Martin Scorsese Archivi - Fabrique Du Cinéma https://www.fabriqueducinema.it La Rivista Del Nuovo Cinema Italiano Fri, 18 Jun 2021 15:50:00 +0000 it-IT hourly 1 Chi sta bussando alla mia porta? Martin Scorsese e la New Hollywood https://www.fabriqueducinema.it/magazine/opera-prima/chi-sta-bussando-alla-mia-porta-martin-scorsese-e-la-new-hollywood/ https://www.fabriqueducinema.it/magazine/opera-prima/chi-sta-bussando-alla-mia-porta-martin-scorsese-e-la-new-hollywood/#respond Wed, 30 Jan 2019 10:04:23 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=12523 Nato nel Queens, figlio di immigrati siciliani, brillante esempio della New Hollywood, Martin Scorsese è uno dei più importanti registi della storia del cinema. La sua filmografia è il riflesso di un costante interrogarsi su come sia possibile condurre un’esistenza cristiana in un mondo dominato dal male, per questo i temi centrali dei suoi film […]

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Nato nel Queens, figlio di immigrati siciliani, brillante esempio della New Hollywood, Martin Scorsese è uno dei più importanti registi della storia del cinema. La sua filmografia è il riflesso di un costante interrogarsi su come sia possibile condurre un’esistenza cristiana in un mondo dominato dal male, per questo i temi centrali dei suoi film sono la violenza istintiva, il senso di colpa e il peccato. «Vivendo nella Little Italy di Manhattan potevi scegliere fra diventare gangster o prete. Io scelsi la via religiosa, ma finii per diventare un regista» da bambino l’asma e la piccola stazza non gli permettono di entrare nella gang di quartiere, lo salva proprio quell’emarginazione forzata, a casa non ci sono libri e allora trova rifugio prima in chiesa e poi al cinema. Non ha una cinepresa, passa il tempo a disegnare storyboard di film immaginari, per poi intraprende gli studi di cinema a New York, più per conoscere altri con la sua stessa passione che per fare il regista.

È considerato uno dei più grandi registi viventi, il suo stile è un mix tra il Neorealismo italiano, la Nouvelle Vague francese e il cinema americano indipendente. Premiatissimo, amato da pubblico e critica, osannato ma non esente da flop, Martin Scorsese ha legato la sua carriera ad attori feticcio come Daniel Day-Lewis, Harvey Keitel, Joe Pesci e soprattutto Robert De Niro e Leonardo DiCaprio.

Quello del regista del Queens è un cinema fatto di solitudini laceranti, pulsioni autodistruttive, ossessioni, ma soprattutto di uno squarciarsi feroce dell’American Dream attraverso la perdita dell’innocenza e la seduzione del male. I suoi protagonisti sono sempre uomini comuni, antieroi e emarginati, spesso assoggettati dalla vita da clan e dal maschilismo. Scorsese ne umilia spesso il pensiero distorto, mostra le falle del machismo e, in certo senso, per loro e per sé stesso, chiede perdono.

martin scorsese

Chi sta bussando alla mia porta? (Who’s That Knocking at My Door?) è un dramma autobiografico girato nel corso di diversi anni, la pellicola ha subito molti cambiamenti, a partire dal titolo: nasce nel 1965 come Bring on the Dancing Girls, un corto-saggio della scuola di cinema di New York, Nel 1967 viene aggiunta la storia d’amore e il film diventa un lungometraggio, I Call First, infine nel 1968 viene aggiunta la scena erotica alla pellicola ribattezzata Who’s That Knocking at My Door?, l’ultima versione dell’opera prima di Martin Scorsese.

New York, 1967. Tre amici italoamericani: J.R. (Harvey Keitel), Joey (Lennard Kuras) e Sally (Michael Scala) trascorrono le loro giornate tra bar, bische, pestaggi e prostitute. J.R. è un ragazzo di Little Italy affascinato dal cinema western e da John Wayne (un po’ come Jean Paul Belmondo in À bout de souffle, stregato da Humphrey Bogart), un giorno incontra per caso una ragazza colta e affascinante, Katy (Zina Bethune), su un traghetto diretto a Staten Island. Se ne innamora, i suoi sentimenti sono ricambiati ma la ragazza gli confessa di essere stata violentata dall’ex fidanzato. J. R. la rifiuta e non le crede, la giudica quasi colpevole ma poi si pente e dichiara di volerla sposare comunque. Katy capisce che J.R. la considera una peccatrice e lo rifiuta, allora lui l’accusa di essere «una puttana da quattro soldi che nessun altro sposerà mai» e si rifugia in chiesa, realizzando di non poterla accettare per davvero.

Il protagonista di Scorsese si condanna da solo all’ipocrisia e alla solitudine, divide il mondo con ragazze facili e perbene, le pulsioni sessuali sono per le prime e l’amore è per le seconde. J.R. è il ritratto del cattivo bravo ragazzo, della sconfitta esistenziale, oltre che morale, dell’individuo chiuso nel proprio perimetro narcisistico e ossessivo, limitato da una visione bigotta e distorta della donna e dell’amore. J.R. volta le spalle e giudica Katy, dice di amarla ma appena non riflette l’immagine idealizzata che lui si è costruito, la colpevolizza e l’abbandona anziché ascoltarla.

martin scorsese

Con uno stile quasi documentaristico, Scorsese nasconde la macchina da presa in mezzo agli oggetti, tra le sedie e le bottiglie dei bar; si sposta con l’obiettivo tra una soggettiva e l’altra cercando di fornire più punti di vista, e a volte ricorre a un’unica sequenza per dare risalto alla spontaneità dei dialoghi. Il regista italo-americano imbastisce una regia fatta di specchi, inquadrature dall’alto, zoom veloci e primissimi piani, scene a rallentatore e fermi immagine per permettere allo spettatore di concentrarsi sulle parole dei personaggi, come quando la macchina da presa indugia su icone e crocifissi durante la confessione di J.R. e la musica jazz s’espande. O come quando, al contrario, durante la scena erotica la macchina da presa si muove senza sosta, in circolo, mentre i Doors in sottofondo cantano The End, come un presagio.

A bussare alla porta è il talento, un nuovo modo di fare cinema. Martin Scorsese, insieme a quelli che verranno chiamati in modo dispregiativo i movie brats (Brian De Palma, Francis Ford Coppola, Steven Spielberg e George Lucas), è cresciuto guardando il cinema europeo e, neanche trentenne, tenta un nuovo approccio che il cinema americano a primo impatto rifiuta. Non a caso Scorsese dichiara «Non sono un regista di Hollywood, sono un regista nonostante Hollywood» e si diventa grandi, soprattutto, nonostante.

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Il talento che piace a Scorsese: Jonas Carpignano e “A Ciambra” https://www.fabriqueducinema.it/cinema/interviste/talento-piace-scorsese-jonas-carpignano-ciambra/ https://www.fabriqueducinema.it/cinema/interviste/talento-piace-scorsese-jonas-carpignano-ciambra/#respond Mon, 25 Sep 2017 09:06:15 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=9340 Nato a New York da madre afroamericana con origini caraibiche e padre torinese vissuto per molti anni a Roma, Jonas Carpignano è cresciuto muovendosi tra la Grande Mela e la provincia della capitale italiana (fra Monte Porzio Catone e Frascati) e oggi è considerato uno dei più promettenti talenti cinematografici emergenti a livello internazionale. Dopo […]

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Nato a New York da madre afroamericana con origini caraibiche e padre torinese vissuto per molti anni a Roma, Jonas Carpignano è cresciuto muovendosi tra la Grande Mela e la provincia della capitale italiana (fra Monte Porzio Catone e Frascati) e oggi è considerato uno dei più promettenti talenti cinematografici emergenti a livello internazionale.

Dopo l’esordio nel 2015 con Mediterranea, in cui raccontava il viaggio di due migranti dal Burkina Faso a Rosarno, distribuito solo recentemente in Italia ma che ha avuto un’ottima accoglienza all’estero e in particolare negli Stati Uniti, il 33enne cineasta italoamericano è nelle sale in questi giorni con la sua seconda opera A Ciambra, presentata con notevole successo allo scorso Festival di Cannes (Quinzaine).

In questo stimolante spaccato della comunità stanziale romena di Gioia Tauro che prende vita attraverso gli occhi del quattordicenne Pio Amato, Jonas Carpignano conferma la tensione verso un cinema di finzione dalla forte impronta realista che non rinuncia alla costante ricerca di uno sguardo cinematografico potente e raffinato. D’altronde, non è certo un caso che il suo talento sia stato riconosciuto da Martin Scorsese, tra i produttori esecutivi di A Ciambra. Con Jonas, che vive da anni a Gioia a stretto contatto con i protagonisti dei suoi film, abbiamo avuto l’opportunità di parlare a lungo di influenze cinematografiche, prossimi progetti e, soprattutto, del suo peculiare modo di intendere e di vivere il cinema.

un'immagine di A Ciambra di Jonas Carpignano

Come sei entrato in contatto con un autore del calibro di Martin Scorsese e qual è stato il suo contributo a livello creativo?

Alcune persone che lavorano con Scorsese, tra cui il suo agente e la sua produttrice, sono sempre alla ricerca di progetti per aiutare i registi emergenti. Alcuni co-finanziatori di questo fondo avrebbero già voluto investire in Mediterranea e dopo averlo visto mi hanno subito comunicato l’intenzione di collaborare con me al secondo film. Per me si è trattato di un sogno e il ruolo di Scorsese è stato molto importante per trovare il giusto equilibrio tra i momenti più narrativi del film e quelli in cui senti di stare vivendo a contatto con Pio e la sua famiglia. Mi ha fatto capire quali erano i momenti più forti e quali i più ripetitivi, sacrificabili in fase di montaggio. Insieme abbiamo ad esempio lavorato molto alla scena della cena, che per lui doveva essere mantenuta senza tagliarla più di tanto in quanto fondamentale per capire i rapporti all’interno della famiglia Amato e i motivi per cui Pio non potrà mai uscire dal suo mondo.

Qual è il cinema a cui ti senti più vicino e quali sono i tuoi punti di riferimento?

Come per la mia storia personale sono legato a più culture, così mi sento vicino a tipi di cinema anche molto diversi tra loro. Non sono uno alla Spielberg che ha sempre saputo di voler fare il regista, ma quello del cinema fin da piccolo l’ho sentito un mondo non lontano da me, anche grazie al rapporto con mio nonno, che ha lavorato molti anni per Carosello ed era sposato con la sorella di Luciano Emmer. Lui mi ha fatto conoscere le opere di Visconti e Bertolucci, due miei grandi punti di riferimento insieme a Rossellini e De Sica. Però sento presente in modo forte anche il cinema americano degli anni Settanta e Novanta, di cui mi nutrivo quando andavo con gli amici nelle sale del Bronx a guardare i film di registi come lo stesso Scorsese, Altman o Coppola.

un'immagine di A Ciambra di Jonas Carpignano

Per quanto riguarda invece i cineasti più contemporanei?

Tra gli italiani sicuramente c’è Alice Rohrwacher, che conosco bene. Stimo tutto quello che fa e mi dà sempre una mano quando mi serve. Adoro poi tutti i lavori di Andrea Arnold, la regista britannica di American Honey e Fish Tank. Tra gli americani, invece, ammiro molto Benh Zeitlin, un carissimo amico che per me è stato sempre come un fratello maggiore. Lavorando con lui in Re della terra selvaggia ho imparato che non c’è necessariamente bisogno di fare un film con una struttura cinematografica tradizionale e solida, ma che è possibile adattare la narrazione ai ritmi del luogo in cui si gira. Passare da assistente di Spike Lee in Miracolo a Sant’Anna al film di Benh mi ha arricchito molto, dandomi la possibilità di toccare con mano due modi di fare cinema assai differenti. Personalmente tento di rimanere fedele a me stesso, seguendo l’influenza del cinema che amo e con cui sono cresciuto. Non riuscirei mai a fare, ad esempio, un cinema asciutto come quello dei Dardenne, che non ha quei momenti surreali e musicali che a me invece interessano molto.

L’uso delle musiche in effetti è molto importante nei tuoi film. In Mediterranea, e ancora di più in A Ciambra, sottolineano i momenti di maggiore intensità emotiva dei protagonisti.

Parto sempre dal presupposto di voler inquadrare i miei personaggi in maniera diversa rispetto a come siamo abituati nel cinema europeo di stampo realista o nei telegiornali. Se si vuole aderire davvero al loro punto di vista e vedere il mondo con i loro occhi è importante cogliere non solo i momenti più drammatici ma anche quelli più leggeri e spensierati, che ci permettono di non perdere delle importanti sfumature della loro esistenza e che spesso sono accompagnati proprio dall’ascolto della musica. Anche per le persone che vivono nelle circostanze più pesanti, la vita non è mai solo una tragedia. Inoltre, la musica pop presente in A Ciambra ci fa sentire queste persone più vicine a noi, dato che è un tipo di musica conosciuta da tutti i ragazzi italiani, da Milano a Gioia Tauro. La componente musicale unisce e permette al pubblico di sentirsi sulla stessa lunghezza d’onda emotiva dei personaggi.

un'immagine di A Ciambra di Jonas Carpignano

Del tuo cinema colpisce molto la capacità di proporre uno sguardo che osserva senza giudicare, oggettivo ma non per questo freddo o distante.

L’idea di fondo alla base del mio cinema è proprio questa: mostrare la vita di alcune persone senza giudicarle. Giudicare è una cosa che non faccio mai e questo si riflette in maniera naturale nel mio modo di intendere il cinema. Ciò che mi interessa davvero è entrare nei mondi che voglio raccontare senza porre un filtro tra pubblico e personaggi, rimanendo il più possibile fedele al loro sguardo. Per questo cerco sempre di evitare di contestualizzare troppo: Pio in A Ciambra non si ferma ad ammirare il mare o non si meraviglia delle cose brutte che lo circondano. Se il contesto per lui non è importante perché lo dà per scontato, allora per me non ha senso soffermarmici. Anche perché nel momento in cui cerchi di dare una visione che va oltre il punto di vista del protagonista, inevitabilmente anteponi una tua opinione e inizi a giudicare. In A Ciambra, così come in Mediterranea, non si ha tempo per giudicare perché si è immersi nel punto di vista dei protagonisti.

Pensi di continuare a vivere a Gioia Tauro lavorando nella direzione di questa tua poetica o ti dedicherai a qualcosa di diverso?

Negli anni ho imparato che per me è essenziale lasciare spazio alla curiosità. Se ci sarà qualcosa in futuro che mi stimolerà cercherò di analizzarla e di spostarmi per farne un film. Forse un giorno un parente di mia madre dei Caraibi mi inviterà nelle Barbados e lì troverò qualcosa che vorrò raccontare. Tutto è possibile nella vita. Detto questo, ora come ora a Gioia Tauro sto molto bene perché ho il tempo di guardare tanti film, leggere libri e ho gli stimoli giusti per continuare a fare il mio lavoro. Se abitassi Roma o New York non troverei tutto questo tempo da dedicare al cinema. In questo momento ad esempio sto scrivendo il mio nuovo film, che sarà ambientato sempre a Gioia Tauro ma racconterà una realtà diversa, quella di una ragazza italiana che vive nel centro storico insieme alla famiglia e deve decidere se rimanere a Gioia o partire. Questa famiglia la conosco da anni, ma nei prossimi mesi cercherò di stare ancora di più con loro per approfondirne ulteriormente la storia.

 

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Festival di Cannes 2017: “A Ciambra” https://www.fabriqueducinema.it/festival/dal-mondo-festival/festival-cannes-2017-ciambra/ https://www.fabriqueducinema.it/festival/dal-mondo-festival/festival-cannes-2017-ciambra/#respond Mon, 22 May 2017 07:24:55 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=8572 Alla 70a edizione del Festival di Cannes è stato il turno di un’altra attesa opera seconda: A Ciambra di Jonas Carpignano, giovane regista italo-americano già presente due anni fa alla kermesse cinematografica più prestigiosa del mondo con Mediterranea, film di finzione in cui mediante uno stile diretto ed efficace si mostrava l’esperienza dei migranti africani […]

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Alla 70a edizione del Festival di Cannes è stato il turno di un’altra attesa opera seconda: A Ciambra di Jonas Carpignano, giovane regista italo-americano già presente due anni fa alla kermesse cinematografica più prestigiosa del mondo con Mediterranea, film di finzione in cui mediante uno stile diretto ed efficace si mostrava l’esperienza dei migranti africani che ogni giorno giungono in Italia nella speranza di una vita migliore.

Un'immagine dal film A Ciambra di Jonas Carpignano

L’esordio del cineasta 33enne, nato a New York da padre italiano e madre afroamericana, aveva ottenuto un’ottima accoglienza alla Semaine de la Critique ed era stato particolarmente apprezzato all’estero e in primis negli Stati Uniti, dove ha ricevuto numerosi riconoscimenti e il plauso di alcune delle testate giornalistiche più importanti. L’attenzione da parte della critica d’oltreoceano avrà senz’altro contribuito a far conoscere l’opera di Carpignano a Martin Scorsese, il quale ha agevolato la realizzazione di questo nuovo progetto attraverso il suo neonato fondo di supporto ai nuovi talenti del panorama internazionale e, come ha affermato lo stesso regista di A Ciambra, in qualità di produttore esecutivo è stato una sorta di guida spirituale prodiga di indicazioni preziose.

Se Mediterranea mostrava le disavventure di Ayiva e Abas dal Burkina Faso a Rosarno, il secondo film di Jonas Carpignano propone uno sfaccettato e stimolante spaccato della comunità stanziale romena di Gioia Tauro, concentrandosi sul quattordicenne Pio Amato e la sua famiglia. A Ciambra, in cui tutti i protagonisti interpretano se stessi, mette in scena fedelmente la quotidianità di questo poco conosciuto microcosmo tra furti per guadagnarsi da vivere e, sullo sfondo, il rapporto con la ’ndrangheta che controlla in maniera più o meno evidente ogni attività della cittadina calabrese.

Un ritratto di Jonas Carpignano

Dopo aver vissuto tra New York e Roma, Carpignano abita a Gioia Tauro ormai da sette anni e negli ultimi cinque ha lavorato al nuovo lungometraggio entrando in stretto contatto con i personaggi del film (Pio aveva già un ruolo in Mediterranea, mentre l’africano Kudous Seihon ne era il protagonista), da lui considerati quasi come una seconda famiglia. Questa intimità ha permesso al cineasta di proporre un inedito racconto “dall’interno”, il più possibile privo di filtri e colmo di umanità, attraverso uno sguardo che si limita a osservare senza giudicare, oggettivo ma non per questo freddo o distante.

A Ciambra è un esempio nobile di cinema del reale che riesce nella complessa impresa di coniugare palpabile autenticità ed evidente raffinatezza stilistica (notevole anche il lavoro di Affonso Gonçalves, montatore tra gli altri degli ultimi film di Jim Jarmusch e Todd Haynes). Siamo certi che in futuro sentiremo parlare ancora di Jonas Carpignano, sperando più nell’immediato che A Ciambra, a differenza di Mediterranea, riuscirà presto a trovare la via della distribuzione italiana.

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Mi sei scoppiata dentro al cuore https://www.fabriqueducinema.it/magazine/documentario/mi-sei-scoppiata-dentro-al-cuore/ https://www.fabriqueducinema.it/magazine/documentario/mi-sei-scoppiata-dentro-al-cuore/#respond Fri, 30 Oct 2015 09:20:48 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=2158 Ce l’aveva in mente da tempo Valerio Ruiz, 28 anni, questo omaggio pieno di affetto alla vita e alla carriera di Lina Wertmuller, sagacemente intitolato Dietro gli occhiali bianchi. Sono infatti gli immancabili occhiali bianchi la cifra figurativa di una delle nostre poche registe di respiro internazionale, prima donna nella storia del cinema a ricevere […]

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Ce l’aveva in mente da tempo Valerio Ruiz, 28 anni, questo omaggio pieno di affetto alla vita e alla carriera di Lina Wertmuller, sagacemente intitolato Dietro gli occhiali bianchi. Sono infatti gli immancabili occhiali bianchi la cifra figurativa di una delle nostre poche registe di respiro internazionale, prima donna nella storia del cinema a ricevere una nomination agli Oscar come miglior regista per Pasqualino Settebellezze (1975).

Il documentario ricostruisce l’itinerario artistico della Wertmuller, spaziando dalla strabiliante casa romana della regista, scrigno dei suoi gusti artistici e del lavoro suo e del marito Enrico Job, scenografo dal talento internazionalmente riconosciuto, al paese del Sud dove girò il suo primo lungometraggio, I basilischi, alle acque del Mediterraneo dove ambientò uno dei capolavori, Travolti da un insolito destino, all’antica villa nella campagna bresciana, luogo delle feste di famiglia, dirette da Lina con cura e piglio registico come fossero film.
«Lina» recita nel documentario John Simon, temutissimo decano dei critici cinematografici del New York Magazine «è una delle due registe che hanno fatto la storia del cinema»: l’altra è «Leni Riefensthal», e non sappiamo se il paragone faccia piacere a un’autrice da sempre ben poco “allineata”…

Ad accompagnare il viaggio le interviste ai colleghi e compagni di una vita, Giancarlo Giannini, Sophia Loren, Martin Scorsese, Harvey Keitel, Marina Cicogna, Nastassja Kinski, e tanti inediti, fra cui le immagini girate a Cinecittà quando Lina era aiuto regista di Federico Fellini in 8 e 1/2, video, immagini e canzoni scritte da lei stessa. Indovinate ad esempio chi c’è dietro al testo di una delle canzoni più famose di Mina, Mi sei scoppiato dentro al cuore…

Valerio Ruiz, romano, classe 1986, oltre che sceneggiatore e regista è anche produttore del film insieme alla Recalcati Multimedia. La collaborazione con la regista inizia quasi dieci anni fa come assistente nell’organizzazione della sezione cinematografica del Ravello Festival 2006. Nel 2011 Valerio ha scritto, prodotto e diretto il suo primo cortometraggio: Piazza Fellini, un omaggio a Federico Fellini interpretato da Sandra Milo, premiato in vari festival.

http://www.behindthewhiteglasses.it/

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