Mostra internazionale d'arte cinematografica Archivi - Fabrique Du Cinéma https://www.fabriqueducinema.it La Rivista Del Nuovo Cinema Italiano Wed, 23 Oct 2024 14:05:36 +0000 it-IT hourly 1 Venezia 81: “Anywhere Anytime” e i ladri di biciclette oggi https://www.fabriqueducinema.it/magazine/opera-prima/venezia-81-anywhere-anytime-e-i-ladri-di-biciclette-oggi/ https://www.fabriqueducinema.it/magazine/opera-prima/venezia-81-anywhere-anytime-e-i-ladri-di-biciclette-oggi/#respond Thu, 05 Sep 2024 12:37:01 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=19315 Issa è un senegalese sans papier. Quando se ne accorge l’uomo che gli dà lavoro come scaricatore al mercato, lo licenzia: troppo alto il rischio dei controlli. Da qui una bici acquistata con fatica, il lavoro di rider e il furto che stravolgerà ulteriormente la vita del ragazzo in una Torino che a modo suo […]

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Issa è un senegalese sans papier. Quando se ne accorge l’uomo che gli dà lavoro come scaricatore al mercato, lo licenzia: troppo alto il rischio dei controlli. Da qui una bici acquistata con fatica, il lavoro di rider e il furto che stravolgerà ulteriormente la vita del ragazzo in una Torino che a modo suo cerca di fare qualcosa per gli invisibili come lui, ma non è mai abbastanza. Anywhere Anytime, opera prima di Milad Tangshir, omaggia il passato di Ladri di biciclette con il presente della consegna a domicilio e prende in prestito da quei grandi sceneggiatori del Novecento (Vittorio De Sica, Cesare Zavattini, Suso Cecchi D’Amico) il congegno narrativo della bici rubata.

Il suo film pedala sull’asfalto degli invisibili, parla di lotta per la sopravvivenza e integrazione dei nuovi vinti, quindi di sfortuna e sfumature che possono far crollare un’esistenza come un castello di carte. Con l’attenzione a un realismo urbano germogliato esteticamente sul solco moderno dei fratelli Dardenne, pesca dalla strada le sue facce e i suoi cromosomi narrativi, in senso pieno. Il regista è un iraniano con un salto nel nostro paese simile a quello di Ferzan Ozpetek. Fino all’arrivo in Italia, nel 2011, aveva inciso tre album con una rock band in Iran, poi qui da noi gli studi di cinema, i primi cortometraggi premiati e la collaborazione con Daniele Gaglianone, che ha scritto la sceneggiatura insieme a lui e a Giaime Alonge. Il loro script è asciutto, scevro di pietismi e contempla l’importanza della relazioni tra le persone. Che sia amicizia, flirt, lavoro, volontariato, incontri fortuiti con brave persone o incontri con brutti ceffi, il trio di autori ci presenta un affresco molto realistico della Torino di oggi attraverso lo sguardo di un ragazzo straniero.

Tangshir ha preso dalla strada gran parte del cast. Dei non-attori, un po’ come Garrone per Io capitano. Ibrahima Sambou è il protagonista, il ragazzo che cerca solo di cavarsela. La sua limpidezza nella nostra Italia così contraddittoria ha l’asprezza di una realtà che Sambou per primo ha visto con i suoi occhi ben prima di qualsiasi set.

A prescindere dal classico percorso dell’eroe costruito per l’intrattenimento narrativo, il film apre uno squarcio su una realtà difficile, pur senza mettere lo spettatore troppo  disagio, facendogli assaggiare senza rischio quelle situazioni a tenaglia da una poltrona vellutata rinfrescata da aria condizionata. E anche senza caricare sensi di colpa sul pubblico, questo cinema mostra il mondo di oggi e le sue nuove storture subite da speranza e buona fede operosa. Il filo rosso di queste tematiche parte da lontano, cinematograficamente da De Sica passando per le crune di tanti autori e tante epoche. Dai Petri ai Loach, ai più recenti Vicari, Riondino e Garrone. Fino alla bella sorpresa Tangshir. Proprio a questo punto, nell’incontro tra realtà e narrazione, il cinema diventa strumento necessario di coscienza civile. Anywhere Anytime si avvale oltretutto di una colonna sonora fatta di rumbe jazz che ci immergono in ritmi sincopati e imprevedibili come la vita in strada. È stato presentato a Venezia per la Settimana della Critica, l’unico italiano in concorso, e uscirà al cinema l’11 settembre.

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Seydou Sarr: Garrone mi ha mostrato qualcosa di me che non conoscevo https://www.fabriqueducinema.it/magazine/cover/seydou-sarr-garrone-mi-ha-mostrato-qualcosa-di-me-che-non-conoscevo/ https://www.fabriqueducinema.it/magazine/cover/seydou-sarr-garrone-mi-ha-mostrato-qualcosa-di-me-che-non-conoscevo/#respond Tue, 28 Nov 2023 09:13:43 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=18837 Leone d’argento a Venezia 80 e Premio Mastroianni all’attore protagonista: se Io Capitano è stato uno dei casi cinematografici di quest’anno, al pari Seydou Sarr è stata una scoperta davvero inattesa. È a lui che dedichiamo la nuova cover Fabrique du Cinéma, giovane senegalese scelto da Matteo Garrone per raccontare l’epica della migrazione senza morbosità, […]

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Leone d’argento a Venezia 80 e Premio Mastroianni all’attore protagonista: se Io Capitano è stato uno dei casi cinematografici di quest’anno, al pari Seydou Sarr è stata una scoperta davvero inattesa.

È a lui che dedichiamo la nuova cover Fabrique du Cinéma, giovane senegalese scelto da Matteo Garrone per raccontare l’epica della migrazione senza morbosità, senza distorsioni voyeuristiche e senza rincorrere un messaggio ad ogni costo. Ha sempre sognato il calcio: il grande cinema è arrivato per caso, presentandosi ai casting del film organizzati a Thiès, a un’ora e mezza da Dakar. La storia di Seydou è incredibilmente simile a quella del suo personaggio: e proprio come lui, su quello che arriverà dopo rimane un’affascinante incognita. Nel frattempo ci racconta il viaggio.

Seydou, partiamo dal provino per il film: come ti sei preparato? Avevi capito realmente cosa stavi andando a fare?

No, davvero non lo sapevo cosa stavo andando a fare, perché c’erano tante altre persone, credo più di cento. Mia sorella mi ha accompagnato e mi ha aiutato molto a sostenere l’audizione.

Quanto è durato il viaggio di Seydou Sarr insieme a questo personaggio che ha il suo stesso nome? La preparazione, lo studio, le riprese?
Direi che in tutto è durato più o meno tre mesi: quando eravamo in Senegal la

situazione era più tranquilla, ma la parte più complessa è iniziata in Marocco: lì è stato davvero difficile, c’erano molte emozioni che dovevo esprimere. Quanto alla preparazione, a essere sinceri non ne ho avuto il tempo, perché era la mia prima volta su un set e non sapevo cosa mi aspettava.

Cosa sapevi dell’Italia prima di questo film? Condividevi le vere e durissime avvertenze che la madre di Seydou dà al figlio?

A dire il vero dell’Italia non sapevo granché, perché il mio sogno era andare in Europa. Per quanto riguarda gli ammonimenti della madre a Seydou, è giusto che lei glieli abbia dati, è sua madre, ma non possono trattenerlo. Lui vuole aiutare la famiglia, e alla fine ci riuscirà. Ecco, io penso che Seydou abbia ragione a non ascoltare la madre, perché non può restare a casa senza fare nulla, anche se realizzare il suo desiderio sarà tutt’altro che facile.

Tu invece hai vissuto per diversi mesi a casa della mamma di Matteo Garrone. È un aneddoto curioso. Come è successo?

Sì, è vero, sono stato da lei per quasi un anno. È successo quando avevamo finito le riprese ed ero tornato in Senegal: poi però mi è stato detto che dovevamo girare una nuova scena in Italia con Moustapha [Moustapha Fall, che nel film interpreta Moussa, il cugino di Seydou ndr], e le riprese avrebbero richiesto altri quattro giorni. Mi sono detto che non sarei rimasto in Italia solo per quattro giorni. Così ho chiamato Matteo per dirgli che mi sarebbe piaciuto prolungare il mio soggiorno e lui mi ha invitato ad andare a casa della madre.

Hai vinto il Premio Mastroianni come Miglior attore emergente: Mastroianni è un’istituzione, rappresenta la grande storia del cinema. Tu fino a poco fa sognavi il calcio.

Quando ho ricevuto il premio a Venezia ero davvero contento e fiero. Se ora avrò la possibilità di continuare con il cinema lo farò, perché il modo in cui Matteo ha lavorato con noi mi ha permesso di capire che c’era qualcosa che dormiva in me da molto tempo e che non conoscevo. Ma anche il calcio non lo lascerò, perché è sempre stato il mio sogno.

Qual è l’immagine o la scena del film che ti colpisce di più, ogni volta che lo guardi?

Sicuramente è la scena in cui una signora anziana doveva morire tra le mie braccia durante la traversata del deserto. Anche mio padre è morto tra le mie braccia: di colpo non vedevo più la signora, vedevo mio padre, ed è stato un momento difficile.

Hai paura di quello che succederà dopo? Dopo il film, dopo Garrone, dopo gli Oscar, dopo un debutto così inaspettato e fortunato?

No, non ho paura. Perché se avrò la possibilità di continuare con il cinema, lo farò, altrimenti farò qualcos’altro. Per me non esistono lavori di serie B.

Fotografa Roberta Krasnig, assistente Davide Valente; Stylist Flavia Liberatori, assistente Vittoria Pallini; Hairstylist Adriano Cocciarelli per Harumi; Makeup Iman El Feshawy; Abiti Paul Smith, Fendi, Sandro

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Chiara, la santità secondo Susanna Nicchiarelli https://www.fabriqueducinema.it/festival/chiara-la-santita-secondo-susanna-nicchiarelli/ https://www.fabriqueducinema.it/festival/chiara-la-santita-secondo-susanna-nicchiarelli/#respond Sat, 10 Sep 2022 10:49:59 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=17663 Chiara di Susanna Nicchiarelli è l’ultimo film italiano del concorso di Venezia 79, e compone una ideale trilogia con Nico 1988 e Miss Marx. Un affresco che attraversa i secoli con al centro tre figure femminili, analizzate nel rispettivo contesto storico e culturale, seguendo la loro ricerca di se stesse, del loro posto nel mondo, […]

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Chiara di Susanna Nicchiarelli è l’ultimo film italiano del concorso di Venezia 79, e compone una ideale trilogia con Nico 1988 e Miss Marx. Un affresco che attraversa i secoli con al centro tre figure femminili, analizzate nel rispettivo contesto storico e culturale, seguendo la loro ricerca di se stesse, del loro posto nel mondo, del loro rapporto tra pubblico e privato.

E proprio tenendo presente questo percorso, probabilmente Chiara è il film meno a fuoco dei tre, quello più difficile sia da un punto di vista drammaturgico che formale, un rischio che Susanna Nicchiarelli ha il merito di aver voluto correre, riuscendo a restituire grande lirismo in alcuni momenti e lasciandone altri più opachi, meno approfonditi.

Raccontare la storia di una ragazza di famiglia nobile che nei primi anni del 1200 decide di spogliarsi delle sue ricchezze per sposare la povertà e la preghiera è impresa non facile, se non si vuole cadere nello sterile biografismo cinematografico, ma la sintesi a cui perviene Susanna Nicchiarelli forse è troppo estrema: la “vita precedente” di Chiara è raccontata in una sola scena, sbrigativamente, e chissà se non avrebbe acquisito maggiore ricchezza il personaggio di Margherita Mazzucco (che abbiamo conosciuto con le tre stagioni de L’amica geniale) se l’avessimo vista più in crisi nell’atto di compiere questa scelta.

In ogni caso, si capisce che la regista in questa occasione abbia voluto optare per una messinscena più stilizzata rispetto ai due film precedenti, una narrazione portata avanti più per quadri, per moduli narrativi, che non per concatenazione di eventi. In questo senso trovano ragion d’essere anche i momenti musicali del film, che sono degli spiragli di libertà, di presa di coscienza, di evoluzione del mondo di Chiara e delle altre donne che si uniscono al suo ordine.

E a proposito di ordine, due elementi fondamentali del film sono proprio i confronti/scontri che Chiara ha con Francesco d’Assisi (Andrea Carpenzano) e papa Gregorio IX (Luigi Lo Cascio).

Si tratta, in entrambi i casi, di figure tratteggiate un po’ superficialmente, più per quel che riguarda Francesco, che si ha quasi l’impressione sia un personaggio di ambigui sentimenti, che il cardinale Ugolini, successivamente papa Gregorio, a cui comunque l’interpretazione di Lo Cascio dà uno spessore importante (la scena del pranzo è una delle sequenze memorabili del film).

Senza rivelare troppo, il finale è l’apice di tutta la visione, quello in cui Susanna Nicchiarelli si gioca tutte le sue carte dal punto di vista della visionarietà, della libertà espressiva, della leggerezza, della tenerezza, e anche del ritmo, grazie alla musica e al montaggio. Insomma, quando c’è il marchio della regista, quando si impongono il suo sguardo e il suo stile il film è più riuscito.

Tre note conclusive di grande merito: la lingua in cui è scritto il film, un volgare musicale e suadente; le sublimi location; la commovente dedica alla storica Chiara Frugoni, nostra grande medievista.

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Siccità, la Roma più arida di sempre è targata Paolo Virzì https://www.fabriqueducinema.it/festival/siccita-la-roma-piu-arida-di-sempre-e-targata-paolo-virzi/ https://www.fabriqueducinema.it/festival/siccita-la-roma-piu-arida-di-sempre-e-targata-paolo-virzi/#respond Fri, 09 Sep 2022 07:24:25 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=17625 Tanti, troppi film sono ambientati a Roma, non è una novità. Ma quando un autore ne fa una distopia decidendo di prosciugarla per una crisi idrica, ovviamente giusto con effetti visivi, la cosa si fa più interessante. Mettiamoci pure un bel cast numeroso messo in scena con bilanciata coralità aggiunto alla firma di Paolo Virzì […]

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Tanti, troppi film sono ambientati a Roma, non è una novità. Ma quando un autore ne fa una distopia decidendo di prosciugarla per una crisi idrica, ovviamente giusto con effetti visivi, la cosa si fa più interessante. Mettiamoci pure un bel cast numeroso messo in scena con bilanciata coralità aggiunto alla firma di Paolo Virzì e il gioco è fatto. Almeno per le prime aspettative che si erano già viste dal trailer. Il regista livornese sbarca al Lido ufficialmente fuori concorso, inoltrandosi nelle spire del drammatico, non sempre generose con lui, ma lo spettacolare azzardo per Siccità ci conduce quasi dalle parti del disaster movie. E anche per la situazione di surreale stasi apocalittica nel cuore della nostra Italietta di sfruttatori e di sfruttati, nonché per il generoso parterre di attori, ricorda vagamente L’ingorgo di Luigi Comencini.

In questa Roma anche sui pavimenti delle case borghesi vivono di nascosto gli scarafaggi, Virzì ci tiene sempre a farci notare quanto la sete e la sporcizia diventino generali e trasversali in questa Roma in caduta libera. L’acqua è razionata e i vigili urbani inseguono i trasgressori che utilizzano l’acqua per lavare l’auto. Cosa vietatissima. Intanto l’estate torrida ha seccato il Tevere mostrandocelo vuoto come una specie di giallastra discarica abusiva.

Dai quartieri bene l’influencer Tommaso Ragno dispensa saggezze fioccanti di like e commenti col suo smartphone; l’autista Valerio Mastandrea attraversa invece la città e le manifestazioni violente alle prese con allucinazioni dal suo passato sedute sul suo sedile posteriore; Elena Lietti spreca acqua annaffiando di nascosto una piantina mentre messaggia febbrilmente; Silvio Orlando fa un carcerato di Rebibbia, sorridente pure se di lungo corso; e Gabriel Montesi è un borgataro che ricomincia a lavorare dopo un difficile periodo di stop.

Ma ci sono pure Vinicio Marchioni, Sara Serraiocco, Monica Bellucci, Max Tortora, Emanuela Fanelli, Claudia Pandolfi e Diego Ribon (gustosissimo il suo serioso climatologo veneto salito agli onori delle cronache). Tutti personaggi necessari i loro, ognun col proprio peso narrativo, e perfettamente stilizzati. Pregio di una scrittura orizzontale che tesse una rete abilmente snodata dall’inizio alla fine lasciandoci esplorare i meandri di un mondo-Roma inedito e stupefacente. E, nella loro tragicità, prendendo vita dal calamaio di un commediografo, non mancano neanche di farci sorridere amaramente.

Giunge alla sua opera più matura Virzì, complice anche la pandemia Covid. Siamo di fronte a un affresco distopico e di costume perché racconta non proprio un futuro, ma un oggi diverso, possibile e speriamo non probabile, fatto di anime che sono tra noi. Forse è questo lo spirito del tempo colto da un regista come lui. Per questo Siccità è accostabile alla sua pièce teatrale Se non ci sono altre domande, ma pure al suo più celebre Ferie d’agosto. Entrambi corali, totali, e guarda caso, con Silvio Orlando.

Impressionano il dramma ambientale e sociale, il senso di sconforto e disorientamento di fronte alla privazione di acqua. H2O come elemento fondamentale della vita, dell’equilibrio e della sanità. Toglierla a un paese e alla sua capitale fa venire quasi le traveggole, come una visione di pre-Natività in mezzo al letto seccato del Tevere, quando uno dei protagonisti guarderà attonito un uomo simile a un San Giuseppe immigrato, in cammino a condurre con sé un asinello sul quale siede una ragazzina incinta. Insomma, Siccità vi potrebbe seriamente scoppiare dentro al cuore quando uscirà al cinema. Non all’improvviso, ma il 29 settembre.

 

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Casa Fabrique 2022, i ritratti dei protagonisti https://www.fabriqueducinema.it/magazine/attori/casa-fabrique-2022-i-ritratti-dei-protagonisti/ https://www.fabriqueducinema.it/magazine/attori/casa-fabrique-2022-i-ritratti-dei-protagonisti/#respond Thu, 08 Sep 2022 07:55:37 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=17622 Un hub di competenze, un luogo di incontro per addetti ai lavori e cinefili, un palcoscenco per performance, dibattiti e proiezioni. Tutto questo e altro ancora è stato Casa Fabrique, che si è svolta durante la 79esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia dall’1 al 4 settembre. Tanti gli ospiti famosi che sono venuti a […]

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Un hub di competenze, un luogo di incontro per addetti ai lavori e cinefili, un palcoscenco per performance, dibattiti e proiezioni. Tutto questo e altro ancora è stato Casa Fabrique, che si è svolta durante la 79esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia dall’1 al 4 settembre.

Tanti gli ospiti famosi che sono venuti a trovarci per parlare con il pubblico, discutere di cinema o bere un calice di vino in un’atmosfera rilassata. Davide Manca, direttore della fotografia nonché direttore artistico di Fabrique du Cinéma e organizzatore di Casa Fabrique, ha voluto ritrarli nelle foto in bianco e nero che vedete nella gallery, cogliendo con delicatezza in ciascuno di loro un frammento di anima.

 

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Il signore delle formiche, emozionante atto d’accusa contro il conformismo https://www.fabriqueducinema.it/cinema/nuove-uscite/il-signore-delle-formiche-emozionante-atto-daccusa-contro-il-conformismo/ https://www.fabriqueducinema.it/cinema/nuove-uscite/il-signore-delle-formiche-emozionante-atto-daccusa-contro-il-conformismo/#respond Wed, 07 Sep 2022 09:08:54 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=17595 Il ritorno di Gianni Amelio a Venezia è un film emozionante, potentissimo, attraversato da una rabbia sotterranea sotto il manto di una scrittura ispiratissima e intrisa sempre di tenerezza. È questo Il signore delle formiche, la storia del processo al poeta, drammaturgo ma innanzitutto mirmecologo Aldo Braibanti, accusato di plagio nei confronti di un suo […]

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Il ritorno di Gianni Amelio a Venezia è un film emozionante, potentissimo, attraversato da una rabbia sotterranea sotto il manto di una scrittura ispiratissima e intrisa sempre di tenerezza. È questo Il signore delle formiche, la storia del processo al poeta, drammaturgo ma innanzitutto mirmecologo Aldo Braibanti, accusato di plagio nei confronti di un suo giovane studente. Il reato di plagio, che di per sé significa ben poco, era un modo per condannare un tipo di influenza psicologica e quindi fisica esercitata su un altro essere umano. Arma giudiziaria impugnata spesso contro la diversità, contro l’anticonformismo, e difatti, pochi anni dopo, cancellata dal codice penale.

Il film di Amelio ha un pregio che salta subito all’occhio e cioè le ambientazioni: il casale, soprannominato “la torre”, dove Braibanti ha la sua comune, nella quale le arti performative e figurative convivono con la biblioteca a cui attinge per regalare libri ai propri allievi, libri di poesia, storia dell’arte, i romanzi italiani oggetto del dibattito culturale e politico (come per esempio Il disprezzo di Moravia, al quale si fa riferimento successivamente, nel film, con una battuta geniale: sono assolutamente sconsigliabili, ai giovani, i libri scritti meno di cento anni fa…), e infine le teche con le colonie di formiche, oggetto dello studio di Braibanti e strumento per una importante lezione, che attraversa tutto il film, sul bene comune da preferire al successo individuale, “lo stomaco privato e lo stomaco sociale”; e poi c’è Roma, città ostile e notturna, la città delle feste in terrazza, stravaganti per il giovane Ettore ma da cui pure apprende qualcosa di Braibanti (e quindi di se stesso), ma anche la città del Palazzaccio, la città del processo, di un’assurda inquisizione condotta con, alla mano, un codice primitivo e uno sconcertante bigottismo.

Aldo Braibanti è tratteggiato da Amelio con aspetti pasoliniani che vanno dalla montatura degli occhiali, al nome dato alla madre (Susanna), al ragazzo in tenuta da calcio rossa e blu con cui si incontra all’inizio del film, ed è interpretato da Luigi Lo Cascio con una prova perfetta, misurata, cesellata nella voce e nei gesti, di una intensità che sugli schermi veneziani quest’anno ha pochissimi rivali. E tutti gli altri personaggi che ruotano intorno a Braibanti sono all’altezza del confronto: non c’erano dubbi su Elio Germano e Sara Serraiocco, la soprano Anna Caterina Antonacci nel ruolo della madre del giovane Ettore, ma è straordinaria la scoperta di Leonardo Maltese. Ha potuto beneficiare di un grande direttore di attori quale è sempre stato Gianni Amelio, ma il modo in cui ha reso la sofferenza del proprio personaggio, soprattutto al processo, ormai consumato dalla scellerata “cura” all’elettroshock, ha del prodigioso.

Basterebbe anche il prolungato primo piano che Amelio gli dedica durante la sua deposizione per poterne avere un’idea, e per avere idea anche della strada registica che percorre tutto il film: laddove si può non montare, laddove l’inquadratura può restare lunga e raccontare una evoluzione, un divenire, laddove la mancanza di stacchi genera una estenuante empatia, lì c’è la mano di un maestro.

Che poi, in realtà, c’è in nuce, nella scrittura. Un film su una vicenda così vergognosa, sulla quale si espressero all’epoca anche Pasolini, Moravia, Morante, Bellocchio, che tuttavia Amelio conduce con mano più poetica che indignata, prediligendo sempre la riflessione alla sterile denuncia.

 

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L’immensità, il film più rischioso e sincero di Emanuele Crialese https://www.fabriqueducinema.it/festival/limmensita-il-film-piu-rischioso-e-sincero-di-emanuele-crialese/ https://www.fabriqueducinema.it/festival/limmensita-il-film-piu-rischioso-e-sincero-di-emanuele-crialese/#respond Mon, 05 Sep 2022 07:58:27 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=17589 L’immensità, il nuovo film di Emanuele Crialese, dopo una lunghissima gestazione, arriva finalmente in concorso a Venezia 79. Crialese mancava dal lido dal 2011, quando portò Terraferma. Questa volta, l’opera è strettamente autobiografica, scritta dal regista insieme a Francesca Manieri e Vittorio Moroni, e messa in scena con l’aiuto di alcuni eccezionali collaboratori: scenografie di […]

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L’immensità, il nuovo film di Emanuele Crialese, dopo una lunghissima gestazione, arriva finalmente in concorso a Venezia 79. Crialese mancava dal lido dal 2011, quando portò Terraferma.

Questa volta, l’opera è strettamente autobiografica, scritta dal regista insieme a Francesca Manieri e Vittorio Moroni, e messa in scena con l’aiuto di alcuni eccezionali collaboratori: scenografie di Dimitri Capuani, costumi di Massimo Cantini Parrini, fotografia di Gergely Pohárnok.

La storia de L’immensità si potrebbe sintetizzare dicendo che si tratta di un romanzo di formazione, un bildungsroman intimo, con la dodicenne Adriana, maggiore di tre fratelli nella Roma degli anni ’70, che si chiama e si fa chiamare Andrea perché già consapevole che la sua identità è in disaccordo con il suo dato biologico, e in funzione della costruzione di questa stessa identità sono scandite le sue giornate: l’attesa che arrivi un segnale dal cielo, divino o no che sia, oppure l’esplorazione avventurosa di una vicina baraccopoli, una di quelle alla Brutti, sporchi e cattivi, dove l’incontro con la piccola Sara genera in Adriana/Andrea i primi impulsi carnali.

L’infanzia di Adriana e dei suoi fratelli non è semplice, dentro mura domestiche bellissime e arredate con gusto, piene di design e di colori, perfettamente nello spirito del tempo: il padre, uomo in carriera assente, burbero, infedele, violento con moglie e figli, è fin da subito l’orco, il nemico, e la madre, invece, è la complice silenziosa, personaggio cruciale affidato a Penélope Cruz, perfetta per questo ruolo in sottrazione nel quale si alternano momenti di euforia, di tenerezza, di forte personalità con crolli impietosi in un dolore profondo, che la porterà finanche alla separazione dai propri figli.

Non sempre, nel film di Crialese, il percorso di Adriana è a fuoco, ma forse è giusto che sia così per la natura stessa della protagonista: la ricerca di una nuova identità, in una ragazza di 12 anni, sebbene molto sveglia e intelligente, non può necessariamente essere un percorso lineare, ma deve vivere di fiammate di acquisita consapevolezza.

Ecco perché L’immensità va avanti scandito da momenti di distensione e alcune sequenze, invece, molto forti e coinvolgenti, come i balletti in bianco ispirati visivamente alla televisione dell’epoca, in cui Adriana e la madre rimettono in scena Prisencolinensinainciusol di Celentano oppure le coreografie improvvisate per rendere speciali i gesti banali del quotidiano, fra cui quella su Rumore di Raffaella Carrà, venuta a mancare durante le riprese del film e così omaggiata dal regista. Insomma, i momenti più riusciti sono quelli in cui la storia si lascia andare alla leggerezza, al gioco dei bambini in compagnia della madre sofferente, che sono quelli in cui si vede che Crialese, che in questo film autobiografico ha messo in gioco tutta la sua vita, si prende i rischi maggiori ma, allo stesso tempo, è anche massimamente sincero.

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Ti mangio il cuore, Pippo Mezzapesa: “Elodie come il bianco e nero, una scelta istintiva e potente” https://www.fabriqueducinema.it/festival/ti-mangio-il-cuore-pippo-mezzapesa-elodie-come-il-bianco-e-nero-una-scelta-istintiva-e-potente/ https://www.fabriqueducinema.it/festival/ti-mangio-il-cuore-pippo-mezzapesa-elodie-come-il-bianco-e-nero-una-scelta-istintiva-e-potente/#respond Sun, 04 Sep 2022 16:27:58 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=17583 Ti mangio il cuore, il nuovo film di Pippo Mezzapesa, è in concorso a Orizzonti a Venezia. Il film è una decisa zampata d’autore nella carriera del regista pugliese che, dopo Il paese delle spose infelici e Il bene mio, affronta una storia di faide familiari, perpetrate nel tempo, nell’oscuro mondo della mafia del Gargano, […]

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Ti mangio il cuore, il nuovo film di Pippo Mezzapesa, è in concorso a Orizzonti a Venezia. Il film è una decisa zampata d’autore nella carriera del regista pugliese che, dopo Il paese delle spose infelici e Il bene mio, affronta una storia di faide familiari, perpetrate nel tempo, nell’oscuro mondo della mafia del Gargano, la cosiddetta quarta mafia, raccontata nel libro omonimo di Carlo Bonini e Giuliano Foschini, edito da Feltrinelli.

Mezzapesa gira un film materico, intriso di terra, fango, sangue, sudore, carnale sia nelle manifestazioni della morte che in quelle dell’amore, attraversato da uno spirito selvaggio che sembra annullare lo scorrere del tempo, il 1960 è uguale al 2014, che sarà uguale fra cent’anni. Un potente bianco e nero, la presenza seducente e mefistofelica di Elodie, femme fatale di un mondo primitivo e crudele, una squadra di attori affiatati: di questo e altro parliamo con Mezzapesa, poco prima della première del film.

Quando hai cominciato a pensare a Ti mangio il cuore?

Il libro mi è stato proposto dagli autori, quando era ancora in bozze, e leggendo questa analisi attentissima del fenomeno della mafia foggiana, la cosiddetta quarta mafia, ho ritrovato una storia alla quale mi ero appassionato molti anni prima, quando era emersa dalla cronaca la vicenda della prima pentita della mafia del Gargano, una donna che per la sua ricerca di amore, un amore bruciante, fa esplodere la faida assopita fra due famiglie. Eppure, questa sua scelta aiuta a decapitare questo stesso sistema mafioso.

Il Gargano non è la terra di cui sei originario.

Io sono di un’altra parte della Puglia che però comunque è vicina. Conosco il contesto di questo film, è una realtà quasi sconosciuta, su cui far luce perché è estremamente violenta e che si è accresciuta proprio a causa del suo essere poco nota. Raccontare questa ferita, quest’ombra nella mia terra, credo che possa servire a rimarginarla.

Il bianco e nero ti è servito a dare l’impressione che, nonostante un passaggio temporale fra il prologo e il resto del film, le dinamiche si ripropongano uguali, un eterno ritorno?

Il bianco e nero è stato scelto per raccontare i grandi contrasti di questa storia. C’è un contrasto anche nel titolo: “ti mangio il cuore” può essere promessa di morte ma anche folle dichiarazione d’amore. Questa ambivalenza è anche il contrasto della storia, che è cruda, dura, violenta, ma anche fatta di fragilità, di voglia di vivere, di sensibilità, di grazia. Per restituire queste dinamiche quindi ho pensato di utilizzare solo due colori: il bianco e il nero. In fondo il bianco e nero mi ha anche consentito una sorta di astrazione e, non ultimo, la possibilità di raccontare il fulcro della storia: l’ineluttabilità del male e la difficoltà di sradicarlo.

In un film dall’estetica così precisa il rapporto con il direttore della fotografia è cruciale.

Quando ho comunicato al direttore della fotografia, Michele D’Attanasio, l’esigenza di girare in bianco e nero, lui l’ha subito condivisa. È stato bello cominciare a vivere, a guardare in bianco e nero: le scelte dei colori, le consistenze dei materiali sono fatte tutte in funzione dei contrasti del bianco e nero, ci siamo abituati a vivere così.

Hai scelto molti attori che non sono pugliesi, questo ha comportato un grande lavoro sulla lingua.

Avevo a cuore che il dialetto fosse attendibile, e di conseguenza il lavoro sulla lingua è durato mesi, c’era un dialogue coach che ha seguito gli attori in preparazione e poi è stato presente sul set a controllare fino al minimo accento. Per me restituire l’idioma di quella terra, che è molto crudo, gutturale, era essenziale per il racconto.

Hai riunito Tommaso Ragno e Francesco Di Leva, che tornano insieme dopo Nostalgia di Mario Martone.

Sono due grandissimi attori, attori di struttura ma allo stesso tempo anche di grande istinto, capaci di mimesi, è stato un privilegio dirigerli.

Sei un regista che lascia spazio all’improvvisazione?

Credo che il set sia un momento di vita, di creazione, un viaggio che va vissuto tutti insieme. Ci deve essere una guida, certo, ma la guida deve anche farsi influenzare da tutte le energie che emergono sul set, che sono sia umani che paesaggistici. Ci si lascia influenzare dall’estro degli attori, da come il personaggio viene reinterpretato e rivisto dall’attore, e allo stesso tempo si deve essere disponibili a tutti i piccoli imprevisti che i luoghi in cui si va a girare ti presentano. Tutto questo arricchisce la storia.

Le location sono posti che già conoscevi?

Sono posti che conoscevo molto bene ma che ho imparato a conoscere ancora meglio, perché la prima cosa che faccio, prima ancora di fare scouting con la produzione, è visitare da solo o al massimo col direttore della fotografia i luoghi in cui si andrà a girare, per entrare nell’anima dei posti, capirne l’essenza e raccontarli con consapevolezza.

Come è avvenuta la scelta di Elodie, qui al suo esordio?

Un po’ come la faccenda legata al bianco e nero: un’intuizione iniziale, istintivamente. Serviva una personalità forte, che avesse una sensualità dirompente, violenta, ma allo stesso tempo sapesse comunicare verità, sensibilità, capacità di emozionare. Elodie era perfetta. Il percorso di ricerca del personaggio è stato incredibile, è stata una scelta molto coraggiosa sia da parte mia e della produzione che, soprattutto, da parte sua, perché non è semplice esordire al cinema con un personaggio così sfaccettato.

Il finale di Ti mangio il cuore apre a una speranza, a una remissione, però l’ultimissima inquadratura può significare che esiste qualche cosa di inestirpabile negli esseri umani. Sei d’accordo?

Ancora una volta: l’ineluttabilità del male. Il male è alienabile, sì, è una scelta di vita: la scelta di Marilena, il personaggio di Elodie, va nella direzione dello sradicamento del male, ma attenti, perché le radici sono difficili da estirpare.

 

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Freaks Out, un Gabriele Mainetti senza limiti https://www.fabriqueducinema.it/festival/freaks-out-un-gabriele-mainetti-senza-limiti/ Wed, 08 Sep 2021 18:00:27 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=16000 Quarto film italiano in concorso a Venezia 78, arriva Freaks Out, opus magnum di Gabriele Mainetti e suo secondo lungometraggio dopo Lo chiamavano Jeeg Robot, che è stato uno spartiacque nella storia recente del cinema italiano. Se le ambizioni di Jeeg Robot erano già coraggiose e il tentativo di importazione di modelli cinematografici esterni era […]

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Quarto film italiano in concorso a Venezia 78, arriva Freaks Out, opus magnum di Gabriele Mainetti e suo secondo lungometraggio dopo Lo chiamavano Jeeg Robot, che è stato uno spartiacque nella storia recente del cinema italiano.

Se le ambizioni di Jeeg Robot erano già coraggiose e il tentativo di importazione di modelli cinematografici esterni era da ritenersi riuscito, quantomeno premiato dall’accoglienza del pubblico, qui Mainetti si spinge ancora oltre, con un film la cui lavorazione ha richiesto un numero di settimane di riprese inedito per il nostro sistema produttivo, un dispendio di effetti speciali e effetti visivi altrettanto magniloquente, una confezione che francamente non ha nulla da invidiare a prodotti di nazionalità più abituate alla grandeur: gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, la Corea del Sud, la Russia.

Il pretesto narrativo per questo affresco fantastico sulla Roma occupata dai nazisti nel 1943 è un piccolo teatro di strada gestito da Israel, interpretato da Giorgio Tirabassi, che recluta fra i suoi fenomeni da baraccone quattro strambe figure: Fulvio, l’uomo lupo di Claudio Santamaria, Cencio, il domatore di insetti interpretato da Pietro Castellitto, Mario, nano con poteri magnetici col volto di Giancarlo Martini e la ragazza elettrica, Matilde, che è Aurora Giovinazzo, il personaggio più complesso e anche quello decisivo.

I quattro freak della storia passeranno attraverso molte peripezie e molti incidenti di percorso che riassumere qui sarebbe impossibile – anche vista la durata del film, 141 minuti -, si separano, si ritrovano, vengono fatti prigionieri, si liberano, combattono, a volte nulla possono neanche i loro superpoteri, altre volte sono invece determinanti. Incontreranno anche un altro gruppo di personaggi, una curiosa e agguerrita brigata di partigiani con l’accento pugliese, ciascuno con una menomazione o una deformità, ma ciascuno pure dotato di abilità straordinarie, e saranno loro gli eroi di un immancabile “arrivano i nostri” pienamente inserito dello schema del film d’avventura, rispettato dall’inizio alla fine.

I cattivi sono, naturalmente, i nazisti, pure tratteggiati con qualche miracoloso potenziale, per esempio l’interessante trovata di rendere Franz, l’assoluto antagonista dei freak, un sublime pianista e anche “la Cassandra del Reich”, con il potere di prevedere il futuro: futuro che va dalla caduta del regime – quindi sulla breve distanza – fino all’invenzione dell’iPhone. Ebbene sì, proprio l’iPhone, generatore della sequenza più visionaria e coraggiosa del film.

Come si può vedere, gli elementi nel calderone sono tantissimi e a Mainetti va riconosciuto il coraggio di aver fatto di tutto, produttivamente parlando, per mettere dentro Freaks Out tutte le idee, le situazioni, le coreografie, le battaglie che ha immaginato e sognato, senza porsi limiti, senza timore reverenziale dei riferimenti cinefili sparpagliati lungo il percorso, che vanno da Tarantino a Burton, da Spielberg fino ad arrivare addirittura al Rossellini di Roma città aperta. Anche a costo di sembrare prolisso, anche a costo di sfiorare la bulimia visiva e sonora, è ammirevole la tenacia nel tenere insieme ogni cosa, pur di realizzare l’opera agognata.

Ma pur all’interno di un impianto produttivo così gigante, a prendere felicemente il sopravvento sono gli attori: il cast è azzeccatissimo, sono bravissimi tutti i quattro freak, Castellitto che si lascia andare alla romanità borgatara spinta, Santamaria animalesco e colto insieme, Martini è bravo a non diventare macchietta (il pericolo, con il suo personaggio, era dietro l’angolo), Aurora Giovinazzo è commovente nella gestione del dolore legato al proprio superpotere, in ogni sua apparizione è memorabile Tirabassi, e una menzione particolare va a Max Mazzotta, il capo dei partigiani, in grado di dare un fuoco al personaggio del gobbo che per espressività e per presenza scenica animalesca è destinato a rimanere.

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Giulio Pranno, magnetico e multiforme https://www.fabriqueducinema.it/magazine/cover/giulio-pranno/ Wed, 08 Sep 2021 12:45:34 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=15986 Il suo esordio al cinema è stato sotto la guida di Gabriele Salvatores in Tutto il mio folle amore nel 2019: un ruolo complesso e delicato, ma l’interpretazione di Giulio lo porta a conquistare critica, pubblico e il regista stesso. «Con Gabriele è stato amore a prima vista», dice Giulio Pranno, ed è proprio da […]

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Il suo esordio al cinema è stato sotto la guida di Gabriele Salvatores in Tutto il mio folle amore nel 2019: un ruolo complesso e delicato, ma l’interpretazione di Giulio lo porta a conquistare critica, pubblico e il regista stesso. «Con Gabriele è stato amore a prima vista», dice Giulio Pranno, ed è proprio da questo amore che nasce una seconda collaborazione nel 2021 per Comedians. Nel 2020 Pranno ottiene un ruolo da coprotagonista in Security di Peter Chelsom e lo vedremo fra poco nei cinema in La scuola cattolica diretto da Stefano Mordini, con Benedetta Porcaroli.

Ti avvicini alla recitazione nel 2012 con un corso di teatro a Roma. Cosa ti ha spinto a fare questa scelta e che ricordi hai di quegli anni?

È stato mio padre a consigliarmi di iscrivermi al corso di teatro in un momento per me abbastanza difficile. Ero chiuso, non uscivo di casa e non frequentavo molte persone. All’inizio ero titubante, poi mi sono fidato di lui e ne è valsa la pena. Il momento in cui ho capito veramente che quella della recitazione era la mia strada è stato il giorno in cui ho interpretato il personaggio di Puck in Sogno di una notte di mezza estate. In quell’occasione improvvisato e mi sono preso il mio primo applauso a scena aperta. Consiglio a tutti un’esperienza in teatro, è un’arte che porta a galla tante cose profonde e aiuta nella vita, a prescindere che si abbia o no un interesse specifico nella recitazione.

In Tutto il mio folle amore interpreti Vincent Manzato, un sedicenne affetto da autismo. In che modo hai studiato il personaggio?

Per il provino mi sono preparato con un insegnante di teatro che mi ha suggerito delle idee molto forti che sono state utili. Poi a Roma ho frequentato alcune comunità di ragazzi con sindrome dello spettro autistico. Sicuramente però la cosa che mi è stata più utile è stato il contatto diretto con Andrea [Andrea Antonello, a cui è ispirato il personaggio di Vincent]. È una personalità pazzesca, quando l’ho conosciuto ha affascinato me come tutti quelli che gli stanno attorno, è davvero magnetico. Ho da subito desiderato che Vincent facesse lo stesso effetto, che fosse un catalizzatore di emozioni esattamente come lo è Andrea. Ho rubato molti modi di fare da lui: ad esempio si metteva lo zaino sotto l’ascella e poi alzava le mani facendolo cadere. La cosa mi ha colpito a tal punto che con Salvatores abbiamo deciso di far compiere al mio personaggio la stessa azione anche se con un bastone. Sono estremamente grato sia ad Andrea che alla sua famiglia. Ho dormito in casa loro per due giorni ed è stata un’esperienza incredibile. Per me era fondamentale rendere giustizia a una persona così bella.

E Andrea ha apprezzato?

Dopo aver visto il film mi ha mandato il messaggio più bello che potessi desiderare: «Giulio, sei un vero autistico!». Lo conservo tutt’ora e lo rileggo spesso. Quando siamo andati assieme a presentare il film alla Mostra del Cinema di Venezia, Andrea è stato molto felice e, nonostante non fosse capace di esprimerlo a parole, la sua gioia era evidente.

Quest’anno ti abbiamo visto diretto di nuovo da Salvatores in Comedians, dove interpreti un giovane aspirante comico con una vena inquietante, quasi sadica. C’è un film o un personaggio a cui ti sei ispirato?

È stato un personaggio molto complesso, una vera sfida. Non mi sono ispirato a qualcuno in particolare, ma Gabriele mi ha consigliato di vedere il film sul comico Lenny Bruce [Lenny di Bob Fosse con Dustin Hoffman, 1974], un capolavoro. Abbiamo fatto settimane di prove e abbiamo costruito un personaggio molto sfaccettato, che spero venga capito. Salvatores è un grande nel dirigere gli attori e ha una tecnica che mi piace moltissimo, da vero paraculo… Apparentemente ti lascia carta bianca, ma alla fine del film ti rendi conto che hai fatto esattamente ciò che lui desiderava!

Nel 2020 Security di Peter Chelsom, nei panni di Dario, un ragazzo coinvolto in vicende di violenza a Forte dei Marmi. Come è stato essere diretto da un regista britannico?

Inizio confessandoti che non so parlare inglese [ride]. La storia di come sono arrivato a far parte di questo film è assurda. Ero in treno e ho incontrato casualmente il produttore del film, chiacchieriamo un po’ e mi dice che Chelsom sta lavorando a un progetto dove c’è un personaggio perfetto per me. Mi convinco e vado per conoscere il regista, sicuro di dover fare un provino, ma in realtà mi sono ritrovato con Peter che, semplicemente guardandomi, mi dice: «Per me sei tu che devi fare questo film». Sono rimasto senza parole. Chelsom è un ottimo regista che ha lavorato con grandissimi attori, essere diretto da lui è stata un’esperienza molto formativa. L’unica vera difficoltà è stato il tempo, avevamo poco più di cinque settimane e abbiamo praticamente fatto tutte le scene con un solo take. Non è stato facilissimo, a volte mi sarei voluto concentrare di più sul mio personaggio, però sicuramente è stato costruttivo e divertente.

Ti abbiamo visto a Venezia 78 in La scuola cattolica di Stefano Mordini, sull’ambiente borghese che ha reso possibile il massacro del Circeo. Puoi parlarci del tuo personaggio?

Avevo fatto il provino per un altro personaggio, ma secondo Stefano non ero adatto. Non ti nego che all’inizio ci sono rimasto piuttosto male perché il film mi interessava molto e l’idea mi sembrava bella. Dopo un po’ di tempo però mi arriva una chiamata: un altro attore non poteva più partecipare e Stefano chiedeva la mia disponibilità. Ho accettato di corsa, tempo 24 ore ed ero felice sul set. Con Mordini mi sono trovato bene, è sempre molto sicuro e schietto, mi piace.

Veniamo al video di Un’altra dimensione dei Måneskin nel 2019. Grandi, fuori dalle regole, un successo internazionale. Come li hai conosciuti e che rapporto hai con loro? 

I Måneskin sono dei miei cari amici, con Damiano ero compagno di liceo e abbiamo sempre fatto parte dello stesso gruppo. Ci frequentiamo e ci vediamo tutt’ora. Il video è stata una sua proposta. Un giorno mi ha chiamato e mi ha detto: «Io cerco un attore e tu sei attore, ci conosciamo bene e la pensiamo allo stesso modo, perché non lo facciamo insieme questo video?». È stato un giorno di riprese veramente figo, con gli YouNuts alla regia, che hanno sempre girato grandi videoclip.

Se dopo di me potessi prendere un caffè con una persona per te importante, chi sceglieresti?

Una persona che stimo molto e con cui vorrei prendermi un caffè è Francesco Bruni. Ho iniziato da poco a seguirlo su Instagram e ho scoperto che, oltre ad avere un grande talento, ha anche un grande umorismo e penso che mi divertirei molto a prendere un caffè con lui, scambiandoci qualche idea o qualche pensiero buffo.

Fotografa: ROBERTA KRASNIG, Assistenti fotografa: LAURA AURIZZI ELISA MALLAMACI, Stylist: STEFANIA SCIORTINO, Abiti: Gucci, Capelli: ADRIANO COCCIARELLI@HARUMI / GIADA UDOVISI@HARUMI , Prodotti per capelli: BODY E SUN SCHWARZKOPF PROFESSIONAL, Trucco: ILARIA DI LAURO@ IDLMAKEUP

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