Luca Guadagnino Archivi - Fabrique Du Cinéma https://www.fabriqueducinema.it La Rivista Del Nuovo Cinema Italiano Wed, 23 Oct 2024 14:06:32 +0000 it-IT hourly 1 Venezia 81 Orizzonti: “Diciannove” tra rivoluzione e comfort zone https://www.fabriqueducinema.it/magazine/opera-prima/venezia-81-orizzonti-diciannove-tra-rivoluzione-e-comfort-zone/ https://www.fabriqueducinema.it/magazine/opera-prima/venezia-81-orizzonti-diciannove-tra-rivoluzione-e-comfort-zone/#respond Mon, 02 Sep 2024 13:04:28 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=19269 Diciannove anni, Leonardo ha le idee ancora poco chiare sul futuro. Studia lettere, ma dalla Sicilia a Londra e poi Siena sembra si areni tra i suoi libri d’epoca, un rapporto difficile con le aspettative materne, con i professori e le sessioni d’esame. In più la vita da fuorisede gli gira intorno come una trottola […]

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Diciannove anni, Leonardo ha le idee ancora poco chiare sul futuro. Studia lettere, ma dalla Sicilia a Londra e poi Siena sembra si areni tra i suoi libri d’epoca, un rapporto difficile con le aspettative materne, con i professori e le sessioni d’esame. In più la vita da fuorisede gli gira intorno come una trottola che lui schiva nella sua camera in affitto, comfort zone dove si rintana insieme alle sue pulsioni.

Diciannove è il lungometraggio d’esordio alla regia di Giovanni Tortorici, talento del 1996 scoperto da Luca Guadagnino, che lo ha prodotto insieme a Malcolm Pagani tra Italia e Inghilterra. Scheggia di coming of age e motore di una diaspora generazionale, indispone e fa tenerezza questo ragazzotto educato e saccente che perde treni e cova aspirazioni ancora incerte, così sicuro di sé riguardo alla letteratura tanto da mettersi frontalmente contro i docenti, ma allo stesso tempo perso in mondi che assaggia sfuggente dai baci di ragazze conosciute in disco. Si percepisce da ogni fotogramma il senso di spaesamento di quell’anno precedente i venti, che si scontra con le inflessibilità professorali e i problemi d’incomunicabilità. E Manfredi Marini veste il personaggio donando a questo film la giusta forza fragile di quell’età.

È in concorso nella sezione Orizzonti della Mostra del Cinema di Venezia 81 Diciannove. La sceneggiatura saltella capricciosa e provocatoria insieme alle indecisioni e gli svarioni di Leonardo. A volte le sue vicissitudini ricordano certe atmosfere da Nouvelle Vague, forse meta agognata nella chiusura irrisolta, in certe andature narrative montate a schiaffo. Una svogliatezza formale che può esser letta in vari modi.

Le inquadrature di Tortorici sembrano incantarsi su dettagli di cielo, vicoli e contrade. Come un continuo prender e perder tempo che rappresenta in piena soggettiva quel numero dell’anima. Tempi apparentemente morti che danno respiro alla formazione del protagonista. Poi sprazzi ironici, incontri che impennano su discorsi surreali alla Tutti giù per terra di Davide Ferrario. Gli scontri intellettuali sulle sue visioni letterarie, il rifiuto rivoluzionario di ammirare certi grandi lo fanno apparire comunque un pulcino mordace in un mondo millenario come Siena che mastica da sempre storia e persone. Sta qui la tenerezza per questo personaggio così fresco e acerbo che ci presenta Tortorici. Ma abbiamo anche tante, troppe sospensioni sui vari piani narrativi, mai realmente chiusi e spesso inseriti senza nessi. Insomma, si pasticcia un po’. Come nella vita scombussolata di un diciannovenne, del resto.

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Venezia 75: Suspiria, quando il sospiro diventa silenzioso https://www.fabriqueducinema.it/festival/venezia-75-suspiria-quando-il-sospiro-diventa-silenzioso/ https://www.fabriqueducinema.it/festival/venezia-75-suspiria-quando-il-sospiro-diventa-silenzioso/#respond Sat, 01 Sep 2018 17:15:49 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=11207 Quando Luca Guadagnino ha annunciato il remake di Suspiria, celebre pellicola horror di Dario Argento, una domanda è subito sorta spontanea: è davvero possibile produrre una nuova versione di un vero e proprio cult del cinema italiano? Se molti affezionati fan hanno risposto fin da subito negativamente, solo dopo oggi è possibile esprimere un parere […]

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Quando Luca Guadagnino ha annunciato il remake di Suspiria, celebre pellicola horror di Dario Argento, una domanda è subito sorta spontanea: è davvero possibile produrre una nuova versione di un vero e proprio cult del cinema italiano? Se molti affezionati fan hanno risposto fin da subito negativamente, solo dopo oggi è possibile esprimere un parere concreto e almeno parzialmente definitivo. Presentato in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, Suspiria (qui il trailer ufficiale) è stato infatti il titolo principale di questa quarta giornata di proiezioni veneziane, dimostrandosi capace di sorprendere in quanto totalmente diverso dal suo predecessore.

Le nuove avventure di Susie Bannion e della misteriosa scuola di danza che decide di frequentare appaiono fin dai contenuti estremamente più complesse e sfaccettate. Nonostante la storia originale sia conservata nelle sue premesse generali, la sceneggiatura di David Kajganich appare innovativa già dalla sequenza d’apertura, rievocando anche un contesto storico non facilmente trattabile nei film di genere: la Guerra Fredda e i drammi del dopoguerra berlinese sono elementi costanti nella pellicola, che intreccia le note vicissitudini sovrannaturali con un trauma più vasto e tangibile. In tal senso, linee narrative inedite si confrontano con quelle che i fan di Argento ben conoscono, aprendosi a nuove ed inquietanti svolte.

suspiria

Il ripensamento narrativo, che offre non poche sorprese nel corso delle due ore e mezza di visione, non è tuttavia esclusivamente additivo, poiché ripensa anche diversi elementi della storia ideata quattro decenni fa. I personaggi femminili appaiono in netta contrapposizione con le proprie antesignane, delineandosi come modelli di donne forti, lontane dalle scream queens – rubando un termine all’horror a stelle e strisce – del cult del 1977. Ottime in questo senso sono soprattutto le due protagoniste Tilda Swinton e Dakota Johnson: se la prima si è innumerevoli volte dimostrata una delle più brillanti attrici del panorama internazionale, la seconda è finalmente pronta a mettersi in gioco seriamente, dopo il terribile franchise di Cinquanta Sfumature.

Andando oltre il piano contenutistico, in controtendenza con il passato è anche la dimensione più propriamente tecnica, che abbandona l’asfissiante pienezza di Argento a favore della freddezza ispirata di Guadagnino. Proponendo inquadrature eleganti in ogni singolo dettaglio, il cineasta palermitano svuota la scena, operando principalmente su tre livelli: la scenografia, la fotografia e il sonoro. Nel primo caso, l’eccesso tipico del maestro del cinema horror italiano lascia spazio a luoghi più geometrici, estremamente spogli nelle forme ma non meno claustrofobici e disorientanti. Soprattutto le sequenze di ballo, dove i corpi delle attrici dialogano maggiormente con i pavimenti e le pareti, insinuano marcatamente nello spettatore un senso di piacevole inquietudine.

suspiria

Parallelamente, la fotografia abbandona quasi interamente i colori forti e tendenti al rosso sangue, giocando anche in questo caso con tonalità più fredde, che si adattano perfettamente al contesto post-bellico nel quale si svolgono le vicende. Questo minimalismo è rintracciabile anche nella controparte sonora, che è forse tra le più interessanti tra quelle fino ad oggi proposte da Guadagnino. Mentre la floridezza linguistica vista in Call Me By Your Name è mantenuta, nuovo è invece l’uso che il regista fa del silenzio e soprattutto del sospiro, che puntella tacitamente l’intera narrazione, accompagnando lo spettatore verso l’atteso e visivamente inaspettato finale.

Tornando infine alla domanda iniziale, sembra quindi giusto chiedersi nuovamente: è davvero possibile rifare un cult? Suspiria di Luca Guadagnino ci insegna che la risposta non può che essere affermativa ma, affinché ciò avvenga, è necessario rimodellare totalmente il passato, rispettandolo ma anche restituendolo a proprio modo.

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Festival di Berlino: l’Orso d’oro va all’Ungheria https://www.fabriqueducinema.it/festival/dal-mondo-festival/festival-di-berlino-lorso-doro-va-allungheria/ https://www.fabriqueducinema.it/festival/dal-mondo-festival/festival-di-berlino-lorso-doro-va-allungheria/#respond Mon, 20 Feb 2017 09:05:03 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=4201 Dopo dieci giorni di competizione, file e buona programmazione, la Berlinale cala finalmente il sipario e svela le carte.  La giuria presieduta dal regista olandese Paul Verhoeven premia infatti, un po’ a sorpresa, On Body and Soul della regista Ildikó Enyedi, che si aggiudica così l’Orso d’oro come miglior film, la prima volta per l’Ungheria, […]

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Dopo dieci giorni di competizione, file e buona programmazione, la Berlinale cala finalmente il sipario e svela le carte.  La giuria presieduta dal regista olandese Paul Verhoeven premia infatti, un po’ a sorpresa, On Body and Soul della regista Ildikó Enyedi, che si aggiudica così l’Orso d’oro come miglior film, la prima volta per l’Ungheria, riconoscimento che l’anno scorso era andato Fuocoammare di Gianfranco Rosi.

Liaison d’amore atipica e silenziosa quella raccontata, scoccata tra il direttore finanziario di una macelleria e la responsabile del controllo igiene, una coppia che lentamente si avvicina grazie però a un sogno ricorrente e comune, essere due cervi immersi nella neve.

Il Gran Premio della Giuria è andato invece alla pellicola franco-senegalese Félicitè di Alain Gomis, bellissimo ritratto al femminile sullo sfondo di Kinshasa, dove una madre-coraggio cerca i soldi per l’operazione alla gamba del figlio. Strameritato il riconoscimento per Agnieszka Holland e il suo Pokot, Orso d’argento (Alfred Bauer Prize), e soprattutto quello assegnato ad Aki Kaurismäki per The Other Side of Hope, racconto tragicomico sui rifugiati nella Finlandia odierna, che verrà distribuito in Italia dal prossimo 6 aprile grazie a Valerio De Paolis. Un cinema tecnicamente lontano (girato in 35 mm), ma con lo sguardo geniale rivolto al presente, e futuro, ironico, drammatico, attuale, a tratti surreale, che ha fatto riflettere con umorismo sincero e affettuoso, un vero gioiello.

Dopo il successo di qualche anno fa per Gloria, un nuovo riconoscimento per Sebastián Lelio (insieme a Gonzalo Masa) vincitori della miglior sceneggiatura per Una mujer fantàstica, a conferma di un Cile sempre più protagonista. Sul fronte interpreti, l’Orso al miglior attore è andato al tedesco Georg Friedrich (in Bright Night), quello femminile alla coreana Kim Minhee per On the Beach at Night Alone.

E se l’Italia quest’anno non aveva nessuno in competizione, non bisogna però dimenticare l’omaggio straordinario per Milena Canonero, che qualche giorno aveva ricevuto l’Orso alla carriera, e la grande reazione attribuita per Luca Guadagnino grazie a Call Me by Your Name, con un sold out di pubblico che non si ricordava da tempo. Non solo qualità e politica, il Festival, che aveva aperto con Django (incentrato sulla persecuzione riguardo a molti gitani durante la Seconda Guerra Mondiale), ha centrato l’obiettivo della qualità narrativa, esprimendo ulteriormente ciò che in molti, tra gli addetti ai lavori, già conoscevano.

Rimane la consapevolezza che Berlino sia ogni anno, sempre di più, uno degli appuntamenti cruciali, secondo solo a Cannes, per quel mercato distributivo e acquisto, perché queste storie possano girare il mondo.

 

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Festival di Berlino: “Call me by your name”, l’idillio cinechic di Guadagnino https://www.fabriqueducinema.it/festival/dal-mondo-festival/festival-di-berlino-call-me-by-your-name-lidillio-cinechic-di-guadagnino/ https://www.fabriqueducinema.it/festival/dal-mondo-festival/festival-di-berlino-call-me-by-your-name-lidillio-cinechic-di-guadagnino/#respond Tue, 14 Feb 2017 15:03:58 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=4161 La bolla di “Call Me by Your Name”, di Luca Guadagnino, è un’estate afosa da spendere in giardini rigogliosi, mordendo con pigrizia frutta senza imperfezioni, perfettamente rotonda, lascivamente succosa. È una bolla dei sensi, consumata all’ombra di fronde messe in piega da invisibili giardinieri: l’acqua fredda (lago, mare, piscina, fate voi: nella bolla c’è tutto) […]

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La bolla di “Call Me by Your Name”, di Luca Guadagnino, è un’estate afosa da spendere in giardini rigogliosi, mordendo con pigrizia frutta senza imperfezioni, perfettamente rotonda, lascivamente succosa.

È una bolla dei sensi, consumata all’ombra di fronde messe in piega da invisibili giardinieri: l’acqua fredda (lago, mare, piscina, fate voi: nella bolla c’è tutto) che increspa la pelle al contatto, l’umido della notte che impregna gli anfratti di ville-labirinto, il sole d’agosto che invita a godere, a prendersi tutto, a inseguire qualsiasi desiderio – senza distinzione fra uomini, donne, cose.

La bolla di Guadagnino è un banchetto dei sensi apparecchiato su una tavola idilliaca, l’Italia agreste-chic del countryshire, del vino buono, del pescatore/contadino che porta a tavola il pesce ancora vivo, l’Italia delle rovine fascinose e dei reperti che sbucano dal mare, un’Italia di fantasia dove in casa si parlano quattro lingue, si studia il greco, si suona Bach, dove a nessuno frega niente di politica o lavoro e i padri perdonano, le madri amano incondizionatamente, gli amanti si piegano al desiderio senza sforzo alcuno.

È una bolla, il film di Guadagnino, perché esiste e funziona solo se si accetta il patto scritto all’inizio del viaggio. Siamo “da qualche parte nel Nord Italia”, dicono i titoli di testa, e Craxi, gli orecchini a cerchio e i Talking Heads ci suggeriscono il setting anni ’80: bastino queste vaghe unità di tempo e luogo per dettare i confini del quadretto. La storia è un’impalcatura sottile, del resto a sostenere una bolla non serve chissà quale architettura. C’è un ragazzo giovane e sensibile (Timothée Chalamet: bravissimo) e c’è un bell’uomo straniero (Armie Hammer: lanciatissimo) che vivrà per qualche tempo in casa sua. I due si scoprono, si piacciono, si amano. Non c’è antagonista né opposizione, non c’è l’ombra di un contrasto, non ci sono barriere a impedire l’incontro fra i due corpi: il film è tutto qui, consumato nell’atto del cercarsi, nel piacere di trovarsi, nel godimento del desiderio realizzato.

Sono due ore di benessere artificiale, quelle di Call Me by Your Name, iperchic cine-spa che intorpidisce leggermente i pensieri ma ammalia i sensi. Certo, per farla scoppiare basterebbe poco. Ma è una bolla così bella, così rotonda e così felice che la voglia di crederci, sia pure per lo spazio di un film, è più forte di ogni tentazione.

Inclusa quella di bucarla, sadicamente, con il pungolo della realtà.

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Italiani a Venezia https://www.fabriqueducinema.it/festival/italia/italiani-a-venezia/ https://www.fabriqueducinema.it/festival/italia/italiani-a-venezia/#respond Sun, 02 Aug 2015 11:02:15 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=1786 A capitanare le fila degli italiani a venezia è Piero Messina, il giovane autore che con la sua opera prima L’attesa è già in concorso al festival del cinema più ambito in Italia. Piero Messina è stato intervistato sul primo numero della nostra rivista proprio all’interno del dossier sui festival del cinema. Altro giovanissimo nella […]

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A capitanare le fila degli italiani a venezia è Piero Messina, il giovane autore che con la sua opera prima L’attesa è già in concorso al festival del cinema più ambito in Italia. Piero Messina è stato intervistato sul primo numero della nostra rivista proprio all’interno del dossier sui festival del cinema.

Altro giovanissimo nella sezione Orizzonti è Alberto Caviglia con Pecore in erba.

In concorso ufficiale insieme a Messina, Marco Bellocchio (leggi intervista su Fabrique 2) con Sangue del mio sangue e il più “estero” di tutti ma sempre italiano, Luca Guadagnino, che dai fasti internazionali di Io sono l’amore si presenta con la sua attrice feticcio Tilda Swinton (già in due suoi film precedenti) nel film A bigger splash.

E al suo secondo film di finzione, Per amore vostro, Beppe Gaudino: un film prodotto da una fucina di talenti napoletani tra cui I Figli del Bronx (Produttori di Là-Bas, recensito su Fabrique 0), con Valeria Golino e Adriano Giannini.

Il documentario Italiano è presente con Renato De Maria, Franco Maresco e Gianfranco Pannone.

Film evento fuori concorso l’opera postuma di Claudio Caligari Non essere cattivo, pellicola molto interessante per Fabrique perché vede per protagonisti quattro giovani attori che a nostro avviso segneranno il futuro del cinema italiano:  Luca MarinelliAlessandro BorghiSilvia DAmico, Roberta Mattei. Il film è stato coprodotto da Kimera Film (Fabrique 3), Valerio Mastandrea e Andrea Leone.

Nelle sezioni parallele: in Settimana della critica Antonio Capuano con Bagnoli Jungle  (evento di chiusura) e Adriano Valerio con il suo Banat, il viaggio. In Giornate degli autori una parte rilevante è dedicata all’Italia con Andrea Segre I sogni del lago salato, Carlo Lavagna Arianna, ancora Ascanio Celestini con Viva la Sposa e Vincenzo  Marra con Prima luce.

Evento Speciale di questa sezione AA.VV. – MILANO 2015 il film documentario diretto a sei mani da Elio, Walter Veltroni, Riccardo Bolle, Cristiana Capotondi, Giorgio Diritti e Silvio Soldini, 6 episodi che ritraggono Milano e la sua evoluzione nel 2015, prodotto dalla Lumière del produttore “illuminato” Lionello Cerri.

Il festival di Venezia ha la bandiera italiana che sventola forte, c’è finalmente una rinascita per il nostro cinema?

Per noi di Fabrique sicuramente sì.

See you soon in Venice 2015.

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