD e Blu-ray, oggi stanno contribuendo a definire anche un nuovo modello di fruizione del prodotto audiovisivo all’interno delle mura domestiche, costringendo all’evoluzione perfino i sonnacchiosi “dinosauri” televisivi.

La nuova tv

Nonostante il trambusto creato dalla rete, pare proprio che la regina del salotto continui a mantenere la corona. Certo, Netflix, Amazon Prime o Hulu sono tutti portali accessibili anche da PC, tablet e smartphone, eppure la tendenza volge al protagonismo dello schermo televisivo, per quanto sempre più connesso e trasformato nel suo utilizzo. Si stima che negli Stati Uniti ci siano 22 milioni di smart tv, quelle dotate cioè di collegamento integrato a Internet più altre funzioni di nuova generazione come comandi vocali, integrazione coi social network, applicazioni e possibilità di essere usate in modo combinato con le altre apparecchiature smart dell’ecosistema domestico. All’ultimo Consumer Electronics Show di Las Vegas, punto di riferimento mondiale dell’elettronica di largo consumo, ha fatto addirittura il proprio debutto il bollino “Netflix Recommended TV”, per contrassegnare le smart tv che offrono la migliore esperienza di visione connessa. Ma non finisce qui, perché molti sono gli spettatori meno aggiornati dal punto di vista tecnologico che non rinunciano a collegare il televisore tramite apposite chiavette o set-top box. Questi player multimediali, che si inseriscono alla presa HDMI del piccolo schermo e vi trasmettono i contenuti via streaming, sono diffusi nel 24% delle case statunitensi e fanno capo ai principali marchi del web. Apple TV e Roku sono stati i pionieri di un settore dove, in poco più di un anno, la lista dei concorrenti si è arricchita di nomi quali Google Chromecast, Amazon Fire TV e Fire TV Stick, Microsoft Wireless Display Adapter e l’Android TV, che sta scaldando i  motori con Nexus Player.

Il dispositivo più popolare per connettere il piccolo schermo in rete, tuttavia, per ora restano le console per videogame. Forti di una diffusione che precede quella del video on demand, i device come Playstation e Xbox stanno assumendo un ruolo fondamentale nella corsa al nuovo modello di tv. Non a caso, tra i nomi che si sentono ripetere più spesso accanto a quello di HBO Now c’è Playstation Vue, servizio di video on demand lanciato da Sony e costruito esattamente sulla falsariga di un vecchio abbonamento televisivo. La sua offerta, rivolta ovviamente ai soli possessori della console, comprende un’ampia varietà di canali al prezzo di 49,99 dollari al mese, contro i 64 dollari necessari per un pacchetto via cavo standard. Un nuovo modello di streaming legale, insomma, basato su costi più alti rispetto a quelli finora praticati dallo SVOD ma con contenuti di tipo “premium” e un’organizzazione per canali molto simile a quella di un’emittente tradizionale.

Questo sarà a grandi linee anche il volto della nuova televisione. Un dispositivo che, almeno per un po’, manterrà la stessa posizione all’interno del nucleo domestico e nella gerarchia mediatica, ma in cui la visione dei programmi avverrà on demand, la competizione tra canali non verterà più sulle frequenze bensì sulla visibilità delle diverse app nei menu principali e la partita si giocherà non più su fasce di pubblico, bensì sul singolo spettatore. Una televisione in cui la user experience conterà quasi quanto il prezzo, portando in primo piano variabili come la facilità di navigazione, la qualità dello streaming, la raffinatezza degli algoritmi che generano i suggerimenti, la possibilità di personalizzare il servizio e l’integrazione con il mobile.

Per quanto legata al salotto e al fisso, la spinta verso la nuova tv si nutre infatti di un modello di consumo audiovisivo che, grazie al proliferare di smartphone e tablet, ormai risulta definitivamente improntato al principio dell’ATAWAD (anytime, anywhere, any device). Il nuovo spettatore potrebbe, ad esempio, cominciare a vedere un film la sera e riprenderlo dal punto in cui l’ha lasciato la mattina dopo, col suo tablet, mentre va a lavoro e viceversa. La formula è semplice: meno ostacoli verranno messi all’esperienza offerta all’utente, più aumenteranno le chance di consumo e quindi il successo delle piattaforme. Ciò include anche la questione delle finestre, vale a dire il lasso di tempo che deve trascorrere tra la distribuzione sui diversi canali di sfruttamento del prodotto film. Una scansione cronologica prima molto rigida, che ha cominciato a perdere terreno già sotto gli strali del noleggio e dell’acquisto di film online piuttosto che su DVD e Blu-ray, e ora più che mai destinata a decisive revisioni. Soprattutto per quelle fasce di prodotto d’autore e di nicchia per cui la distribuzione sul web costituisce una valida alternativa da affiancare a quella in sala.

La domanda a questo punto è, che succederà in Italia, dove la banda larga è in netto ritardo rispetto agli altri paesi europei, e dove i termini EST e VOD (rispettivamente acronimi di electronic sell-trough e video on demand) cominciano solo adesso a ricordare al pubblico il mercato dell’audiovisivo piuttosto che il nome di un vino o di un superalcolico?

(1- continua)

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