Ilenia Pastorelli Archivi - Fabrique Du Cinéma https://www.fabriqueducinema.it La Rivista Del Nuovo Cinema Italiano Fri, 01 Apr 2022 17:39:37 +0000 it-IT hourly 1 Cosa fai a Capodanno? Quando la commedia sexy incontra il noir https://www.fabriqueducinema.it/cinema/nuove-uscite/cosa-fai-a-capodanno-quando-la-commedia-sexy-incontra-il-noir/ https://www.fabriqueducinema.it/cinema/nuove-uscite/cosa-fai-a-capodanno-quando-la-commedia-sexy-incontra-il-noir/#respond Thu, 15 Nov 2018 13:35:43 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=11819 Un elegante chalet in montagna e una coppia che all’improvviso riceve ospiti inattesi. Entrano un uomo in sedia a rotelle, Alessandro Haber, accompagnato da una Vittoria Puccini in versione bellezza emo. Poi una signora attempata, Isabella Ferrari, insieme a un ventenne, Ludovico Succio. In questo cast ognuno nasconde qualcosa agli altri, e a tenere le […]

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Un elegante chalet in montagna e una coppia che all’improvviso riceve ospiti inattesi. Entrano un uomo in sedia a rotelle, Alessandro Haber, accompagnato da una Vittoria Puccini in versione bellezza emo. Poi una signora attempata, Isabella Ferrari, insieme a un ventenne, Ludovico Succio. In questo cast ognuno nasconde qualcosa agli altri, e a tenere le fila degli ospiti sgraditi sono i misteriosi padroni di casa Luca Argentero e Ilenia Pastorelli, ai quali si aggiungono la coppia scambista interpretata da Riccardo Scamarcio e Valentina Lodovini, più il contrappunto comico-filosofico di Massimo De Lorenzo e Carlo De Ruggeri, corrieri sfigati tra le nevi, ingaggiati per consegnare una cena di crudi, crostacei e champagne. Si presenta così Cosa fai a Capodanno? commedia nera firmata dallo sceneggiatore, qui regista esordiente, Filippo Bologna.

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Scrittore toscano venuto fuori tra romanzi e sceneggiature, Bologna è anche tra gli autori di Perfetti sconosciuti. E questo film ne ricalca la modalità della storia corale in interni tra coppie che pian piano scoprono il gioco. Qui però si punta alla black comedy, e vista qualche situazione pulp, si propone uno stile da fratelli Coen, anche se spesso si sfiora L’ultimo Capodanno di Marco Risi. Ma siamo lontani da quella corrosività dirompente. Complici la presenza di Haber, che nel cult ultrasatirico del ’99 interpretava un notaio sadomaso, qui invece uno scambista guardone. La neve e la notte stringono da fuori questa decina di personaggi infidi e sconosciuti tra loro al calduccio di una magione montana. Il pensiero allora andrebbe anche a The Hateful Eight, il western pulp di Tarantino tutto neve e sangue. La riuscita di Cosa fai a Capodanno? rimane però un tantino diversa.

Sinceramente coraggiosa l’intuizione di mettere insieme così tanti ingredienti all’esordio registico assoluto per Bologna. Il ricco cast lo ripaga abbastanza bene, magari Haber appare un po’ scolastico, ma funzionale al suo personaggio altisonante che s’involerà in una scena madre tutta sua. La coppia Pastorelli/Argentero va forte. Lei raro animale da macchina da presa, talento puro che va per giunta raffinandosi; lui attore umile cresciuto con l’esperienza, e ora, superati i 40 e abbandonato il viso pulito da Postal Market riesce in ruoli sporchi, personaggi con stratificazioni (im)morali da scoprire, tutto intrecciato ad arte con una gamma espressiva in piena espansione. Buone anche le incursioni di Arianna Ninchi e Sidy Diop. Mentre un’altra nota felice sono le musiche di Pasquale Catalano più una selezione di brani editi non male.

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Quel che rimane avvolta da qualche difficoltà è la storia. Alcuni nodi risultano forzati e certe linee narrative tra personaggi faticano a ritrovarsi producendo inutili attese e piccoli squilibri nel pastiche. Come nel caso, senza troppo spoilerare, della sparizione di Scamarcio e Lodovini o nel dubbio incontro tra la Ninchi e Succio. Soffre allora anche una regia alle prime armi. Il film non è brutto, scorre tutto sommato discretamente, ma tra cast, coralità narrativa e compresenze numerose sul set, citazioni e importanti rimandi più o meno voluti più un sostanzioso e cercato intreccio dei generi, era un’opera sinceramente difficile per esordire. Bologna ne esce con qualche graffio e cerotto magari, ma nessun osso rotto. L’intrattenimento c’è e la noia se ne sta sempre a debita distanza.

Come pregi spiccano la voglia di un cinema italiano anche un pochino osé. Forse non come il marketing che recentemente ha promosso, o promesso il film, pubblicandone il red band trailer nientemeno che su PornHub. Al cinema dal 15 novembre, e al netto delle sue fragilità, Cosa fai a Capodanno? è un piccolo tassello che potrebbe rivelarsi significativo sul pubblico italiano in quanto a voglia di trasgredire dai soliti dettami buonisti o telefonati della commedia italiana più prevedibile.

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“Jeeg Robot”: il cinema di genere risorge e combatte https://www.fabriqueducinema.it/magazine/opera-prima/jeeg-robot/ https://www.fabriqueducinema.it/magazine/opera-prima/jeeg-robot/#respond Mon, 09 May 2016 14:25:28 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=3109 Il romano Gabriele Mainetti ha esordito nel lungometraggio con un film bizzarro e originale, capace di intrattenere fondendo felicemente generi e toni. E ha sorpreso un po’ tutti. In l’Italia il cinema di genere e d’intrattenimento è il più delle volte sinonimo di commedie nazional-popolari che, più o meno riuscite a seconda dei casi, sono […]

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Il romano Gabriele Mainetti ha esordito nel lungometraggio con un film bizzarro e originale, capace di intrattenere fondendo felicemente generi e toni. E ha sorpreso un po’ tutti.

In l’Italia il cinema di genere e d’intrattenimento è il più delle volte sinonimo di commedie nazional-popolari che, più o meno riuscite a seconda dei casi, sono troppo spesso molto simili tra loro. In questo contesto, dopo il fortunato caso del 2014 di Smetto quando voglio (trovate l’intervista a Sibilia nel numero 6 di Fabrique), Lo chiamavano Jeeg Robot rappresenta un altro importante elemento di discontinuità. Al suo primo lavoro dietro la macchina da presa, infatti, Gabriele Mainetti ha realizzato un film di supereroi molto sui generis ambientato in una Tor Bella Monaca dominata dalla malavita. L’operazione è coraggiosa e risulta strettamente legata alla poetica portata avanti dal regista sin dai pluripremiati cortometraggi Basette (2006) e Tiger Boy (2012) . Con Gabriele, in passato anche attore per il cinema e per la televisione, abbiamo parlato della particolarità del suo progetto, delle sue passioni cinematografiche e di molto altro ancora.

 Come nasce l’idea alla base di Lo chiamavano Jeeg Robot e qual è il legame, per alcuni aspetti molto evidente, con i tuoi lavori precedenti da regista?

La mia collaborazione con lo sceneggiatore Nicola Guaglianone va avanti da diverso tempo. Lui infatti, prima di scrivere insieme a Menotti Jeeg, si era occupato del soggetto e della sceneggiatura sia di Basette che di Tiger Boy. Entrambi siamo cresciuti con Bim Bum Bam, che è stato per noi una sorta di baby sitter, e ci piace spesso far riferimento al mondo dell’anime giapponese perché è come se ci offrisse l’opportunità di entrare di nuovo in contatto con i miti della nostra infanzia. Fin dai corti è nata così una formula che consiste nel contaminare la realtà quotidiana romana con l’immaginario e i protagonisti di alcuni anime molto noti. In Jeeg però abbiamo introdotto per la prima volta l’elemento “supereroico” (il Lupin di Basette e l’Uomo Tigre di Tiger Boy non lo erano): in questo modo abbiamo voluto proporre la nostra personale visione di un filone cinematografico con il quale gli americani negli ultimi anni ci stanno in qualche modo lobotomizzando.

Il protagonista del tuo film in effetti è molto diverso dai supereroi che siamo abituati a vedere nel cinema statunitense. In che modo se ne differenzia?

Enzo Ceccotti, oltre a essere associato a Jeeg Robot esclusivamente dalla fantasia della protagonista femminile Alessia (non a caso indosserà la maschera del supereroe, fatta a maglia, solo nel finale), non vuole aiutare gli altri perché li detesta. È un delinquente di periferia che decide di accettare le responsabilità legate ai propri poteri dopo un lungo arco di trasformazione, grazie allo svilupparsi del rapporto con lei. Stiamo quindi parlando di tutto un altro contesto rispetto a quello di celebri supereroi come Batman, Superman o Spiderman.

Uno degli elementi in assoluto più riusciti del film è l’alternanza dei toni drammatici e comici. In alcuni momenti i passaggi sono anche repentini ma, grazie all’apporto della sceneggiatura, della regia e delle interpretazioni, funzionano sempre.

In effetti quella di fondere i registri della commedia e del dramma è un’idea che ho sempre perseguito. Per raggiungere il risultato che si vede nel film è stato fondamentale il lavoro sui personaggi. Affinché tutto funzioni è molto importante che risultino veri, anche nel caso abbiano tratti marcatamente surreali o fantasiosi. All’inizio ero preoccupato dal dover trovare il giusto equilibrio tra i due toni, ma poi tutto si è risolto ancorandomi alla semplicità della storia e alla verità dei personaggi. Gli attori hanno svolto un ruolo essenziale, in particolare i tre straordinari interpreti Claudio Santamaria, Luca Marinelli e l’esordiente Ilenia Pastorelli. Abbiamo lavorato davvero tanto insieme per ottenere quello che cercavamo. Claudio è un attore incredibile, oltre che un mio grandissimo amico, e ha preso venti chili per interpretare un personaggio che gli ha pemesso di fare qualcosa di completamente diverso. Luca, più di ogni altra cosa, mi ha sorpreso per la capacità di far evolvere in continuazione il personaggio, anche sul set. Ilenia invece, pur non avendo mai recitato prima, ha dimostrato uno straordinario talento naturale sul quale poter continuare a lavorare.

In altre occasioni hai affermato di essere interessato al cinema di intrattenimento e di genere più che a quello squisitamente d’autore. Ci puoi chiarire il tuo pensiero a riguardo?

Alla base, la mia è una concezione del cinema come intrattenimento. Non ho nulla contro il cinema d’autore, anzi, ma non condivido l’atteggiamento di chi parte con l’idea di fare film d’autore. A mio avviso il vero autore, prima che qualcuno glielo faccia notare, non è neppure consapevole di esserlo. Personalmente non nutro particolari ambizioni di far riflettere lo spettatore. Quello che mi interessa è giocare con la commistione di più generi tentando di essere sensibile al contemporaneo, al mondo che ci circonda. Vedo quindi il genere come uno strumento con il quale raccontare la contemporaneità.

Qual è il cinema a cui ti senti più vicino? Le tue principali ispirazioni cinematografiche?

Da piccolo guardavo a ripetizione, insieme a mio padre, i film di Indiana Jones, 007 e quelli di Monicelli come L’armata Brancaleone, I soliti ignoti, Il marchese del Grillo e Amici miei. Poi, nel momento in cui ho iniziato a studiare storia e critica del cinema all’università, ho cominciato ad avere una conoscenza più ampia della settima arte. In più ho senz’altro una passione sfrenata per il cinema asiatico e, in particolare, per il cinema di Takashi Miike, Takeshi Kitano e Park Chan-wook. Se di Miike mi diverte molto la modalità di messa in scena della violenza e Kitano in qualche modo mi ha proprio educato al cinema, Old Boy di Park Chan-wook è forse il mio film preferito in assoluto. Amo lo sguardo proposto dal cinema asiatico, contraddistinto da una messa in scena potente ed elegante, e la capacità di questi film di essere drammatici e comici allo stesso tempo.

Hai già qualche idea sul tuo prossimo progetto?

Sicuramente voglio continuare a lavorare sulla contaminazione di diversi generi. Attualmente ho due soggetti già pronti e un soggetto in via di sviluppo. Ne ho già parlato con alcuni possibili collaboratori e co-produttori. Una volta che tornerò con i piedi per terra dopo l’incredibile accoglienza ricevuta per Jeeg, sceglierò il progetto dei tre che mi stimolerà di più, anche se dovesse trattarsi di una cosa piccola e semplice.

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Perché tu, tu sei Jeeg https://www.fabriqueducinema.it/cinema/recensioni/perche-tu-tu-sei-jeeg/ https://www.fabriqueducinema.it/cinema/recensioni/perche-tu-tu-sei-jeeg/#respond Thu, 25 Feb 2016 13:10:30 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=2766 Comincia come una puntata di “Gomorra” e finisce come “Il cavaliere oscuro”. Un connubio impossibile? No, se si ha il coraggio di osare e offrire al pubblico una storia avvincente, vecchia e nuova allo stesso tempo, capace di far dimenticare e perdonare un po’ di quella artigianalità che inevitabilmente sostituisce i budget a otto zeri […]

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Comincia come una puntata di Gomorra” e finisce come “Il cavaliere oscuro”. Un connubio impossibile? No, se si ha il coraggio di osare e offrire al pubblico una storia avvincente, vecchia e nuova allo stesso tempo, capace di far dimenticare e perdonare un po’ di quella artigianalità che inevitabilmente sostituisce i budget a otto zeri dei film di Hollywood.

Con una premessa del genere stiamo parlando ovviamente di Lo chiamavano Jeeg Robot, sorprendente opera prima di Gabriele Mainetti da oggi nelle sale, che vede Claudio Santamaria nei panni di un supereroe con tutti i crismi. Un piccolo criminale della periferia romana che entra per caso in possesso di doti sovraumane e all’inizio non sa cosa farsene, se non rapinare banche per continuare a vivere nella sua topaia. Questo almeno finché sul suo cammino non incontra Alessia (Ilenia Pastorelli), una ragazza instabile e naïve, convinta che lui sia realmente un supereroe come quello del suo cartone animato preferito, Jeeg Robot d’Acciaio, e che il suo dono possa fare del bene a tanti, a partire proprio dal suo cuore irrigidito da anni di miseria e degrado.

Su Fabrique non potevamo perdere l’occasione di parlare di un esordio così insolito, tanto che al regista abbiamo dedicato una lunga intervista in uscita sul prossimo numero di marzo. Ma una scommessa di tale portata merita qualche parola anche in occasione del suo arrivo sul grande schermo, trattandosi di un esperimento che il nostro cinema non faceva da tempo immemorabile, o almeno non in modo convincente.  Mainetti ha è riuscito infatti a rimescolare tutti i generi di cui i nostri occhi si sono nutriti negli ultimi anni, ma allo stesso tempo con la capacità di personalizzare ogni dettaglio con un’impronta nuova e profondamente radicata nella realtà.ruota

Jeeg ricorda i primi cinecomic americani, quelli più genuini, da Batman Begins allo Spiderman di Sam Raimi, e grazie a una scrittura oculata accompagna lo spettatore alla scoperta della storia del supereroe per caso Enzo Ceccotti, riesce a farci immaginare il suo pesante background senza bisogno di psicologismi e grandi spiegoni. Lo stesso vale per il personaggio di Alessia e del cattivo, perfettamente impersonato da un grande Luca Marinelli (che fosse un ottimo attore lo sapevamo da La solitudine dei numeri primi, ma qui nessun dubbio è ormai possibile): tutti i profili sono caratterizzati non solo attraverso l’esposizione del loro passato ma da piccoli particolari che ce li fanno comprendere in modo istintivo e li rendono vivi, palpabili e coinvolgenti. I DVD porno nella casa del supereroe, gli acquisti infantili, la passione per la musica nazionalpopolare trash dell’antagonista (ma dov’è che lo avevamo già visto? Ah sì… Inizia con la B…). Nonostante la lunga durata, quasi nessun elemento del film è inessenziale; appare solo poco efficace il tentativo in sottofondo di parlare di uno Stato ostaggio delle mafie e di una cittadinanza in preda al terrore, ma visto l’epoca storica forse anche questo piccolo excursus non è poi così fuori luogo.

Quando abbiamo incontrato Claudio Santamaria, in occasione della presentazione del film alla stampa, ci ha descritto il personaggio come: «Un uomo chiuso in se stesso, lontano dagli altri, che si considera una nullità, un perdente, e che vede il mondo come una massa indistinta di corpi che gli ruotano intorno, di persone tutte uguali che per lui non hanno nessun valore. Solo il personaggio di Alessia, nonostante l’immensa ferita interna che porta con sé, gli fa vedere che il mondo non è un unico blocco di persone tutte grigie, che ci sono dei colori e che tutti hanno una storia personale che vale la pena di conoscere e probabilmente anche di aiutare. Lo riapre alla vita, gli fa toccare qualcosa di intimo, di profondo, capace di fargli riscoprire la bellezza di stare con gli altri».

In poche parole un viaggio di rinascita dalla rassegnazione verso la speranza di un futuro possibile, non solo e non tanto per se stessi ma per tutto il mondo circostante. Un tema vecchio come il mondo ma sempre attuale, al centro di tanti film più “grandi” che hanno tentato di incarnare questo spirito del nostro tempo, come Kingsmen o Interstellar o appunto i Batman di Nolan. E come direbbe il buon Wayne, insomma, Jeeg Robot non è forse l’eroe che il nostro cinema si merita, ma quello di cui il nostro cinema aveva bisogno.

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