L’uomo sulla strada Archivi - Fabrique Du Cinéma https://www.fabriqueducinema.it La Rivista Del Nuovo Cinema Italiano Fri, 14 Jul 2023 07:34:51 +0000 it-IT hourly 1 Aurora Giovinazzo: “Voglio essere unica” https://www.fabriqueducinema.it/magazine/cover/aurora-giovinazzo-voglio-essere-unica/ https://www.fabriqueducinema.it/magazine/cover/aurora-giovinazzo-voglio-essere-unica/#respond Wed, 05 Jul 2023 07:38:50 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=18545 La carriera di Aurora Giovinazzo, che a 21 anni vanta già una decina di lungometraggi e altrettante apparizioni in serie tv e fiction, è frutto di una volontà di ferro e di un ostinato perfezionismo che la spinge ad affrontare ogni ruolo come una sfida fisica, oltre che psicologica. Dopo la ginnasta di Freaks Out […]

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La carriera di Aurora Giovinazzo, che a 21 anni vanta già una decina di lungometraggi e altrettante apparizioni in serie tv e fiction, è frutto di una volontà di ferro e di un ostinato perfezionismo che la spinge ad affrontare ogni ruolo come una sfida fisica, oltre che psicologica. Dopo la ginnasta di Freaks Out e la nuotatrice di L’uomo sulla strada, in The Cage di Massimiliano Zanin, attualmente in post-produzione, la vedremo addirittura nei panni di una lottatrice di MMA allenata da Valeria Solarino. «Il mio metodo di lavoro non è così speciale» si schernisce lei. «La mente va di pari passo col fisico. Qui in Italia non abbiamo i mezzi del cinema americano e non possiamo fare il lavoro che fanno attori come Robert De Niro in Toro scatenato, che si allenano per un anno. Lui è diventato un vero pugile, ha combattuto sul ring. Io faccio quello che posso con quello che ho. Per The Cage ho avuto a disposizione poche settimane che ho cercato di sfruttare allenandomi sei ore al giorno. Per essere credibile devo sentire il dolore, i muscoli sofferenti, così ho chiesto alla produzione la possibilità di allenarmi il triplo. L’impegno è la base di tutto».

E a giudicare dalla risposta di pubblico e critica, tanto impegno ha dato i suoi frutti. D’altronde anni e anni di danza (Aurora Giovinazzo è campionessa europea e mondiale di bachata e si allena sei giorni su sette per svariate ore al giorno) l’hanno abituata a dare il massimo. Ed è ciò che ha fatto anche al provino per Freaks Out, raccontato dal regista Gabriele Mainetti con un colorito post su Facebook in cui mette in luce lo spirito battagliero che l’ha spinto a scegliere la giovanissima Aurora tra una marea di candidate. «Le selezioni sono state talmente lunghe e faticose che non vedevo l’ora di non essere presa» ricorda lei ridendo. «Non avevo capito niente del personaggio, ho sostenuto quattro provini diversi e ogni volta sono durati ore. Sono un’atleta, tengo botta, ma l’ansia mi divorava». Alla fine l’ha spuntata proprio lei e Mainetti le ha affidato il ruolo di Matilde, fiera e combattiva circense dotata di poteri paranormali che lotta per proteggere i propri compagni, freak come lei, in una Roma immaginaria invasa dai nazisti in piena Seconda Guerra Mondiale.

Il film, che ha avuto una lavorazione lunga e difficoltosa per via della massiccia quantità di effetti speciali, presentava un surplus di difficoltà visto che il metodo di lavoro richiesto è inedito per i set italiani, come ammette la stessa Aurora: «È stata estasi pura. Essere sollevata da cavi e lavorare in sospensione, col green screen, i ventilatori puntati contro, a simulare la scena in cui vengo sparata dal cannone è stato fantastico. Ma questo tipo di riprese ha richiesto un grande sforzo di immaginazione. Nella scena in cui accarezzo la tigre, in realtà avevo davanti a me un pupazzo verde senza occhi e dovevo immaginare di avere a che fare con un felino di 350 chili. E chi ha mai accarezzato una tigre? All’epoca non l’avevo mai fatto, Gabriele Mainetti mi ha aiutato tantissimo a comprendere la situazione. Ma dopo aver girato The Cage, dove il mio personaggio lavora in uno zoo, posso dire di aver toccato una tigre e perfino un leone».

Mentre The Cage la vedrà impegnata a combattere sul ring, il pubblico avrà presto l’occasione di vedere Aurora Giovinazzo alle prese con un ruolo diametralmente opposto in Nuovo Olimpo di Ferzan Ozpetek, storia d’amore impossibile tra due giovani che si snoda lungo un arco di trent’anni. «Ferzan è un uomo dolcissimo, pieno di calore, è molto protettivo» lo descrive lei. «Ti trascina dentro il suo mondo per ottenere ciò che vuole, il suo set era molto emotivo e coinvolgente». Nonostante la giovane età, Aurora Giovinazzo ha le idee chiare e adotta una buona dose di prudenza quando snocciola i suoi progetti futuri perché non vuole precludersi niente. «Non ho un regista preferito con cui vorrei lavorare, prendo quello che viene» ci spiega. «L’importante è che siano progetti stimolanti, che mi aiutino a crescere. Voglio interpretare ruoli diversi, che mi diano soddisfazione». L’attrice nega anche di avere modelli di riferimento precisi. «Tanti idoli sì, ma nella recitazione, come nel ballo, cerco di non ispirarmi a nessuno. Non voglio copiare, anche se a livello inconscio so di aver assorbito alcune caratteristiche degli artisti che stimo e sul set a tratti riemergono. Ma voglio costruire la mia strada in maniera originale. Voglio essere unica». La serietà con cui Aurora Giovinazzo affronta il mestiere della recitazione, di cui nega di sentirsi esperta anche se ammette di calcare i set fin da quando era piccola (accompagnata dalla madre nel tentativo di incanalare tutta la sua energia drammatica), si ripercuote anche nei suoi gusti di spettatrice.

A differenza dei suoi coetanei tutti presi da laptop e telefonini, Aurora Giovinazzo ribadisce la fedeltà al grande schermo «che ti permette di assaporare ogni dettaglio. Oddio, è vero che oggi a casa abbiamo tutti schermi super fighi, ma la sala cinematografica è un’altra cosa. Anche i registi che lavorano per il cinema hanno un approccio più personale, è come se dentro di loro ardesse un fuoco diverso». Parlando di streaming, l’attrice rivela di essersi imposta di non guardare più serie tv per un motivo piuttosto originale: «Non riesco a smettere. Quando inizio una serie, devo andare avanti tutta la notte finché non l’ho finita e poi la mattina non riesco ad alzarmi. Ho visto dieci ore de Il padrino tutte di seguito». Parlando del suo film preferito, l’interprete di Freaks Out si infervora: «Il gladiatore, l’avrò visto 100 volte.  A vedermi così non si direbbe, sono minuta, alta un metro e cinquanta, ma sono una fan sfegata di film di guerra, thriller, horror. La commedia, invece, non la sento tanto nelle mie corde. Anche come attrice, mi sento più portata per il dramma».

Pur avendo già dimostrato ampiamente il suo talento, la carriera di Aurora Giovinazzo è ancora agli inizi. Con la sua disciplina e la sua forza di volontà, l’attrice romana si pone obiettivi sempre più ambiziosi e mentre si apre alle offerte in arrivo dagli autori italiani (e chissà, magari presto anche internazionali), ammette di avere una sola grande paura: «Non riuscire a essere credibile. Quando mi trovo di fronte a un personaggio di cui non riesco a capire l’intenzione, mi fermo, mi riguardo e cerco di capire bene l’errore commesso per non ripeterlo. Sono molto esigente e cerco di dare il massimo. Volere è potere». L’energia che incanala nella recitazione e nella danza (dove sta anche conseguendo i brevetti per insegnare) è tale da non farle venire voglia, almeno per adesso, di ipotizzare un futuro dietro la macchina da presa: «Col tempo potrei cambiare idea, ma oggi mi sento un’attrice e voglio far bene il mio mestiere. Un domani chi lo sa?».

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Fotografa Roberta Krasnig
Assistenti Marcello Mastroianni e Davide Polese 
Stylist Flavia Liberatori Assistente Vittoria Pallini 
Hairstylist Adriano Cocciarelli e Giulia Mirabelli per Harumi
Makeup Ilaria Di Lauro

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L’uomo sulla strada, la caccia all’uomo è un thriller classico https://www.fabriqueducinema.it/magazine/opera-prima/luomo-sulla-strada/ https://www.fabriqueducinema.it/magazine/opera-prima/luomo-sulla-strada/#respond Wed, 26 Oct 2022 07:20:00 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=17884 Si apre con una scena di gioco, l’opera prima di Gianluca Mangiasciutti L’uomo sulla strada. Il gioco tipico dell’infanzia e dell’ingenuità che precede ogni male. Una bambina corre nel bosco insieme a suo padre: i due si nascondono, si cercano e poi si ritrovano. Ma non stavolta. L’età dell’innocenza, infatti, si macchia improvvisamente di un […]

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Si apre con una scena di gioco, l’opera prima di Gianluca Mangiasciutti L’uomo sulla strada. Il gioco tipico dell’infanzia e dell’ingenuità che precede ogni male. Una bambina corre nel bosco insieme a suo padre: i due si nascondono, si cercano e poi si ritrovano. Ma non stavolta. L’età dell’innocenza, infatti, si macchia improvvisamente di un evento tragico: quando Irene vede suo padre morire vittima di un pirata della strada, capiamo che il vero gioco continuerà nella vita adulta, sotto forma di un perverso nascondino. La caccia all’uomo è aperta, e da questo momento ogni azione sarà irreversibile.

Unica testimone dell’omicidio, Irene cresce e diventa una giovane donna (interpretata da Aurora Giovinazzo) con un obiettivo morboso: ottenere giustizia, come suggerisce la sinossi del film. In realtà scopriremo d’essere a tutti gli effetti nel terreno della vendetta personale, dove il bisogno di pareggiare i conti diventa un’ossessione. Poiché nel film il destino si diverte a sbeffeggiare le sue stesse vittime, senza sospettarlo la ragazza verrà assunta proprio nella fabbrica dell’uomo che avrebbe ucciso suo padre (un Lorenzo Richelmy cupissimo, in giacca e cravatta).

Non solo le colpe dei padri, ma qualsiasi storia familiare a un certo punto ricade sui figli: questo sembra volerci dire Gianluca Mangiasciutti con il suo esordio al lungometraggio (presentato in questi giorni alla Festa del Cinema di Roma, nella sezione Panorama Italia di Alice nella città). Lo fa affidandosi ad una sorta di coming of age strutturato sulle insolite premesse del thriller. Ma lo fa anche scegliendo – non a caso – un’attrice come Aurora Giovinazzo per dar corpo a una protagonista tormentata, semplice nella caratterizzazione ma magnetica sullo schermo. Perché in questo caso tifare per lei, nel bene e nel male, dev’essere anche una questione di chimica tra spettatore e messa in scena.

La rabbia di Irene trova una sua dimensione nell’interpretazione ancora rude e viscerale di Giovinazzo, più matura rispetto agli inizi già promettenti di Freaks Out, e senz’altro libera da molti tic del mestiere. Proprio per questo, però, si tratta di una spontaneità tecnicamente difficile da domare, e di fronte ad alcune scene viene da chiedersi se gli alti e bassi di Irene-Aurora siano funzionali a un personaggio ‘sopra le righe’ o avrebbero potuto essere diretti con più minuzia.

L'uomo sulla stradaMentre nella sceneggiatura va riconosciuto, purtroppo, l’aspetto più dolente del film (a causa di personaggi collaterali che rimangono bloccati nell’etichetta dello stereotipo, e di un ritmo sempre troppo teso, che non riesce a valorizzare i momenti di vera suspense), è interessante notare l’uso che Mangiasciutti fa della composizione visiva e della fotografia (di Luca Ciuti), eleggendole a veri e propri strumenti narrativi. Rispettando la cara vecchia scuola del genere thriller (e quindi optando per chiaroscuri ‘premonitori’ e palette eleganti, senza cedere alla tentazione del prototipo estetico Netflix), i tagli di luce dedicano un’attenzione particolare al personaggio di Lorenzo Richelmy, e il posizionamento dei personaggi nell’inquadratura non è mai casuale. È così che il regista riesce a suggerirne l’ambiguità, partendo dall’immagine per creare un distacco tra buoni e cattivi. O meglio: tra chi caccia e chi viene cacciato.

Convinti che nelle opere prime conti più il potenziale espresso che il fattore mancante, allora L’uomo sulla strada ci mostra il gusto di un regista affezionato alla narrazione classica, alla tradizione di un cinema di genere che difende il decoro estetico dall’omologazione mainstream. E, soprattutto, che dà valore al ruolo dell’essere umano nella scelta delle storie da raccontare, ai legami familiari, alla crescita degli eroi e anche a quella degli antieroi. Tanto sullo schermo quanto sul set, poiché le riprese del film sono state discrete e preservate dai social media. «Fare un film non è una vetrina né tanto meno significa farsi pubblicità» scriveva Mangiasciutti qualche mese fa. «Ho preferito rimanere isolato e concentrarmi su una cosa che aspettavo da anni». E a noi questa dimensione intima di un cinema fatto senza aspettative, guidato dalla passione e dal bisogno di indagare le emozioni, piace.

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