Margherita Laterza Archivi - Fabrique Du Cinéma https://www.fabriqueducinema.it La Rivista Del Nuovo Cinema Italiano Sat, 04 Sep 2021 12:34:30 +0000 it-IT hourly 1 Omeostasi: la crisi di una coppia secondo Paolo Mannarino https://www.fabriqueducinema.it/magazine/futures/omeostasi-la-crisi-di-una-coppia-secondo-paolo-mannarino/ Fri, 27 Aug 2021 12:59:07 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=15935 L’omeostasi è una tendenza naturale alla stabilità e all’equilibro. Ed è proprio l’equilibrio a incrinarsi fino al punto di rompersi nel nuovo cortometraggio di Paolo Mannarino, un equilibrio precario alla base della quotidianità di una coppia che dovrà confrontarsi e indagarsi, dopo aver saputo di aspettare un figlio. Il giovane regista tenta di sondare l’intimità […]

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L’omeostasi è una tendenza naturale alla stabilità e all’equilibro. Ed è proprio l’equilibrio a incrinarsi fino al punto di rompersi nel nuovo cortometraggio di Paolo Mannarino, un equilibrio precario alla base della quotidianità di una coppia che dovrà confrontarsi e indagarsi, dopo aver saputo di aspettare un figlio. Il giovane regista tenta di sondare l’intimità dei protagonisti, che caotica si contrappone alla simmetria delle inquadrature scelte per incorniciare la fragilità dei rapporti umani. La volontà è quella di avvicinarsi, il più possibile, per osservare, scoprire e, magari, ricominciare.

Da dove nasce l’idea per il corto?

La mia idea era quella di raccontare le dinamiche più intime di una coppia, entrare in casa loro durante un giorno all’apparenza normale che si trasforma completamente, diventando scenario di una litigata violenta, sintomo di una crisi più profonda. Volevo osservare quella coppia da vicino come un semplice spettatore, elaborare insieme ai protagonisti il loro dramma, derivante dall’aspettare un figlio e prima ancora dal dover affrontare la vita insieme mettendosi a nudo. Semplicemente, volevo raccontare la crisi di una coppia.

Omeostasi – Trailer from Paolo Mannarino on Vimeo

La crisi di coppia è un tema molto rappresentato al cinema, spesso anche da grandi autori, non era quindi facile inserirsi nel discorso. Quali sono stati i tuoi riferimenti?

Direi Terrence Malick, con i suoi silenzi, i suoi take sospesi e quell’intimità nel raccontare con la macchina da presa senza dover spiegare troppo. Però mentre giravo non ho pensato tanto a dei riferimenti specifici, perché quello che abbiamo cercato di fare con gli attori [Margherita Laterza e Edoardo Purgatori ndr] e e con il direttore della fotografia è stato farci guidare dalle sensazioni. Abbiamo cambiato le battute, abbiamo cercato di illuminare il meno possibile, provando per tre giorni nella casa dove è ambientato il corto. Tant’è che dovevamo girare circa in cinque giorni e invece ne abbiamo impiegati due, perché c’è stato un lavoro che ci ha permesso di essere sia pronti che spontanei durante le riprese.

Perché hai scelto di girare in 4:3?

Inizialmente ho girato in 2:35, ma poi durante il montaggio mi sono reso conto che era troppo poco intimo, quindi ho cambiato tutto. Ho scelto il 4:3 perché mi restituiva contemporaneamente una sensazione di claustrofobia e di intimità. Inoltre rendeva Omeostasi sospeso nel tempo, come se fosse una vecchia fotografia. È stato il mio primo corto in 4:3, escludendo qualche videoclip che avevo girato tempo fa.

La vera protagonista di Omeostasi sembra essere l’acqua. Cosa simboleggia?

C’è un continuo richiamo all’acqua, al mare, al surf e ognuno ci vede quello che vuole, però per me simboleggiava la placenta in cui è immerso il feto che forse dovrà nascere. È quindi il simbolo di quella vita che si sta generando, ma al contempo l’acqua è ciò che dà vita al dramma tra lui e lei. Un dramma che deriva dal rifiuto, dalla fuga di fronte alla cosa più importante per loro: capirsi e cercare di entrare nei rispettivi pensieri e universi. C’è infatti anche un richiamo all’universo nel corto.

Oltre a vari cortometraggi hai girato molti videoclip. Come comunicano questi due aspetti del tuo lavoro?

I videoclip sono stati un’ottima formazione, sia da un punto di vista tecnico che di scrittura. Mi hanno permesso di fare tanta esperienza, ma nell’ultimo anno e mezzo ho deciso di fermarmi, perché mi portavano via tanto tempo senza darmi appieno la possibilità di esprimermi come volevo. Ho quindi deciso di dedicarmi a un percorso più intimo e personale, scrivendo cose che fossero interamente mie.

Che progetti hai per il futuro? 

Ho finito di scrivere un lungometraggio e ho in porto una miniserie di quattro puntate. Riguardo al film posso anticiparti che, in poche parole, si tratta di una storia d’amore in un contesto ostile.

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“The cide” ed “Esami 2”, Webserie da non perdere https://www.fabriqueducinema.it/serie/recensioni-tv-serie-tv/the-cide-ed-esami-2-webserie-da-non-perdere/ https://www.fabriqueducinema.it/serie/recensioni-tv-serie-tv/the-cide-ed-esami-2-webserie-da-non-perdere/#respond Wed, 18 May 2016 20:07:31 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=3170 Innovazione, intrattenimento e passione sono le parole chiave della serialità world wide. Ne sono esempi The Cide ed Esami: due format narrativi insoliti raccontati dai loro produttori e autori.  «The Cide ci è sembrato subito un prodotto assolutamente nuovo» esordiscono Francesco Bruschettini e Francesco Cimpanelli di Kahuna Film. La serie, tratta da una graphic novel […]

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Innovazione, intrattenimento e passione sono le parole chiave della serialità world wide. Ne sono esempi The Cide ed Esami: due format narrativi insoliti raccontati dai loro produttori e autori.

 «The Cide ci è sembrato subito un prodotto assolutamente nuovo» esordiscono Francesco Bruschettini e Francesco Cimpanelli di Kahuna Film. La serie, tratta da una graphic novel del 2007 ideata dal collettivo romano Videns Pictures, è diretta da Lorenzo Corvino e interpretata da un cast di giovani promesse. Accanto ai protagonisti Marco Rossetti e Margherita Laterza, non mancano guest star come Andrea Sartoretti, noto ai più come il Bufalo di Romanzo criminale – La serie. The Cide è un thriller caleidoscopico e misterioso, fatto di atmosfere torbide alla Sin City e di vicende complesse e avvincenti.

«Il nostro procedimento è stato inverso a quello tradizionalmente alla base di una webserie. Noi abbiamo preso il target di quest’ultima e della graphic novel e lavorato per trasferire nel broadcast questi canoni. Ma The Cide è un prodotto atipico anche perché non nasce da un discorso autoriale. Al contrario, ogni aspetto è stato curato e organizzato sempre a partire da un confronto creativo tra il regista e la produzione. I due autori della graphic novel hanno curato la sceneggiatura e tutti i membri del collettivo Videns hanno partecipato attivamente alla realizzazione della prima puntata. In Italia non è facile trovare mercato per progetti innovativi, ma abbiamo voluto crederci e pensare in grande, ottenendo un risultato di forte impatto dal punto di vista figurativo e qualitativo. È un prodotto tutto italiano ma di respiro internazionale, e siamo sicuri che il pubblico apprezzerà. Dobbiamo ringraziare i nostri partner tecnici, D-Vision Italia e Frame by Frame, e l’eccezionale cast tecnico. In particolare, il direttore della fotografia Emanuele Zarlenga».

È il 2013 quando Bruschettini e Cimpanelli decidono di fondare una società di produzione. La folgorazione arriva mangiando un hamburger a Piazza di Spagna e, non a caso, il nome Kahuna Film è un omaggio alla finta catena di fast food inventata da Quentin Tarantino: Big Kahuna Burger. Sin dagli esordi, il loro scopo è intrattenere con prodotti di qualità e rinnovare costantemente il linguaggio audiovisivo: «Nel 2015 abbiamo prodotto tre corti, due dei quali (Il fascino di chiamarsi Giulia e Monde Ayahuasca) sono stati presentati al Festival di Cannes. Stiamo preparando il terreno per il nostro lungometraggio d’esordio: una dark comedy sul mondo del calcio, nostra grandissima passione, che vedrà l’attore Marco Giuliani per la prima volta nei panni di regista. Per quanto riguarda il web, noi, come tanti, stiamo cercando di capire se uno sviluppo di questo mercato sia possibile. Non è semplice creare progetti altamente qualitativi perché difficilmente c’è un ritorno economico immediato.  Noi ci proveremo con Unisex, l’irriverente webserie, diretta da Francesca Marino e scritta da Tommaso Renzoni, fatta di esilaranti “pillole” sul sesso. Ci stiamo puntando moltissimo, siamo convinti che un prodotto che vale possa trovare la propria strada anche nel panorama italiano».

Chi nella webserie ha trovato con successo la propria dimensione è Edoardo Ferrario che con Esami (di cui è produttore, autore e interprete), ha dato vita a un vero e proprio fenomeno virale, ora alla seconda stagione. Ogni episodio, ambientato in una diversa facoltà universitaria, ha raccontato le tragicomiche peripezie di studenti alle prese con professori improbabili e situazioni grottesche nelle quali, paradossalmente, pochi di noi hanno fatto fatica a identificarsi. «Tutto è nato proprio da chiacchierate e aneddoti sugli esami che scambiavo all’università con i miei amici… a ciascuno capitava sempre qualcosa di surreale».

Edoardo, pur essendo molto giovane, vanta interessanti esperienze nel mondo dello spettacolo, tra cui la partecipazione a Un due tre stella, programma di Sabina Guzzanti andato in onda su La7, e a La prova dell’otto, condotto su MTV da Caterina Guzzanti. «Mi cimentavo anche in spettacoli comici dal vivo, ma l’idea di un prodotto tutto mio mi affascinava moltissimo e internet poteva offrirmi la libertà di contenuti che cercavo. Ho capito che dall’esperienza universitaria avrei potuto tirar fuori qualcosa di divertente. Così, basandomi su trascorsi miei (ho frequentato Giurisprudenza) e di amici, ho raccontato gli aspetti più assurdi di tutte (o quasi) le facoltà. Un esame, in effetti, somiglia a uno sketch sia nelle tempistiche che per il finale imprevedibile. Il mio obiettivo era una comicità basata sull’osservazione e sulla satira di personaggi».

La regia di Esami è di Matteo Keffer e Maurizio Montesi, amici di vecchia data di Ferrario. «Abbiamo affrontato molte sfide: organizzare tutto da soli, gestire una troupe, lavorare gratis senza la certezza di un riconoscimento in futuro. Ma il bello di Esami è proprio il suo esser nata dall’entusiasmo di un gruppo di giovani che, spinti dal divertimento, hanno creduto nel progetto. Abbiamo capito di aver fatto centro quando le visualizzazioni del primo episodio, caricato online nel 2014, sono schizzate alle stelle in pochissimo tempo. Gli studenti si rispecchiavano nelle vicende dei personaggi e lo condividevano a loro volta».

Esami ha vinto il premio come Miglior serie italiana al Roma Web Fest e Miglior opera web al Taormina Film Festival. «Sono riuscito a dar vita a una serie scritta di mio pugno, a qualcosa che avrei voluto vedere online. Da studente passavo ore su Youtube e mancava qualcosa che parlasse dell’università con ironia. Creare prodotti per il web sicuramente non è facile, ma la rete è una vetrina importantissima per contenuti originali. Le webserie sono lavori prevalentemente autoprodotti, ma possono offrire nuove opportunità. Il grande successo di Esami mi ha dato visibilità e aperto strade inaspettate».

Cosa dovremo aspettarci, dunque, dalla seconda stagione? «Non seguirà il meccanismo delle facoltà ma approfondirà le storie dei personaggi della prima serie. Seguiremo le loro sorti due anni dopo. Dopo essermi laureato, avevo paura di non trovare più spunti freschi e divertenti. Credo, invece, di avere ancora molto da dire».

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Teatro di guerra https://www.fabriqueducinema.it/magazine/teatro/teatro-di-guerra/ https://www.fabriqueducinema.it/magazine/teatro/teatro-di-guerra/#respond Wed, 20 May 2015 09:16:40 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=1468 “La Guerra Grande. Storie di gente comune” è il titolo dello spettacolo diretto dal giovane Roberto Di Maio e prodotto dall’editore Laterza, in prima nazionale sabato 23 (ore 21) e domenica 24 maggio (ore 18) al Teatro India. Storie narrate e racconti vissuti nelle migliaia di lettere che per la prima volta viaggiano massicciamente da e per le […]

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“La Guerra Grande. Storie di gente comune” è il titolo dello spettacolo diretto dal giovane Roberto Di Maio e prodotto dall’editore Laterza, in prima nazionale sabato 23 (ore 21) e domenica 24 maggio (ore 18) al Teatro India. Storie narrate e racconti vissuti nelle migliaia di lettere che per la prima volta viaggiano massicciamente da e per le città del fronte bellico durante le date delle battaglie più tragiche.

Per Fabrique abbiamo intervistato il regista Roberto Di Maio e la produttrice esecutiva Margherita Laterza.

Roberto, è una grande responsabilità tramandare un evento tanto radicato nelle nostra memoria nazionale come il primo conflitto mondiale. Cosa c’è di innovativo nel vostro spettacolo tra le varie commemorazioni che vengono proposte in questo centenario?

R.D.M.: La responsabilità più grande è legata al fatto che purtroppo questo evento è quasi completamente scomparso dalla nostra memoria personale. È rimasto un “monolite” della memoria nazione purtroppo per niente conosciuto. Studiamo qualcosa alle scuole, dimenticandocene poco dopo. E quello che studiamo è purtroppo un elenco di luoghi, eventi e date. Qui si parla di persone, di storie di gente comune appunto. Di chi la guerra l’ha fatta, di chi l’ha subita, di chi l’ha scelta e di chi l’ha ripudiata. Per cui la vera responsabilità che sento non è nei confronti della guerra, bensì della dignità degli esseri umani che “porto in scena”. Non so quali commemorazioni ci verranno proposte in questo centenario, per cui non saprei fare un confronto. Che onestamente mi interessa anche poco. La prima domanda che mi sono fatto, quando Giuseppe Laterza mi ha chiesto di presentare questo progetto, è stata: come faccio a ridurre il tempo che ci divide dalla prima guerra mondiale? La risposta che mi sono dato è ricercare il giusto equilibrio tra il presente e passato, cercando un linguaggio contemporaneo, rimanendo però fedele all’epoca originale.

In che modo i linguaggi si commistionano nella tua opera? E come credi che vengano recepiti soprattutto dai giovani fruitori?

R.D.M.: Ho cercato, insieme a tutti i miei collaboratori, di far convivere i due “secoli” diversi in ogni aspetto della messa in scena. Partendo dal testo (di Paolo Di Maio), che con una struttura cinematograficamente intrecciata porta in scena le reali caratteristiche dell’epoca. Facendo vivere le immagini originali dell’Istituto Luce con il video-mapping (di Federico Spaziani). Interagendo con musiche elettroniche (di Claudio Cotugno – ATO), che nascono da uno studio delle canzoni, registrazioni e sonorità tipiche della Grande Guerra. Creando una cornice dal forte impatto visivo, con le scenografie (di Luca Stadirani), le luci (di Paride Donatelli) e i costumi (di Giulia Camoglio). Tutto questo penso che riesca ad avvicinare a un evento così distante dal nostro quotidiano un pubblico giovane e non solo.

Nel cast troviamo Stefano Fresi, Piero Cardano, Giulio Cristini, Beatrice Fedi, Lucrezia Guidone, Diego Sepe, Rosario Petix. Come hai scelto i tuoi attori?

 R.D.M.:  La mia formazione attoriale mi porta a porre al centro di tutto gli attori e le loro interpretazioni, vera parte viva del teatro. Ho la fortuna di lavorare con cast eccezionale. Attori bravissimi, con cui immergermi in una collaborativa e creativa ricerca. Il loro altissimo livello e la loro totale dedizione al lavoro sono stati determinanti nella scelta del gruppo.

Stefano Fresi.

Margherita, la casa editrice Laterza produce il suo primo spettacolo teatrale, liberamente tratto dall’omonimo libro di Antonio Gibelli. Cosa ha portato a una così audace scelta produttiva?

 M.L.: L’idea di trasformare il libro di Gibelli in uno spettacolo teatrale viene dall’esigenza di cambiare il punto di vista sulla prima guerra mondiale, nel momento del suo centenario. Gibelli raccoglie lettere per il fronte e dal fronte: attraverso le parole di soldati, mogli rimaste a casa, crocerossine, uomini di chiesa capiamo come la guerra non è solo un gioco tra grandi potenze né un mostro lontano di cui possiamo dimenticarci; oggi come allora la guerra è qualcosa che ci riguarda tutti, da vicino. In questi anni c’è stato un fenomeno sorprendente, quello dei festival e delle lezioni di storia. Contrariamente agli indici di lettura, che sono andati calando, quelli di queste manifestazioni pubbliche sono cresciuti. La scelta di entrare nel campo teatrale come produttori nasce dalla constatazione che le persone hanno voglia di “vivere” la cultura e di viverla in comune, in comunità… Quale strumento migliore del teatro per creare comunità attorno a un evento culturale? Il teatro ha il potere di produrre conoscenza tramite le emozioni e, al contrario di quanto avviene con un libro o col cinema, sono emozioni al tempo stesso collettive e irripetibili. Un mediatore culturale, oggi, deve avere il coraggio di rinnovarsi e di andare incontro a esigenze che mutano. I libri esisteranno sempre, ma il teatro potrebbe essere il luogo dove una comunità si forma facendo esperienza collettiva dei propri libri. E io, che del teatro vorrei fare la mia vita, non posso che esserne contenta.

Lasciaci con un’impressione, visione, o parola che simboleggi la tuaGuerra Grande”.

 M.L.: “La Guerra Grande”, per me, è il miracolo dell’umanità che resiste alla disumanità della guerra.

 

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