Lucrezia Guidone Archivi - Fabrique Du Cinéma https://www.fabriqueducinema.it La Rivista Del Nuovo Cinema Italiano Tue, 22 Feb 2022 13:38:45 +0000 it-IT hourly 1 Fedeltà: la crisi coniugale secondo Netflix https://www.fabriqueducinema.it/serie/fedelta-la-crisi-coniugale-secondo-netflix/ https://www.fabriqueducinema.it/serie/fedelta-la-crisi-coniugale-secondo-netflix/#respond Fri, 11 Feb 2022 13:58:54 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=16773 A una domanda sembra voler dare risposta Fedeltà, nuovo dramma originale Netflix prodotto da BiBi Film: un semplice dubbio, un piccolo malinteso, può distruggere una relazione? Lo scrittore Carlo (Michele Riondino) e l’agente immobiliare Margherita (Lucrezia Guidone) sembrano avere una vita e una relazione perfetta, nonostante gli alti e bassi del lavoro e della famiglia. […]

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A una domanda sembra voler dare risposta Fedeltà, nuovo dramma originale Netflix prodotto da BiBi Film: un semplice dubbio, un piccolo malinteso, può distruggere una relazione?

Lo scrittore Carlo (Michele Riondino) e l’agente immobiliare Margherita (Lucrezia Guidone) sembrano avere una vita e una relazione perfetta, nonostante gli alti e bassi del lavoro e della famiglia. L’equilibrio tra i due tuttavia vacilla quando lui è accusato di atteggiamenti inappropriati con una studentessa, Sofia (Carolina Sala). Malgrado sia prontamente negata qualsiasi complicità da entrambe le parti, il dubbio silenzioso e latente si insinua sempre più, attimo dopo attimo, giorno dopo giorno, nella mente di Margherita, dando inizio ad un gioco di gelosie e vendette che potrebbe portare a irrimediabili conseguenze.

Come già intuibile, Fedeltà propone una storia all’apparenza semplice, che riprende il topos del triangolo amoroso e lo declina a proprio modo. Se fin da subito la narrazione vera e propria non appare particolarmente innovativa, la serie tenta però di scavare sotto la superficie, mettendo in scena non solo una crisi coniugale, ma dipingendo anche uno spaccato delle relazioni odierne, una tranche de vie in cui chiunque può rivedersi. Per farlo, si parte non a caso da un romanzo introspettivo, giocato sui detti e i non detti, come quello di Marco Missiroli, scrittore riminese insignito proprio grazie a Fedeltà del Premio Strega.

Fedeltà

E proprio questa introspezione, questo voler andare oltre il mero racconto dei fatti, è il vero punto di forza della serie. In appena sei puntate, più che sufficienti per il tipo di progetto qui proposto, la storia di Missiroli, riportata sullo schermo dalla penna di Alessandro Fabbri, Elisa Amoruso e Laura Colella, conduce lo spettatore in un pas de deux di due (ma forse più) umanità che si scontrano: tra certezze che vacillano ed errori a cui forse non si può più rimediare, prendono vita personaggi – interpretati più che degnamente da Riondino e Guidone – tanto conflittuali, quanto reali, con cui è impossibile non rivedersi, almeno una volta.

La regia, guidata dalla mano esperta di Andrea Molaioli (l’eccellente La ragazza del lago, ma anche il più pop Slam – Tutto per una ragazza) e dal più giovane Stefano Cipani (Mio fratello è figlio unico), sembra quindi seguire i suoi protagonisti, attraverso dei lunghi momenti musicali e l’impeccabile fotografia di Gogò Bianchi (Anna), che incornicia una Milano dai mille volti. Nonostante a volte il passaggio dalla carta allo schermo non sfrutti appieno le proprie potenzialità, Fedeltà riesce però a fare ciò che si prefigge: raccontare, con una buona eleganza e una certa profondità, la crisi di un amore, ma ancor prima la storia di due persone qualunque.

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“Senza Distanza” a New York: il cinema italiano col fuso orario https://www.fabriqueducinema.it/festival/italia/senza-distanza-a-new-york-il-cinema-italiano-col-fuso-orario/ https://www.fabriqueducinema.it/festival/italia/senza-distanza-a-new-york-il-cinema-italiano-col-fuso-orario/#respond Tue, 24 May 2016 06:43:02 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=3204 New York mi ha fatto amare il cinema, e il cinema mi ha fatto amare New York: la città che più ha contribuito a formare il mio immaginario cinematografico è diventata, rendendomi felicissimo, il luogo che ha ospitato l’anteprima mondiale del mio primo lungometraggio, Senza distanza. Il film racconta di un bed & breakfast in […]

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New York mi ha fatto amare il cinema, e il cinema mi ha fatto amare New York: la città che più ha contribuito a formare il mio immaginario cinematografico è diventata, rendendomi felicissimo, il luogo che ha ospitato l’anteprima mondiale del mio primo lungometraggio, Senza distanza.

Il film racconta di un bed & breakfast in cui si pratica un corso preparatorio per relazioni a distanza. Due coppie (Marco Cassini/Lucrezia Guidone, Giovanni Anzaldo/Giulia Rupi) formate da individui che non riescono ad accettare l’idea di separarsi e vivere da soli in punti distanti nel mondo, si ritrovano in questo strano luogo dove devono mettersi alla prova, proprio perché tra di loro legati da una fortissima dipendenza affettiva, che è quanto di meno sano ci sia per una relazione. La situazione, poi, si complicherà ulteriormente a causa dei gestori del b&b (Elena Arvigo e Paolo Perinelli).

Per ora non svelo altro, però voglio precisare che il titolo inglese che ho dato al film è Time Zone Inn, cioè “la locanda del fuso orario”, ed è in un certo senso ironico che la sua prima proiezione assoluta sia avvenuta proprio in un luogo in cui si vive sei ore in anticipo rispetto al Paese dove il film è stato concepito, l’Italia. Senza distanza è stato infatti proiettato durante la settima edizione del New York City Independent Film Festival, che si tiene nel cuore di Manhattan, a due passi da Broadway.
Ho vissuto intensamente l’esperienza del festival, l’atmosfera di scambio culturale che si respirava, la partecipazione attiva del pubblico e degli addetti ai lavori, arrivati da tutto il mondo. Si è ricreata, all’interno di quell’ambiente, la stessa situazione metaforica del mio film, in cui ogni camera del b&b rappresenta una stanza del mondo.

Autori di ogni nazionalità hanno avuto modo di dialogare e scambiare tra di loro pareri e modi di pensare. Il festival è riuscito a creare un senso di comunità tra i filmmaker, e questo è importantissimo, perché il pericolo più grande per un autore indipendente, nell’attuale mondo artistico, è quello di restare isolato, di convincersi di essere l’unico folle ad aver rischiato e a essere estraneo rispetto a un mondo produttivo più grande, più consueto o più giusto. Questa è un’idea profondamente sbagliata. Non ha senso, e credo che non l’abbia mai avuto, che il cinema indipendente debba essere ghettizzato, in quanto sta diventando esso stesso la cinematografia “ufficiale” del futuro. Le nuove storie sono tutte qui, in questo mondo parallelo, dei festival di cinema – indipendente e non – di tutto il mondo ed è assurdo che scorrano di fianco all’universo produttivo dei grandi budget, anzi, bisognerebbe mescolarle insieme alle realtà più solide delle varie major. Dico questo perché sono convinto che l’attenzione durante la visione di un film dovrebbe essere indirizzata non verso la sua impalcatura produttiva ma nei confronti della storia che è narrata. Ci interessa? Ci racconta qualcosa sulla vita? È ben girata?

Ci sono gemme nascoste in tutto il mondo, piccoli gioielli indipendenti sparsi per il globo nei circuiti festivalieri. L’occhio dei distributori dovrebbe rivolgersi con più attenzione a queste realtà e scoprirebbe delle storie spesso e volentieri più sincere e originali di quelle che provengono dell’industria cinematografica dominante. E il dato di fatto più inconfutabile è che ormai un film girato con 20mila euro, uno girato con 2003-timessquare0 e uno girato con 2 milioni non sono più distinguibili – se ben girati, ovviamente – né dal punto di vista tecnico né da quello delle performance attoriali. L’evolversi dell’ormai nota tecnologia digitale e la spontanea passione dei cineasti indipendenti fanno sì che si creino dei prodotti di altissima qualità.

Ho assistito personalmente, durante il festival, alla prova effettiva di quello che ho appena detto. Ho visto dei film eccellenti, spesso scritti, diretti e prodotti, come nel mio caso dagli stessi registi, che ho avuto la grande fortuna di conoscere. Voglio ricordare tra i tanti, l’emozionante documentario Waiting di Cristian Piazza (regista italiano che da sedici anni vive nella Grande Mela), storia di tre italiani a New York che lottano per la loro felicità. O il cortometraggio La Tumba di Maru Morón Iglesias, regista venezuelana che ha raccontato co
n struggente sincerità le violenze nelle prigioni del suo Paese. E voglio ricordare anche l’appassionante mediometraggio documentario Antonio, lindo Antonio di Ana Maria Gomes, racconto della ricerca di un uomo, emigrato in Brasile, che da cinquant’anni non torna più nella sua terra natale, il Portogallo.

Guardando questi film mi sono emozionato e non ho pensato, applicando un’etichetta, “questi sono prodotti indipendenti”. No. Ho pensato che fossero dei buoni film, punto. Ed è lo stesso pensiero che mi è stato ri
volto da più persone tra il pubblico dopo che Senza distanza è stato proiettato, persone che hanno espresso amore per l’opera e curiosità riguardo alle tematiche affrontate, sorprendendosi, a posteriori, del fatto che si trattasse di un’opera prima.

Quando sono uscito dalla sala, dopo la proiezione, mi sono trovato tra i grattacieli di Midtown, a pochi metri dai più importanti teatri del mondo, e ho riflettuto su quanto il cinema ancora una volta si fosse dimostrato universale, nel riuscire a parlare la nostra lingua e al contempo le altre lì presenti, volando oltre l’oceano Atlantico. E poi ho rivolto un ultimo pensiero al mio Paese, l’Italia, sempre un po’ sorniona e distratta, a volte cinematograficamente tendente ad arrotolarsi su se stessa. E ho immaginato un giorno in cui i vari fusi orari del cinema possano incontrarsi tutti insieme, senza pregiudizi produttivi, accomunati solo dall’immortale passione per il racconto.

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