Officine Mattoli Archivi - Fabrique Du Cinéma https://www.fabriqueducinema.it La Rivista Del Nuovo Cinema Italiano Wed, 23 Oct 2024 14:33:11 +0000 it-IT hourly 1 Castelrotto, un film antico e nuovo stranamente affascinante https://www.fabriqueducinema.it/magazine/opera-prima/castelrotto-un-film-antico-e-nuovo-stranamente-affascinante/ https://www.fabriqueducinema.it/magazine/opera-prima/castelrotto-un-film-antico-e-nuovo-stranamente-affascinante/#respond Sun, 28 Apr 2024 13:30:49 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=19100 Prima presentato al Torino Film Festival 2023, poi finalista dei Fabrique du Cinéma Awards tra i candidati per la Miglior Opera Prima Italiana, infine al centro di un giro d’Italia auto-organizzato, Castelrotto, il primo lungometraggio del poco più che quarantenne Damiano Giacomelli, è allo stesso tempo un raro esempio di indipendenza radicale e un pezzo […]

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Prima presentato al Torino Film Festival 2023, poi finalista dei Fabrique du Cinéma Awards tra i candidati per la Miglior Opera Prima Italiana, infine al centro di un giro d’Italia auto-organizzato, Castelrotto, il primo lungometraggio del poco più che quarantenne Damiano Giacomelli, è allo stesso tempo un raro esempio di indipendenza radicale e un pezzo di cinema italiano falsamente regionalistico, autenticamente diverso da tutto il resto. Un oggetto antico e nuovo stranamente affascinante.

Il suo autore totale – che ha scritto, diretto prodotto e distribuito – ha il physique du rôle e la storia dell’uomo di cinema d’altri tempi, un outsider caparbiamente e consapevolmente fiorito fuori dai soliti giri. Durante gli anni all’Università di Urbino Giacomelli scopre casualmente l’opzione cinematografica con l’incontro fatale con la sala di montaggio; così inizia la passione per il ritmo musicale delle immagini. Nel successivo periodo di studio e specializzazione a Roma scopre, coi primi lavori su commissione, il laboratorio della scrittura.

Riprende l’attività didattica con giovani e giovanissimi, dentro e fuori le scuole; da qui nasce Officine Mattoli, un laboratorio aperto che diventa fucina di nuovi artigiani cinematografici. Intorno si va raccogliendo intanto una piccola folla di talenti che si stabilizzeranno presto in gruppo di lavoro. In parallelo ricomincia l’attività di produzione cinematografica – che presto troverà la sua forma ufficiale sotto le insegne di Yuk! film – nella quale quel gruppo diventa protagonista. Così, nel giro di pochi anni, arrivano due corti – La strada vecchia e Spera Teresa – e un lungometraggio documentario – Noci sonanti – che tutti insieme costituiscono un po’ la massa critica necessaria per l’arrivo al primo lungometraggio a soggetto. Nei tre film si ritrovano anticipazioni, ricorrenze, contesti e registri che torneranno, sublimati e combinati, in Castelrotto: alcuni luoghi della provincia pulviscolare come dimensione esistenziale, il comico, il malinconico, il grottesco, il gergale e il dialettale usati come musica concreta, il plurale e il singolare come luoghi della vita di paese.

Castelrotto Tantucci
Denise Tantucci, nel cast di “Castelrotto”.

Il progetto di Castelrotto nasce a questo punto dall’intreccio e dalla sovrapposizione di due spinte: da una parte quella che muove Damiano Giacomelli verso nuove e più alte sfide in direzione di una maturazione e di una crescita, dall’altra la necessità di un’idea per trovare una forma cinematograficamente estrinseca. Dalla frequentazione assidua della cronaca locale, dalla rimasticazione delle dinamiche e delle forze che tendono l’ordito dei piccoli centri tra Fermo, Macerata, Tolentino, dalla versione del mondo, alternativa e differente, che da questi territori è prodotta, nasce un’idea che si manifesta – dice Giacomelli – prima di tutto come voce: Ottone, il protagonista del suo esordio, inizia a esistere nella testa del suo autore come voce ancora senza volto e senza corpo.

Alla fine del 2019 la voce è maturata in idea e l’idea in progetto: il film a venire ha già una sua forma produttivamente concreta e il suo protagonista, la sua voce portante, ha trovato un corpo, quello di Giorgio Colangeli. Un po’ per scelta e un po’ per necessità la macchina della produzione si mette in moto seguendo la via dell’indipendenza e intraprendendo l’avventura di fare un film senza la garanzia di accordi o alleanze.

Le riprese si svolgono durante l’ultima recrudescenza della pandemia di Covid,, concentrandosi soprattutto nel piccolo borgo di Ponzano di Fermo. Nonostante le difficoltà pratiche quotidiane, nonostante una sosta obbligata causa contagio, il film si presenta presto alla fase della post-produzione. «Mentre lo scrivevo ascoltavo sempre della musica»: tra le sue tante esperienze di agitatore culturale Giacomelli è anche direttore artistico del festival culturale Borgofuturo. Qui conosce Peppe Leone, autorevole musicista percussionista senza alcuna pregressa esperienza nella composizione per il cinema. A lui affida la costruzione di una colonna sonora anti-melodica e per niente nostalgica che contribuisce significativamente all’invenzione dell’anima frammentaria e sincopata di Castelrotto. Un contrappunto antinaturalistico e asincrono che spinge lo spettatore lontano da ogni possibile apparentamento con l’apologetica strapaesana.

Quel che arriva a Torino è un film di difficile definizione, né comico né tragico, che gioca con alcune forme dei generi cinematografici – il giallo e il crime movie su tutti, ma in una convincente simbiosi con altre citazioni frammentarie tra le quali forse perfino il western – senza mai lasciarsi irrigidire nel cimento; che evoca immaginari inconsueti pur parlando in modo concreto e rigoroso del tempo presente; che inizia sorvolando un orizzonte apparentemente surreale – né tondo né quadro, assai lontano dalle forme di visione e di racconto del cinema italiano contemporaneo – e che finisce atterrando in un altrettanto enigmatico panorama astratto, procedendo in realtà per tutto il tempo, secondo una coerenza perfetta, lungo una traiettoria che attraversa i corpi e le cose.

La voce che dà l’avvio al film è quella di Ottone, maestro in pensione che dalla finestra di casa sua domina la piazzetta del borgo di Castelrotto, dove una mattina non vede arrivare il camioncino del solito venditore ambulante ma quello dei “calabresi”, un padre e due figli arrivati nelle Marche per la ricostruzione del terremoto degli anni Novanta e poi rimasti in cerca di una vita migliore; da Ottone odiati e contrastati ciecamente per la convinzione, mai dimostrata, che abbiano indirettamente causato la morte della nipote.

Ottone – che inizia distinguendo tra storie e storielle, tra racconti che funzionano e racconti che non funzionano – è un narratore anacronistico e spaesato, giornalista amatoriale, e all’inizio del film si rimette alla sua vecchia macchina da scrivere per tentare di trovare un ordine nei misteriosi fatti intorno alla scomparsa del vecchio ambulante. Nella traiettoria che lo conduce attraverso una riconciliazione con il suo paese e con sé stesso, Ottone incontra la rabbia e l’odio […]

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Damiano Giacomelli: il mio cinema “provinciale” https://www.fabriqueducinema.it/magazine/futures/damiano-giacomelli-il-mio-cinema-provinciale/ https://www.fabriqueducinema.it/magazine/futures/damiano-giacomelli-il-mio-cinema-provinciale/#respond Fri, 22 May 2020 08:07:35 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=13993 Damiano Giacomelli, filmmaker lontanto dalle mode Dopo studi itineranti tra Urbino, Bologna e Parigi Damiano Giacomelli (nato a Tolentino) ha iniziato la sua carriera come sceneggiatore e filmmaker d’inchiesta. Lontano dai centri nevralgici del cinema europeo, ha trovato nelle Marche quel cinema del reale lontano dalle mode e dalle tendenze dell’industria cinematografica. Vincitore del Torino […]

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Damiano Giacomelli, filmmaker lontanto dalle mode

Dopo studi itineranti tra Urbino, Bologna e Parigi Damiano Giacomelli (nato a Tolentino) ha iniziato la sua carriera come sceneggiatore e filmmaker d’inchiesta. Lontano dai centri nevralgici del cinema europeo, ha trovato nelle Marche quel cinema del reale lontano dalle mode e dalle tendenze dell’industria cinematografica. Vincitore del Torino Film Festival e del concorso I love G.A.I. – Giovani Autori Italiani nell’ambito della Mostra del Cinema di Venezia, Damiano Giacomelli si conferma come uno dei maggiori talenti del cinema italiano indipendente e periferico.

Le Marche, terra di frontiera

Possiamo considerare il tuo come un cinema delle origini? Quasi identitario?

Tra i luoghi che ho frequentato, quello in cui abito è forse il più lontano dai centri principali del fare cinema. Così quando lavoro faccio poco riferimento alle tendenze e molto al rapporto con la realtà che mi circonda. La provincia delle aree interne ormai è questione di reduci. Spesso mi trovo a indagare situazioni in cui qualcuno incontra (o si scontra con) le omologazioni della società di massa. Tanto chi resiste, quanto chi aderisce, lo fa spesso in modo sghembo e non allineato. Ne deriva un disadattamento che oggi risuona in tante anonime province dei paesi occidentali.

Le Officine Mattòli sono un progetto un po’ ibrido, come è nato?

Fino al 2010 ho incrociato le prime esperienze professionali con brevi laboratori scolastici a Tolentino (MC). I corti che giravamo coi ragazzi avevano buoni risultati nei festival di settore e così mi hanno proposto un laboratorio extra-scolastico in città. Anziché tenerlo io, ho pensato di coinvolgere professionisti attivi a livello nazionale. Su questi presupposti è nata un’associazione, ancora oggi impegnata nella formazione e nell’organizzazione eventi. Negli anni hanno collaborato come docenti Daniele Gaglianone, Francesco Amato, Stefania De Santis, Daniele Ciprì, Gianluca Arcopinto, Gaetano Bruno, Daniele Orazi, Francesca Inaudi, Andrea Segre e tanti altri. Nel 2014 poi con Eleonora Savi abbiamo creato Officine Mattòli Produzioni, la società che ha prodotto i miei primi lavori.

Damiano Giacomelli
Damiano Giacomelli sul set de La strada vecchia

Con La strada vecchia hai vinto a Venezia il concorso I love G.A.I. Cosa distingue questo corto dagli altri tuoi lavori?

Il corto racconta di un giovane venditore ambulante di patate, che per la prima volta mette in discussione il mestiere esercitato da suo padre e suo nonno prima di lui. È ambientato nella zona di valico tra le Marche e l’Umbria, sulla statale che percorrevo regolarmente per arrivare a Roma. Oggi una nuova superstrada mi fa risparmiare mezz’ora, tagliando però fuori gli ambulanti della strada vecchia. Diversamente dagli altri miei lavori di finzione, qui non partivo da un personaggio, ma da un contesto e una vicenda. Questo mi ha dato maggiore libertà nella costruzione dei personaggi, cui gli attori hanno dato un contributo decisivo, a partire da Fabrizio Falco, Elena Radonicich e Fabrizio Ferracane.

Spera Teresa invece si è aggiudicato la vittoria al Torino Film Festival, sembra collocarsi a metà tra la fiction e il documentario sociale.

L’ho scritto in mezza giornata nell’immediato post-sisma, tra un trasloco e l’altro. Al centro del corto c’è un personaggio, Teresa, costruito sulla sua ottima interprete: Rebecca Liberati. L’altro ingrediente è un nuovo quartiere della mia città, nato tra un magazzino di fallimenti e uno dei più grandi villaggi container in Italia. Avevo iniziato a giocare col mockumentary per promuovere il festival Borgofuturo [di cui è direttore artistico, a Ripe di San Ginesio, ndr]. In Spera Teresa ho ripreso quel linguaggio con maggiore studio e progettazione, cercando però di mantenere l’energia grezza che può veicolare.

I tuoi sono lavori indipendenti, spesso ti occupi della regia ma anche di scrittura e produzione, come ti destreggi tra i vari ruoli?

Al centro ci sono le storie, le altre scelte seguono a cascata. Per questo, anche se può sembrare poco ortodosso, l’attraversamento di più ruoli mi aiuta a dare continuità al processo produttivo e creativo. Ci sono storie che è più indicato mettere in scena tra amici, se non da soli. Per altre è necessario un gruppo più ampio di collaboratori, con competenze più specifiche. L’importante è non perdere contatto con la natura del progetto.

Damiano Giacomelli sul set di Noci sonanti
Damiano Giacomelli sul set di Noci sonanti

Nel 2019 il documentario Noci sonanti, girato in co-regia con Lorenzo Raponi, ha vinto il premio opera prima al Biografilm di Bologna. Ha richiesto un lungo periodo di lavorazione?

Il film racconta l’estate che Siddhartha trascorre con suo padre, vivendo da uomini liberi nella natura, secondo lo stile di vita radicale dell’uomo… fino all’esame di quarta elementare, unico momento istituzionale della vita del bambino. Stabilito un rapporto di fiducia con i due protagonisti, abbiamo girato per due mesi con due camere. La co-regia con Lorenzo Raponi ha permesso di seguire entrambi con la stessa consapevolezza di racconto. Alla fine, avevamo un girato consistente, che abbiamo montato in due sessioni nell’arco di quasi due anni, con Aline Hervé ed Enrico Giovannone.

A cosa stai lavorando adesso?

Al mio primo film di finzione, ambientato sui Monti Sibillini. Il film ha a che fare con il fenomeno delle fake news, trasportato sulla dimensione di una piccola realtà di paese. Abbiamo già ottenuto un primo fondo dal bando della Marche Film Commission e stiamo lavorando sulla chiusura del budget.

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Spera Teresa, il successo a ogni costo https://www.fabriqueducinema.it/tuttiacasaconfabrique/spera-teresa-il-successo-a-ogni-costo/ https://www.fabriqueducinema.it/tuttiacasaconfabrique/spera-teresa-il-successo-a-ogni-costo/#respond Tue, 31 Mar 2020 08:32:46 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=13726 In esclusiva per i lettori di Fabrique la visione gratuita, per un periodo di tempo limitato*, dei corti più premiati degli ultimi anni: i loro autori sono registi giovani e promettenti, e noi scommettiamo sul loro talento.  Solo per oggi in esclusiva il nuovo corto di Damiano Giacomelli, Spera Teresa, vincitore dello scorso Torino Film […]

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In esclusiva per i lettori di Fabrique la visione gratuita, per un periodo di tempo limitato*, dei corti più premiati degli ultimi anni: i loro autori sono registi giovani e promettenti, e noi scommettiamo sul loro talento. 
Solo per oggi in esclusiva il nuovo corto di Damiano Giacomelli, Spera Teresa, vincitore dello scorso Torino Film Festival, un mockumentary ambientato nell’emergenza post terremoto delle Marche dal finale sorprendente, interpretato da Rebecca Liberati e con un imperdibile cameo di Iva Zanicchi.

Dopo gli studi in comunicazione multimediale e in scrittura cinematografica, dal 2010 Damiano Giacomelli indaga le comunità dell’entroterra appenninico attraverso progetti filmici, iniziative di formazione cinematografica con Officine Mattòli e la direzione artistica del festival Borgofuturo. Ha lavorato come sceneggiatore per lungometraggi e serie web. Ha diretto diversi prodotti audiovisivi, tra cui documentari per la TV e cortometraggi promozionali.
Dopo Un rovescio (2014) e La strada vecchia (2018), Spera Teresa (2019) è il suo terzo cortometraggio.
Nel 2019 esce anche il suo primo documentario per il cinema, Noci sonanti. Il film è in concorso al Biografilm – International celebration of lives, dove vince il premio Hera – Nuovi talenti, per la miglior opera prima.
Damiano, possiamo considerare il tuo come un cinema delle origini? Quasi identitario?

Tra i luoghi che ho frequentato, quello in cui abito è forse il più lontano dai centri principali del fare cinema. Così quando lavoro faccio poco riferimento alle tendenze e molto al rapporto con la realtà che mi circonda. La provincia delle aree interne ormai è questione di reduci. Spesso mi trovo a indagare situazioni in cui qualcuno incontra (o si scontra con) le omologazioni della società di massa. Tanto chi resiste, quanto chi aderisce, lo fa spesso in modo sghembo e non allineato. Ne deriva un disadattamento che oggi risuona in tante anonime province dei paesi occidentali.

Spera Teresa, che si è aggiudicato la vittoria al TFF, sembra collocarsi a metà tra la fiction e il documentario sociale.

L’ho scritto in mezza giornata nell’immediato post-sisma, tra un trasloco e l’altro. Al centro del corto c’è un personaggio, Teresa, costruito sulla sua ottima interprete: Rebecca Liberati. L’altro ingrediente è un nuovo quartiere della mia città, nato tra un magazzino di fallimenti e uno dei più grandi villaggi container in Italia. Avevo iniziato a giocare col mockumentary per promuovere il festival Borgofuturo. In Spera Teresa ho ripreso quel linguaggio con maggiore studio e progettazione, cercando però di mantenere l’energia grezza che può veicolare.

(ringraziamo Stefania Covella)

* Scaduto il termine, il corto integrale è sostituito dal trailer.

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