Kasia Smutniak Archivi - Fabrique Du Cinéma https://www.fabriqueducinema.it La Rivista Del Nuovo Cinema Italiano Fri, 14 Apr 2017 09:55:37 +0000 it-IT hourly 1 “Perfetti sconosciuti”: metti, una sera a cena https://www.fabriqueducinema.it/cinema/recensioni/perfetti-sconosciuti-metti-una-sera-a-cena/ https://www.fabriqueducinema.it/cinema/recensioni/perfetti-sconosciuti-metti-una-sera-a-cena/#respond Tue, 16 Feb 2016 08:33:29 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=2700 I film ambientati in una sola location sono perfetti per tirar fuori dai personaggi le sfumature caratteriali meno prevedibili. Sono sufficienti una cena e un gruppo di personalità differenti e ben definite che nel lasso di tempo limitato di una serata entrano in conflitto a causa dello spazio ristretto in cui si trovano e di […]

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I film ambientati in una sola location sono perfetti per tirar fuori dai personaggi le sfumature caratteriali meno prevedibili. Sono sufficienti una cena e un gruppo di personalità differenti e ben definite che nel lasso di tempo limitato di una serata entrano in conflitto a causa dello spazio ristretto in cui si trovano e di un pretesto come, in questo caso, un gioco basato sulla sincerità: tutti decidono di mostrare, infatti, da un certo momento in poi, il contenuto dei propri telefoni cellulari. Chiamate, messaggi, email. Quel che è privato viene svelato. Non ci sono più segreti, e il film così ci mostra senza freni e senza timidezza per la sua intera durata ogni possibile conseguenza derivante dalla sospensione della sfera privata.

La forza di Perfetti sconosciuti di Paolo Genovese sta nell’utilizzare al meglio il potere del cinema di rendere parlato il pensiero per mezzo di una sceneggiatura che non si vergogna di scavare a fondo. La nascita di vari equivoci provoca difatti reazioni che mostrano i lati oscuri dei caratteri, la polvere celata sotto il tappeto della coscienza. Una volta frantumato l’involucro del comune buon senso, l’immondizia accantonata è pronta a incendiarsi attraverso dialoghi feroci e intelligentemente scritti, pronunciati da attori a loro agio proprio perché liberi di incattivirsi laddove necessario. È la scrittura, ancor prima della regia, che quindi aiuta un cast ben assortito come questo (con le vette raggiunte dal trio Giallini – Mastandrea – Battiston) a scaldarsi e dominare la scena.


Nel frattempo, fuori dalla casa in cui i commensali litigano, è in corso un’eclissi lunare, metafora di una minaccia incombente così come il passaggio di una cometa lo era nell’indipendente Coherence (altro caso di film su una cena che prende una piega imprevedibile), o l’imminente impatto del pianeta Melancholia nell’omonima e più nota opera di Von Trier. Sembra che certi film ambientati soprattutto in interni, nel momento in cui si aprono all’esterno, abbiano bisogno di guardare a qualcosa di incredibilmente distante eppure angosciante come l’universo per raffigurare paure inconsce. E nel nostro caso il lato oscuro della luna sta a rappresentare il più grande terrore, il più grande tabù, che è quasi sempre lo stesso nel cinema e nell’arte in generale: il tradimento. La paura che il vincolo dell’esclusività possa rompersi, per via di quel delitto che risiede nel desiderare qualcun altro al di fuori del sistema-coppia.

Quest’angoscia la avvertiamo anche noi spettatori, che ci riconosciamo nei brevi e intensi scambi di sguardi tra i protagonisti, colti dai numerosi cambi di inquadratura con cui Genovese interviene registicamente, anche se è pur vero che qualche stacco in meno ci avrebbe fatto godere maggiormente della contemporaneità delle risposte emotive di ciascun personaggio. Il regista tuttavia preferisce la sottolineatura, con singoli (primi) piani d’ascolto che per fortuna non sfociano mai nella didascalia.
Anche la musica ha il compito di sottilineare, ma se fosse stata completamente assente non ne avremmo sentito più di tanto la mancanza, così come non ne sentiamo in altri film di “tavolate” come Il fascino discreto della borghesia, per citare un esempio eccellente.

Va detto però che c’è il preciso intento da parte di Genovese di movimentare dall’interno l’impostazione teatrale della narrazione mediante gli strumenti resi disponibili dal cinema come, oltre al commento musicale e al montaggio, alcune lievissime ma frequenti carrellate presenti in situazioni in cui non sarebbe stato un problema lasciare la macchina da presa fissa su un treppiedi. Al di là di questo, in ogni modo, il risultato è efficace, pungente e l’amaro che lascia in bocca ci ricorda quello assaggiato su vecchie terrazze scoliane.

E chissà se è un caso che il film si chiuda con la visione di un palazzo in Piazzale delle Belle Arti che appariva proprio in quel film del 1980, che portava via con sé tutta la vecchia commedia all’italiana, la quale però a quanto pare continua a pulsare, pronta a esplodere con buoni risultati come è successo stavolta, nel cuore di ogni italiano, di ogni perfetto sconosciuto.

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