Jasmine Trinca Archivi - Fabrique Du Cinéma https://www.fabriqueducinema.it La Rivista Del Nuovo Cinema Italiano Wed, 23 Oct 2024 14:09:55 +0000 it-IT hourly 1 Supersex: anche il porno è stato bambino https://www.fabriqueducinema.it/serie/supersex-anche-il-porno-e-stato-bambino/ https://www.fabriqueducinema.it/serie/supersex-anche-il-porno-e-stato-bambino/#respond Thu, 07 Mar 2024 13:20:49 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=18990 Era una delle serie italiane Netflix più attese dell’anno Supersex, disponibile online dal 6 marzo. Sette episodi ispirati alla vita di Rocco Siffredi, icona del porno interpretata da Alessandro Borghi. L’attore romano ne carpisce l’anima rimodulando sul suo volto lo sguardo intenso e la risata larga un po’ obliqua del pornostar, lati noti di Siffredi. […]

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Era una delle serie italiane Netflix più attese dell’anno Supersex, disponibile online dal 6 marzo. Sette episodi ispirati alla vita di Rocco Siffredi, icona del porno interpretata da Alessandro Borghi. L’attore romano ne carpisce l’anima rimodulando sul suo volto lo sguardo intenso e la risata larga un po’ obliqua del pornostar, lati noti di Siffredi. Ma la novità sono le inquietudini e le fragilità di un uomo che è stato prima di tutto bambino e ragazzo, sempre attratto dalle donne fin quasi all’ossessione, ma perseguitato dai suoi demoni del passato.

Si parte da una sua crisi del 2004 per dei flashback che ci mostrano l’infanzia e poi l’adolescenza di un ragazzo abruzzese cresciuto in una casa popolare di Ortona assieme a una famiglia numerosa, ma destinato a diventare un divo. Prima tappa del suo cammino Parigi, ospitato dal fratello maggiore dal volto rude di Adriano Giannini. «L’amore è difficile, Rocco. Tu hai quegli occhi buoni e parli dell’amore, ma manco sai cos’è». Gli dirà la moglie del fratello impersonata da Jasmine Trinca. Con loro si costruisce il principale nucleo di relazioni e contrasti. Il giovanissimo Rocco guarda come esempio il fratellone e custodisce fin da bambino il suo giornalino erotico Supersex come il Don Abbondio di Manzoni teneva al suo breviario. Tutt’intorno si svilupperanno il legame con il cugino manager e lucignolo con il volto di Enrico Borrello, la professionalità del pornoattore con il suo primo mentore, il pornostar francese Gabriel Pontello, con il produttore italiano Riccardo Schicchi e con l’icona nonché amica dispensatrice di piccole saggezze erotiche Moana Pozzi, interpretata con molta verità nel suo fascino un po’ flemmatico da Gaia Messerklinger. La relazione più combattuta e tenera è invece con la madre impersonata da Tania Garribba, mentre una vera sorpresa toccante sarà l’amicizia importante con l’attore Franco Caracciolo, caratterista di tante commedie sexy degli anni ottanta, che ha il volto dell’ottimo Mario Pirrello.

Tra le elucubrazioni di un eroe oscuro, il delirio del sesso attraverso i labirinti del desiderio e gli affetti che hanno circondato il protagonista durante il suo cammino, la sceneggiatura di Francesca Manieri tesse insieme un reticolo complesso di contrasti emotivi, introspezioni, conflitti interni e tra i personaggi che va ben oltre la pornografia. La Manieri ha scritto film, tra gli altri, per Laura Bispuri, Valentina Pedicini ed Emanuele Crialese. Il suo tocco gentile si sente in moltissimi passaggi, assumendosi come lei stessa ha dichiarato «il rischio e il privilegio di raccontare il maschile partendo da un maschio che del maschile occidentale è diventato senza dubbio emblema». Ed è questa forse la vera arma vincente di Supersex. Poi c’è ovviamente l’epopea del porno. Lo chiama potere, superpotere, il Rocco diretto da Matteo Rovere, Francesco Carrozzini e Francesca Mazzoleni. «Il cazzo è un pensiero. Non ero pronto per il soft ma non ero nemmeno pronto per l’hard». O anche, all’apice del successo: «Era così forte quello che vendevamo, che la Chiesa, lo Stato, le guardie, erano tutti contro di noi». Dirà la voce off di Rocco/Borghi.

SupersexNon mancano scene forti, ma questa serie rimane ben allineata tra i prodotti Netflix. In Italia è molto difficile parlare di sesso, ma su una piattaforma ramificata in 190 paesi la questione cambia. E Groenlandia espandendosi in varie direzioni dell’audiovisivo ha aggiunto alle sue produzioni un tassello piuttosto sostanzioso. Non propone in realtà molte idee di macchina da presa Supersex, ma compensa con l’ottima direzione e ricerca attoriale. Presenta una patinatura un po’ sognante sull’infanzia e la giovinezza, dove il ruolo di Rocco è coperto da un energico Saul Nanni, mentre la fotografia sul Rocco in crisi degli anni 2000 assume più profondità visiva. Inoltre racconta a modo suo un po’ di Abruzzo attraverso il dialetto tutto sommato ben proposto, pur con il paese natale del protagonista, Ortona, che viene inquadrato soltanto nelle panoramiche aeree, venendo ricostruito sui set del Trullo e di Ostia, quartieri di Roma.

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Profeti: Dio, da che parte stai? https://www.fabriqueducinema.it/cinema/nuove-uscite/profeti-dio-da-che-parte-stai/ https://www.fabriqueducinema.it/cinema/nuove-uscite/profeti-dio-da-che-parte-stai/#respond Fri, 27 Jan 2023 08:51:32 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=18153 Ci vuole un po’ prima che Profeti si assesti. Nei primi minuti del nuovo film di Alessio Cremonini, in sala dal 26 gennaio, vediamo la giornalista italiana Sara (Jasmine Trinca) aggirarsi nella Siria (che in realtà è la Puglia) devastata dalla guerra e annerita dall’Isis. Ascoltiamo un’intervista a una combattente curda, entriamo in una chiesa […]

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Ci vuole un po’ prima che Profeti si assesti. Nei primi minuti del nuovo film di Alessio Cremonini, in sala dal 26 gennaio, vediamo la giornalista italiana Sara (Jasmine Trinca) aggirarsi nella Siria (che in realtà è la Puglia) devastata dalla guerra e annerita dall’Isis. Ascoltiamo un’intervista a una combattente curda, entriamo in una chiesa cristiana distrutta e bruciata, ma intuiamo che non è di questo che il film vuole parlarci. Poi, di notte, Sara, il suo operatore e il suo interprete vengono rapiti. Sara attraversa giorni di prigionia e interrogatori, assiste a torture e sente grida disperate, ma non è ancora questo. Viene portata in un campo dell’Isis, entra in una casa dentro la quale ci sono tre donne. Manca poco, ma non è ancora questo. Due delle tre donne partono, e Sara si ritrova sola con Nur (Isabella Nefar). Ecco che Profeti inizia davvero. 

Tutto il film, da questo momento, è ambientato in una casa in cui Sara è costretta a vivere con Nur – donna con donna – dove è trattata da ospite e non da prigioniera: i pasti sono preparati da Nur e non le viene richiesto di fare nulla. C’è un solo letto matrimoniale, e allora Sara e Nur dormono insieme. Sara non ha un dio e Nur – che ha trascorso tutta la sua vita a Londra in una famiglia laica – sì, lo ha scelto da quando ha incontrato suo marito, un mujahidin. Nur prega in arabo ma parla a Sara in inglese. Sara ha molte domande, Nur conosce solo le risposte del Profeta, le altre le tiene per sé. Si arriva al paradosso: Profeti diventa un film tutto di scrittura, ma proprio la sceneggiatura è il suo più grande difetto, perché è pedissequa, dovrebbe man mano svelarci l’una e l’altra, ma non arriva mai a dirci più di quanto già non sappiamo da subito della giornalista occidentale e della moglie di un combattente dell’Isis. Certo, in mezzo ci sono degli spunti ottimi, come la domanda che pone Nur: che strumenti può mai avere una giornalista italiana – e per estensione tutto l’occidente – che conosce a malapena l’arabo per giudicare una guerra che alcuni arabi considerano santa? 

Un altro paradosso è che, nonostante la sceneggiatura, Trinca e Nefar hanno davvero una grande forza, sono il “motore immobile” chiuso in quattro mura dal quale si propaga l’intensità che Cremonini ricerca. Il rapporto tra le due è dunque la vera sostanza di cui è fatto Profeti, ma è come se un vuoto facesse da spartiacque. Il confronto quotidiano e imposto deve portare alla contaminazione e alla resa da parte di una delle due donne. La resa c’è, e l’istante in cui avviene è il più bello di tutto il film, un momento di pura regia dove al ribaltamento di un’idea corrisponde il ribaltamento dell’inquadratura, con un’immagine capace di raccontare uno stato d’animo, proprio come dovrebbe essere nel cinema. Ma è in questo processo di avvicinamento al ribaltamento – vero o finto che sia – che manca qualcosa. In questo film pieno di bombe che esplodono fuori si attende una deflagrazione interna, che non arriva mai.

Ultime note: Profeti è il caso più unico che raro di un film italiano che, per la maggior parte, non verrà visto in versione originale. È girato principalmente in inglese, e sarebbe importante vederlo così, perché il dialogo tra un’italiana e un’araba che comunicano attraverso una terza lingua è la rappresentazione riuscitissima di una comunicazione che anche quando funziona non è mai completa. Il montaggio di Marco Spoletini, infine, è efficace e crea contrasti potenti, concedergli ancora più spazio avrebbe probabilmente aiutato il film.

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Venezia 75: Sulla mia pelle dalla Mostra del Cinema a Netflix https://www.fabriqueducinema.it/festival/venezia-75-sulla-mia-pelle-dal-festival-del-cinema-a-netflix/ Wed, 29 Aug 2018 12:02:26 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=11183 Quando Stefano Cucchi era al CEIS per disintossicarsi i suoi compagni lo chiamavano Pisellino. Perché era piccolo di statura ma col carattere roccioso e la battuta sempre pronta. Boxe nelle mani e impicci nella vita, geometra col viziaccio delle sostanze, aveva provato a uscirne fuori più d’una volta. Per lui si fa piccolo e smagrito […]

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Quando Stefano Cucchi era al CEIS per disintossicarsi i suoi compagni lo chiamavano Pisellino. Perché era piccolo di statura ma col carattere roccioso e la battuta sempre pronta. Boxe nelle mani e impicci nella vita, geometra col viziaccio delle sostanze, aveva provato a uscirne fuori più d’una volta. Per lui si fa piccolo e smagrito Alessandro Borghi (qui la nostra intervista), attore-meraviglia emerso con Non essere cattivo che stavolta trasforma anche la voce, plasmandola sull’ultima telefonata di Stefano. Una registrazione affaticata e inquieta da una di quelle notti dove iniziò la sua fine.

È stato scelto come film d’apertura Sulla mia pelle (qui il trailer ufficiale), in Concorso per la sezione Orizzonti. Quest’anno la Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia comincia con un film dolente e impegnato nel mostrare agli occhi del mondo lo scandaloso caso di un ragazzo arrestato per spaccio, pesantemente picchiato senza motivo dalle forze dell’ordine, infine malcurato e malnutrito in ospedale fino alla dipartita. L’ultima settimana raccontata dal film di Alessio Cremonini respira forte come il suo protagonista e ha soffiato sull’internazionale Venezia un vento gelido di malasanità e malagiustizia italiane. Strutturato rispettando seccamente la cronologia dei fatti, si arma di una didascalicità necessaria e severa di luoghi e orari per disegnare la picchiata di un ragazzo capitato nel posto sbagliato al momento sbagliato.

 

sulla mia pelleBorghi ricostruisce la figura di Cucchi con l’innocenza colpevole negli occhi di un uomo che pur sbagliando viene punito ben oltre le sue colpe. L’attore accompagna la cronaca cinematografica prodotta da Lucky Red con rigore e fedeltà stupefacenti. Il respiro che viene meno e i dolori fisici sempre più insopportabili si vedono nel loro crescendo in ogni singolo fotogramma. Max Tortora e Jasmine Trinca interpretano padre e sorella della vittima. Ogni ruolo viene ripreso con appassionata attenzione alla realtà. Anche ogni numero della tragedia.

Dramma civile dei nostri giorni, poteva essere traslato in cinema come un legal thriller sull’infinita lotta di Ilaria Cucchi in tribunale, invece mantiene il pudore di una storia essenziale per farci conoscere il ragazzo, la vittima e la sua famiglia tenuta allo scuro di tutto. Il fatto è divenuto simbolo suo malgrado, e questo film, con tutta la sua scrittura penetrante e la sua regia piena di idee sobrie ed efficacissime sarà senz’altro uno dei titoli più applauditi della Mostra. Ci sono momenti toccanti come certi interrogativi sulla fiducia nella legge del padre Giovanni, o di riflessioni e consigli offerti a Stefano da un compagno di cella albanese.

Sicuramente Borghi riceverà molti premi e riconoscimenti anche per questo nuovo lavoro, ancor più coscienzioso e impegnativo di quello per Caligari. Dal 12 settembre Sulla mia pelle sarà sotto gli occhi del mondo perché non uscirà soltanto nei cinema italiani, ma anche sui milioni di dispositivi abbonati a Netflix. Resta curioso come proprio la distribuzione del Presidente dei Distributori Anica, la Lucky Red di Andrea Occhipinti, non abbia concesso alla sala neanche un paio di settimane esclusive prima di far lanciare il film in scala globale su tutti gli schermi possibili, compresi i cinema. Competizione alla pari?

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A Cannes l’Euforia di Valeria Golino supera l’esame https://www.fabriqueducinema.it/festival/a-cannes-leuforia-di-valeria-golino-supera-lesame/ https://www.fabriqueducinema.it/festival/a-cannes-leuforia-di-valeria-golino-supera-lesame/#respond Thu, 17 May 2018 07:03:57 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=10391 In concorso nella sezione “Un certain regard” del Festival di Cannes 2018, Euforia, seconda regia cinematografica di Valeria Golino, conferma tutti i difetti e i pregi del cinema italiano medio d’autore: il focus sui personaggi più che sull’intreccio, la capacità di creare singole sequenze d’impatto emotivo e poetico (più spesso poeticizzante), la cronica difficoltà nel […]

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In concorso nella sezione “Un certain regard” del Festival di Cannes 2018, Euforia, seconda regia cinematografica di Valeria Golino, conferma tutti i difetti e i pregi del cinema italiano medio d’autore: il focus sui personaggi più che sull’intreccio, la capacità di creare singole sequenze d’impatto emotivo e poetico (più spesso poeticizzante), la cronica difficoltà nel costruirci intorno un film propriamente detto.
Une veloce sinossi: Matteo (Riccardo Scamarcio) e Ettore (Valerio Mastandrea) sono due fratelli estremamente diversi, il primo è un imprenditore carismatico e apertamente omosessuale, mentre il secondo è un uomo pacato che vive ancora nella piccola città di provincia dove entrambi sono nati e cresciuti. La scoperta della malattia di Ettore permette ai due fratelli di avvicinarsi e conoscersi veramente, di evidenziare le differenze e di comporre le distanze.
euforia diretto da valeria golino
Non riconosciamo una personalità registica peculiare nella Golino, ma di sicuro una solida preparazione tecnica e una capacità di trovare la giusta distanza dagli eventi messi in scena. L’omosessualità di Marco non è per nulla caricata dei luoghi comuni a cui (troppo) spesso il nostro cinema ancora si affida, e l’evento da cui prende le mosse la vicenda (la malattia di Ettore, che lo costringe a trasferirsi a Roma a casa del fratello) non scade mai nel pietismo o nella lacrima facile.
Mastandrea offre una prova misurata senza rinunciare ad alcuni vezzi di repertorio, ma è Scamarcio, dopo l’ottima prova in Loro di Sorrentino, a confermare di star vivendo una seconda fase di carriera migliore di quanto la prima avrebbe potuto far credere. Fase iniziata proprio qui a Cannes due anni fa, e ancora al Certain regard, con Pericle il nero di Stefano Mordini.
Una ridda di comprimari più o meno indovinati accompagnano la strana coppia di questa sorta di anomalo “buddy movie” (Isabella Ferrari, Jasmine Trinca, che al Regard rimette in palio il titolo di miglior interprete portato a casa l’anno scorso con Fortunata di Castellitto), il cui unico difetto, non da poco, è, come già anticipato, quello di essere scevro di snodi narrativi davvero convincenti, e di andare avanti a strappi.
Una visione non indimenticabile ma, quando i due protagonisti danzano sulle note di Guardo gli asini che volano nel ciel, celebre numero di Stanlio e Ollio, un velo di commozione vi stringerà inevitabilmente la gola. Non più di una sufficienza piena, ma neanche meno.

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Torino Film Festival 2016: Fertility Wave https://www.fabriqueducinema.it/festival/italia/torino-film-festival-2016-fertility-wave/ https://www.fabriqueducinema.it/festival/italia/torino-film-festival-2016-fertility-wave/#respond Mon, 21 Nov 2016 10:09:56 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=3802 Prima considerazione: gli italiani tornano a fare figli. Da giovani, da giovanissimi, anzi da minorenni. Se la realtà ci parla di un paese demograficamente in panne, con la morsa della precarietà a soffocare ogni desiderio (incluso quello di riprodursi), il cinema italiano risponde raccontandoci tutta un’altra storia. E così, dopo gli adolescenti incinti di Piuma, […]

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Prima considerazione: gli italiani tornano a fare figli. Da giovani, da giovanissimi, anzi da minorenni. Se la realtà ci parla di un paese demograficamente in panne, con la morsa della precarietà a soffocare ogni desiderio (incluso quello di riprodursi), il cinema italiano risponde raccontandoci tutta un’altra storia. E così, dopo gli adolescenti incinti di Piuma, ecco che il festival di Torino presenta in questi giorni SLAM – Tutto per una ragazza di Andrea Molaioli, storia di due sedicenni allegramente alle prese con una gravidanza inaspettata. Anche in questo caso, come nel film di Roan Johnson, la direzione imboccata dai ragazzi è a un senso solo: il bambino si terrà, punto e basta, contro la volontà della famiglia e il parere degli amici. E anche in questo caso, come per Piuma, la chiave scelta è quella della commedia, con un ricorso puntuale al registro del surreale (là erano sequenze oniriche, qui veri e propri sogni, anzi incubi del protagonista). In entrambi i casi, la scelta dei nostri autori è in controtendenza con la realtà: che sia indice di un fantozziano scollamento del cinema dal paese reale, o di un ribelle e legittimo slancio di fantasia autoriale, è forse troppo presto per dirlo. Ma la fertility wave imboccata di recente è un segnale da ascoltare. Un allarme, probabilmente.

Seconda considerazione: nel nostro cinema le donne, se fanno un figlio, smettono di ridere. Ammesso che l’abbiano mai fatto prima. Succede in Piuma, succede nel film di Molaioli (dove pure la brava Jasmine Trinca, nel ruolo della giovanissima madre del protagonista, ha spazio e corpo in scena), e la recidiva diventa irritante: il motore comico in entrambi i film è affidato interamente ai maschi, immaturi e sognatori, terrorizzati dalla responsabilità, incerti sulla direzione da far imboccare alla propria vita. Umani, perciò simpatici, capaci di catturare le simpatie dello spettatore. Le donne no. Granitiche, bidimensionali, dritte come panzer alla meta: riprodursi, diventare o essere mamme, come (unica) missione di vita. Schiacciate nel ruolo del contraltare drammatico alla vitale voglia di vivere del maschio, le donne sono la parte più debole di questi due film: sono lo scalino su cui è inciampato Piuma un passo prima di atterrare in vetta, sono il muro su cui si schianta SLAM prima ancora del decollo.

Terza considerazione: SLAM, a differenza di Piuma, non è un soggetto originale. È tratto dall’omonimo romanzo di Nick Hornby, adattato per l’occasione alla realtà di Roma, e dalla pagina scritta “ruba” giustamente personaggi, battute, situazioni. Ma dimentica, ed è forse il difetto più grave del film, di sfruttarne – visivamente, narrativamente – una parte importante. La cultura dello skate, di cui il protagonista Samuele è appassionato, resta una cornice superflua, scollata dalla trama, un dettaglio di colore che non aggiunge nulla alla vicenda. Samuele è uno skater, il suo amico Lepre anche, ma di quel mondo (che poi è un universo, con le sue regole e i suoi riti) nel film non resta nulla più di qualche scena su un half-pipe. Peccato. È come aver messo una pistola nel film e non averla fatta sparare. Non si fa. Soprattutto se la voce fuori campo è quella di Tony Hawk.

Al netto delle considerazioni, SLAM delude nel contesto di un festival che ci aveva abituati meglio. Un film commerciale che non fa il suo dovere, con musiche piacione per un target over trenta (Eels, Cake, Pixies), e una storia di poche ambizioni, scarsa cura, tirata via come a liberarsene in fretta. Come dice la filosofia dello skate: l’importante non è riuscire a fare il trick, ma provarci. Aspettiamo in pista Molaioli, in attesa che gli riesca di nuovo un forward flip.

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