Io sono Vera Archivi - Fabrique Du Cinéma https://www.fabriqueducinema.it La Rivista Del Nuovo Cinema Italiano Tue, 18 Jul 2023 12:24:44 +0000 it-IT hourly 1 Simone Gandolfo si racconta tra cinema, produzione e vento di mare https://www.fabriqueducinema.it/cinema/people/simone-gandolfo-si-racconta-tra-cinema-produzione-e-vento-di-mare/ https://www.fabriqueducinema.it/cinema/people/simone-gandolfo-si-racconta-tra-cinema-produzione-e-vento-di-mare/#respond Fri, 14 Jul 2023 07:33:14 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=18577 Macaia è un termine ligure che significa brezza, e come le brezze porta con sé novità e nostalgia. La nostalgia è un sentimento che Simone Gandolfo conosce bene, essendosi lasciato la Liguria alle spalle prima per Roma poi per New York. La carriera di attore e di produttore cinematografico lo portano lontano, ma il legame […]

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Macaia è un termine ligure che significa brezza, e come le brezze porta con sé novità e nostalgia. La nostalgia è un sentimento che Simone Gandolfo conosce bene, essendosi lasciato la Liguria alle spalle prima per Roma poi per New York. La carriera di attore e di produttore cinematografico lo portano lontano, ma il legame con le origini rimane fortissimo e ogni scusa è buona per tornare a casa.

Mi sei stato presentato come produttore e poi, quando ti ho cercato, ho scoperto che ti conoscevo già come attore.

Tutto vero. Nasco come attore ma da una decina d’anni faccio il produttore, sono passato al lato oscuro della forza. In particolare negli ultimi anni ho cominciato a fare il produttore esecutivo.

In alcuni casi questo dualismo attore-produttore ha un po’ giocato a tuo sfavore? Ci sono stati dei casi in cui ti hanno chiesto di scegliere, o l’uno o l’altro?

Sì, certamente. In Italia è complicato mantenere due posizioni, specialmente nel caso di un produttore, che solitamente discute di questioni economiche, amministrative e burocratiche, ed è difficile vederlo in un’altra veste. La mia scelta comunque è stata serena. All’inizio ricordo che era più complicato, come ex attore venivo guardato con sospetto. (ride) Gli attori vengono spesso visti come esseri strani.

Hai fondato una casa di produzione con il tuo socio, Manuel Stefanolo. Si chiama Macaia Film. Il nome è ligure. C’è un po’ di nostalgia dietro questa scelta?             

Più che nostalgia, gratitudine per le origini. E poi se fossimo stati a Roma saremmo stati soffocati dal mercato, invece restando a Imperia abbiamo avuto modo di imparare a camminare. Siamo partiti con progetti super indipendenti e poi lentamente siamo cresciuti.

All’interno di Macaia come gestisci i reparti? Come funziona l’ingranaggio tra sceneggiatura, regia, casting e come prende vita un progetto prima del set?

Da progetto a progetto si crea una squadra di lavoro artistica e tecnica. Nel caso specifico degli sceneggiatori a volte sono loro che propongono un progetto e da lì si mette su un team. La stessa cosa per la regia, poi per il casting director la cui scelta è dialogica con il regista. Quando lavoriamo come service production per progetti stranieri allora cerchiamo di consigliare persone di valore che ancora non hanno avuto una possibilità.

Simone GandolfoLe esperienze con Palomar e Viola Film come sono state?

È andata bene, era la strada che volevamo. Quando si è totalmente indipendenti si ha l’impressione che ci siano meno regole, invece quando avviene l’incontro con i più grandi bisogna accettarne tantissime di regole. Gli esempi di outsider completi che riescono a fare cinema senza passare attraverso queste regole sono pochissimi. Io personalmente l’ho trovato un interessantissimo percorso di crescita.

Secondo te la crescita delle piattaforme e l’ibridazione dei contenuti ha portato a un’esasperazione del mercato? Si produce tanto e male? Troppe serie, troppi film, troppe piattaforme il tutto a discapito di una scrittura di qualità?

No. Nel senso che se vogliamo impiegare dodici settimane per fare un film dobbiamo tornare indietro di dieci anni, però non era un mercato minimamente sostenibile. Quando un mercato si regge al 90% sull’aiuto pubblico si creano immediatamente delle metastasi, perché finché il pubblico lo può sostenere, bene, ma quando il pubblico non può più sostenerlo a quel punto crolla tutto. Per me il mercato adesso è più sano. Il vero problema è che In Italia non c’è la volontà di sperimentazione che serve per alimentare l’industria stessa. Se non avessi prodotto Io sono Vera, che è un film completamente indipendente con un budget sotto il milione di euro girato con il cuore e con il sangue, non avrei imparato tantissimo, per poi passare a set da 15 milioni. Però dovrebbero esserci regole diverse, quasi due contratti collettivi diversi, non è solo una volontà solo dei produttori di non farlo. Sono pochissimi quelli che credono in davvero nel progresso. In sostanza il mercato è sclerotico: si smontano e rimontano progetti, altri non partono completamente o partono troppo alla svelta. Poi è chiaro che si va sempre più verso una direzione neo-liberista: i grossi gruppi staranno a galla, mentre i piccoli faranno sempre più fatica e questa è proprio una direzione mondiale.

Sulle scelte attoriali, essendo stato attore per vent’anni, sei rigido o preferisci non occupartene?

No, non è mio compito giudicare. Se mi chiedono un parere, rispetto ad altri produttori esecutivi ho un punto di vista molto chiaro. Per me è relativamente semplice capire se un attore è giusto per quel ruolo o se non è giusto, se è bravo, cosa serve al progetto, ma lo dico solo quando mi è richiesto.

Che tipo di rapporto hai con la percezione di te stesso, del tuo corpo, della tua immagine? Ancora oggi ci stai lavorando o è un qualcosa messo ormai da parte?

Questa è stata la liberazione più grande. È impossibile scindere il lato personale dal lato artistico e da lì nascono tutti i problemi degli attori rispetto alla propria immagine. Invece nel lavoro da produttore se sbaglio qualcosa non sono io sbagliato, ma ho fatto qualcosa di sbagliato. È una conquista che mi rilassa moltissimo, lo ammetto.

 

 

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Io sono Vera: vite parallele in un racconto di fantascienza https://www.fabriqueducinema.it/cinema/nuove-uscite/io-sono-vera-la-fantascienza-di-macaia-film/ Mon, 14 Feb 2022 10:51:29 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=16779 Io sono Vera, in uscita al cinema il 17 febbraio, è il primo lungometraggio di finzione prodotto da Macaia Film, con le musiche dei Marlene Kuntz. Una pellicola di fantascienza ambientata in parte in Cile, che racconta una storia di vite che inspiegabilmente si intrecciano, «in grado di utilizzare il genere per trattare una questione […]

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Io sono Vera, in uscita al cinema il 17 febbraio, è il primo lungometraggio di finzione prodotto da Macaia Film, con le musiche dei Marlene Kuntz. Una pellicola di fantascienza ambientata in parte in Cile, che racconta una storia di vite che inspiegabilmente si intrecciano, «in grado di utilizzare il genere per trattare una questione esistenziale». Abbiamo intervistato Simone Gandolfo, uno dei produttori, che in quest’occasione ci ha parlato dei retroscena del film e di cosa significhi occuparsi di cinema di genere in Italia. Per leggere di più sul suo lavoro abbonati a Fabrique: l’intervista continua nel prossimo numero!

Di che progetti si occupa Macaia Film e qual è il tuo ruolo all’interno della casa di produzione?

Macaia (di cui io e Manuel Stefanolo siamo fondatori e soci al 50%) si occupa principalmente di quattro grandi branche: i contenuti originali, di cui Io sono Vera finora è il più importante, insieme a un altro progetto sempre di fantascienza in sviluppo che si chiama Aspettando i naufraghi, tratto da un romanzo di Orso Tosco. Ci occupiamo di comunicazione per enti pubblici, di produzione esecutiva sia per società italiane che per società estere che devono girare in Italia. C’è poi anche una parte legata alla formazione: organizziamo infatti corsi professionalizzanti per varie figure del cinema. Io sono il fondatore, il produttore esecutivo e diciamo il frontman, vado sui mercati internazionali a cercare clienti, sto sul set, ma se non falliamo è merito di Manuel.

Come è nato Io sono Vera?

È nato quando il regista Beniamino Catena, che conosco da molti anni, è venuto da me con la sceneggiatura, dicendomi di voler realizzare un film indipendente, girato tra la Liguria e il Cile. Mi è parsa da subito una bella sfida, una storia delicata che valeva la pena di raccontare, in grado di utilizzare il genere per trattare una questione esistenziale, ancestrale quasi. Prima di partire per Berlino alla ricerca di coproduttori mi sono rivolto a un amico regista per sapere se conoscesse qualcuno che potesse fare al caso nostro: produttori non ne conosceva, ma mi ha presentato Maura Morales Bergman, che sarebbe diventata la direttrice della fotografia del film. L’ultimo giorno di Berlino ho incontrato invece Karina Jury, una produttrice cilena che da subito si è dimostrata interessata. La partenza di Io sono Vera è stata travagliata, ci sono stati momenti in cui abbiamo pensato di abbandonare il progetto. Il budget non faceva che diminuire, ma nel momento più buio il regista mi ha trasmesso un entusiasmo tale da permettermi di andare avanti. Tutti quelli che hanno lavorato a questo progetto lo hanno fatto per amore ed è questo l’atteggiamento che mi piace e che cerco di mantenere anche nel momento in cui lavoro a produzioni più grandi. 

Io sono Vera

Si tratta di una coproduzione con il Cile, cosa ha comportato?

L’aspetto più positivo delle coproduzioni è che hai già due mercati a disposizione. Da un punto di vista burocratico non è stato complicato, perché con il Cile l’Italia ha dei contratti bilaterali di coproduzione, ci sono quindi delle regole molto chiare da rispettare. La coproduzione è ovviamente artistica e non finanziaria, ciò significa che ci devono essere dei capo reparti di ambo i paesi. Questo permette di creare un ponte tra le due realtà, il che rende tutto sia più interessante che più difficile. Ma la cosa più complicata, soprattutto in un paese come il Cile dove la moneta non è stabile, è gestire il flusso finanziario. Quando firmi il contratto lo fai in base al cambio di quel giorno, a quel punto inizia l’avventura, perché magari una settimana hai il 10% in più e quella dopo il 10% in meno, in base all’oscillazione.

Io sono Vera è un film di fantascienza. Sembra essere un buon momento per i film di genere in Italia.  Cosa implica produrne uno?

Ho delle riserve sul fatto che sia un buon momento per il cinema di genere. Per fortuna finalmente ci sono delle società ben più grosse della nostra che hanno cominciato a produrlo: Groenlandia su tutte, Propaganda Italia, Mainetti. Però l’Italia da un punto di vista istituzionale è ancora molto legata a un certo cinema d’autore, guardando le graduatorie dei finanziamenti è evidente. Il pubblico italiano inoltre fa fatica, perché il cinema di genere, come la fantascienza, è abituato a vederlo arrivare dall’estero e noi siamo almeno dieci anni in ritardo rispetto al resto d’Europa, però abbiamo cominciato a muoverci. Produrre un film di genere implica quindi confrontarsi con un mercato quantomeno europeo, cosa ovviamente più complicata che restare entro i confini nazionali.

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