Lorenzo Richelmy Archivi - Fabrique Du Cinéma https://www.fabriqueducinema.it La Rivista Del Nuovo Cinema Italiano Wed, 02 Nov 2022 09:49:13 +0000 it-IT hourly 1 L’uomo sulla strada, la caccia all’uomo è un thriller classico https://www.fabriqueducinema.it/magazine/opera-prima/luomo-sulla-strada/ https://www.fabriqueducinema.it/magazine/opera-prima/luomo-sulla-strada/#respond Wed, 26 Oct 2022 07:20:00 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=17884 Si apre con una scena di gioco, l’opera prima di Gianluca Mangiasciutti L’uomo sulla strada. Il gioco tipico dell’infanzia e dell’ingenuità che precede ogni male. Una bambina corre nel bosco insieme a suo padre: i due si nascondono, si cercano e poi si ritrovano. Ma non stavolta. L’età dell’innocenza, infatti, si macchia improvvisamente di un […]

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Si apre con una scena di gioco, l’opera prima di Gianluca Mangiasciutti L’uomo sulla strada. Il gioco tipico dell’infanzia e dell’ingenuità che precede ogni male. Una bambina corre nel bosco insieme a suo padre: i due si nascondono, si cercano e poi si ritrovano. Ma non stavolta. L’età dell’innocenza, infatti, si macchia improvvisamente di un evento tragico: quando Irene vede suo padre morire vittima di un pirata della strada, capiamo che il vero gioco continuerà nella vita adulta, sotto forma di un perverso nascondino. La caccia all’uomo è aperta, e da questo momento ogni azione sarà irreversibile.

Unica testimone dell’omicidio, Irene cresce e diventa una giovane donna (interpretata da Aurora Giovinazzo) con un obiettivo morboso: ottenere giustizia, come suggerisce la sinossi del film. In realtà scopriremo d’essere a tutti gli effetti nel terreno della vendetta personale, dove il bisogno di pareggiare i conti diventa un’ossessione. Poiché nel film il destino si diverte a sbeffeggiare le sue stesse vittime, senza sospettarlo la ragazza verrà assunta proprio nella fabbrica dell’uomo che avrebbe ucciso suo padre (un Lorenzo Richelmy cupissimo, in giacca e cravatta).

Non solo le colpe dei padri, ma qualsiasi storia familiare a un certo punto ricade sui figli: questo sembra volerci dire Gianluca Mangiasciutti con il suo esordio al lungometraggio (presentato in questi giorni alla Festa del Cinema di Roma, nella sezione Panorama Italia di Alice nella città). Lo fa affidandosi ad una sorta di coming of age strutturato sulle insolite premesse del thriller. Ma lo fa anche scegliendo – non a caso – un’attrice come Aurora Giovinazzo per dar corpo a una protagonista tormentata, semplice nella caratterizzazione ma magnetica sullo schermo. Perché in questo caso tifare per lei, nel bene e nel male, dev’essere anche una questione di chimica tra spettatore e messa in scena.

La rabbia di Irene trova una sua dimensione nell’interpretazione ancora rude e viscerale di Giovinazzo, più matura rispetto agli inizi già promettenti di Freaks Out, e senz’altro libera da molti tic del mestiere. Proprio per questo, però, si tratta di una spontaneità tecnicamente difficile da domare, e di fronte ad alcune scene viene da chiedersi se gli alti e bassi di Irene-Aurora siano funzionali a un personaggio ‘sopra le righe’ o avrebbero potuto essere diretti con più minuzia.

L'uomo sulla stradaMentre nella sceneggiatura va riconosciuto, purtroppo, l’aspetto più dolente del film (a causa di personaggi collaterali che rimangono bloccati nell’etichetta dello stereotipo, e di un ritmo sempre troppo teso, che non riesce a valorizzare i momenti di vera suspense), è interessante notare l’uso che Mangiasciutti fa della composizione visiva e della fotografia (di Luca Ciuti), eleggendole a veri e propri strumenti narrativi. Rispettando la cara vecchia scuola del genere thriller (e quindi optando per chiaroscuri ‘premonitori’ e palette eleganti, senza cedere alla tentazione del prototipo estetico Netflix), i tagli di luce dedicano un’attenzione particolare al personaggio di Lorenzo Richelmy, e il posizionamento dei personaggi nell’inquadratura non è mai casuale. È così che il regista riesce a suggerirne l’ambiguità, partendo dall’immagine per creare un distacco tra buoni e cattivi. O meglio: tra chi caccia e chi viene cacciato.

Convinti che nelle opere prime conti più il potenziale espresso che il fattore mancante, allora L’uomo sulla strada ci mostra il gusto di un regista affezionato alla narrazione classica, alla tradizione di un cinema di genere che difende il decoro estetico dall’omologazione mainstream. E, soprattutto, che dà valore al ruolo dell’essere umano nella scelta delle storie da raccontare, ai legami familiari, alla crescita degli eroi e anche a quella degli antieroi. Tanto sullo schermo quanto sul set, poiché le riprese del film sono state discrete e preservate dai social media. «Fare un film non è una vetrina né tanto meno significa farsi pubblicità» scriveva Mangiasciutti qualche mese fa. «Ho preferito rimanere isolato e concentrarmi su una cosa che aspettavo da anni». E a noi questa dimensione intima di un cinema fatto senza aspettative, guidato dalla passione e dal bisogno di indagare le emozioni, piace.

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Dolceroma, l’arte di intrattenere il pubblico https://www.fabriqueducinema.it/cinema/nuove-uscite/dolceroma-larte-di-intrattenere-il-pubblico/ https://www.fabriqueducinema.it/cinema/nuove-uscite/dolceroma-larte-di-intrattenere-il-pubblico/#respond Tue, 02 Apr 2019 09:06:05 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=12797 Puro spettacolo: due semplici parole che sembrano riassumere perfettamente Dolceroma, il nuovo lungometraggio di Fabio Resinaro che, sospesa la collaborazione con il suo omonimo Fabio Guaglione, torna sul grande schermo nel suo primo progetto in solitaria. Dato che in questo caso di opera prima tecnicamente non si può parlare, il regista milanese non va nemmeno […]

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Puro spettacolo: due semplici parole che sembrano riassumere perfettamente Dolceroma, il nuovo lungometraggio di Fabio Resinaro che, sospesa la collaborazione con il suo omonimo Fabio Guaglione, torna sul grande schermo nel suo primo progetto in solitaria. Dato che in questo caso di opera prima tecnicamente non si può parlare, il regista milanese non va nemmeno incontro agli errori di inesperienza che spesso caratterizzano gli esordi cinematografici, dimostrando fin dalle prime sequenze una ponderata coscienza stilistica, asservita a un unico grande scopo, ovvero intrattenere il pubblico.

Affinché ciò avvenga, Resinaro attinge anzitutto dal romanzo Dormiremo da vecchi di Pino Corrias. Spostato il focus su un unico personaggio (al contrario dei tre della storia originale), il film segue infatti le vicende di Andrea Serrano, un aspirante sceneggiatore milanese che passa le proprie giornate scrivendo faticosamente e guadagnando qualche soldo lavorando come ragazzo delle pulizie in un obitorio. Dopo aver pubblicato con gli ultimi risparmi un libro, la sua quotidianità è sconvolta da una telefonata di Oscar Martello, noto produttore romano, che lo convince a trasferirsi immediatamente nella capitale, promettendogli di realizzare tutti i suoi sogni. Le cose non saranno però così facili…

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Le disavventure dell’imprevedibile sognatore, adattate sempre dalla penna di Resinaro, travolgono lo spettatore, trascinandolo in una storia capace di unire le sempreverdi dinamiche del thriller all’italiana con quelle della commedia dal sapore internazionale, puntellando il tutto con un’estetica che richiama il poliziottesco anni Settanta, i film sulla mafia contemporanei e soprattutto quel meta-cinema tornato recentemente in voga grazie a Paolo Virzì e a Roberto Andò. Se Resinaro non inventa dunque nulla, l’intreccio di realtà tanto differenti quanto perfettamente miscelabili risulta assolutamente vincente.

La buona storia di partenza, che non è comunque esente da alcune forzature, si accompagna nel contempo a uno stile di ripresa volutamente sovraccarico. Facendo l’occhiolino alle politiche del videoclip, il regista sfrutta un montaggio sincopato, spesso segnato da ampie elissi, anche continue, restituite con semplici stacchi o con scorrimenti laterali. Le inquadrature, naturalmente votate a facilitare l’immedesimazione dello spettatore, giocano invece con i piani, con i tempi e anche con le prospettive di ripresa, ricorrendo ad esempio a sapienti campi lunghi dall’alto, a ralenti dall’eco videoludico e a graffianti rewind.

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All’ibridismo narrativo e allo stile pop, si aggiunge inoltre un buon cast sopra le righe, che si fonde con una storia che fa dell’eccesso il suo elemento cardine. Lorenzo Richelmy, nel ruolo di un ragazzo all’apparenza apatico trascinato in un delirante vortice di eventi, offre sicuramente l’interpretazione più riuscita e convincente, adottando un coerente registro di espressioni, stravolto con abilità quando necessario. Più sfacciato, Luca Barbareschi vena il suo personaggio di caratterizzazioni grottesche, che sembrano farlo sprofondare in un fumettistico e alienante delirio di onnipotenza. Sul versante femminile, Valentina Bellè è un’attrice nevrotica ma sensibile, oscurata però da una giunonica Claudia Gerini, protagonista di una sequenza che è già cult.

Lungometraggio visivamente e narrativamente multiforme, Dolceroma mette quindi in scena un racconto strabordante, capace di fondere diverse realtà e di omaggiare un tipo cinema – quello di genere – che si confronta senza paura con un modello produttivo mainstream targato Eliseo Cinema e RAI Cinema. Sebbene le disavventure dello (s)fortunato sceneggiatore potrebbero non piacere ai palati più fini o ai puristi dei B-movies, Fabio Resinaro ha ancora una volta il merito di svecchiare le produzioni nazionali, strizzando l’occhio a una cultura giovane di cui il nostro cinema ha assolutamente bisogno.

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Di nuovo al cinema con Ride e le altre uscite del weekend https://www.fabriqueducinema.it/cinema/nuove-uscite/di-nuovo-al-cinema-con-ride-e-le-altre-uscite-del-weekend/ https://www.fabriqueducinema.it/cinema/nuove-uscite/di-nuovo-al-cinema-con-ride-e-le-altre-uscite-del-weekend/#respond Fri, 07 Sep 2018 05:20:09 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=11278 È arrivato nelle sale Ride, nuova fatica di Fabio Guaglione e Fabio Resinaro, che dopo il successo di Mine si reinventano direttori artistici mettendo al timone della regia Jacopo Rondinelli. Due mountain bike sfrecciano dalla cima di una montagna innevata per una gara di downhill tutta rischio, mistero e adrenalina. 20 telecamerine GoPro intorno ai […]

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È arrivato nelle sale Ride, nuova fatica di Fabio Guaglione e Fabio Resinaro, che dopo il successo di Mine si reinventano direttori artistici mettendo al timone della regia Jacopo Rondinelli. Due mountain bike sfrecciano dalla cima di una montagna innevata per una gara di downhill tutta rischio, mistero e adrenalina. 20 telecamerine GoPro intorno ai protagonisti e un effetto su grande schermo che picchia duro sull’emozione della velocità. Sembra quasi che la poltrona del cinema si trasformi in sellino. Lorenzo Richelmy sfodera tutta la sua fisicità per una parte scanzonata che monterà in sfaccettature con gli imprevedibili sviluppi della corsa.

Per l’attore l’avventura in mountain bike è stata soltanto emozionale. “Mi ritengo un attore fisico e mi diverto molto a girare film che mi mettono alla prova.  L’idea delle GoPro è una cosa che mi ha entusiasmato fin dall’inizio perché essere attore vuol dire rendersi conto del contesto in cui lavori”. Ha affermato durante l’incontro stampa tenutosi a Roma in agosto, poco prima dell’inizio della Mostra del Cinema di Venezia. “Durante il film il mio occhio è incuriosito dal vedere dove lo sguardo del regista racconterà la storia. Molto velocemente, per me almeno, in questo film avviene la sospensione del giudizio. È un qualcosa di diverso rispetto a ciò a cui siamo abituati, così non abbiamo aspettative sul finale o sulla storia. Io mi sono trovato molto bene e cercherò sempre di lavorare con quei gruppi di persone che cercano di allargare, di stratchare in avanti il cinema italiano”.

Poi ha continuato sulle sue origini artistiche e l’impostazione a spazi aperti offerta da Ride. “Avevamo 20 camere intorno, loro che si nascondevano, l’attore che sta in mezzo e tutta la libertà del mondo. Stavamo in un bosco che per me era teatro. Io vengo da lì, e godevo a ogni ciak perché potevo fare cose diverse. Non c’era la segretaria di edizione a correggerti. C’era una miriade di camere, si sarebbero presi i take migliori. Nel cinema il contesto è la camera, sul palco è il teatro, qui è il mondo. Eravamo sulle Dolomiti. Potevo correre per 2 chilometri e mezzo perché le macchine ce le avevo addosso io”.

È un cinema italiano affamato di nuovo quello di Fabio&Fabio. Pedala forte e senza preavvisi morde il pubblico. Ci ruzzola giù da monti sconosciuti, perché gara e luogo sono segreti nel film, e c’impone una serie di sospesi narrativi producendo una sorta di groviera che fa pensare a tante soluzioni continuative, come sequel, prequel, spin-off e perché no, pure serie tv. L’intenzione dei due showrunner di primo pelo sarebbe quella di iniziare un franchise incrociando grande schermo e fumetto. Ce la faranno? Intanto Fabrique du Cinema ce la farà a presentare al pubblico romano il cast insieme al regista. Si terrà infatti venerdì 14 settembre a India Estate a Roma la grande festa per il nuovo numero cartaceo di Fabrique. All’interno, oltre al live di Motta e all’incontro con cast e attori della Profezia dell’Armadillo, saranno sul palco Fabio&Fabio, Jacopo Rondinelli e gli attori del film più veloce di questa fine estate.

In sala da questo weekend anche altre tre pellicole. In Revenge, promettente cult diretto dall’esordiente Coralie Fargeat, Jen, viso d’angelo e corpo da modella s’innamora dell’uomo sbagliato, così dovrà vedersela con lui e i suoi sgherri dopo essere stata violentata e quasi uccisa. La macchina da presa della regista è capace di raccontare più d’una cosa con la stessa inquadratura, sdoppiando i piani narrativi nello stesso quadro, cosa non da tutti. Magari a volte Revenge esagera con la finzione filmica rispetto al reale, ma lo sballo testosteronico è anche ciò che esige il genere action, anzi, nello specifico il sottogenere rape&revenge. L’attrice che si schiude da vittima a killer stampandosi nella memoria si chiama Matilda Lutz. Padre americano, madre italiana, potrebbe ascendere come una delle prossime superstar negli anni a venire. In versione grintosa e spietata, o ingenua e sexy, buca lo schermo in maniera definitiva. E ha pure un partner non da poco, che in campo di bad boys ne ha già combinate di cotte e di crude. Si parla di Kevin Janssens, già protagonista nel belga selezionato nel 2015 per l’Oscar al Miglior film straniero Le Ardenne).

A 10 anni dal successo che esplose al box office quanto nei teatri di mezzo mondo, torna in sella, anzi in barca a ritmo di Abba l’allegra combriccola di Mamma mia, ci risiamo! Cominciamo col dire che Donna è passata a miglior vita. Quindi Meryl Streep non è più la protagonista. Gira tutto intorno alla figlia Sam, Amanda Seyfreid, che torna sull’isola greca dov’è cresciuta per rimettere a posto l’hotel che gestiva con sua madre. La novità è il parallelo tra la Sam di oggi e Donna da giovane negli stessi luoghi mediterranei. Così dai meandri del passato di Sam, arriva la sua versione seventy con viso, voce e danza di Lily James. È lei la Sam che partì per la Grecia trovandoci l’amore dei tre giovani che diventeranno Colin Firth, Pierce Brosnan e Stellan Skarsgard. L’equivalente di una Streep ragazza ci riporta alla memoria quella giovane donna e animale da set vista in Manhattan e Kramer contro Kramer. Entrambi del 1979, esattamente l’anno in cui è ambientata parte del film. Esempi giganteschi di cinema e recitazione come questi sono ostacoli grossi da rimuovere e inevitabilmente inficiano la pur discreta interpretazione della James.

Qualche rivisitazione, sì, pure gli inserimenti nel cast di Andy Garcia e Cher, tra il gustoso e il patetico tra l’altro, ma il film in sé trasuda debolezza e colleziona punti deboli. La regia caramellosa di Ol Parker ci regala il peggio nelle coreografie e tanta scrittura risulta ammiccante verso un pubblico intontito da marketing furbesco e passione sincera per il primo capitolo. A volte si ride pure, ma per meccanismi e forzature che a volte suonano demenziali. Mamma mia, ce n’era proprio bisogno?

Da comico è un’icona indiscussa, ma miracolosamente riesce ad essere credibile anche come attore drammatico Jim Carrey. Torna al thriller con un film polacco, Dark Crimes. Un trasandato agente di polizia trova troppe similitudini tra un omicidio e le pagine cruente di un romanzo. Così l’eccentrico autore viene messo sotto accusa e la sua donna dai costumi ambigui diventa ago della bilancia per le investigazioni.

Carrey fa i conti con un’ambientazione dell’est europeo, che guarda ad atmosfere visive alla Wajda e Zanussi. L’umore però non migliora nello scorrimento della storia, con personaggi depressi, perversi, o al meglio dalla doppia vita. Il plot inoltre non è dei più esplosivi. Nulla di visivamente pregiato o nuovo, se non fosse l’ennesima, serissima mutazione di Jim Carrey. Senza di lui come sbirro all’ultima spiaggia, o Charlotte Gainsbourg nella una parte viscida, sarebbe rimasto nel Limbo dell’anonimato.

 

 

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