Oscar Archivi - Fabrique Du Cinéma https://www.fabriqueducinema.it La Rivista Del Nuovo Cinema Italiano Wed, 01 Sep 2021 13:54:55 +0000 it-IT hourly 1 Umbrella, il corto italo-brasiliano in marcia verso gli Oscar https://www.fabriqueducinema.it/magazine/futures/umbrella-film/ Mon, 01 Feb 2021 08:40:37 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=15151 Perché mai un bambino dovrebbe volere un ombrello al posto dei giocattoli? Lo raccontano Mario Pece e Helena Hilario, partner sul lavoro e nella vita, con il cortometraggio di animazione Umbrella, che dopo aver vinto numerosi premi (San Jose International Short Film Festival, Florida Animation Festival, New York Animation Film Awards sono soltanto alcune delle […]

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Perché mai un bambino dovrebbe volere un ombrello al posto dei giocattoli? Lo raccontano Mario Pece e Helena Hilario, partner sul lavoro e nella vita, con il cortometraggio di animazione Umbrella, che dopo aver vinto numerosi premi (San Jose International Short Film Festival, Florida Animation Festival, New York Animation Film Awards sono soltanto alcune delle tante occasioni in cui ha trionfato) potrebbe addirittura arrivare agli Oscar. Realizzato da Stratostorm, la casa di produzione brasiliana fondata proprio dai due registi, il corto si ispira a quanto accaduto alla sorella di Hilario in un orfanotrofio. «Ci sentivamo di dover assolutamente raccontare questa storia» sono le parole di Mario Pece quando parla della genesi di Umbrella, che è stato in cantiere per anni prima di vedere la luce e trasmettere il suo messaggio d’empatia.

Da dove inizia il viaggio che porta Mario Pece in Brasile?

Tutto è cominciato tra il 2008 e il 2009: dovevo fare un corso di cinema alla New York Film Academy a Roma e invece mi offrirono un’esperienza nella sede di New York, quindi accettai. Dopo un anno iniziai a fare da assistente ai professori di montaggio e conobbi Helena. Cominciammo subito a lavorare insieme, ci spostammo a Los Angeles, ancora più vicino all’industria cinematografica e lì cominciamo a portare avanti dei progetti. Ci siamo occupati di alcuni videoclip di Katy Perry, poi della serie tv Brooklyn 99. Ma dopo tre anni che eravamo a Los Angeles la madre di Helena, in Brasile, si è ammalata e quindi abbiamo deciso di raggiungerla per starle vicino. Adesso sua madre è guarita, ma noi siamo rimasti perché nel frattempo avevamo deciso di iniziare la nostra attività: la Stratostorm.

Come nasce Stratostorm?

Nasce con me e Helena, dalla nostra volontà di metterci in gioco e in proprio nel campo degli effetti visivi. Il primo anno eravamo solo noi, dormivamo in ufficio per quanto lavoro c’era da fare. Poi a piccoli passi, un cliente dopo l’altro, siamo cresciuti fino a diventare una società di quaranta persone. Abbiamo aperto un’altra sede a Los Angeles, lavoriamo con Netflix curando i contenuti per il suo canale Youtube in Sudamerica, lavoriamo con Cartoon Network, ma ci occupiamo anche di progetti indipendenti. Stiamo scrivendo un altro cortometraggio attualmente, speriamo di iniziare la produzione quest’anno.

Parliamo di Umbrella: sta avendo molto successo, tant’è che potrebbe essere in corsa per gli Oscar.

Sì, siamo felicissimi infatti. Umbrella è un progetto speciale. È nato nel 2011, dopo che la sorella di Helena è andata in un orfanotrofio nel periodo natalizio per donare dei giocattoli e tra tutti i bambini ce n’era uno che invece dei giocattoli voleva un ombrello. La sorella non capiva perché, finché questo bimbo di quattro o cinque anni non le ha detto che suo padre lo aveva lasciato lì con la pioggia e che quindi se avesse avuto un ombrello forse sarebbe tornato a prenderlo. Sentivamo di dover assolutamente raccontare questa storia, ma all’epoca non avevamo abbastanza esperienza, quindi è rimasta a lungo solo un’idea, prima di riuscire a ottenere i finanziamenti. Il primo copione lo abbiamo scritto proprio nel 2011 e solo nel 2015 abbiamo cominciato a lavorare al design dei personaggi e delle location. Poi ci siamo fermati per riprendere nel 2017. A quel punto Umbrella è diventato un lavoro full-time, mentre prima ce ne occupavamo nel tempo libero. Sono stati praticamente venti mesi di produzione.

Perché avete scelto di raccontare una storia senza dialoghi?

Volevamo che fosse il più internazionale possibile. Poi la musica trasmette molte più emozioni di un dialogo. Le espressioni e i gesti, se accompagnati da una musica forte, raggiungono molti più cuori delle parole. Poi il nostro compositore, Gabriel Dib, ha fatto un lavoro davvero strepitoso [Umbrella ha anche vinto ai Global Music Awards ndr]. Il vero messaggio di Umbrella è quello di non giudicare, di provare sempre empatia verso il prossimo, perché non sai mai chi hai davanti, quel è la sua storia, quali sono i suoi problemi.

Non è la prima volta che qualcosa a cui lavori arriva agli Oscar, hai curato anche gli effetti visivi di Whiplash.

Sì, ho lavorato a Whiplash e andammo agli Oscar in quell’occasione. Però lì ero parte di un team che si occupava solo degli effetti visivi, questa è invece la prima volta che sono davanti a un progetto come scrittore, regista e produttore. È una responsabilità più grande, soprattutto considerando che Umbrella è stato una sfida: avevamo poco personale, siamo arrivati a un picco di nove o dieci artisti più quattro persone che lavoravano all’animazione, che è poco se si considerano progetti simili.

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Oscar 2016: sorprese e conferme https://www.fabriqueducinema.it/festival/dal-mondo-festival/oscar-2016-un-bilancio/ https://www.fabriqueducinema.it/festival/dal-mondo-festival/oscar-2016-un-bilancio/#respond Tue, 01 Mar 2016 08:56:32 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=2818 Fabrique ha seguito la cerimonia dell’Academy in diretta commentando  tutti i premi con gli amici e gli esperti che sono rimasti con noi fino alla mattina per aspettare il verdetto sul miglior film. Ecco un bilancio critico di Andrea Di Iorio, regista e sceneggiatore, sui più celebri awards del cinema. La cerimonia degli Oscar appena […]

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Fabrique ha seguito la cerimonia dell’Academy in diretta commentando  tutti i premi con gli amici e gli esperti che sono rimasti con noi fino alla mattina per aspettare il verdetto sul miglior film.

Ecco un bilancio critico di Andrea Di Iorio, regista e sceneggiatore, sui più celebri awards del cinema.

La cerimonia degli Oscar appena trascorsa ha oscillato per tutto il tempo tra risultati piuttosto prevedibili e altri talmente imprevedibili da essere deludenti. Mad Max porta via quasi tutti i premi tenici, meritatamente, a eccezione dell’Oscar alla migliore fotografia, che va per il terzo anno consecutivo ad Emmanuel Lubezki. E ci chiediamo come mai non abbia vinto il tredici volte candidato Roger Deakins per l’ottimo lavoro in Sicario o John Seale, collaboratore storico del sempre sottovalutato Peter Weir, per Mad Max, appunto.

Sorprende, poi, in maniera non del tutto positiva l’ennesima vittoria di Iñárritu, un virtuoso della macchina da presa che però aveva già avuto modo di mostrare la propria cifra stilistica in Birdman lo scorso anno. Probabilmente, però, il premio mancato che ci lascia un po’ più dispiaciuti è quello a Stallone, che col suo Rocky invecchiato in Creed ci ha regalato un’interpretazione di straordinaria umanità. L’affetto del pubblico nei confronti di Rocky è percepibile, quindi anche la delusione, però è pur vero che ha vinto la migliore interpretazione della cinquina, cioè quella di Mark Rylance per Il ponte delle spie di Steven Spielberg.

C’è da aggiungere che la Brie Larson di Room non può reggere il paragone con la Charlotte Rampling di 45 anni, qui alla sua prima nomination in assoluto. E anche Rooney Mara probabilmente per Carol lo avrebbe meritato di più della seppur brava Alicia Vikander di The Danish Girl.

La premiazione che ci ha emozionati di più è indubbiamente stata quella di Ennio Morricone, che dopo un abbraccio con John Williams, va a ritirare la statuetta per dedicarla alla moglie. Un secondo premio alla carriera, più che al film stesso, dopo quello ufficiale già vinto nel 2007. fabriqueoscar2

Veniamo infine a Leonardo DiCaprio, la cui vittoria è di nuovo un premio alla carriera in un certo senso, non essendo di certo quella in Revenant la sua migliore interpretazione. Fassbender lo avrebbe meritato senza dubbio di più.

In conclusione, pare che l’Academy stia prendendo una strada tortuosa, non facilmente comprensibile, fatta di ripetizioni non del tutto spiegabili e neppure completamente condivisibili, che non sappiamo dove porterà alla fine questa fondamentale, contraddittoria, ma comunque seguitissima, celebrazione dell’industria cinematografica.

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Maratona Oscar #Preview 4: I corti https://www.fabriqueducinema.it/festival/dal-mondo-festival/maratona-oscar-preview-4-i-corti/ https://www.fabriqueducinema.it/festival/dal-mondo-festival/maratona-oscar-preview-4-i-corti/#respond Fri, 26 Feb 2016 15:14:50 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=2795 Negli Stati Uniti, forse più che da noi, i cortometraggi sono una fucina di nuovi talenti che ogni tanto riescono ad approdare anche agli Oscar. Uno degli esempi più eclatanti è quello di Luxo Jr., la lampada della Pixar protagonista di un cortometraggio del 1986 diretto da quello che sarebbe diventato il guru John Lasseter. […]

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Negli Stati Uniti, forse più che da noi, i cortometraggi sono una fucina di nuovi talenti che ogni tanto riescono ad approdare anche agli Oscar. Uno degli esempi più eclatanti è quello di Luxo Jr., la lampada della Pixar protagonista di un cortometraggio del 1986 diretto da quello che sarebbe diventato il guru John Lasseter. Steve Jobs aveva appena comprato la società dalla Lucas Film e il corto fu un modo per dimostrare al mondo di cosa poteva essere capace. Divenne il primo cortometraggio di animazione in 3D a ricevere una nomination, il resto della storia lo conosciamo bene.

Tra i nomi noti che negli anni hanno vinto questo riconoscimento ci sono l’attore e regista Jeff Goldblum (Il grande freddo, Jurassic Park, La mosca), lo sceneggiatore danese Anders Thomas Jensen (autore poi del lungo Le mele di Adamo) e andando un po’ più indietro nel tempo il francese Jacques Cousteau. Restando nell’animazione, invece, diversi sono anche gli italiani che sono saliti sul tappeto rosso entrando dalla porta “corta”, per così dire, come Bruno Bozzetto (nel 1991 con Cavallette), o Emanuele Luzzati (nel 1974 con Pulcinella). Questa categoria non prevede infatti limiti di lingua o nazionalità, ma richiede la vincita di un certo di numero di premi in festival internazionali riconosciuti o una vera e propria uscita al cinema nell’area di Los Angeles.

Quest’anno nella categoria dei migliori corti live action abbiamo innanzitutto una coproduzione tra Francia, Germania e Palestina intitolata Ave Maria, che vede una famiglia di israeliani costretti a chiedere aiuto a un gruppo di suore cattoliche quando la loro macchina li lascia a piedi nella West Bank. Scenari di guerra anche in Shok, film kosovaro sul conflitto degli anni ’90, e in Day One, con un’interprete dell’esercito americano a cui durante il primo giorno di lavoro viene affidato il figlio di un costruttore di bombe nemico. Infine Everthing Will Be Alright del tedesco Patrick Vollrath e l’irlandese Stutterer di Benjamin Cleary.

Tra i corti di animazione troviamo invece il film in computer grafica Bear Story di Gabriel Osorio, prima nomination in questa categoria per il Cile che, insieme a Il bambino che scoprì il mondo, è un attestato della crescente importanza dell’America Latina in questo settore. La Pixar ritorna dopo qualche anno di assenza dai corti con Sanjay’s Super Team, il breve film distribuito nelle sale insieme a Il viaggio di ArlCosmoso, mentre molto favorito sembra essere World Of Tomorrow di Don Hertzfeldt, già Gran Premio della giuria al Sundance. Prologue è l’opera del veterano Richard Williams, mentre il russo We Can’t Live Without Cosmos ha dalla sua il Premio della giuria al festival di Annecy.

Per il corto documentario intanto è interessante notare come due dei titoli candidati siano già disponibili su Netflix mentre gli altri tre saranno trasmessi dall’emittente HBO, il che dimostra un’attenzione verso il genere, anche in forma breve, che non trova uguali in Italia.

Cominciamo parlando di Body Team 12, i cui produttori esecutivi sono niente meno che l’attrice Olivia Wilde e il co-fondatore di Microsoft, Paul Allen. Il documentario è incentrato sull’epidemia di Ebola in Liberia, in particolare sulle squadre incaricate di raccogliere i corpi e si distingue non solo per il coraggio dei protagonisti ma anche di quello della troupe nell’esporsi a un possibile contatto con la malattia.

Chau, Beyond The Lines è il racconto delle conseguenze dell’Agente Arancio, il defoliante usato dalle truppe americane nella guerra del Vietnam, che tuttora oggi causa gravissime malformazioni nella popolazione locale e nei bambini, a volte trattati come attrazioni turistiche per le loro deformità. È stato girato nell’arco di otto anni dagli americani Courtney Marsh and Jerry Franck.

Ancora Vietnam in Last Day Of Freedom, che narra l’ultimo giorno di vita di un reduce della guerra nel Sud Est asiatico, resosi colpevole dell’omicidio di un’anziana mentre era ancora in preda al trauma post-bellico. In realtà si tratta di un ibrido che usa l’animazione per gestire meglio la drammaticità del racconto, lasciato alle parole del fratello del condannato; la regia è di Dee Hibbert-Jones e Nomi Talisman.

A Girl In The River: The Price Of Forgiveness diretto da Sharmeen Obaid-Chinoy, tratta della violenza domestica sulle donne in Pakistan, mentre come chiaro dal titolo Claude Lanzmann: Spectres Of Shoah ripercorre la tragedia dell’Olocausto ma attraverso la lente del cinema. O più di preciso la lente di Lanzmann, che al tema dedicò un’opera della durata di 10 ore.

Miglior cortometraggio

Ave Maria

Day One

Everything Will Be OK

Shok

Stutterer

Miglior cortometraggio d’animazione

Bear Story

Prologue

Sanjay’s Super Team

We Can’t Live without Cosmos

World of Tomorrow

 Miglior corto documentario

Body Team 12

Chan, beyond the Lines

Claude Lanzmann: Spectres of the Shoah

A Girl in the River: The Price of Forgiveness

Last Day of Freedom

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Fabrique agli Oscar con Chili! https://www.fabriqueducinema.it/festival/dal-mondo-festival/fabrique-agli-oscar-con-chili/ https://www.fabriqueducinema.it/festival/dal-mondo-festival/fabrique-agli-oscar-con-chili/#respond Thu, 25 Feb 2016 14:56:30 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=2776 Siamo orgogliosi di annunciare la partnership tra CHILI TV e Fabrique du Cinéma in occasione della Maratona Oscar 2016: CHILI, la TV on demand tutta italiana guidata da Stefano Parisi, promuoverà l’evento del 28 febbraio e trasmetterà la nostra diretta sui suoi canali. Per chi ancora non ha visto i film candidati delle varie categorie, CHILI […]

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Siamo orgogliosi di annunciare la partnership tra CHILI TV e Fabrique du Cinéma in occasione della Maratona Oscar 2016: CHILI, la TV on demand tutta italiana guidata da Stefano Parisi, promuoverà l’evento del 28 febbraio e trasmetterà la nostra diretta sui suoi canali.

Per chi ancora non ha visto i film candidati delle varie categorie, CHILI ha approntato un’apposita sezione dedicata agli Oscar, dove è possibile noleggiare o acquistare Mad Max, The Martian, Ex Machina, Sicario, Straight Outta Compton e molti altri. È online anche una vetrina dedicata a chi ha vinto l’Oscar come miglior film negli anni passati.

CHILI TV è compatibile con qualsiasi dispositivo: funziona su Smart TV, PC, Chromecast, Xbox, Playstation, lettori Blu-Ray, HT, tablet e smartphone. Massima compatibilità con i sistemi Windows, Windows Phone, iOS, Mac, Android, Amazon Fire OS.

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Maratona Oscar #Preview 3: La musica https://www.fabriqueducinema.it/festival/dal-mondo-festival/maratona-oscar-preview-3-la-musica/ https://www.fabriqueducinema.it/festival/dal-mondo-festival/maratona-oscar-preview-3-la-musica/#respond Tue, 23 Feb 2016 14:13:53 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=2749 Tante sono le scommesse sui possibili vincitori della 88esima edizione degli Academy Award e davvero notevoli i nomi candidati per ogni categoria. Nello specifico, è uno scontro tra titani quello che vede protagonisti i compositori nominati al premio Oscar per la categoria Miglior Colonna Sonora. Tra questi infatti troviamo il pluricandidato Thomas Newman per Il […]

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Tante sono le scommesse sui possibili vincitori della 88esima edizione degli Academy Award e davvero notevoli i nomi candidati per ogni categoria.

Nello specifico, è uno scontro tra titani quello che vede protagonisti i compositori nominati al premio Oscar per la categoria Miglior Colonna Sonora. Tra questi infatti troviamo il pluricandidato Thomas Newman per Il ponte delle spie, l’islandese già vincitore del Golden Globe per La toeria del tutto nel 2015 Jóhann Jóhannsson per Sicario, Carter Burwell, noto per la sua collaborazione con i fratelli Coen, per Carol, e infine spiccano due tra i più grandi compositori del cinema: John Williams per Star Wars – Il risveglio della Forza, ed Ennio Morricone per The Hateful Eight.

Quest’ultimo ha già avuto modo di collaborare con Quentin Tarantino cedendogli il brano Ancora qui composto insieme a Elisa per il film Django, ma con The Hateful Eight il regista è riuscito a concretizzare il lontano desiderio di far curare al compositore italiano la realizzazione dell’intera colonna sonora del suo western.

I pronostici danno per favorito proprio il Maestro Morricone anche in seguito alla recente vincita del Golden Globe, ma indipendentemente da chi si aggiudicherà la statuetta, la comunione tra tutti questi grandi registi e compositori in gara è già di per sé un’importante vittoria per il mondo del cinema.

sumijoAltra categoria che riguarda la musica è quella della Miglior Canzone Originale. L’assegnazione del Golden Globe quest’anno è andata a Sam Smith per Writing’s On The Wall tratto da Spectre, brano raffinato e fedele allo stile di 007, forse più intimo e drammatico rispetto al precendente Skyfall, vincitore agli Oscar 2013.

In gara anche la poliedrica Lady Gaga, ormai anche lei abituata a nominations e premiazioni (ha vinto il Golden Globe quest’anno come migliore attrice per una serie TV), è candidata con il brano Till It Happens To You da The Hunting Ground, documentario che testimonia la violenza sessuale nei college americani.

Carica di sensualità la canzone dal sapore r&b Earned It dei The Weekend da 50 Sfumature di grigio.

A seguire troviamo Manta Ray da Racing Extinction di J. Ralph e Antony con il suo timbro inimitabile, e infine Simple Song #3 dal premio Pulitzer David Lang tratto da Youth di Paolo Sorrentino.

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Maratona Oscar #Preview 2: La grafica https://www.fabriqueducinema.it/festival/dal-mondo-festival/maratona-oscar-preview-2-la-grafica/ https://www.fabriqueducinema.it/festival/dal-mondo-festival/maratona-oscar-preview-2-la-grafica/#respond Sat, 20 Feb 2016 16:06:37 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=2726 Andrea Borrelli (classe 1992, bocconiano dalle idee chiarissime), da sempre appassionato di cinema, approda alla grafica per puro caso anche se ammette che in un’altra vita avrebbe voluto studiare design. Potrebbe essere tranquillamente il critico radical chic della notte degli Oscar di Fabrique, invece, ha realizzato in esclusiva per la nostra serata le locandine degli otto film […]

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Andrea Borrelli (classe 1992, bocconiano dalle idee chiarissime), da sempre appassionato di cinema, approda alla grafica per puro caso anche se ammette che in un’altra vita avrebbe voluto studiare design. Potrebbe essere tranquillamente il critico radical chic della notte degli Oscar di Fabrique, invece, ha realizzato in esclusiva per la nostra serata le locandine degli otto film candidati nella categoria Best Picture.

oscar fabriqueducinema def-02 Chiariamo subito una cosa: non sei un grafico eppure le tue locandine funzionano e piacciono a tutti. Come nasce l’idea di The Man Who Drew Too Much” e come realizzi le tue illustrazioni?

Questa passione nasce dall’amore per il cinema. Dopo che ho visto un film in sala mi piace sempre parlarne, fare in modo che il film viva anche dopo la sua conclusione. Il cinema, d’altronde, come ogni forma d’arte, ha questa funzione: far riflettere. Ho iniziato scrivendo recensioni in cui spiegavo il mio punto di vista (senza ovviamente imporlo), facendo delle considerazioni che andassero al di là del mi è piaciuto/non mi è piaciuto. Tuttavia la voglia di contribuire creativamente a questo dibattito culturale e la consapevolezza che scrivere per me non era abbastanza mi hanno portato a esplorare altre strade. Ho iniziato quindi a chiedermi se potevo comunicare quello che scrivevo su un film attraverso delle immagini. Facendo varie prove con programmi di grafica ho capito che mi piaceva l’idea di disegnare locandine di film o meglio, immagini che potessero simboleggiare il film. Da qui nasce il progetto “The Man Who Drew Too Much”: realizzare locandine con una grafica semplice ed efficace.Her Film

Il bianco come sfondo e linee indefinite. Cosa c’è dietro questa scelta di stile?

Il bianco è la base di ogni locandina. Credo che tutto debba partire da lì. Un’immagine complessa se è su sfondo bianco appare comunque semplice e intera. Il mio intento è quello di raccontare un film con poco. Rappresento pochi oggetti e non disegno mai i tratti umani. Lascio che sia il bianco a formarli. E soprattutto scrivo sempre il titolo del film in fondo basso in piccolo. Voglio, infatti, che sia l’immagine a comunicare il titolo, o meglio il film e il bagaglio di emozioni e pensieri che si porta dietro.

A cosa ti ispiri?

Ammetto che non prendo ispirazione da nessuno in particolare nel mondo del disegno. Mi ispiro, invece, molto alle persone che decidono di essere intraprendenti e che coltivano le loro passioni in modo concreto. “The Man Who Drew Too Much” nasce come hobby, come volontà di stare meglio facendo qualcosa che mi piacesse. Questo l’ho potuto fare vedendo intorno a me tanti coetanei che non rinunciavano a ciò che li caratterizza di più.

Da spettatore insaziabile, che genere di cinema apprezzi e cosa vorresti dal cinema italiano?

Sono abbastanza onnivoro. Ho naturalmente delle preferenze, ma non escludo nulla quando vado al cinema, penso che la sorpresa si possa trovare ovunque. Mi piacerebbe, però, vedere di più film che osino e mescolino più generi insieme. Per quanto riguarda il cinema italiano, ammetto che sbagliamo noi italiani ad avere nei suoi confronti sempre parole di condanna. Penso che ultimamente il cinema italiano si stia risvegliando dal suo torpore e stia ottenendo sempre più visibilità, basta vedere i nostri film ai più importanti festival. Credo, quindi, che sia proprio questa feroce autocritica a non farci ancora decollare.

La notte degli Oscar si avvicina, quali sono i tuoi pronostici?

Amo fare i pronostici ma quest’anno è davvero difficile. Penso che manchi il titolo che spicchi e che ottenga un consenso unanime. Dubito possa vincere ancora Iñárritu con The Revenant, ma sono più che convinto che Di Caprio otterrà la statuetta per migliore interpretazione maschile. Potrebbe forse avere la meglio Mad Max: Fury Road, sarebbe un bel cambio di rotta per l’Academy. Sicuramente i premi tecnici andranno all’ultima fatica di George Miller. Ma se mi chiedete per cosa faccio il tifo, beh non posso che dare a occhi chiusi la statuetta a Room di Lenny Abrahamson. Detto questo non vedo l’ora di passare con voi questa fantastica notte e di scoprire insieme il verdetto finale.

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Maratona Oscar #Preview 1: Miglior sceneggiatura https://www.fabriqueducinema.it/festival/dal-mondo-festival/maratona-oscar-preview-1-miglior-sceneggiatura/ https://www.fabriqueducinema.it/festival/dal-mondo-festival/maratona-oscar-preview-1-miglior-sceneggiatura/#respond Fri, 19 Feb 2016 08:35:50 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=2713 Alla serata Oscar Fabrique musica, sketches comici, commenti degli esperti e dati che accompagneranno i nostri spettatori fino all’alba. Qui la prima anticipazione: Andrea Di Iorio analizza i candidati al premio per la miglior sceneggiatura. La sfida tra gli sceneggiatori candidati all’Oscar quest’anno è complessa, sia per la qualità dei film in competizione che per la […]

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Alla serata Oscar Fabrique musica, sketches comici, commenti degli esperti e dati che accompagneranno i nostri spettatori fino all’alba. Qui la prima anticipazione: Andrea Di Iorio analizza i candidati al premio per la miglior sceneggiatura.

La sfida tra gli sceneggiatori candidati all’Oscar quest’anno è complessa, sia per la qualità dei film in competizione che per la varietà dei generi e degli approcci di scrittura. Andiamo allora ad esplorare queste storie dal punto di vista della scrittura, che è la base e l’origine per la riuscita di qualsiasi operazione cinematografica.

Il ponte delle spie di Steven Spielberg, il cui script porta la firma dei fratelli Coen insieme a quella di Matt Charman, è un esempio di scrittura equilibrata. I Coen, intervenuti in un secondo momento su una prima stesura di Charman, hanno apportato il loro percepibile tocco, attenuato però dalla presenza sentimentale, ma mai sentimentalistica, del più importante regista hollywoodiano vivente. Lo “stile Coen” si avverte in particolare in alcune scene berlinesi, in quelle situazioni paradossali, grottesche, in cui il personaggio di Tom Hanks si ritrova. Il suo James B. Donovan, da un certo punto in poi, deve affrontare una serie di equivoci di stampo quasi kafkiano per ottenere la restituzione di due prigionieri, in un vero e proprio labirinto burocratico fatto di contrattazioni e fraintendimenti. L’uomo che si ritrova piccolo e solo in un universo sconosciuto, la Berlino della Guerra Fredda, a dover caversela senza avere il controllo sugli eventi, è proprio un marchio di fabbrica dei due fratelli sceneggiatori. La mancanza di ordine, di un disegno provvidenziale, e la spaventosa imprevedibilità degli eventi sono elementi che ricorrono in tutto il cinema dei Coen, però Spielberg aggiunge un senso di giustizia compensatoria, appagante, senza essere retorico. Un equilibrio difficile quindi viene a crearsi, e il risultato è ottimo. Nelle opere coeniane sono più di una volta degli ingenui a scamparla dalla crudeltà del Caso, mentre qui è un uomo giusto, tutto d’un pezzo, a trovare la soluzione finale. Ed essendo il testo basato su una verità storica, siamo ancora più contenti che per una volta la giustizia abbia vinto.

Ex Machina è emblema della fantascienza mentale, psicologica. Tre personaggi principali all’interno di un solo ambiente e dei test da superare. In tutti i film ambientati in interni i dialoghi dovrebbero essere le fondamenta dell’impalcatura su cui costruire il resto, e Alex Garland, che è del film sia regista che sceneggiatore, lo sa bene. Abbiamo una costruzione narrativa lineare, semplice, che va a evolversi nella direzione del thriller, grazie a personaggi perfettamente scritti e delineati: il boss, il programmatore e la cyborg. Garland utilizza il genere fantascientifico come esasperazione visiva di una paura del presente, tangibile, reale. Si tratta infatti di uno di quei film in cui la metafora supera la realtà, ed è così forte da non poterci lasciare indifferenti. Il genere, quindi, è utilizzato per veicolare la forza metaforica del messaggio. Se provassimo a strappare la confezione fantascientifica, avremmo un autentico giallo in interni: e ciò è possibile proprio perché per il regista/sceneggiatore i personaggi vengono prima di tutto il resto.

50376_pplInside Out è un film d’animazione, e a maggior ragione per ambire a essere considerato alla pari di uno in live action, deve reggersi su una scrittura che non ha nulla da invidiare a quella di tanti altri film con attori in carne e ossa. Le emozioni, che di Inside Out sono le protagoniste assolute, ci sono tutte. Gli spettatori possono provare un ventaglio di esperienze emotive in compagnia della simpatica ragazzina che ha all’interno della sua psiche dei conflitti piuttosto maturi, considerando che si tratta di un film destinato in primis ai bambini. L’intelligenza da parte degli sceneggiatori, nonché registi, Pete Docter e Ronnie Del Carmen, sta nell’ammettere che non abbiamo nella vita il controllo sulle situazioni e sulle nostre reazioni che invece pensiamo di possedere, e la colpa è di alcuni esserini che abitano nella nostra mente senza che ne siamo consapevoli: una grande metafora dell’inconscio. È una scelta coraggiosa, perché non avere potere sull’insieme delle nostre facoltà e sugli eventi è qualcosa che ci terrorizza. Ancora più encomiabile la scelta in fase di soggetto di strutturare l’intera psiche in sezioni, tra cui, oltre la sala comando in cui si trovano Gioia, Paura, Rabbia, Disgusto e Tristezza, anche una parte del cervello che è la raffigurazione angosciante del Rimosso freudiano. Sarà proprio in questo ambiente che si svolgerà una delle scene più toccanti del film, che comincia come una commedia nella situazione statica della sala controllo per poi diventare un’avventura itinerante tra le varie sezioni della mente della bambina.

121319-mdIl caso Spotlight e La grande scommessa sono invece due film associabili perché entrambi corali e costituiti da cast di attori di altissimo livello. Il primo, come i precedenti film di cui abbiamo parlato, è candidato per la miglior sceneggiatura originale, mentre il secondo per quella adattata. Si tratta in entrambi i casi di pellicole in cui abbiamo spesso e volentieri scene intorno a grandi tavoli, all’interno di uffici. Non ci interessa quello che c’è intorno: ciò che conta sono i protagonisti, tutti perfettamente caratterizzati, e il “grande problema” che rappresenta il fulcro del film. Nella Grande scommessa è il centro del film una scommessa sulla grande crisi economica prima americana e poi mondiale che ha fatto guadagnare pochissimi e perdere i più, mentre nel Caso spotlight è un’inchiesta riguardante gli abusi su minori da parte di ecclesiastici. Mentre il gergo di Spotlight (la cui sceneggiatura è di mano di Josh Singer e del regista Tom McCarthy) è giornalistico, quello della Grande scommessa è finanziario, il che ha reso più problematico il compito per gli sceneggiatori Charles Randolph e Adam McKay, che hanno adattato per lo schermo il romanzo di Michael Lewis cercando di gestire al meglio la grande quantità di tecnicismi finanziari per renderli materia cinematografica. Interessante l’uso di inserti improbabili ma divertenti per spiegare con parole più comprensibili i meccanismi della finanza. Quello che tiene in piedi i due film però è la caratterizzazione dei personaggi (soprattutto nella Grande scommessa, in cui emerge una grande meschinità di fondo) e la capacità degli interpreti di dare loro vita e forza.

Straight Outta Compton, candidato a sua volta per la migliore sceneggiatura originale, è uno sguardo sulla difficile emersione di una band nella scena rap losangelina. Un film la cui scrittura si basa, fino a diventarne un tutt’uno, sulla musica, per cui le parole e il registro colloquiale impiegati servono agli sceneggiatori Jonathan Herman e Andrea Berloff per creare un vero e proprio ritmo musicale che sorregge il film. Alle radici di un’operazione di questo tipo c’è un articolato studio dell’ambiente, perché è l’ambiente a determinare le svantaggiate condizioni sociali di chi deve lottare per trovare spazio nella vita e non può far altro che ribellarsi con rabbia, aderendo a un genere come quello del gangsta-rap. E il biopic viene qui portato a un livello più alto rispetto alla pericolosa piattezza che spesso lo mette a rischio. Straight Outta Compton è quindi un film scritto con la stessa passione furente che anima i suoi protagonisti.

Brooklyn vanta uno sceneggiatore d’eccellenza, Nick Hornby, che adatta il romanzo di Colm Toibin, storia dell’arrivo nell’America degli anni ’50 di una ragazza irlandese e del suo ritorno nella terra natìa, con conseguente riscoperta del tempo perduto. È un melodramma dalla struttura evidentemente tradizionale, che fa di questa caratteristica la sua forza. La limpidezza e l’evidenza dei sentimenti, caratteristiche da sempre presenti in Hornby, qui si sposano perfettamente con i confronti ambientali e culturali che scaturiscono dall’opposizione dei due mondi, il vecchio e il nuovo. Brooklyn è dunque l’ennesima dimostrazione che realizzare un’opera semplice che funzioni non è affatto un gioco da ragazzi, anzi, richiede la saggezza e la grande sapienza degne di una penna a cui si vuol bene come quella di Hornby.

Carol, scritto da Phyllis Nagy e tratto da un romanzo di Patricia Highsmith, è a sua volta disegnato sulla struttura del melodramma classico, e lo sarebbe fino in fondo se non fosse per l’introduzione di una coppia femmile omosessuale come protagonista del racconto. Ed è questo che determina le uniche differenze riscontrabili rispetto a tanti casi celebri del passato a cui Haynes e i suoi sceneggiatori guardano, in particolare i film di Douglas Sirk. La struttura narrativa riprende quella di Breve incontro di David Lean: si comincia con il finale. Un saluto frettoloso, una mano sulla spalla. E poi un amore contrastato, fatto di tanti incontri in cui la sensualità non riesce mai ad esplodere del tutto, perché è continuamente bloccata, rimandata, all’interno di una narrazione rigida e controllata in cui non sono permesse sbavature di sorta, come se lo stesso impianto stilistico del film avesse incamerato la repressione di quei tempi, in un circolo metalinguistico. Tutte le emozioni pertanto implodono all’interno di dialoghi nei quali il non detto o il semplicemente accennato hanno un peso maggiore rispetto a ciò che viene timidamente e ufficialmente dichiarato.

martian-gallery3-gallery-imageThe Martian sembrerebbe un film di fantascienza ma in realtà è una commedia. Quello che parte come una sorta di Cast Away su Marte si trasforma dichiaratemente nella divertente e anche divertita, ma non per questo priva di pericoli e suspense, lotta per la sopravvivenza del protagonista. Lo sceneggiatore Drew Goddard, adattando un romanzo di Andy Weir, conserva la verosimiglianza scientifica e proprio grazie a questa accuratezza può permettersi di rendere il suo protagonista uno spavaldo e autoironico autore di monologhi di fronte a una webcam. E qui abbiamo un’altra caratteristica della scrittura di The Martian: l’80% del film è retto da Matt Damon che fondamentalmente parla con noi seduti al buio in sala, e lo fa con grande sicurezza perché sa di essere uno scienziato esperto che in un modo o nell’altro se la caverà. E qui stanno la differenza con Cast Away e la chiave per la commedia. Era difficile far funzionare una commedia spaziale: merito anche dell’esperienza di Ridley Scott alla regia.

Room è in realtà composto da due film in uno. Senza fare spoiler, si può dire che una parte del film è claustrofobica (si torna di nuovo al meccanismo dei film in interni dove i dialoghi sono la principale forza motrice) mentre la seconda è più ondivaga. La sceneggiatrice Emma Donoghue, che adatta il suo stesso romanzo, punta tutto sulla comunicazione tra la mamma e il piccolo Jack, come se avessero un loro modo di capirsi, un linguaggio privato e personale. Il film si regge soprattutto su questa dinamica, perché i personaggi che si incontrano successivamente non hanno centralità. Si parte quindi con quello che potrebbe sembrare un thriller per poi finire in un dramma psicologico, però si avverte la mancanza di un vero equilibrio tra le due parti, dovuta soprattutto all’eccessiva lunghezza della seconda che, pur essendo ambientata in luoghi più aperti, rimane proprio per questo meccanismo di scambio a due tra madre e bambino ancora, in un certo senso, claustrofobica, come se tutto il film effettivamente fosse in un’unica e sola stanza mentale.

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A Los Angeles la notte degli Oscar https://www.fabriqueducinema.it/festival/dal-mondo-festival/la-cerimonia-degli-oscar-in-streaming-su-fabrique/ https://www.fabriqueducinema.it/festival/dal-mondo-festival/la-cerimonia-degli-oscar-in-streaming-su-fabrique/#respond Fri, 19 Feb 2016 08:20:35 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=2628 Cosa succederà la notte del 28 febbraio? A Los Angeles ci sarà la cerimonia cinematografica più famosa del mondo, quella degli Oscar. E noi di Fabrique du Cinéma saremo per la prima volta in collegamento da Roma per seguirla dal vivo in diretta e commentarla minuto per minuto, con tanti ospiti in sala, dagli Actual […]

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Cosa succederà la notte del 28 febbraio? A Los Angeles ci sarà la cerimonia cinematografica più famosa del mondo, quella degli Oscar.

E noi di Fabrique du Cinéma saremo per la prima volta in collegamento da Roma per seguirla dal vivo in diretta e commentarla minuto per minuto, con tanti ospiti in sala, dagli Actual al trio comico Pedigrì, e poi avremo i commenti in studio di Francesca Bianchini, Andrea Di Iorio, Stefania Sciortino e tanti altri. Conduce la stand-up comedian Martina Catuzzi.

Si chiacchiererà di cinema, si scherzerà, si faranno pronostici più o meno folli, e ci sarà anche musica dal vivo con Il complesso di Plutone, djset e live acustici. Cosa volere di più?

Seguici dal sito dalle ore 23, oppure partecipa dal vivo INVIANDO LA TUA ISCRIZIONE QUI : i primi 80 iscritti seguiranno la diretta con noi in teatro.

 

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Il “Serpente” colombiano candidato agli Oscar https://www.fabriqueducinema.it/festival/dal-mondo-festival/il-serpente-colombiano-candidato-agli-oscar/ https://www.fabriqueducinema.it/festival/dal-mondo-festival/il-serpente-colombiano-candidato-agli-oscar/#respond Tue, 22 Dec 2015 08:59:50 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=2444 Il colombiano “L’abbraccio del serpente” è candidato all’Oscar 2016 per il miglior film straniero. Un bel colpo per una cinematografia ancora poco nota da noi, ma che si sta facendo rapidamente apprezzare in tutto il mondo. Juan Pablo Chajin, giornalista di The End, magazine di cinema colombiano partner di Fabrique, ha scritto per noi questa breve […]

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Il colombiano “L’abbraccio del serpente” è candidato all’Oscar 2016 per il miglior film straniero. Un bel colpo per una cinematografia ancora poco nota da noi, ma che si sta facendo rapidamente apprezzare in tutto il mondo.

Juan Pablo Chajin, giornalista di The End, magazine di cinema colombiano partner di Fabrique, ha scritto per noi questa breve storia del cinema colombiano degli ultimi anni.

L’“epoca dorata” del cinema colombiano (1970-1990) è quasi sconosciuta alle nuove generazioni. Film come Cien Años de Infidelidad (1980) di Eduardo  Sáenz, Pura Sangre (1982) di Luís Ospina, Carne de tu Carne (1983) e La Mansión de la Araucaima (1986) di Carlos Mayolo sono invece solo alcuni dei film di valore girati in quel periodo.

Gli anni Ottanta hanno segnato un importante momento artistico per il cinema di Bogotà. È allora che, proprio grazie all’abilità di alcuni registi come Mayolo e Ospina, si è riusciti a uscire dalla cosiddetta Pornomiseria, genere il cui tema principale era l’ostentazione della povertà. Con il supporto della Compañía de Fomento Cinematográfico (FOCINE) furono prodotti allora una trentina di lungometraggi e un gran numero di corti e documentari; purtroppo nel 1993 la FOCINE venne chiusa per difficoltà amministrative, lasciando un vuoto produttivo enorme, dato che l’appoggio statale era fondamentale per la nascente industria.

Negli anni Novanta il paese vive uno dei momenti più critici, in preda al narcotraffico e alla violenza. Ma è proprio allora, in un panorama cinematografico dominato da commedie banali e brutalità sensazionalista, che appare uno dei film (se non “il film”) che ha raggiunto la maggior notorietà internazionale: La Estrategia del Caracol (La strategia della lumaca, 1993) di Sergio Cabrera. Allo stesso modo, il nome di Victor Gaviria comincia a farsi largo fra i nuovi talenti del cinema, con film come La Vendedora de Rosas (1998) e Rodrigo D. No Futuro (1990).

È con il nuovo millennio che le cose cambiano davvero. La legge del cinema e il Fondo di Sviluppo Cinematografico (Proimágenes) sono lo stimolo per la progressiva crescita del cinema nazionale. Pur dando ampio spazio ai film di tipo commerciale, non si trascura il cinema d’autore. Per qualcuno è una novità, per altri è ritrovare finalmente una tendenza artistica già sperimentata qualche decennio prima.

Contemporaneamente, la Colombia acquista fama internazionale per il Festival di Cartagena, la rassegna cinematografica più antica in America Latina. Ormai alla sua 55a edizione, è un appuntamento obbligatorio per i cinefili di tutto il mondo. Con più di 170 film, 300 ospiti d’onore, tra cui Darren Aronofsky e Kim Ki-duk, il festival ha dimostrato la sua importanza e il suo costante sostegno al cinema colombiano.

Spira un’aria nuova, non c’è dubbio. Film vibranti, con visioni profonde raccontano la società e  la cultura colombiana. Los Viajes del viento (2009), La Sirga (2012), Tierra en la lengua (2014), La Sociedad del Semáforo (2010), El vuelco del Cangrejo (2010) e Los hongos (2014) sono un chiaro esempio di un rinnovamento più che necessario. Tuttavia, la distribuzione di questi film è stata tormentata, pochi hanno avuto il privilegio di vederli al cinema a causa di una colpevole e miope distribuzione.

Ciò che si nota nella produzione cinematografica colombiana è lo sforzo individuale da parte di registi, scrittori e produttori nel portare un’idea sullo schermo, ma siamo ben lontani da essere un’industria. Non potremo stabilire mai un’identità nazionale cinematografica se non avremo il supporto vero da parte di tutti gli elementi della produzione.

Oggi comunque siamo ben incamminati verso il futuro. Per la prima volta nella storia, quest’anno la Colombia ha partecipato con quattro film al festival di Cannes. Con il sostegno del Fondo dello Sviluppo Cinematografico, il paese si fa spazio nel cinema mondiale: Alias María, El Abrazo de la Serpiente (L’abbraccio del serpente) premiato alla Quinzaine des Réalisateur, La Tierra y la Sombra [uscito con ottimi riscontri nelle sale italiane col titolo Un mondo fragile] che ha vinto la Camera d’Or, e El Concursante compiono un’impresa senza precedenti, dimostrando la progressiva crescita del cinema colombiano. Ogni anno che passa c’è una maggior competitività sul mercato internazionale, e finalmente la Colombia si sta forgiando un’identità, un volto che sarà riconosciuto in giro per il mondo. È solo questione di tempo.

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Torna il Riff, con più di 100 film https://www.fabriqueducinema.it/festival/italia/torna-il-riff-vocazione-festival/ https://www.fabriqueducinema.it/festival/italia/torna-il-riff-vocazione-festival/#respond Thu, 23 Apr 2015 16:40:59 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=1314 Saranno l’opera prima di Tommaso Agnese “Mi chiamo Maya” con Valeria Solarino e Carlotta Nobili e il film greco di Syllas Tzoumerkas sulla crisi economica “A Blast” gli opening film della 14esima edizione del Rome Independent Film Festival (RIFF), che avrà luogo dall’ 8 al 14 maggio 2015 nella doppia location del The Space Cinema […]

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Saranno l’opera prima di Tommaso Agnese Mi chiamo Maya” con Valeria Solarino e Carlotta Nobili e il film greco di Syllas Tzoumerkas sulla crisi economicaA Blast” gli opening film della 14esima edizione del Rome Independent Film Festival (RIFF), che avrà luogo dall’ 8 al 14 maggio 2015 nella doppia location del The Space Cinema Moderno di Roma e del Nuovo Cinema Aquila.

Tra le novità di questa edizione, dove saranno protagonisti più di cento tra film e documentari “indipendenti”, con numerose anteprime italiane ed europee, segnaliamo la sezione fuori concorso delle sette opere vincitrici dei Teddy Awards 2014-2015, premio cinematografico internazionale per film con tematiche LGBT, presentato da una giuria indipendente come premio ufficiale del Festival di Berlino (Berlinale). Il Teddy Award è un premio di carattere sociale assegnato a film e persone che trattano temi “queer” per promuovere tolleranza, accettazione, solidarietà e uguaglianza.

Nel corso del Festival, diretto da Fabrizio Ferrari, verrà dato ampio spazio ai lungometraggi italiani. Fra i titoli selezionati segnaliamo, tra gli altri, La mezza stagione di Danilo Caputo, vincitore del premio internazionale “Mattador” come migliore sceneggiatura; Crushed Lives – il sesso dopo i figli di Alessandro Colizzi con, tra gli altri, Walter Leonardi e Nicoletta Romanoff, un film sul sesso prima, durante e dopo i figli; Figli di Maam, sul Museo dell’Altro e dell’Altrove di Metropoliz, per la regia di

Paolo Consorti, con Franco Nero, Luca Lionello e Alessandro Haber, l’opera prima The Elevator di Massimo Coglitore, film italiano interpretato da attori stranieri, tra i quali Caroline Goodall (Emilie Schindler in Schindler’s List) e Burt Young (nomination agli Oscar per Rocky); la commedia poetica italo-spagnola Rocco tiene tu nombre del registra salernitano Angelo Orlando, conosciuto al grande pubblico per aver lavorato con alcuni dei più grandi registi del cinema italiano come Federico Fellini, Massimo Troisi, Mario Monicelli.

Tra i film “fuoriconfine” segnaliamo il candidato della Repubblica Ceca agli Oscar per la sezione miglior film straniero, Fair play della regista ceca Andrea Sedláčková; il francese Cruel di Eric Cherrière, thriller che racconta la storia di un glaciale assassino; il film greco A Blast di Syllas Tzoumerkas incentrato sul personaggio di Maria, donna in fuga da una vita scontata e monotona in una Grecia schiacciata dal peso della crisi; Kebab and Horoscope primo lungometraggio del regista e sceneggiatore polacco Grzegorz Jaroszuk; Luna di Dave McKean, celebre illustratore di graphic novels e concept artist per diversi film come Harry Potter e il prigioniero di Azkaban, che ha inoltre prodotto l’immagine lanciata dalla Sony PlayStation e lavorato per film come Blade, Alien Resurrection e Sleepy Hollow.

Nella ricca selezione dei documentari 2015, un’interessante novità è l’apertura di una sezione dedicata ai ‘documentari brevi’, che affianca le consuete sezioni dei doc italiani e stranieri, accogliendo opere come Haiyan Aftermath, di Lorenzo Moscia, un reportage sull’uragano Haiyan, che ha colpito le Filippine nel 2013, Socotra: The Hidden Land, di Carles Cardelús, sulla remota isola di Socotra e The Bookshop, di David Gordon e Anna Byrne, su un singolare negozio inglese di libri usati. Nella sezione internazionale, primo piano sull’attualità con, fra gli altri, Born in Gaza, di Hernán Zin, storie di bambini cresciuti a Gaza, e Return To Homs, del siriano Talal Derki, storia di due giovani attivisti pacifisti che decidono di impugnare le armi contro il regime di Assad; anche nella sezione italiana si parla di Siria con Young Syrian Lenses, di Ruben Lagattolla e Filippo Biagianti, su alcuni ragazzi che lavorano nei network informativi ad Aleppo, ma anche di discriminazione, con Non so perché ti odio: tentata indagine sull’omofobia ed i suoi motivi, di Filippo Soldi, analisi sulle possibili cause dell’omofobia, e di dispersione scolastica nel Sud Italia, con Quando non suona la campana, di Lorenzo Giroffi. Spazio anche ad arte e spettacolo, con Burlesque. Storia di donne, di Lorenza Fruci, Il fattore umano, di Matteo Alemanno e Francesco Rossi, un profilo biografico del grande fotografo Tano D’Amico, Il segreto di Otello, di Francesco Ranieri Martinotti, sull’antica trattoria romana di Otello, punto d’incontro di artisti come Pasolini, Fellini, Antonioni, Visconti, Scola e Monicelli.

Luca Argentero, Eugenia Costantini, Alessandro Haber, Gianfelice Imparato, Sandra Milo, Elisabetta Pellini, Edoardo Sala, Andrea Simonetti e Alberto Rubini, padre del noto regista Sergio saranno alcuni degli attori protagonisti dei 20 cortometraggi italiani in concorso al Riff, con un particolare e affettuoso saluto a Monica Scattini, scomparsa prematuramente lo scorso febbraio, che con Love Sharing segna il suo esordio alla regia.

La giuria internazionale sarà composta da Louis Siciliano musicista e compositore, vincitore nel 2005 del Nastro d’Argento, da Philippe Antonello, fotografo di scena che ha lavorato con i migliori registi italiani come Gabriele Salvatores, Pupi Avati e Nanni Moretti, e internazionali come Mel Gibson, per The Passion, e Wes Anderson; da Ines Vasiljevic produttrice di molti film tra i quali La nave dolce, La ritirata e Con il fiato sospeso, dall’attrice indiana Vishakha Singh, dal documentarista Antonio Pezzuto, dall’attrice giapponese Jun Ichikawa, da Fabio Mancini responsabile dello slot di documentari DOC3 di Raitre e collaboratore alla scrittura del programma Storie Maledette e dal regista Gianfranco Pannone.

Al termine del Festival saranno assegnati i RIFF Awards per un valore di oltre 50.000 euro.

Roma, 8 – 15 maggio 2015

The Space Cinema Moderno 
Nuovo Cinema Aquila

www.riff.it 

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