Mattia Epifani Archivi - Fabrique Du Cinéma https://www.fabriqueducinema.it La Rivista Del Nuovo Cinema Italiano Mon, 06 Sep 2021 08:08:34 +0000 it-IT hourly 1 Mattia Epifani e il monaco ortodosso formato Instagram https://www.fabriqueducinema.it/magazine/futures/mattia-epifani-e-il-monaco-ortodosso-formato-instagram/ Thu, 02 Sep 2021 14:01:55 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=15944 Il leccese Mattia Epifani, classe ’85, è attivo come regista dal 2010. Rockman, il suo primo documentario, è il progetto che ha dato il via alla collaborazione con Mattia Soranzo e Corrado Punzi della Muud Film. Nel 2015 ha girato Il successore, facendosi notare nei festival del panorama internazionale, a questo lavoro sono seguiti i […]

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Il leccese Mattia Epifani, classe ’85, è attivo come regista dal 2010. Rockman, il suo primo documentario, è il progetto che ha dato il via alla collaborazione con Mattia Soranzo e Corrado Punzi della Muud Film. Nel 2015 ha girato Il successore, facendosi notare nei festival del panorama internazionale, a questo lavoro sono seguiti i cortometraggi Et in terra Pacis (2018) e God Dress You (2021), una co-produzione Italia/Grecia in concorso al Clermont-Ferrand. Mattia Epifani porta avanti un’idea di cinema innovativa ma aderente alla realtà, tesa a svelare le verità nascoste dell’animo umano. Un segreto – che sia esso innocuo, minuscolo o pericoloso – è il cuore pulsante di tutte le storie.

In God Dress You racconti la parabola di un monaco ortodosso che mostra sui social la sua passione per l’alta moda. Pater Athanasius venera la bellezza degli oggetti come venera il suo Dio, in un culto capitalistico formato Instagram. Sono le cose i nostri nuovi santi?

In una condizione di isolamento anche le cose più effimere possono essere un mezzo per mantenere un contatto con gli altri e diventare addirittura veicolo di un’ideale di bellezza ultraterrena o per lo meno così la pensa il protagonista Pater Athanasius. Il problema posto da God Dress You non è tanto la sostituzione dell’oggetto della fede, quanto le conseguenze dell’utilizzo dei social. Essendo totalizzanti e invasivi iniziano a nutrirsi del nostro tempo compromettendo l’attenzione, gli equilibri quotidiani, le idee e di conseguenza anche i nostri valori.

L’idea è nata da un articolo di giornale, cosa ti ha colpito di questa storia?

Ci è sembrato da subito un ottimo punto di partenza per raccontare una storia su come la tecnologia trasforma la nostra intimità. Insieme allo sceneggiatore Francesco Lefons, abbiamo pensato alla dimensione del monachesimo ortodosso ed è iniziata poi una ricerca sul campo nelle zone della Grecia occidentale. Siamo stati accolti dai monaci del monastero Panagia Mprousiotissa, a parte il protagonista che è interpretato dal performer Panagiotis Samsarelos, tutti gli altri personaggi sono veri monaci.

Il successore di Mattia Epifani
“Il successore”, documentario di Mattia Epifani.

Qual è il tuo processo creativo?

Parto dall’idea che una storia per essere raccontata, debba avere le potenzialità per essere universalizzata. Anche la più individuale, la più intima, deve sempre fare da specchio a una storia collettiva. Per questo anche vicende come quella di Alfieri Fontana ne Il successore o di Pater Athanasius in God Dress You per me esprimono qualcosa che va al di là di ciò che raccontano. In questa ricerca è necessario sempre partire dalla realtà e mantenere con essa un contatto durante tutta la fase di scrittura, di riprese e anche di montaggio. Ho in questo la fortuna di lavorare con una squadra consolidata che condivide con me questa missione.

Muud Film è un collettivo, lavorano con te il regista Corrado Punzi e il montatore Mattia Soranzo, come nasce e quale idea di cinema portate avanti?

Muud è nata nel 2009 come progetto di formazione audiovisiva, io e Corrado Punzi siamo subentrati qualche anno dopo. Oggi Muud, oltre che una casa di produzione, è una sorta di collettivo allargato del quale fanno parte anche Francesco Lefons, Giorgio Giannoccaro, Gianluigi Gallo e Gabriele Panico. Quello che ci accomuna è la ricerca di un cinema che nasce e si sviluppa a contatto con la realtà. Cerchiamo storie, personaggi o luoghi capaci di rivelare un qualche tipo di verità nascosta, una verità che diventa poi il cuore del film. Un modo di intendere il cinema che si traduce in una pratica quanto più diretta e istintiva possibile, che implica l’impiego di troupe molto ridotte, spesso solo camera e suono.

Stai lavorando a qualcosa?

Insieme a Francesco Lefons sto sviluppando la scrittura di un film ambientato nel Carcere Borgo San Nicola di Lecce e tratto da un romanzo autobiografico. È un progetto nato dall’esperienza fatta come operatore culturale con la compagnia Io ci provo. Durante gli anni di lavoro a Borgo San Nicola ho iniziato a pensare a un film che potesse raccontare l’esperienza detentiva come momento di demolizione dell’individuo e la struttura carceraria come luogo di una possibile ricostruzione del sé. Ho portato avanti nel tempo una ricerca su storie e personaggi appartenenti all’universo carcerario finché non ho incontrato questo libro autobiografico che è la sintesi di tutto quello che vorrei dire su quel mondo.

 

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“Il successore”, dalle mine alla pace https://www.fabriqueducinema.it/cinema/recensioni/il-successore-dalle-mine-alla-pace/ https://www.fabriqueducinema.it/cinema/recensioni/il-successore-dalle-mine-alla-pace/#respond Wed, 15 Feb 2017 10:39:18 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=4170 Il successore è il film che segna l’exploit internazionale del giovane documentarista leccese Mattia Epifani. La storia della redenzione di un costruttore di armi che finisce a disattivare mine in Bosnia raccontata da un film sospeso e onirico.  La Puglia, da almeno una decina d’anni, è una delle regioni italiane più attive sul fronte della […]

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Il successore è il film che segna l’exploit internazionale del giovane documentarista leccese Mattia Epifani. La storia della redenzione di un costruttore di armi che finisce a disattivare mine in Bosnia raccontata da un film sospeso e onirico.

 La Puglia, da almeno una decina d’anni, è una delle regioni italiane più attive sul fronte della produzione e promozione del cinema documentario.

Poco tempo fa, a Brescia, Il successore, mediometraggio prodotto grazie a un bando dell’Apulia Film Commision e diretto dal leccese Mattia Epifani, ha vinto il Premio Roberto Gavioli assegnato dal MUSIL-Museo dell’Industria e del Lavoro. Solo l’ultimo di una serie di riconoscimenti che il film è andato raccogliendo dal suo primo affacciasi sulla piazza dei festival internazionali, nel novembre 2015 (Torino Film Festival, Premio Cipputi), fino a questo autunno, periodo per il quale RAI Storia ha programmato la sua prima messa in onda. Ai più recenti riconoscimenti in patria Epifani e il suo film ci sono però arrivati dopo una traiettoria lunga che ha attraversato alcuni dei maggiori festival del mondo, dal prestigioso IDFA di Amsterdam, fino all’altrettanto blasonato canadese Hot Docs.

Mattia Epifani, classe 1985, ha cominciato ancora adolescente con la videocamera di famiglia e subito dopo con i primi piccoli esperimenti autoprodotti. Nel 2005 l’incontro decisivo con Davide Barletti dei Fluid Video Crew – collettivo di filmmaker indipendenti fondato nel 1995 insieme a Lorenzo Conte, Edoardo Ciocchetti e Mattia Mariani – e l’inizio della gavetta da professionista: assistente alla regia, montatore, operatore, direttore della fotografia, fino a che, nel 2010, proprio Barletti gli affida il suo primo progetto da regista, Rockman, documentario lungo poco meno di un’ora che attraverso la ricostruzione della controversa storia di Piero Longo/Militant P, fondatore dei Sud Sound System, ricompone i pezzi sparsi di vent’anni di controcultura e scena musicale alternativa in Puglia. Per alcuni anni Epifani colleziona una vasta gamma di esperienze, da una parte garantendosi il pane con produzioni commerciali e istituzionali, dall’altra seguitando un percorso di affinamento e ricerca personale che lo porta, nel 2013, a un secondo incontro fondamentale, quello con la regista Paola Leone e con i suoi laboratori teatrali in carcere. Nel 2014 è pronto Ubu R1e, documentario costruito proprio sull’interazione, i colloqui e il lavoro con i detenuti coinvolti nella preparazione di uno spettacolo sotto la guida di Leone. Dopo il consolidamento della collaborazione con Paola Leone e la decisione di Epifani di ripetere e continuare il lavoro in carcere, allargando lo spettro dei laboratori al campo dell’audiovisivo, viene l’ideazione e la messa in opera del progetto al quale l’autore leccese sta lavorando nei mesi in cui scriviamo.

Il 2014 arriva dunque come l’anno della svolta: un bando della film commission pugliese assegna 30.000 euro a fondo perduto per la realizzazione di un documentario che racconti “storie del territorio”. Epifani recupera una vicenda letta sul giornale mesi prima: il proprietario di un’azienda pugliese attiva nella produzione di complementi per armi, ricevuta in eredità dal padre ormai defunto, entra in una crisi di coscienza che lo conduce verso la chiusura della sua piccola industria e verso una carriera da sminatore in Bosnia Erzegovina. Così, lavorando forsennatamente, con l’aiuto di Davide Barletti in veste di produttore, il film viene rapidamente preparato, girato in appena nove giorni e montato in poco più d’un mese.

Il successore è un film anomalo: un po’ diario, un po’ biografia e un po’ film di denuncia, usa immagini d’archivio senza il respiro breve dell’illustrazione, le interviste come si fa nelle inchieste prodotte per la TV, la musica e gli effetti luministici quasi che si fosse in un thriller o un dramma. Vito Alfieri Fontana è seguito – da vicino ma lasciando una premurosa distanza di sicurezza tra il suo corpo e l’obiettivo – lungo un viaggio che lo riporta nei luoghi dove ha lavorato per scovare e disattivare mine in molti casi costruite proprio dalla sua azienda, la Tecnovar. Invece di appiattirsi sulla linea diritta delle interviste, invece di limitarsi alla ricostruzione didascalica del lavoro del protagonista, Epifani costruisce un film al contempo narrativo e contro la narrazione lineare classica, tutto sospeso in un tempo onirico, che esplora il passato come un luogo fisico e stilizza il racconto testimoniale dilatando i tempi della parola e allentando il legame referenziale delle immagini con la realtà cronachistica delle cose.

Forse non ancora le marche evidenti di uno stile consapevole, le scelte di Mattia Epifani sono il prodotto della commistione – rara nel nostro paese – di una scaltrezza tecnico-linguistica maturata nell’esercizio assiduo del mestiere e la sensibilità intelligente di un autore onestamente in cerca di una forma autenticamente sua.

Quando il film inizia, Vito Alfieri Fontana ha già da tempo interrotto le operazioni in Bosnia, ma, come spesso accade con il cinema documentario, dopo la fine del film le cose non sono più le stesse. Il percorso a ritroso sui passi che hanno già una volta dato sollievo e pacificazione alla sua coscienza – la ricognizione materiale nei luoghi in cui ogni passo porta con sé il rischio estremo e il nuovo incontro con uno degli storici collaboratori sul campo – conduce il protagonista a una generale riconsiderazione della propria vicenda e stimola un cambiamento: poco tempo dopo l’uscita di Il successore, il suo protagonista decide di tornare in Bosnia e riprendere il suo lavoro tra le mine inesplose.

La storia di un conflitto interiore e di una redenzione che sembrano diventare nel tempo uno dei temi ricorrenti nel cinema del giovane regista leccese.

 

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