mockumentary Archivi - Fabrique Du Cinéma https://www.fabriqueducinema.it La Rivista Del Nuovo Cinema Italiano Wed, 01 Sep 2021 15:06:10 +0000 it-IT hourly 1 Il Collettivo Asterisco e la mucca più famosa di Instagram https://www.fabriqueducinema.it/magazine/futures/collettivo-asterisco/ Tue, 27 Apr 2021 08:16:00 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=15480 Paolo Bonfadini, Irene Cotroneo e Davide Morando sono tre giovani sognatori che hanno unito le forze per farsi spazio ai margini dei due poli istituzionali del cinema e della TV. Facendosi strada nella periferia del cinema italiano, hanno dato il via a un’attività itinerante e dinamica che si è poi concretizzata nel Collettivo Asterisco: una […]

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Paolo Bonfadini, Irene Cotroneo e Davide Morando sono tre giovani sognatori che hanno unito le forze per farsi spazio ai margini dei due poli istituzionali del cinema e della TV. Facendosi strada nella periferia del cinema italiano, hanno dato il via a un’attività itinerante e dinamica che si è poi concretizzata nel Collettivo Asterisco: una realtà giovane e fluida che ha permesso al trio di lavorare a videoclip, commercial, documentari e il mockumentary Gea – L’ultima mucca. Con equilibrio e lavoro di squadra, il collettivo è riuscito a restituire al giovane cinema indipendente una promessa di sincera leggerezza.

Come nasce Collettivo Asterisco?

Paolo Bonfadini: L’idea del collettivo è nata durante il primo lockdown, io e Davide scrivevamo già insieme da tempo e con Irene ho lavorato costantemente durante il triennio alla Scuola di Cinema Luchino Visconti. Abbiamo deciso di creare qualcosa che ci desse un’identità unica per lavorare ai progetti che avevamo in mente ed è nato Asterisco. Diciamo che è stato il naturale sviluppo della nostra collaborazione come trio, siamo abituati a condividere sempre idee e progetti nuovi e con l’esperienza abbiamo trovato la giusta alchimia.

Tutti e tre ricoprite vari ruoli, come è organizzato il vostro lavoro?

Paolo Bonfadini: Mi occupo principalmente di regia e di scrittura, il mio percorso è molto legato alla narrazione, ma sono anche musicista. Il nostro approccio è fluido, forse anche per questo ci troviamo a nostro agio con la forma del collettivo, cerchiamo di metterci sempre a disposizione l’uno dell’altra. Il nostro ultimo cortometraggio – Gea – ci rappresenta molto in questo senso: è diretto, sincero, colorato. Cerchiamo di trasmettere al pubblico lo stesso entusiasmo un po’ avventuroso con cui ci accostiamo al lavoro e quando ci riusciamo andiamo a letto felici. Tranne Davide, lui resta sveglio a montare.

Davide Morando: La struttura del collettivo Asterisco è molto chiara per noi: tutti possono dire la propria opinione e l’idea migliore vince sempre. Cerchiamo di lavorare con quest’ottica mantenendo ordine e precisione. Io mi occupo di regia e montaggio, ho iniziato come montatore diversi anni fa e questo mi dà un vantaggio anche nel lavoro di regista perché riesco ad avere una visione molto chiara del film, il che aiuta a ottimizzare i tempi.

Irene Cotroneo: Io seguo la parte di produzione ma ricopro soprattutto il ruolo di aiuto regia. Il cinema per me è stata una svolta, mi ha fatto capire cosa voglio davvero fare nella vita. Ho iniziato con piccoli set pubblicitari per poi lavorare su grandi produzioni televisive, cosa che mi ha aiutata ad adattarmi a progetti molto diversi tra loro. Per Gea mi sono ritrovata nell’insolita veste di regista insieme a Davide e Paolo. Non è facile dirigere un film con tre teste che hanno idee diverse, ma siamo riusciti a trovare il nostro equilibrio. C’è di buono proprio il fatto che siamo in tre: se c’è qualche dubbio, vince la maggioranza!

Siete riusciti a ritagliarvi uno spazio creativo atipico, puntando sulla varietà delle vostre competenze e su una certa mobilità.

Davide Morando: Tra di noi scherziamo spesso sul fatto che “viviamo in autostrada”. Siamo sempre in viaggio. In un certo senso ci consideriamo un collettivo itinerante, ci piace scoprire sempre nuovi luoghi dove poter girare. Abbiamo sviluppato molte competenze diverse perché siamo accomunati dalla curiosità, ci piace studiare, se c’è qualcosa che non sappiamo fare ci sbattiamo la testa fino a che non abbiamo imparato a padroneggiarla. Però quello che ci guida in ogni nostro lavoro è l’amore per le storie.

In Gea scompaiono 300 mucche a Serravalle Langhe, tutte tranne una: appunto Gea. Quando la sua pagina Instagram diventa più popolare di quella di Barack Obama, il suo staff organizza una visita ufficiale affinché l’ex presidente – noto amante delle mucche – possa conoscere Gea. Da dove nasce questa idea?

Paolo Bonfadini: Il film è nato durante la partecipazione a un festival estivo dedicato al mockumentary: a fine agosto 2020 siamo arrivati a Serravalle Langhe e in una settimana abbiamo ideato, scritto, girato e montato il cortometraggio. È stata una settimana frenetica e bellissima, una sfida da ogni punto di vista. Gea è un film indipendente nel vero senso della parola, totalmente libero. L’idea è nata dai nostri feed di Instagram: sembra assurdo ma i social sono pieni di profili dedicati ad animali con migliaia di follower. Il film ha un tono favolistico ma, allo stesso tempo, ci interessava raccontare il paese e le persone che abbiamo incontrato nel modo più genuino e sincero possibile. Quindi in fin dei conti è tutto vero tranne Gea.

Vi siete dunque ritrovati a lavorare con persone che non avevano mai recitato prima.

Irene Cotroneo: Sì, l’intero cast del film è composto da abitanti del paese senza alcuna esperienza nella recitazione, si sono trovati a dover raccontare in modo convincente una versione surreale della loro realtà quotidiana. Ci hanno sorpreso positivamente e a molti spettatori è rimasto il dubbio che la storia fosse in gran parte vera.

Come avete trovato Edo, il protagonista del cortometraggio?

Davide Morando: Non dimenticherò mai la prima volta che abbiamo incontrato Edo. Stavamo girovagando per il paese per delle ricerche, abbiamo visto un uomo dall’altra parte della strada, stava tagliando l’erba a torso nudo con dei jeans sgualciti, l’immancabile panama in testa e degli occhiali che gli coprivano tutta la faccia. Ci ha sorriso ed è stato un colpo di fulmine. Abbiamo passato giornate ad ascoltare le sue storie e quell’energia è diventata il cardine del nostro film.

A cosa state lavorando adesso?

Davide Morando: Ve lo sveliamo in anteprima, stiamo preparando il lungometraggio di Gea. Inoltre, stiamo progettando un lungometraggio di genere thriller/mistery intitolato Gotland. La storia ruota attorno al mistero di un labirinto ed è ispirata ad un luogo realmente esistente: il Labirinto della Masone di Fontanellato. Stiamo lavorando alla storia con l’aiuto di Paolo Borraccetti e il supporto di Officine – Fare Cinema e siamo in cerca di un produttore. Gea e Gotland sono due film agli antipodi, sia per genere che per necessità produttive, ma quello che li accomuna è la voglia di far sentire la nostra voce nel panorama del cinema di genere italiano. Nessuna pressione, insomma.

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“Pecore in erba”: quando l’odio fa ridere https://www.fabriqueducinema.it/magazine/opera-prima/pecore-in-erba/ https://www.fabriqueducinema.it/magazine/opera-prima/pecore-in-erba/#respond Wed, 16 Dec 2015 17:30:51 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=2420 Basta con questo razzismo! Anche gli antisemiti hanno il diritto di esprimere se stessi! Su questo (folle) assunto si basa Pecore in erba, brillante mockumentary confezionato dall’esordiente Alberto Caviglia. Per riflettere sull’antisemitismo, il coraggioso Caviglia, che si è fatto le ossa sui set di Ferzan Ozpetek come assistente alla regia, ha deciso di esplorare le […]

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Basta con questo razzismo! Anche gli antisemiti hanno il diritto di esprimere se stessi! Su questo (folle) assunto si basa Pecore in erba, brillante mockumentary confezionato dall’esordiente Alberto Caviglia.

Per riflettere sull’antisemitismo, il coraggioso Caviglia, che si è fatto le ossa sui set di Ferzan Ozpetek come assistente alla regia, ha deciso di esplorare le possibilità di un genere poco frequentato in Italia piegandolo a una romanità che trapela da ogni inquadratura. Pecore in erba (bisogna vedere il film per capire il titolo, diciamo che è un riferimento alla cultura calcistica…) è un film politico e al tempo stesso un pazzo diario in cui il regista esplora le proprie radici, romane ed ebree, riflettendo sulla discriminazione, sulle deformazioni storiche e sulla violenza subita dal popolo ebraico. E cosa c’è di meglio di una bella risata per svecchiare un tema seminale e proprio per questo già ampiamente affrontato?

«La scelta di usare la satira, nello specifico il mockumentary, per parlare di antisemitismo è stata un punto di arrivo» ci racconta Alberto. «Volevo aggiungere un punto di vista nuovo all’argomento per dargli profondità. Sono consapevole che in molti prima di me hanno affrontato questo tema, perciò ho scelto di ribaltare la prospettiva trasformando il protagonista della mia storia, l’antisemita Leonardo Zuliani, in un eroe dei nostri giorni. A quel punto la scelta del mockumentary è stata automatica».

Per amplificare ulteriormente la dimensione di follia con cui viene trattato il razzismo, Caviglia si è inventato addirittura una patologia sconosciuta dalla medicina tradizionale, l’antisemifobia, repulsione fisica all’ebraismo e alle sue manifestazioni. Basta, infatti, una melodia ebraica per provocare a Leonardo un attacco convulsivo. Riflettendo sui modelli a cui si è ispirato per il suo originale progetto, il regista non può esimersi dal citare Zelig: «Lo humor è nel DNA ebraico e Woody Allen è un maestro. Ma oltre a Zelig, il mio punto di riferimento è stato Forgotten Silver, geniale mockumentary di Peter Jackson che in pochi conoscono. In Italia il falso documentario è un genere inesplorato, perciò sapevo di muovermi su un terreno delicato. Ero consapevole che chi non conosce questo linguaggio avrebbe capito il mio film più tardi rispetto agli altri, ma le reazioni in sala sono state buone. Il pubblico si è divertito e anche la critica lo ha accolto bene. Resta l’amarezza al pensiero che prodotti come il mio rimangono in sala troppo poco tempo per sfruttare il passaparola, ma io ho fatto il film che volevo perciò sono soddisfatto».

Anche se i modelli di riferimento cinematografici citati da Caviglia sono stranieri, guardando il suo film non può non venire in mente certa tv satirica italiana. Complice la presenza di Marco Ripoldi del Terzo Segreto di Satira, che interpreta il presidente della Lega Nerd (versione intellettuale della Lega Nord), i riferimenti al piccolo schermo si sprecano. «Uno dei temi trattati nel film è proprio la comunicazione, la relatività della verità esposta dai media» conferma il regista «e le webserie si prendono gioco della realtà, perciò sono state uno dei miei punti di riferimento. Ma è il mockumentary che, per sua natura, spinge a coinvolgere personaggi della cultura e della tv». Personaggi che non hanno tardato a rispondere all’appello. A sorpresa, in Pecore in erba compaiono Enrico Mentana, Carlo Freccero, Vittorio Sgarbi, Corrado Augias, Ferruccio De Bortoli, Linus, Mara Venier, Giancarlo De Cataldo, Giancarlo Magalli e tanti altri volti noti che si sono prestati al gioco interpretando se stessi.

Nel raccontare di come sia riuscito a convincerli a partecipare al film, Alberto Caviglia non si sbilancia, tenendo per sé gli aneddoti più gustosi, ma ci svela che «alcuni, come Carlo Freccero, hanno dimostrato grande entusiasmo; altri, come Gipi e Sgarbi, si sono fatti pregare prima di dire di sì. Alla fine, però, tutti hanno accettato di farsi prendere in giro e di prendere in giro il proprio ruolo». Un caso a parte è rappresentato dal cast di Paura d’odiare, dramma fictional ispirato alla vita di Leonardo Zuliani dai toni molti vicini alla soap più infima, i cui frammenti vengono genialmente incastonati tra le finte immagini di repertorio e le interviste. A interpretare Zuliani – a fianco del “titolare” Davide Giordano – è Vinicio Marchioni. Con lui vi sono Margherita Buy nei panni della madre, Carolina Crescentini in quelli della fidanzata, mentre il padre ha il volto severo di Francesco Pannofino. La coppia Crescentini-Pannofino, peraltro, rievoca quella grande satira dell’industria televisiva che è Boris. «È vero che ho riunito parte del team di Boris, ma non era voluto. Erano ruoli marginali, quasi mi vergognavo a proporre la sceneggiatura a Carolina. Ma lei e Vinicio, dopo averla letta, hanno accettato immediatamente. Quanto a Margherita Buy, era oltre ogni mia ambizione averla sul set, ma anche lei ha dimostrato grande sense of humor».

 

 

In questo gioco di specchi tra realtà e finzione, non sono però reali i membri della comunità ebraica che compaiono nel finale. Alberto ci tiene a puntalizzare di non aver subito veti o censure nella realizzazione del film, ciononostante ha deciso di non calcare troppo la mano. «Se è vero che l’umorismo ebraico ha radici antiche, è vero anche che la comunità ebraica di Roma, in passato, non ha brillato per ironia o autoironia. L’importante è che tutti abbiano compreso il messaggio del mio film. A Roma si sono verificati episodi di intolleranza, ma lo stesso è accaduto in altre parti d’Italia. Non è per questo che ho scelto di ambientare qui il mio film. Roma è la mia città. Trastevere è il quartiere che amo ed è stato naturale per me puntare la macchina da presa sui luoghi che conosco». E proprio a Trastevere vive e si muove Leonardo Zuliani. Qui il giovane affetto da antisemifobia concepisce tutte le sue trovate razziste, accolte con successo dal pubblico. Dal fumetto antisemita Bloody Mario, ispirato alle molestie nei confronti del compagno di scuola ebreo, alla linea di abiti Baci Ebreacci, dalla New Bible Redux, edizione della Bibbia da cui sono stati espunti tutti i riferimenti agli ebrei, al gruppo neonazista greco Tramonto di Bronzo, Pecore in erba è un caleidoscopio di trovate satiriche nonsense. Come spiega il regista «in fase di scrittura, ho scoperto che il film si stava trasformando in una sorta di meraviglioso contenitore e ogni giorno inserivo nuove trovate. Il finale è una follia, ma ho scelto di concludere rivolgendomi all’unico personaggio sano del film, il nonno di Leonardo [Omero Antonutti]. L’importante era mettere in chiaro che il mio non era un film antisemita e non volevo che ci fossero ambiguità al riguardo». Ambiguità che invece appartengono al personaggio di Leonardo Zuliani, in apparenza quanto di più lontano dai classici naziskin haters degli ebrei. Al posto del cranio rasato, Leonardo ha una chioma di riccioli fluenti, accompagnati dagli occhi sgranati e da un animo, in apparenza, sensibile. Ma nel fitto puzzle di testimonianze e interviste in cui si parla di lui, non sentiamo mai la sua voce.

«Leonardo non parla perché non possiede un’ideologia» chiarisce Alberto. «Lui odia gli ebrei, ma non è in grado di spiegare la ragione del suo rifiuto nei loro confronti. Non avrei mai voluto sentire la sua voce». L’ultima curiosità riguarda Ferzan Ozpetek, con cui Caviglia ha collaborato per sette anni. Eppure la sua opera d’esordio è quanto di più lontano si possa concepire dal cinema del regista turco. La spiegazione è semplice: «Ozpetek mi ha insegnato tutto ciò che so sul mestiere del regista, ma stavolta la sfida era metterci del mio!».

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