horror Archivi - Fabrique Du Cinéma https://www.fabriqueducinema.it La Rivista Del Nuovo Cinema Italiano Wed, 23 Oct 2024 14:06:02 +0000 it-IT hourly 1 Zampaglione, “The Well”: il mio cuore batte horror https://www.fabriqueducinema.it/cinema/nuove-uscite/zapaglionethe-well-il-mio-cuore-batte-horror/ https://www.fabriqueducinema.it/cinema/nuove-uscite/zapaglionethe-well-il-mio-cuore-batte-horror/#respond Tue, 03 Sep 2024 08:14:05 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=19275 È uno dei pochi in Italia a fare orgogliosamente cinema horror e qui ci spiega perché. E già che c’eravamo gli abbiamo chiesto cosa lega la sua carriera di regista a quella di musicista (Tiromancino vi dice qualcosa?). Con il suo nuovo film horror, The Well (in streaming da oggi sulle principali piattaforme), la vicenda […]

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È uno dei pochi in Italia a fare orgogliosamente cinema horror e qui ci spiega perché. E già che c’eravamo gli abbiamo chiesto cosa lega la sua carriera di regista a quella di musicista (Tiromancino vi dice qualcosa?). Con il suo nuovo film horror, The Well (in streaming da oggi sulle principali piattaforme), la vicenda di una restauratrice ingaggiata da una donna molto facoltosa per riportare alla luce un antico quadro nel suo palazzo, Federico Zampaglione affronta un viaggio inquietante e violento agli antipodi con la musica dei suoi Tiromancino. Tanto che è arrivato anche il divieto ai minori di 18 anni, una garanzia per gli appassionati del genere. Lo abbiamo incontrato per parlare del suo cinema e del contatto tra le sue due carriere. È un artista poliedrico a cui piace stupirsi e, partendo dal suo cinema, si è aperto riflettendo tanto sul suo film spietato quanto sulla sua famiglia allargata. La sua ex-compagna Claudia Gerini e sua figlia Linda Zampaglione sono state per la prima volta insieme su un set, rivelando collegamenti inediti tra l’amore per le fiabe nerissime e la musica, che in fondo riesce a legare sempre tutto.

Vieni definito un regista horror ma non hai girato film solo di quel genere. Non lo era Nero Bifamiliare, ma neanche Morrison. Sei un regista che sta facendo un suo percorso attraverso i generi.

Sì, anche se devo dirti che alla fine mi sento davvero nel mio quando faccio horror. Mi piace fare cose cupe, dark, dove posso utilizzare un altro approccio, mi danno una marcia in più perché fondamentalmente mi diverto molto di più a lavorare su questi temi.

Il tuo The Well è un horror che si rifà alla Casa delle finestre che ridono di Avati. Ma io ci ho visto anche Cabin Fever di Eli Roth e addirittura un pizzico di Ghostbusters 2 per via del quadro che viene restaurato.

Guardo tantissimi film, quindi le ispirazioni arrivano sia dal passato che dal presente. Sono uno spettatore appassionato e gran parte dei film sono cinema di genere. Devo essere sincero, non sono un grande amante dei drammi all’italiana, perché li sento lontani da me: certo, ho amato alcune commedie, ma il mio cuore batte horror. Sin da ragazzino ho seguito questo genere e sto lavorando su un mio stile sempre più personale dove dentro puoi trovare elementi che si ispirano al grande cinema dark del passato, non solo italiano. In The Well, ad esempio, ci sono elementi classici che si rifanno al gotico e componenti oscure, violente e disturbanti che fanno riferimento più a un linguaggio contemporaneo.

Senza spoilerare, penso che nel tuo film ci sia un importante riferimento all’edonismo e al narcisismo di oggi.

Certo, c’è una critica al potere, una critica al denaro a tutti i costi. Provo a sondare quanto essere così assetati di potere e ricchezza renda più mostri dei mostri. Questa è la metafora dietro il film. È il mio messaggio riguardo alla ricerca disperata di edonismo di una bellezza fine a se stessa, masturbatoria. Anche in Shadows c’era una critica, in quel caso diretta alla guerra e ai suoi orrori. In tanti momenti l’horror ha rappresentato uno specchio per la società raccontando le brutture del mondo che ci circonda. Anche a me piace usare l’horror come metafora della vita. Ma la verità è che la vita è diventata molto più horror dell’horror. I fatti di cronaca che leggiamo oggi sono talmente efferati e crudeli che se li inserissi in una sceneggiatura nessuno vorrebbe produrla.

Oramai possiamo definire Claudia Gerini la tua attrice feticcio. Al suo fianco stavolta c’è Lauren LaVera, che ricorda straordinariamente la Jessica Harper di Suspiria. E poi c’è tua figlia, per la prima volta sullo schermo.

Con Claudia c’è affiatamento perché abbiamo fatto tre film insieme. Lei conosce il genere e di conseguenza si sa muovere bene in questo contesto. Lauren invece è un’attrice americana molto talentuosa, emersa con Terrifier 2 e adesso farà anche il 3. Ha un viso particolarmente ingenuo e delicato. Sembra fatto apposta per questo genere, con quegli occhioni da cui viene fuori il terrore puro. Con mia figlia Linda avevamo fatto insieme alcuni cortometraggi in pandemia: mi ero già accorto che era molto sveglia, il cinema l’aveva nel Dna. Però il rapporto sul set è stato molto equilibrato con tutti gli attori. Con Linda mi sono comportato da regista con un’attrice. Poi dopo le riprese tornavamo a essere padre e figlia.

The WellRispetto agli altri generi, cosa ti piace di più dell’horror come strumento per raccontare storie?

È qualcosa che fa parte dell’animo umano. In tutti noi c’è la paura. Il terrore di entrare in contatto con qualcosa che ti spaventa. L’horror raccoglie emozioni forti anche lontane, nascoste, che uno si porta dietro fin da ragazzino. Così, puntando su paure recondite, angosce, profondità insondabili, anche senza troppe parole con l’horror puoi catapultare lo spettatore direttamente in quel territorio.

E qual è la tua peggiore paura, cosa ti terrorizza di più?

Ne accennavo prima. Ciò che mi terrorizza veramente è proprio la realtà. Le notizie di cronaca, la follia dilagante tra le persone, soprattutto all’interno dei nuclei familiari. Essendo padre di una ragazzina di 15 anni ovviamente mi spaventa quello che leggo tutti i giorni. A volte non ci dormo. La fantasia, i mostri, non sono niente rispetto a questo.

Tu che ci stai dentro, cosa trovi ci sia in comune tra queste due cose così diverse e distanti, la tua musica e l’horror?

Sicuramente la passione che ci metto e soprattutto la capacità di creare un’atmosfera. Credo che questa sia proprio la cosa che mi riesce meglio. Quando scrivo musica mi piace tessere un’atmosfera che fa entrare subito l’ascoltatore in un mondo. Già prima d’iniziare a cantare creo quel tipo d’atmosfera: pensa al pianoforte di Per me è importante o la partenza dei violini di Due destini. Ecco, da lì inizia un ambiente sonoro dove ti lascio entrare senza farti uscire. Il semplice ritornello da cantare non m’interessa. Lo stesso vale per il cinema. Mi piace far entrare lo spettatore, e una volta dentro si deve fare tutto il viaggio fino alla fine.

Da musicista e da regista, come si svolge il lavoro per le colonne sonore?

Spesso non le compongo io o comunque non interamente. Intanto devi trovare musicisti con i quali avere sintonia perché dovranno sviluppare le tue indicazioni. Ad esempio puoi chiedere qualcosa d’inquietante, ma con richiami all’esoterico o alla stregoneria. Immediatamente nella testa del musicista si affacciano strumenti, cori e sonorità che possono dare un suono a queste parole. Sai, per passare da un’atmosfera malinconica a una tesa basta una nota: se cambi quella nota cambia tutto. Spesso giro sul set con la musica già composta, soprattutto nelle scene senza dialoghi, e l’attore ci si accorda subito sopra come fosse uno strumento. Questo vale anche per la troupe. Tutti lavorano in maniera facilitata all’interno di un’atmosfera ben precisa perché riescono ad accordarsi insieme sulla “temperatura” che volevo raggiungere.

L’horror americano ultimamente ha preso la strada del disagio estraniante con autori come Ari Aster. Qual è invece secondo te la direzione dell’horror italiano?

Intanto bisogna dire che nel cinema italiano non si vedono molti horror. Non ne esce quasi mai nessuno. Non abbiamo vere correnti, ma sprazzi, casi isolati perché l’industria predilige il prodotto americano e internazionale. Vale anche per action, fantascienza e cartoni animati. In questo invece io mi sento molto libero da caste, salotti e premi. Se faccio horror il mio dovere è quello di spaventare, terrorizzare, scioccare, disturbare. È il dovere di un bravo regista horror.

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Cavallo di Troia, gli angoli oscuri del meta-cinema https://www.fabriqueducinema.it/focus/direct-to-digital/cavallo-di-troia-gli-angoli-oscuri-del-meta-cinema/ https://www.fabriqueducinema.it/focus/direct-to-digital/cavallo-di-troia-gli-angoli-oscuri-del-meta-cinema/#respond Wed, 06 Apr 2022 08:38:04 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=17034 Un regista cinematografico di grande carisma, confinato su una sedia a rotelle, sta effettuando dei provini: le attrici sono brave, ma lui è esigente, ruvido, impietoso. Quando si fa avanti un ragazzo con un curriculum fitto di rifiuti, lui non esita a umiliarlo davanti a tutti. Ma per il ragazzo recitare è una necessità vitale. Un’ossessione. Ed è disposto […]

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Un regista cinematografico di grande carisma, confinato su una sedia a rotelle, sta effettuando dei provini: le attrici sono brave, ma lui è esigente, ruvido, impietoso. Quando si fa avanti un ragazzo con un curriculum fitto di rifiuti, lui non esita a umiliarlo davanti a tutti. Ma per il ragazzo recitare è una necessità vitale. Un’ossessione. Ed è disposto letteralmente a tutto, pur di farcela…

Da riflessione sul cinema a trasfigurazione, in chiave quasi horror, del sogno di recitare. Giuseppe Ferlito, regista siciliano impegnato da anni nell’affrontare tematiche sociali, con il film Cavallo di Troia va ad indagare gli angoli più oscuri del meta-cinema. Siamo sul confine tra passione e ossessione, tra carisma e cattiveria, tra riscatto e vendetta.

Girato interamente in Toscana, con la partecipazione di tutti gli allievi della Scuola di Cinema Immagina, il film è ora disponibile su Amazon Prime Video e Google Play Italia, distribuito da Direct to Digital.

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Lettera H, una fiaba nera troppo vicina nel tempo https://www.fabriqueducinema.it/focus/direct-to-digital/lettera-h-una-fiaba-nera-troppo-vicina-nel-tempo/ Sat, 20 Nov 2021 13:45:12 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=16402 Seba (Marco Aceti) fa una sorpresa alla sua ragazza Patty (Giulia Todaro): rimette a lucido una Fiat 127 di seconda mano comprata ad un’asta giudiziaria. I due giovani non sanno però che quella era l’automobile che apparteneva a due delle vittime del Mostro di Firenze. A fine serata Patty e Seba salgono sulla 127 e si appartano in […]

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Seba (Marco Aceti) fa una sorpresa alla sua ragazza Patty (Giulia Todaro): rimette a lucido una Fiat 127 di seconda mano comprata ad un’asta giudiziaria. I due giovani non sanno però che quella era l’automobile che apparteneva a due delle vittime del Mostro di Firenze. A fine serata Patty e Seba salgono sulla 127 e si appartano in un bosco fuori città… L’orrore sta per iniziare.

Scena dal film "Lettera H"
Scena dal film “Lettera H”.

Una Fiat 127 non sarà mai una macchina qualunque: simbolo dell’eccellenza industriale italiana e parte della storia del nostro Paese, in Lettera H torna a intrecciarsi ad una narrazione ancora più grande. “Quella che per un toscano come il sottoscritto – spiega il regista Dario Germani – ha tutti i connotati di una fiaba nera troppo vicina nel tempo”: i delitti del Mostro di Firenze e il successivo processo ai cosiddetti “Compagni di Merende”.

Germani mette in scena un impianto narrativo disturbante e paranoico, che dalla suspense del thriller si evolve in un horror dichiarato e crudele, tanto nei risvolti psicologici quanto nella messa in scena. La violenza si manifesta in un climax di eventi inesorabili, simbolo di un cinema piccolo nei mezzi ma enorme nei risultati.

Vincitore dell’European Cinematography Awards; Best Actor and Best FX-International Film Festival; Best thriller, Best FX, Best Scenery – Cubo Cine Festival; Best Movie – Abruzzo Horror Film Festival e del Best Movie & Sanese d’Oro – Terra di Siena International Film Festival, Lettera H è disponibile su Prime Video e AppleTV, distribuito da Direct to Digital.

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A Classic Horror Story rimescola le regole del genere https://www.fabriqueducinema.it/cinema/nuove-uscite/classic-horror-story/ Tue, 20 Jul 2021 13:55:05 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=15881 Una rielaborazione del termine classico nei confini del genere horror, un’azzeccatissima scelta glocal e una riflessione su quel concetto di «spettacolarizzazione della morte» che riecheggia in maniera molto forte nella nostra vita quotidiana. A Classic Horror Story (in streaming su Netflix), diretto da Roberto De Feo e Paolo Strippoli – che con questo film hanno […]

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Una rielaborazione del termine classico nei confini del genere horror, un’azzeccatissima scelta glocal e una riflessione su quel concetto di «spettacolarizzazione della morte» che riecheggia in maniera molto forte nella nostra vita quotidiana. A Classic Horror Story (in streaming su Netflix), diretto da Roberto De Feo e Paolo Strippoli – che con questo film hanno vinto il premio per la miglior regia al Taormina film festival – guida lo spettatore nelle tortuose vie del complesso meccanismo horror, ponendolo su un piano tutto italiano e gustosamente metanarrativo.

Sud Italia, un camper, cinque persone accomunate dal desiderio di raggiungere la stessa destinazione. Purtroppo per loro, Elisa (Matilda Lutz), Fabrizio (Francesco Russo), Riccardo (Peppino Mazzotta), Mark (Will Merrick) e Sofia (Yuliia Sobol) si scontrano immediatamente con il destino; a seguito di un brutto incidente, la loro vettura rimane fuori uso e si trovano catapultati in un bosco gigantesco il cui unico rifugio è rappresentato da una piccola casa di legno.

Il lungometraggio di De Feo e Strippoli è un film visivamente ricco, i cui punti di forza risiedono nella composizione elegante e nella bella fotografia curata da Emanuele Pasquet. Boscaglie, abitazioni diroccate, culti ctonii, tutti elementi paradigmatici del genere horror classico per eccellenza che servono però come trampolino di lancio per un discorso articolato e personale.

Come ci ha raccontato il co-regista Robeo De Feo: «I riferimenti cinematografici sono stati sicuramente La casa di Sam Raimi, Non aprite quella porta e, in particolar modo per la parte finale del film, Le colline hanno gli occhi e la saga di Scream». Quello che fa la differenza in A Classic Horror Story è la capacità di legare fondamenti archetipici del genere con l’articolato processo di «creazione della tradizione» riferito, in questo caso specifico, alla leggenda di Osso, Mastrosso e Carcagnosso, padri putativi delle mafie.

Per questo motivo, se nella prima parte del film ci si sofferma maggiormente sugli elementi tradizionali, cinematografici e culturali, di una narrazione gotica/horror, la seconda è dedicata allo spettatore, facendo in modo che questo possa diventare parte integrante del plot. Il meta-dialogo è in grado di rendere il pubblico quasi «il vero vilain di tutto il film», come ricordato dallo stesso De Feo, costringendolo a riflettere e a mettere in discussione le consolidate modalità di visione e fruizione rispetto al genere horror.

Tutto questo rende quindi possibile quel gioco di scatole cinesi che conduce il concetto di classico direttamente nelle mani di chi guarda e di coloro, in special modo, che sono chiamati a “giudicare” il film. Il messaggio di A Classic Horror Story è forte e chiaro: “la morte” – intesa come incapacità di saper apprezzare qualcosa di nuovo – scorre negli occhi di chi guarda e non nel sangue versato tra le assi di una fiabesca casetta di legno in mezzo al bosco. Perciò, il film ci lascia con una speranza: che si stia aprendo una nuova era e una rinnovata consapevolezza per il genere horror di stampo italiano?

 

 

 

 

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Resurrection Corporation, l’animazione “in nero” https://www.fabriqueducinema.it/magazine/visual-effects/resurrection-corporation-lanimazione-in-nero/ https://www.fabriqueducinema.it/magazine/visual-effects/resurrection-corporation-lanimazione-in-nero/#respond Fri, 15 May 2020 07:55:26 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=13939 Omaggio al Dottor Caligari, a 100 anni dal capolavoro espressionista La lavorazione di Resurrection Corporation, film d’animazione molto sui generis, ha richiesto oltre quattro anni, partendo dalla lunga gestione del soggetto e della sceneggiatura fino al complesso lavoro di character design e animazione, realizzati con tre software differenti (grafica, lip sinc e body animation). Al […]

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Omaggio al Dottor Caligari, a 100 anni dal capolavoro espressionista

La lavorazione di Resurrection Corporation, film d’animazione molto sui generis, ha richiesto oltre quattro anni, partendo dalla lunga gestione del soggetto e della sceneggiatura fino al complesso lavoro di character design e animazione, realizzati con tre software differenti (grafica, lip sinc e body animation). Al primo passaggio di lavorazione, ne è seguito un secondo mirato a raffinare i movimenti e le luci fino alla fase di post produzione in cui sono susseguiti doppiaggio, sonoro, colonna sonora e montaggio.

Bastano pochi frame, con l’uso del bianco e nero, l’animazione spigolosa e le inquadrature statiche per capire che il film derivi i suoi elementi più caratteristici dall’espressionismo tedesco: anzi, si può dire che Resurrection Corporation sia l’omaggio a che il regista Alberto Genovese e lo sceneggiatore Mattia de Pascali hanno voluto fare alla pietra miliare di quel cinema, ovvero Il gabinetto del dottor Caligari di Robert Wiene, che proprio quest’anno compie giusto cento anni.

Umorismo macabro

La trama ha quel giusto grado di umorismo black che si addice ai modelli di riferimento: Caligari è un becchino che non ha più lavoro da quando la morte stessa è stata bandita dalla città, soppiantata da un metodo pratico di… resurrezione.

Quali sono state le vostre principali ispirazioni, a parte naturalmente Wiene?

Mattia Intanto in Resurrection Corporation c’è il mesmerismo [una specie di ipnotismo in voga nell’Ottocento, ndr]: nelle intenzioni di Alberto la tematica avrebbe dovuto essere anche più presente, comunque abbiamo attinto a La verità sul caso di Mr. Valdemar, il classico di Edgar A. Poe. Per quanto riguarda la cultura nazionale, non saprei indicare un modello di riferimento conscio. Di italico ci sono solo due o tre conoscenze in comune tra me e Alberto che abbiamo usato per immaginare alcuni personaggi del film…

Alberto: Sì, confermo che il leitmotiv che ha dato la spinta al film è il racconto di Poe; poi per il resto, quando penso a qualche prodotto italiano che mi ha ispirato, mi vengono in mente I tre volti della paura di Mario Bava e Contronatura di Antonio Margheriti; ma c’è anche tanto cinema classico, partendo appunto dal capolavoro di Wiene fino a La sposa di Frankenstein di James Whale.

Uno dei richiami stilistici più forti al dottor Caligari (oltre il nome) sono proprio le architetture della città. Il castello invece si ispira, suppongo, al Nosferatu di Murnau. Quali altri omaggi si nascondono nel film?

Mattia: Tutte le citazioni dal punto di vista grafico sono merito di Alberto, che mi parlava di espressionismo prima ancora che scrivessi una sola riga di soggetto. Nonostante il nome del protagonista, non ci siamo focalizzati unicamente sull’opera di Wiene, ma abbiamo guardato anche ai classici della Universal e ai Maghi del terrore di Roger Corman come ulteriore punto di riferimento. Se esistono altri omaggi non sono intenzionali, ma nascono spontaneamente; fatta eccezione per il nome di un personaggio, la signorina Freudstein, che è un rimando a un classico di Fulci. Comunque nulla di particolarmente cerebrale. Mi serviva un nome ed è il primo che mi è venuto in mente.

Alberto: Se si guarda attentamente, in Resurrection Corporation ho disseminato vecchi poster del cinema muto, da Nosferatu – esatto – a Vampyr di Carl Theodor Dreyer, passando anche per l’Urlo di Munch; naturalmente queste sono le citazioni più esplicite, ma c’è un immenso immaginario cinematografico nel film, anche per quanto riguarda i maestri del gotico italiano come Bava o Margheriti.

Guardando Resurrection si ha l’impressione di una commistione eterogenea di generi.

Mattia: Sicuramente era voluto che fosse un film d’animazione a tema horror con toni da commedia grottesca. Qualche altro spunto potrebbe rimandare alla fantascienza, ma non era nostra intenzione inserire quanti più generi possibili. O meglio, non ci siamo mai interrogati su questo punto, abbiamo sempre discusso della storia. È stata la narrazione a spingerci sui terreni più consoni.

Alberto: Mi è sempre piaciuto mescolare i generi, anche nelle mie prove cinematografiche precedenti come L’invasione degli astronazi che misceleva horror, fantascienza, spy story e commedia; Dolcezza extrema invece era un melting pot tra cinema di animazione (con i pupazzi di stoffa sullo stile di Meet The Feebles di Peter Jackson), horror, commedia e grottesco anni Ottanta. Credo che il cinema non possa sottostare a limiti di genere se vuole esprimere veramente qualcosa.

Qual è la cosa di cui siete più fieri riguardo alla produzione del film?

Mattia: Lavorare per anni su qualcosa di estremamente originale e vederlo finalmente completo ti rende orgoglioso. Ma con l’autocompiacimento bisogna sempre andare cauti. I motivi di fierezza è giusto che ti vengano donati da un pubblico.

Alberto: Il superamento di una sfida titanica come realizzare un film d’animazione con un budget ridottissimo è sicuramente un bel traguardo, se poi, come spero, piacerà al pubblico, allora la soddisfazione sarà decisamente raddoppiata.

Quale pensate sia il miglior modo per permettere al pubblico di vedere Resurrection Corporation? Avete già delle idee su come distribuirlo, nonostante le difficoltà di questo  periodo?

 Mattia: I nostri lavori precedenti sono stati distribuiti in DVD, blu-ray e on demand, quindi non ci aspettiamo sicuramente di fare un passo indietro. La sala cinematografica oggi è quasi un’utopia. A ogni modo, prima di metterci in contatto con i distributori è indispensabile che il film segua un suo percorso per i festival e che accumuli recensioni. Purtroppo, a causa della pandemia, sono già saltati vari eventi; motivo per cui abbiamo deciso di mostrare Resurrection Corporation alla critica prima ancora di una sua anteprima ufficiale.

Alberto: Sì, cerchiamo di creare un corposo background al film, una specie di pagella composta da recensioni e partecipazioni ai vari festival cinematografici che spero si riprenderanno presto. In questo modo potremo presentare alle società di distribuzione qualcosa di davvero appetibile.

 

 

 

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I corti più belli in visione free su Fabrique: il primo, Birthday https://www.fabriqueducinema.it/tuttiacasaconfabrique/birthday/ https://www.fabriqueducinema.it/tuttiacasaconfabrique/birthday/#respond Thu, 19 Mar 2020 09:57:01 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=13664 In esclusiva per i lettori di Fabrique la visione gratuita, per un periodo di tempo limitato, dei corti più premiati degli ultimi anni: i loro autori sono registi giovani e promettenti, e noi scommettiamo sul loro talento*.  Cominciamo con Birthday di Alberto Viavattene: il suo lavoro ha attirato l’attenzione di Paolo Sorrentino che l’ha voluto […]

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In esclusiva per i lettori di Fabrique la visione gratuita, per un periodo di tempo limitato, dei corti più premiati degli ultimi anni: i loro autori sono registi giovani e promettenti, e noi scommettiamo sul loro talento*. 

Cominciamo con Birthday di Alberto Viavattene: il suo lavoro ha attirato l’attenzione di Paolo Sorrentino che l’ha voluto sui suoi set.

Notte. Un’infermiera violenta si aggira per i corridoi di una casa di cura. Sottrae farmaci per rivenderli ai drogati e ruba ai pazienti più vulnerabili. E odia sopra ogni cosa le persone anziane. Entrando nella stanza 12, occupata da tre sorelle, scopre che una di loro ha appena compiuto cento anni: da qualche parte ci deve essere un regalo di compleanno… che cambierà la loro vita per sempre.

Alberto Viavattene è nato a Torino nel 1986. Nel 2015 gira il videoclip virale Rockin’1000 – Foo Fighters learn to fly. Il video raggiunge il record di dieci milioni di visualizzazioni su YouTube in soli due giorni, attirando media e stampa internazionali, totalizzandone poi oltre trentacinque milioni e diventando così il video più visto in Italia del 2015. Nel 2017 gira il suo ultimo cortometraggio dal titolo Birthday, con protagoniste Roxane Duran e un’incredibile Sydne Rome. Dal 2007 affianca alla carriera di regista quella nel reparto fotografia delle produzioni di Paolo Sorrentino, prendendo parte, tra gli altri, alla lavorazione de Il divo, Youth e The Young Pope.

Alberto, da dove nasce l’idea per un corto patinato e cupo insieme come Birthday?

Per me l’horror nasce dal quotidiano, non è da ricercare troppo in là: un’anziana non più capace di intendere e di volere, chiusa in una casa di riposo in balia del prossimo, è una situazione spaventosa. Poi l’Indastria Film ha coinvolto uno sceneggiatore ma io, già dopo il primo giorno di riprese, avevo capito che non sarei riuscito a seguire la sceneggiatura. Ho dovuto rielaborarla sul momento, l’ho modificata a tal punto che lo sceneggiatore ha chiesto di togliere il proprio nome dai titoli.

Sei l’incubo di ogni sceneggiatore…

Lo so [ride ndr]. È stata una situazione estrema, c’erano pochi giorni e il budget non era alto, andavano prese delle decisioni.

Come spieghi la tua predilezione per l’horror?

È un genere nel quale mi sono trovato un po’ invischiato, è stata più un’esigenza, ho capito di riuscire a ottenere una certa attenzione nei festival di genere, dove una buona idea riesce a risaltare anche se hai pochi mezzi. Girerei volentieri anche un film drammatico o un noir, l’unico che non farei è una commedia.

Birthday Anno di produzione: 2017, Durata: 15 min, Macchina fotografica: DRAGON ROSSO, Formato: 1,85: 1, Suono: Dolby Digital 5.1]

* Dopo la scadenza il corto integrale è sostituito dal trailer.

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In the Trap: un horror di respiro internazionale https://www.fabriqueducinema.it/cinema/interviste/in-the-trap-un-horror-di-respiro-internazionale/ https://www.fabriqueducinema.it/cinema/interviste/in-the-trap-un-horror-di-respiro-internazionale/#respond Wed, 04 Mar 2020 10:04:46 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=13623 In the trap, horror italiano dal respiro internazionale

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Il regista Alessio Liguori racconta In the Trap, il suo ultimo lungometraggio dal respiro internazionale girato con Dream World Movies e Mad Rocket Entertainment – factory fondata dallo stesso regista assieme a Daniele Cosci, Alessandro Risuleo e Simone Bracci (qui il Making of).

In virtù di questa prospettiva internazionale, con quale stile ti sei voluto accostare a In the Trap e a che tipo di pubblico hai pensato di rivolgerti mentre giravi?

Mi piace specificare che il progetto di In the Trap è profondamente europeo: il cast è quasi interamente di lingua inglese, la colonna sonora è stata registrata a Budapest e le riprese sono state effettuate tra Italia e Inghilterra. Per quanto riguarda il pubblico, il target è molto ampio. Abbiamo pensato di rivolgerci innanzitutto agli amanti del genere – non mancano quindi jumpscare e un’atmosfera molto tesa – ma al tempo stesso In the Trap si presenta come un horror psicologico che si muove per stratificazioni. Perciò è adatto anche a chi vuole passare solamente 90 minuti piacevoli in una sala cinematografica e avere un ruolo attivo all’interno della vicenda.

Come siete riusciti a rivisitare gli stilemi tipici di un genere come l’horror?

Abbiamo lavorato moltissimo in pre-produzione perché siamo molto esigenti. C’è stata quindi una buona preparazione già in fase di sceneggiatura nella quale abbiamo deciso di rivisitare i temi ricorrenti dell’horror secondo la nostra visione. La volontà è stata quella di avvicinarsi a un ideale di narrazione il più verosimile possibile pur facendo riferimento ai cliché del genere. Questo film è frutto di un grandissimo lavoro di gruppo in cui ognuno è riuscito a dare il massimo. Credo molto nel lavoro di squadra e ho sempre desiderato trovare – come in questo caso – le persone giuste con cui collaborare e creare qualcosa di innovativo.

In the Trap il regista Alessio Liguori
Alessio Liguori sul set

Quale è stato il vostro approccio al casting?

La fase di casting non consiste nella ricerca di un volto ma di una personalità, perché il dono più prezioso di un attore sta nel suo vissuto e nella sua esperienza di vita. Ho sempre creduto che fosse necessario costruire insieme il personaggio e farlo poi crescere all’interno del team. Alla fine di questa fase ci siamo trovati addirittura a scegliere tra due gruppi di attori così eterogenei che ci avrebbero fatto girare due film totalmente diversi.

I vostri progetti e ambizioni per il futuro?

Il nostro prossimo film si intitolerà Shortcut e speriamo che possa essere il trampolino di lancio per nuove proposte sui film di genere. Con la Mad Rocket intendiamo infatti produrre e dare spazio ad autori giovani come una vera e propria factory.

 

 

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Andrea Corsini: amo l’horror che racconta il presente https://www.fabriqueducinema.it/magazine/futures/andrea-corsini-amo-lhorror-che-racconta-il-presente/ https://www.fabriqueducinema.it/magazine/futures/andrea-corsini-amo-lhorror-che-racconta-il-presente/#respond Thu, 02 Jan 2020 15:57:29 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=13486 Il corto Ferine sta portando grande fortuna al suo autore Andrea Corsini. Dopo l’anteprima alla Mostra del Cinema di Venezia, nell’ambito della Settimana della Critica, Ferine sta girando il mondo e ha da poco vinto il premio per il Miglior Corto al Nightmares Film Festival di Columbus, Ohio. Adesso tocca a Polonia, Argentina e di […]

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Il corto Ferine sta portando grande fortuna al suo autore Andrea Corsini. Dopo l’anteprima alla Mostra del Cinema di Venezia, nell’ambito della Settimana della Critica, Ferine sta girando il mondo e ha da poco vinto il premio per il Miglior Corto al Nightmares Film Festival di Columbus, Ohio.

Adesso tocca a Polonia, Argentina e di nuovo Stati Uniti, col prestigioso New York City Horror Film Festival frequentato, in passato, da George Romero, Roger Corman e Tobe Hooper. Il bresciano Andrea Corsini, classe 1980, si gode il pubblico riconoscimento del suo lavoro e confessa che fare il regista non è sempre stato nei suoi progetti: «Mi sono avvicinato alla regia da autodidatta. Facevo l’impiegato e scrivevo di cinema per passione su un forum. A un certo punto ho deciso di visitare la Mostra di Venezia e mi sono ritrovato a fare l’aiuto regista di Virus, programma di RAI Movie. Lì ho scoperto che dietro l’obiettivo ci stavo bene, anche se prima di allora non avevo mai visto una macchina da presa». Conclusa quest’esperienza, Andrea Corsini decide di realizzare un cortometraggio a livello professionale. Il risultato è Non nel mio giardino, interpretato da Paolo Briguglia e Giorgio Carminati. «Per scriverlo ho impiegato un anno perché ho dovuto studiare il linguaggio e la tecnica. Volevo realizzare un progetto da proporre ai produttori e ho trovato dei professionisti interessati a Brescia. Sono andato a Berlino per una settimana per la post-produzione e ci sono rimasto due anni. Per me è stata la scuola più importante. Quando sono tornato in Italia, ho fondato una compagnia di produzione audiovisiva con alcuni soci. In sette anni ho trasformato un’esperienza transitoria in un lavoro».

FERINE | Shortfilm – Trailer from Andrea Corsini on Vimeo.

Sia Non nel mio giardino che Ferine gravitano nell’ambito dell’horror/thriller: il primo è un racconto distopico con una forte componente allegorica, mentre il secondo si avvicina molto di più all’horror classico. Il rapporto col cinema di genere, per Andrea Corsini, è una realtà complessa: «Non nel mio giardino è un lavoro spontaneo. L’ho scritto prima che uscisse Black Mirror. Avevo scoperto da poco Brazil e la fantascienza distopica, mi interessava raccontare quel tipo di atmosfere. Rivedendolo, il corto funziona più a livello di storia che di forma, per via dei mezzi limitati. La mia attrazione per l’horror deriva dal fatto che a casa mia gli horror erano vietati, perciò li vedevo solo a casa della nonna, in vacanza o dai cugini. Ci sono film a cui sono legato come La cosa di Carpenter, Non aprite quella porta di Tobe Hooper, Robocop di Verhoeven o Beetlejuice di Tim Burton. Non si può prescindere dagli autori che hanno fatto grande il genere, ma questi riferimenti non sono legati all’idea di cinema che vorrei fare oggi». Andrea Corsini ammette di non subire il fascino di operazioni nostalgia come la serie Stranger Things e preferisce guardare ai contemporanei che provano a dire qualcosa di nuovo: «Mi interessano autori come Ari Aster, Jordan Peele o Mike Flanagan che hanno ridato linfa vitale al genere; Carlos Reygadas va ancora oltre».

Quando si parla di modelli, lo sguardo di Andrea Corsini è rivolto al cinema internazionale, ma lui ci tiene a portare avanti la bandiera del cinema di genere italiano e analizza con sguardo lucido la situazione che si trovano di fronte i registi emergenti. Per l’autore bresciano il vero problema non è trovare storie da raccontare bensì incontrare il produttore giusto: «La prima difficoltà è farsi ascoltare. Se proponi un film di genere pensano che tu sia di serie B o low budget. Io ho lavorato bene con chi non mi ha promesso i soldi del ministero, ma a volte passano anni prima di incontrare un produttore adatto». Questa è la ragione per cui Corsini non ha ancora esordito nel lungometraggio, anche se ha una sceneggiatura pronta nel cassetto da anni: «Di solito si realizza un corto per poi fare il lungo, nel mio caso è accaduto il contrario. Ho scritto prima il lungo, da quel mondo in seguito è derivato Ferine. Entrambi ruotano attorno al tema della lotta primordiale, mi interessava confrontarmi con la figura del mostro senza giudicarlo. Volevo raccontare un personaggio che agisce con ferocia per via della situazione che vive. Gireremo in inglese, ma per ora il progetto è in fase di sviluppo perché mancano ancora i produttori. Se tutti i pezzi andranno a combaciare, sarà una coproduzione tra Italia, Francia e Canada».

Ferine è una produzione Oki Doki in coproduzione con Edi Effetti Digitali Italiani.

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