legge cinema Archivi - Fabrique Du Cinéma https://www.fabriqueducinema.it La Rivista Del Nuovo Cinema Italiano Wed, 21 Feb 2018 09:50:42 +0000 it-IT hourly 1 Pupi Avati dopo le polemiche: “Altro che età, bisogna riformare la commissione” https://www.fabriqueducinema.it/focus/pupi-avati-le-polemiche-altro-eta-bisogna-riformare-la-commissione/ https://www.fabriqueducinema.it/focus/pupi-avati-le-polemiche-altro-eta-bisogna-riformare-la-commissione/#respond Wed, 21 Feb 2018 08:27:44 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=9913 Nel corso di cinquant’anni di carriera Pupi Avati ha raggiunto una cifra stilistica riconoscibile pur spaziando tra generi diversi, riuscendo a intercettare un pubblico affezionato al suo sguardo semplice ed essenziale. Dall’estero è arrivato nei mesi scorsi un importante riconoscimento: Guillermo Del Toro ha infatti indicato tra i sette film della sua vita proprio L’arcano incantatore […]

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Nel corso di cinquant’anni di carriera Pupi Avati ha raggiunto una cifra stilistica riconoscibile pur spaziando tra generi diversi, riuscendo a intercettare un pubblico affezionato al suo sguardo semplice ed essenziale.

Dall’estero è arrivato nei mesi scorsi un importante riconoscimento: Guillermo Del Toro ha infatti indicato tra i sette film della sua vita proprio L’arcano incantatore di Avati, la storia di un religioso che abbandona i voti per amore di una donna. In Italia invece la sua figura suscita sentimenti contrastanti, apprezzamenti e critiche in egual misura.

Lo scorso gennaio Avati è stato nominato dal Ministro Franceschini, insieme a Daria Bignardi, Marina Cicogna, Enrico Magrelli e Paolo Mereghetti, tra gli esperti della Commissione per la selezione dei progetti e la concessione di contributi selettivi al settore cinematografico e audiovisivo: ovvero la commissione chiamata a valutare in relazione alla qualità artistica o al valore culturale le opere dei giovani autori, le opere prime e seconde, i film difficili per concedere eventuali contributi alla loro scrittura, sviluppo, produzione e distribuzione nazionale e internazionale.

[questionIcon]Pupi, com’è noto, la nomina della commissione ha generato qualche polemica, e dopo qualche giorno hai rassegnato le tue dimissioni. Sono rimasto sorpreso, anche perché credo che, al di là delle valutazioni che ognuno può avere su di te, l’esperienza non ti manchi. 

[answerIcon]Autorevoli commentatori hanno detto di non ritenermi adatto a quel ruolo per ragioni anagrafiche, per fede religiosa e idee politiche. Elementi che fanno parte dell’identità di un uomo e che in un paese democratico devono essere rispettati. Nella mia vita non ho mai discriminato nessuno; tra i miei collaboratori, la mia troupe, ci sono persone che hanno caratteristiche identitarie diverse tra loro. Sei LGBT? Sei ateo? A me interessa che tu sia in grado di fare il tuo lavoro, il resto fa parte della tua identità, che rispetto e non giudico, anche se posso essere diverso da te e pensarla in altro modo. Non vedo per quale motivo, all’interno di una commissione giudicatrice, avrei dovuto comportarmi diversamente.

[questionIcon]Ti ritieni insomma aperto al confronto, insomma.

[answerIcon]Scherzi? Molti anni fa fui io a proporre al ministro Urbani di istituire un’audizione per gli autori dei progetti che richiedevano il contributo al MIBACT. Poi è diventata una regola, ma prima veniva richiesto solo di presentare documenti e copione. Per giudicare un autore devi confrontarti con lui sulla storia che vuole raccontare, sulle sue idee di regia: “Questa scena come pensi di girarla? Quali sono gli attori?”. Davanti a un autore devi essere in grado di fare le domande giuste. Diversi anni fa presentai un progetto, e all’incontro nessun componente della commissione mi fece domande. Niente! Non è accettabile quando si gestiscono milioni di euro di denaro pubblico.

[questionIcon]Cos’altro ti ha portato a rinunciare all’incarico?

[answerIcon]Quello di commissario è un ruolo complesso, la mole di lavoro è enorme. Mi era stato detto che gli uffici avrebbero fatto una scrematura… Che cosa vuol dire? Cosa sono gli uffici? I giovani che aspettano da anni una risposta sui loro progetti, da chi devono ricevere una risposta? Non so come affronteranno questo muro di progetti. Ho concluso che sarebbe stato disonesto dire “lo faccio”. Farlo bene non è pensabile.

[questionIcon]Perché allora hai inizialmente accettato la nomina?

[answerIcon]Lì per lì ero lusingato della proposta. Mi avevano precisato che ero il primo della lista, mentendo. Avevano già detto di no in tantissimi, già cosa non simpatica. Ricordo inoltre che è un incarico completamente gratuito. A 80 anni avrei dovuto precludermi per tre anni la possibilità di presentare un progetto, per ricevere in cambio commenti sulle mie idee e sull’età! Io sul momento ho accettato, ma anche la mia famiglia era preoccupata. Ho dunque colto l’occasione di questi attacchi per fare un passo indietro.

[questionIcon]Hai delle proposte per impostare diversamente il lavoro di valutazione?

[answerIcon]Le valutazioni devono essere fatte soprattutto da figure professionali che concorrono alla realizzazione dei film: un produttore, un regista, un distributore e così via. Non è come dice Mark Twain, “se non sai fare una cosa, insegnala”. Eh no!

[questionIcon]Cosa andrebbe fatto, sin da subito?

[answerIcon]Riorganizzare tutto il sistema di valutazione, creando gruppi di lavoro con un responsabile coordinatore composti da professionisti competenti, senza considerare la loro età o altro, così da dare a tutti gli autori una riposta vera, diretta e concreta, non affidata a poche righe. Sarebbe inoltre molto utile incontrare gli autori dopo l’uscita delle graduatorie per comunicare loro le motivazioni per le quali sono o non sono stati finanziati. La politica non può capire a fondo le dinamiche produttive, deve delegare, ma delegare è visto ahimè troppo spesso solo come perdere un po’ di potere.

Questo è un estratto dell’intervista più ampia che Pupi Avati ha rilasciato al produttore Simone Isola, e che sarà pubblicata per intero sul prossimo numero di “Fabrique du Cinéma”.

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Inchiesta sulla nuova legge cinema, 2a puntata https://www.fabriqueducinema.it/focus/inchiesta-sulla-nuova-legge-cinema-2a-puntata/ https://www.fabriqueducinema.it/focus/inchiesta-sulla-nuova-legge-cinema-2a-puntata/#respond Sun, 10 Dec 2017 09:16:54 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=9738 Nella prima puntata (Il rilancio del cinema passa anche dalla TV, 13 ottobre), avevamo analizzato, nel dettaglio, le disposizioni contenute nella cosiddetta legge cinema, voluta dal Ministro per i Beni e le Attività Culturali e il Turismo Dario Franceschini. Un provvedimento che intende introdurre nel nostro Paese, a partire dal 2019, delle quote obbligatorie, nella programmazione televisiva […]

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Nella prima puntata (Il rilancio del cinema passa anche dalla TV, 13 ottobre), avevamo analizzato, nel dettaglio, le disposizioni contenute nella cosiddetta legge cinema, voluta dal Ministro per i Beni e le Attività Culturali e il Turismo Dario Franceschini. Un provvedimento che intende introdurre nel nostro Paese, a partire dal 2019, delle quote obbligatorie, nella programmazione televisiva e negli investimenti nel cinema e nell’audiovisivo, più rigide e severe di quelle attualmente in vigore. In queste ultime settimane l’iter legislativo del decreto è proseguito con l’acquisizione dei pareri favorevoli sia del Consiglio di Stato (6 novembre), sia di quello delle competenti Commissioni Parlamentari (15 e 16 novembre).  A seguito di questi pronunciamenti, il 22 novembre, il Consiglio dei Ministri ha approvato, in esame definitivo, tre decreti legislativi che, in attuazione della nuova legge sul cinema, riformano in modo organico il settore della produzione audiovisiva, introducendo nuove norme sul lavoro nel settore cinematografico e audiovisivo, sulla tutela del pubblico non adulto e sulla promozione delle opere italiane ed europee.

inchiesta sulla legge cinemaDunque il tema rimane caldo, al centro dell’antica e ricorrente contrapposizione fra le ragioni “dello Stato” e quelle “del mercato”, tra interventisti e liberisti, che lascia intravedere ulteriori possibili sorprese nel processo di conversione del decreto, soprattutto nell’incertezza delle logiche, delle convenienze e delle alleanze politiche che caratterizzeranno il periodo pre-elettorale. Nell’attesa di eventuali nuovi sviluppi, noi proseguiamo nel monitoraggio di questo iter, attraverso una serie d’interviste a esperti dei vari settori coinvolti. Dopo l’intervista ad Alberto Simone, esponente degli autori dell’Anac, abbiamo chiesto il parere di Antonio Ferraro, produttore televisivo e cinematografico che ha ricoperto incarichi manageriali sia in RAI sia in Mediaset, occupandosi proprio di programmazione cinematografica.

Il nuovo decreto Franceschini ha visto una decisa reazione da parte dei broadcaster che lo giudicano eccessivo rispetto alle proprie strategie economiche e editoriali con impatti finanziari definiti allarmanti. Che cosa mi dici in proposito?

È facile scegliere come bersaglio l’odiata (da parte di molti autori, intellettuali passatisti e produttori senza visione di mercato) televisione, alla quale da sempre si chiede, alla fin fine, solo di finanziare senza discutere progetti che, a detta di chi li propone, saranno fondamentali nello sviluppo delle coscienze e – perché no? – dei sicuri successi. Ho usato volutamente il termine generico e impreciso “televisione” perché questo sembra essere lo spirito del decreto: non una virtuosa attenzione a che i nuovi soggetti che arrivano nel nostro mercato investano ragionevolmente sulla produzione italiana ma, semplicemente, una pezza per compensare i ritardi (ormai un anno e mezzo di fermo in attesa della nuova legge e dei decreti delegati) e le ombre (i piccoli e medi produttori lamentano un impianto che rischia di favorire solo poche, blindatissime, produzioni) della nuova legge sul cinema.

Hai lavorato sia in RAI sia in Mediaset come responsabile della programmazione dei prodotti cinematografici. Come valuti oggi le potenzialità televisive del prodotto cinema in generale e di quello italiano in particolare sulle reti generaliste, dove nel prime time sembra ormai, salvo rare eccezioni, un prodotto di ripiego?

La mia più intensa stagione televisiva, per molti aspetti densa di soddisfazioni e di successi conseguiti con grande fatica e dedizione, è stata sostanzialmente quella dell’epica – e allora reale – concorrenza tra RAI e Mediaset. Allora, giova ricordarlo, i film e (per merito del nostro lavoro a RAI2, quando per primi in Europa li usammo con grande successo in collocazioni importanti), i TV-movies e le serie (la nostra coraggiosa intuizione di proporre Beautiful nel prime time della domenica ha fatto scuola) erano un terreno fondamentale di scontro tra i due network principali. Parliamo però di anni luce fa (televisivamente parlando), quando in Italia non c’era neanche la pay, la fiction era un genere presente ma non così largo e le generaliste avevano una programmazione con modulazioni da pay-tv, per cui il film (se ben scelto e programmato) era un genere di buon successo. In seguito, da un lato, l’arrivo della pay, della pay per view e poi del web e, dall’altro lato, un cinema sempre più indirizzato alle fasce giovani o giovanissime (quelle più assenti davanti allo schermo generalista) hanno reso i film una tipologia di scarso appeal, soprattutto per l’audience, amplissima, indifferenziata e tendenzialmente adulta della prima serata.

inchiesta sulla legge cinemaQuindi da una parte i broadcaster, contrari al decreto, e dall’altra gli autori e i produttori, favorevoli, nonostante qualcuno sottolinei che gli stessi produttori, o almeno una parte, non sarebbero pronti alla sfida. Insomma quali saranno i reali benefici per l’industria dell’audiovisivo?

È ovvio che, nell’immediato, autori e produttori siano d’accordo con il decreto: sulla carta si apre loro qualche spazio in più e la definizione di spazi di prime time dedicati al prodotto nazionale fa intravedere anche la possibilità di ottenere più soldi per la cessione dei loro diritti. Però – a prescindere dalla sgradevole impressione dirigista che dà il decreto (il Governo e il Ministro che si fanno programmatori televisivi!) e dal concetto stesso di prima serata che ha un senso per le TV generaliste ma molto, molto meno per i nuovi soggetti – non è difficile prevedere che, così come ci sono da anni molti film che nascono solo perché rispettano i parametri burocratici e ideologici del finanziamento pubblico (l’insopportabile politically correct, nemico di ogni libertà creativa), si svilupperà un filone di film-similfiction adattissime alla collocazione sul piccolo schermo ma ulteriori macigni sull’accidentatissimo percorso del nostro cinema, già maciullato dalle pastoie politico-burocratiche alle quali è sottoposto.

Una regolamentazione più chiara e stringente può da sola innescare un processo virtuoso di rafforzamento del fragile comparto della produzione italiana o deve essere accompagnata da un salto di qualità dei modelli produttivi?

Non vale solo per il nostro Paese, ma è evidente che un’industria dell’audiovisivo può reggere solo se conquista una platea internazionale. Noi da anni abbiamo abdicato a questa funzione (fino a qualche decennio fa eravamo secondi solo agli Stati Uniti nelle esportazioni). Qualche segnale sta arrivando da alcune serie TV (Montalbano, Romanzo Criminale, Gomorra) e questo ci dovrebbe far capire che l’unico salto di qualità può venire dall’attenzione libera e senza pregiudizi al mercato e alle sue richieste. Serve, naturalmente, l’ausilio dello Stato per aiutare la necessaria “eccezione culturale” di un genere che ha bisogno di costanti innovazioni. Serve molto meno il dirigismo politico e lo strabordare delle istituzioni in ambiti non di loro competenza.

Il decreto s’ispira al modello francese e anticipa alcuni regolamenti in discussione EU, come quello di estendere le quote anche ai produttori tipo Netflix, Amazon ecc. Perché dunque queste polemiche se lo scenario europeo si muove nella stessa direzione?

Certamente, chiedere a queste nuove realtà (così come alla 7, che non dà segnali in questo senso) di investire nel prodotto nazionale ed europeo è certamente giusto ma la sensazione e che – almeno nell’immediato – i produttori si stiano preparando, preventivamente, a rivolgersi alle più abbordabili e note TV generaliste, con i rischi che abbiamo visto. Aggiungerei, sommessamente, che non è detto che l’Europa (spesso attraversata da pruderie intellettualistiche e autoriali) sia sempre nel giusto ma, comunque, se vogliamo pensare al modello francese, quanto dovremo aspettare perché si crei un CNC (Centre national du Cinema) italiano, che faccia gestire il cinema dagli addetti ai lavori – con severe norme di rotazione, perché non si amplifichino posizioni di privilegio – e sempre meno dalla politica?

Parliamo adesso di fiction televisiva, un mercato per ora nelle mani di pochi operatori, che negli ultimi anni ha visto significativi tagli di budget da parte dei principali broadcaster. La competizione RAI-Mediaset, finora unici veri produttori, non sembra aver favorito l’industria dell’audiovisivo, limitando la sperimentazione per paura dei flop e chiudendo il mercato a nuovi linguaggi e quindi a giovani autori e produttori. Come superare questa impasse?

La risposta è, direi, in quanto ho osservato prima: una produzione che abbia come punto di riferimento il mercato vero (non solo quello ripetitivo degli ascolti televisivi del giorno dopo) e che veda i nuovi media come una risorsa e non come un fastidio ha, inevitabilmente, bisogno di nuova linfa creativa e tecnica e deve necessariamente sperimentare per trovare nuove soluzioni. Anni fa, lo ricordo, avevamo scommesso su qualcosa che sembrava fuori dalla nostra portata: il cartoon italiano. Abbiamo, allora, vinto la scommessa ma, poi, scelte miopi e scarso coraggio industriale e creativo hanno di nuovo relegato in una nicchia i nostri prodotti. Si tratta, come sempre, di non sprecare o usare clientelarmente le risorse. Ce la possiamo fare?

*Antonio FerraroManager e produttore televisivo e cinematografico, giornalista pubblicista, soggettista, sceneggiatore, autore. È stato membro del Consiglio Nazionale dello Spettacolo del Ministero del Turismo e dello Spettacolo e, fino al 2014, delle Commissioni Finanziamento Film. Inoltre è stato responsabile dei palinsesti e delle redazioni cinema e fiction di Mediaset e coordinatore dell’offerta cinematografica di Stream.

 

 

 

 

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Decreto Franceschini: il rilancio del cinema passa anche dalla TV https://www.fabriqueducinema.it/focus/decreto-franceschini-rilancio-del-cinema-passa-anche-dalla-tv/ https://www.fabriqueducinema.it/focus/decreto-franceschini-rilancio-del-cinema-passa-anche-dalla-tv/#respond Fri, 13 Oct 2017 08:07:02 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=9468 Fabrique du Cinéma segue da vicino con Chicco Agnese il dibattito sul decreto Franceschini, ospitando i pareri delle diverse parti in causa e aggiornando i lettori sull’evoluzione della legge che potrà avere importanti ricadute nel nostro settore. Il 2 ottobre scorso il Consiglio dei Ministri ha approvato il decreto legislativo che riforma le norme in […]

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Fabrique du Cinéma segue da vicino con Chicco Agnese il dibattito sul decreto Franceschini, ospitando i pareri delle diverse parti in causa e aggiornando i lettori sull’evoluzione della legge che potrà avere importanti ricadute nel nostro settore.

Il 2 ottobre scorso il Consiglio dei Ministri ha approvato il decreto legislativo che riforma le norme in materia di promozione delle opere europee e italiane da parte dei fornitori di servizi di media audiovisivi, cioè delle reti televisive, aggiornando l’articolo 44 del Testo unico della radiotelevisione. Per il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, Dario Franceschini, si tratta di «un provvedimento concreto che serve ad aiutare, tutelare e valorizzare il cinema, la fiction e la creatività italiane».

Non sono dello stesso avviso i broadcaster – RAI, Mediaset, Sky, Discovery, La7 ecc. – che hanno scritto una lettera molto critica al Ministro, in cui definiscono il provvedimento un’imposizione insostenibile, sotto il profilo editoriale, economico e occupazionale, a danno dei maggiori operatori televisivi nazionali. I broadcaster lo giudicano un intervento peggiorativo, di tipo protezionistico, e considerano eccessivo sia l’innalzamento delle aliquote complessive e delle relative sotto quote a favore della produzione indipendente europea e nazionale, sia le sanzioni previste in caso d’inadempimento.

E così la polemica scivola, ovviamente, nei numerosi talk show televisivi, nei quali si confrontano animatamente le diverse opinioni e i contrapposti interessi chiamati in causa dagli effetti del provvedimento: vari e autorevoli giornalisti ne denunciano il carattere illiberale e autoritario, polemizzando con produttori e autori, che invece sostengono la riforma.

second screenA fianco del decreto si schierano, infatti, i produttori indipendenti dell’Anica e anche l’Associazione dell’Autorialità Cinetelevisiva 100autori, oltre a numerosi registi e intellettuali. Considerando che il testo non è ancora definitivo, perché occorrono ancora i pareri del Consiglio di Stato e delle Commissioni parlamentari competenti, è prevedibile che, nelle prossime settimane, il tema rimanga all’ordine del giorno, visto che i protagonisti sono proprio i potenti media televisivi.

Si tratta, a nostro avviso, di un provvedimento che offre nuove e importanti opportunità ai giovani, e non solo, che operano del mondo della produzione cinetelevisiva, rendendo disponibili nuove risorse finanziarie, che possono tradursi non solo in una crescita produttiva – si stima che il provvedimento comporterà un aumento della spesa complessiva in produzione audiovisiva dagli attuali 750 milioni a circa 1,2 miliardi di euro – ma anche in una valorizzazione della creatività e quindi della qualità del cinema italiano, delle serie tv, dei documentari e delle opere di animazione.

Proprio per questo cominceremo il nostro giro d’interviste con un rappresentante del mondo autorale, Alberto Simone, regista, autore, sceneggiatore ed anche produttore di fiction, membro della Direzione dell’Associazione 100autori, di cui fa parte, fra gli altri, il giornalista-scrittore Andrea Purgatori. Prima di passare all’intervista è forse opportuno descrivere brevemente i contenuti del provvedimento, avvalendosi dei dati pubblicati nel sito del ministero.

Le misure s’ispirano al modello francese, considerato un esempio virtuoso in materia, e prevedono un inasprimento degli obblighi di programmazione e d’investimento a carico delle reti televisive a favore delle opere italiane ed europee. La normativa si muove su due piani: programmazione e investimenti.

 Obblighi di programmazione

1) È definita una quota minima per tutte le opere europee pari al 55% per tutti gli operatori per il 2019 (quota elevata al 60% dal 2020);

2) a decorrere dal 2019 è introdotta una sotto quota riservata alle opere italiane, di qualsiasi genere, pari: per la RAI, ad almeno la metà della quota prevista per le opere europee e per le altre emittenti ad almeno un terzo;

3) il rispetto delle percentuali si riferisce all’intera giornata di programmazione;

4) nel prime time (fascia oraria 18-23) una quota del tempo settimanale di diffusione deve essere riservata a film, fiction, documentari e cartoni animati italiani: il 12% per la RAI, il 6% per gli altri fornitori. Si tratta di un film o fiction o documentario o animazione a settimana. Per la RAI l’obbligo è di 2 opere italiane a settimana, di cui una cinematografica.

 Oltre alla crescita delle aliquote, quello che spaventa i broadcaster è, dunque, l’introduzione di un obbligo di programmazione nel prime-time, voluto per evitare che le opere fossero programmate in orari “impossibili”. Tale vincolo, infatti, potrebbe, a detta dei broadcaster, confliggere con le strategie editoriali delle reti, imponendo dei generi, e rendendo meno competitiva la programmazione in una fascia pregiata sia dal punto di vista degli ascolti Auditel sia da quello pubblicitario. I film italiani, per esempio, salvo rare eccezioni, trovano una scarsa audience in prima serata, mentre i documentari e la docu-fiction, nel nostro paese, raramente vengono proposti in prime-time e manca pertanto un’abitudine alla fruizione di questo genere televisivo da parte del pubblico, nonostante la disponibilità di prodotti nazionali eccellenti.

lo chiamavano jeeg robot
Uno dei recenti successi del cinema italiano: “Lo chiamavano Jeeg Robot”

Obblighi d’investimento

Per i fornitori diversi dalla concessionaria di servizio pubblico

1) È confermata la base degli introiti netti annui per il calcolo degli investimenti richiesti;

2) la quota d’investimento riservata all’acquisto o al pre-acquisto o alla produzione di opere europee, è pari ad almeno il 10% (quota elevata al 12,5 % dal gennaio 2019 e al 15% dal 2020). Per il 2018 la quota è riferita interamente a opere prodotte da produttori indipendenti, come oggi, mentre per il 2019 e dal 2020, a queste ultime opere sono riservati i cinque sesti delle quote previste;

3) all’interno della quota complessiva prevista per le opere europee, il decreto riserva direttamente alle opere cinematografiche italiane la quota minima del 3,5% degli introiti netti annui. Tale percentuale è innalzata al 4% per il 2019 e al 4,5 % a decorrere dal 2020. Oggi è il 3,2%.

Per quanto riguarda la RAI

1) È confermata la base, per il calcolo degli investimenti richiesti, dei ricavi complessivi annui derivanti dal canone, nonché dei ricavi pubblicitari connessi alla stessa (al netto degli introiti derivanti da convenzioni con la pubblica amministrazione e dalla vendita di beni e servizi);

2) la quota di riserva al pre-acquisto o all’acquisto o alla produzione di opere europee è pari ad almeno il 15% dei ricavi complessivi annui. Tale quota è elevata al 18,5% dal gennaio 2019 e al 20% dal 2020. Per il 2018 la quota è riferita interamente a opere prodotte da produttori indipendenti, mentre per il 2019 e dal 2020, a queste ultime opere sono riservati i cinque sesti delle quote previste.

3) all’interno della quota complessiva prevista per le opere europee, il decreto riserva direttamente alle opere cinematografiche italiane, la quota minima del 4% dei ricavi complessivi netti. Tale percentuale è innalzata al 4,5% per il 2019 e al 5 % a decorrere dal 2020. Oggi è il 3,6%.

Si tratta, in sintesi, di un aumento significativo ma graduale degli investimenti obbligatori in produzioni italiane e comunitarie, che passano dal 10 al 15% per le televisioni private e dal 15 al 20% per la RAI. Aumentano anche i finanziamenti per le opere cinematografiche italiane. Dunque, una prospettiva allettante, perlomeno per chi opera a vario titolo nella produzione indipendente, ne parliamo, come anticipato, con Alberto Simone.

alberto simone
Alberto Simone

[questionIcon]Il nuovo decreto Franceschini ha visto una decisa reazione da parte dei broadcaster che lo giudicano eccessivo rispetto alle proprie strategie economiche e ai vincoli finanziari e lamentano di non essere stati ascoltati. Che cosa mi dici in proposito?

[answerIcon]Credo che nelle intenzioni del Ministro Franceschini non ci fossero intenti punitivi per nessuno e tantomeno per i broadcasters. È stato ecumenico nel modo di procedere fin dall’inizio della formazione del progetto di legge di riordino dell’audiovisivo ascoltando rappresentanti di tutta la filiera, le Associazioni di categoria e i sindacati.  Anche noi come autori abbiamo avuto la possibilità di dire la nostra ed essere ascoltati.
Quest’ultimo decreto prevede l’obbligo di rispettare le quote introdotte già nel 2013 dopo una lunga battaglia e di aumentare progressivamente gli investimenti e la programmazione di prodotti audiovisivi italiani ed europei, non solo da parte delle emittenti televisive ma anche delle piattaforme a pagamento e on line. Più risorse significano più concorrenza, più qualità nei film, nelle serie tv, nei documentari e nelle opere d’animazione. Non solo: viene integrata, come da normativa europea, l’attuale definizione di “produttore indipendente”, sempre di più una figura chiave nella risistemazione del settore dell’audiovisivo e nella ridefinizione delle quote dei diritti. I broadcasters saranno quindi obbligati al rispetto delle quote di produzione e programmazione di cinema italiano ed europeo già esistenti da tempo. Fino a oggi la legge prevedeva multe risibili. Ora il nuovo decreto introduce sanzioni serie che possono arrivare a multe salatissime e in casi estremi anche alla revoca delle concessioni.  Poi, per quanto riguarda l’aumento delle quote, previsto peraltro in misura molto contenuta, le televisioni avranno tempo fino al 2018 per adeguare strategie e bilanci, per arrivare a regime nel 2020. La gradualità e la stessa riduzione delle quote, rispetto a quanto previsto nella prima bozza, hanno rappresentato da parte del Ministro l’accoglienza ad alcune delle proteste dei broadcasters, che ora avranno il tempo necessario per assorbire i nuovi obblighi. Un altro importante cambiamento riguarda l’obbligo di trasmissione in orari di prime time, il che garantirà una maggiore visibilità alle opere italiane sia prodotte che trasmesse.

veloce come il vento
“Veloce come il vento”

[questionIcon]Oltre agli aspetti economici e finanziari una critica da parte di molti opinion-leader è che si tratta di una legge di tipo protezionistico, un’imposizione autoritaria che condiziona le politiche e le strategie editoriali, intervenendo addirittura sui palinsesti non solo della RAI, servizio pubblico, ma anche delle emittenti private.

[answerIcon]La nuova legge Franceschini nel suo complesso, di cui questo decreto rappresenta il compimento, ha creato enormi agevolazioni per tutta la filiera dell’audiovisivo. Anche i broadcasters potranno usufruirne. Infine si dimentica un principio basilare, ovvero che l’Etere è dello Stato e quindi di tutti. I broadcasters non sono proprietari degli spazi che occupano, ma usufruiscono di concessioni di trasmissione. È giusto che quello che scelgono di trasmettere risponda a principi costituzionali di libertà editoriale e imprenditoriale. Ma non è sbagliato che la composizione dei contenuti sia regolata nell’interesse di tutto il settore.
Era più che mai urgente mettere tutto il sistema in condizione di liberare il maggior numero di risorse per aumentare la qualità incrementando la competizione.

[questionIcon]Quindi da una parte i broadcaster, contrari, e dall’altra i produttori e gli autori favorevoli, nonostante qualcuno sottolinei che gli stessi produttori non sarebbero pronti alla sfida. Insomma quali i reali benefici per l’industria dell’audiovisivo?

[answerIcon]Credo che aumentare la domanda di prodotto nazionale da parte dei Broadcasters potrà favorire un maggiore pluralismo, comporterà un’offerta più ampia per gli spettatori e nuovi stimoli anche agli autori che, non dimentichiamolo, sono una componente essenziale di questo processo.  Il pubblico dimostra di gradire una pluralità di proposte, così come una certa libertà di scelta e ha bisogno di alimentare il proprio immaginario con forme-racconto che un eccesso di realtà e cronaca penalizzano. Limitare l’offerta di cinema e fiction vuol dire regalare ampie fasce di pubblico a chi invece e capace di offrire fantasia ed emozioni. E non dimentichiamo che attraverso questa legge sarà possibile imporre gli stessi obblighi anche a players come Netflix e presto forse Amazon, Yahoo e lo stesso Facebook, tutte aziende straniere benvenute per la loro dirompente capacità d’innovazione, ma che oggi vengono anche a fare shopping di abbonati nel nostro Paese, spesso senza pagare le tasse e i diritti d’autore dovuti. La legge li obbligherà a concorrere al finanziamento della nostra industria, creando lavoro per i produttori indipendenti e maggiori possibilità di espressione e libertà per i nostri autori.

[questionIcon]Una regolamentazione più chiara e stringente può da sola innescare un processo virtuoso di rafforzamento del fragile comparto della produzione italiana o deve essere accompagnata da un salto di qualità dei modelli produttivi?

[answerIcon]Certamente creare le condizioni strutturali non basta. Ma per un reale aumento della qualità occorre aumentare la quantità e la competizione tra i vari protagonisti. Ricordiamo il bene che ha portato a tutto il sistema la legge sul reinvestimento di quote d’introiti pubblicitari in produzione di cinema e fiction nazionali. Una piccola torta non può che essere divisa e controllata dai più forti e strutturati, creando sistemi chiusi, poco inclini all’innovazione e al rischio e scarsamente accessibili a soggetti più giovani e innovativi. Questo decreto è un passo necessario per dare anche al nostro cinema e ai suoi autori la certezza di un afflusso di risorse come quelle che hanno garantito sviluppo creativo e solidità finanziaria alle maggiori cinematografie europee.

perfetti sconosciuti
“Perfetti sconosciuti”

[questionIcon]Il decreto s’ispira al modello francese e anticipa alcuni regolamenti in discussione EU, fra i quali, come hai sottolineato, quello di estendere le quote anche ai produttori tipo Netflix, Amazon etc., della TV on demand? Perché dunque queste polemiche se lo scenario europeo si muove nella stessa direzione?

[answerIcon]Come 100autori abbiamo sostenuto la politica delle quote. Era il gennaio del 2013 quando tutti gli autori accoglievano con soddisfazione, dopo ben cinque anni di battaglie, la firma del decreto sulle quote, fortemente osteggiato, anche allora, dalla lobby dei network – che sullo sfruttamento delle opere dell’audiovisivo hanno realizzato ingenti profitti. Difendere la nostra cultura, i nostri modelli e valori e soprattutto la nostra lingua, dovrebbe essere interesse di tutti. È il solo modo di tutelare le nostre identità e di contenere l’avanzata di chi invade il nostro immaginario e quello dei nostri ragazzi con prodotti e modelli culturali che non ci appartengono. Anche a noi piacciono le serie americane, ma non possono diventare modelli di riferimento unico e universale. Abbiamo anche noi le nostre proposte stilistiche e narrative. E a quanto pare sono molto apprezzate anche fuori dai nostri confini.

[questionIcon]Parliamo ora di fiction televisiva, un mercato che sembra in crisi, nelle mani di pochi operatori, che ha visto significativi tagli di budget da parte dei principali broadcaster. La competizione RAI-Mediaset, finora unici veri produttori, non sembra aver favorito l’industria dell’audiovisivo, mortificando la sperimentazione per paura dei flop e chiudendo il mercato a nuovi linguaggi e quindi a giovani autori e produttori. Come superare questa impasse?

[answerIcon]Come dicevo la salute di un sistema viene dal pluralismo, dalla differenziazione dell’offerta e dei generi. E mi piace sottolineare che, per raggiungere le quote, i broadcaster possono produrre e trasmettere anche documentari, un genere necessario e troppo sacrificato, e perfino progetti di animazione in cui l’Italia sta provando a dire la sua. Tutto questo può generare una sana e virtuosa competizione e non può che aumentare il livello e la qualità della produzione da una parte e della libertà di scegliere a chi proporre un progetto dall’altra. Per anni in Italia abbiamo convissuto con un sistema chiuso e poco osmotico.  Digitale e globalizzazione stanno frantumando le mura di questo sistema, costringendo anche chi ha vissuto i vantaggi di una certa rendita di posizione ad aprirsi, a ricercare nuove proposte creative e produttive, a crescere e a competere con chi fa della qualità della propria offerta di narrazione un punto di forza inarrestabile. Tutto questo non può che creare nuove opportunità, soprattutto per giovani autori e filmmakers che, ricordiamolo, rappresentano il futuro dell’audiovisivo nel nostro Paese.

 

 

 

 

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Una legge per i giovani. Maschi e bianchi https://www.fabriqueducinema.it/focus/una-legge-per-i-giovani-maschi-e-bianchi/ https://www.fabriqueducinema.it/focus/una-legge-per-i-giovani-maschi-e-bianchi/#respond Tue, 31 Jan 2017 09:36:03 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=4068 E Legge Cinema fu. L’abbiamo aspettata per cinquant’anni anni e infine salutata con un tripudio di applausi trasversali: l’Italia si è dotata di una nuova legge che disciplina il settore, e per una volta siamo tutti d’accordo. Tutti? Quasi. È difficile, e forse anche antipatico, trovare una voce fuori dal coro. Eppure qualcuno, da questa […]

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E Legge Cinema fu.

L’abbiamo aspettata per cinquant’anni anni e infine salutata con un tripudio di applausi trasversali: l’Italia si è dotata di una nuova legge che disciplina il settore, e per una volta siamo tutti d’accordo. Tutti? Quasi. È difficile, e forse anche antipatico, trovare una voce fuori dal coro. Eppure qualcuno, da questa legge che aiuta i “giovani”, i film “difficili”, le sale e i produttori, qualcuno è rimasto ancora una volta tagliato fuori. Qualcuno che non ha voce per lamentarsi, perché nel cinema istituzionale non esiste o esiste troppo poco.

Per esempio le donne, le autrici e le registe che Fabrique ha sempre seguito con attenzione. Solo il 16,3% di tutti i film arrivati nelle sale europee negli ultimi dieci anni sono stati diretti da donne, avverte l’Osservatorio Europeo dell’Audiovisivo. E la percentuale scende al 10% in Italia. Cosa poteva fare la legge? In Svezia, senza bisogno di quote, il numero delle donne registe è arrivato a sfiorare il 40%, semplicemente attraverso politiche pubbliche di sostegno alle differenze di genere.

Per esempio gli italiani di seconda generazione, soprattutto attori le cui (spesso lontane) origini non europee costituiscono un ostacolo insormontabile per l’accesso a ruoli, provini, audizioni. Il progetto più ambizioso raccontato in questo numero di Fabrique, non a caso, l’ha firmato un regista di Firenze col cognome iracheno. Cosa poteva fare la legge? Da anni negli Stati Uniti, nel Regno Unito e in Francia si moltiplicano le voci che chiedono di aumentare sullo schermo la presenza di soggetti espressione di diversità, premendo perché il settore pubblico vigili e si impegni contro la diffusione di pericolosi stereotipi culturali.

Nella nostra nuova legge, invece, tanto l’equilibrio di genere quanto la diversità etnica non sono ritenuti fattori da tutelare. In poche parole: ai fini dei finanziamenti, automatici o selettivi, non contano nulla. E anche adesso, a legge approvata, il dibattito è zittito dal borbottio del benaltrismo: con tutti i problemi che aveva il settore, perché preoccuparci anche di questo?

Perché le donne e i “nuovi italiani” sono oggi gli unici soggetti in grado di esprimere uno scarto sostanziale tra le storie che il cinema raccontava ieri, sotto l’ombrello di una legge invecchiata male, e quelle che potrebbe raccontare domani. Storie che parlino di una nuova Italia, fatta di colori e generi diversi, con protagoniste e protagonisti inimmaginabili nel cinema whitewash del 1965. Storie che la nuova legge, purtroppo, non fa nulla per aiutare a sbocciare.

E allora salutiamola comunque con soddisfazione, questa legge che fotografa finalmente il presente. Ma mordiamoci le mani per aver perso un’occasione importante: quella di immaginare il futuro.

twitter @Ravarila_DM

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