Giuseppe Battiston Archivi - Fabrique Du Cinéma https://www.fabriqueducinema.it La Rivista Del Nuovo Cinema Italiano Mon, 21 Jun 2021 17:27:47 +0000 it-IT hourly 1 “Con Le sorelle Macaluso a Venezia”, parla la produttrice Marica Stocchi https://www.fabriqueducinema.it/focus/con-le-sorelle-macaluso-a-venezia-parla-la-produttrice-marica-stocchi/ Wed, 26 Aug 2020 06:32:49 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=14277 Marica Stocchi: giovane, donna, produttrice indipendente. Nel 2018 con Giuseppe Battiston fonda Rosamont, società di produzione cinematografica nata per realizzare film di alta qualità rivolti al pubblico e al mercato nazionale e internazionale. Con Rosamont Marica Stocchi ha prodotto due film subito approdati nell’empireo dei festival: Here we are di Nir Bergman, in coproduzione con Israele, […]

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Marica Stocchi: giovane, donna, produttrice indipendente. Nel 2018 con Giuseppe Battiston fonda Rosamont, società di produzione cinematografica nata per realizzare film di alta qualità rivolti al pubblico e al mercato nazionale e internazionale. Con Rosamont Marica Stocchi ha prodotto due film subito approdati nell’empireo dei festival: Here we are di Nir Bergman, in coproduzione con Israele, tra i selezionati del Festival di Cannes 2020, e Le sorelle Macaluso di Emma Dante, in competizione alla 77a Mostra del Cinema di Venezia.

Di te si conosce ancora poco, in concorso a Venezia con un film di Emma Dante e a Cannes con un film in coproduzione con Israele: tu, Marica Stocchi, come ti definiresti?

Se dovessi scegliere una frase per descrivermi ti direi che sono una persona che ama raccontare storie. Nella mia vita ho sperimentato tanti mondi lavorativi differenti: prima in teatro, poi giornalista per “Il Messaggero”, collaboratrice per la casa editrice Minimum Fax e altre realtà editoriali, il tutto sempre con l’unico scopo di stare in mezzo alle storie.

Nel 2018 hai fondato la casa di produzione Rosamont insieme a Giuseppe Battiston. Come è nata questa collaborazione?

L’incontro è avvenuto sul set di Bookshow, il programma televisivo a cui stavo lavorando per Minimum Fax Media e che abbiamo realizzato per Sky Arte. Alcuni grandi attori italiani leggevano parti del loro libro preferito nella loro città e così ho conosciuto Giuseppe nella sua Udine. È stata fin da subito stima e simpatia reciproche. Poi, dal momento in cui ho iniziato a occuparmi di cinema, Giuseppe mi ha proposto di produrre il suo primo film da regista: «Aspetto che tu concluda il tuo primo film come produttrice, e se sopravvivi ti prometto che torno». È tornato e, quando ho deciso di fondare la mia società, lui era lì, il partner perfetto! Il nome significa “tramonto rosso”, da una poesia di Pierluigi Cappello, grande poeta friulano amico di Battiston, precocemente scomparso.

Marica Stocchi
Marica Stocchi

Le sorelle Macaluso, scritto e diretto da Emma Dante, è in concorso al Festival di Venezia. Raccontaci qualcosa del film.

Le sorelle Macaluso è tratto dall’omonimo spettacolo che Emma ha portato a teatro con grande successo. Quello con Emma è stato un altro incontro importante: lei era alla ricerca di un produttore e io sono riuscita, grazie al rapidissimo aiuto di RAI Cinema, a trovarle i necessari finanziamenti. Lavorare con lei è come stare sulle montagne russe… non ti annoi mai! Da grande regista di teatro quale è, Emma ha avuto una grande cura nel valorizzare le caratteristiche teatrali del suo cinema senza mai ridimensionarle. Durante le riprese ha vissuto non come regista dietro la camera, ma come un’anima dentro il gruppo delle sorelle. Ha sentito le loro azioni e a volte le ha modificate allontanandosi dalla sceneggiatura per adeguarsi all’energia che sentiva in quel preciso momento. Questo tipo di improvvisazione ha regalato al film uno dei suoi punti di forza, poiché permette allo spettatore di entrare in quello stesso gruppo, con quella stessa intensità. La vicenda narrata nel film è quella delle cinque sorelle Macaluso, che vivono nella periferia di Palermo, descritte in tre diversi momenti della loro vita: da bambine, in età adulta e infine da anziane. Alle cinque sorelle si è anche aggiunto un sesto personaggio: l’appartamento. La casa nella periferia di Palermo partecipa infatti attivamente a tutti gli sconvolgimenti della vita familiare, mutando insieme alle sorelle. Il film uscirà il 10 settembre distribuito da Teodora e invito vivamente il pubblico ad andare a vederlo al cinema, perché ritengo che la sala sia il luogo giusto dove vivere quest’esperienza.

Here we are di Nir Bergman, coproduzione israeliana, selezionato al festival di Cannes 2020. Una collaborazione internazionale importante.

Here we are racconta il rapporto tra un padre e un figlio con una disabilità che lo rende incapace di interagire con il mondo, in modo puro e vero, mai drammatico o triste. Credo questa sia in assoluto la cosa più straordinaria del film: nonostante il tema sia molto delicato, si prova malinconia, ma non tristezza. E sono orgogliosa di dire che questa è la prima coproduzione ufficiale tra Italia e Israele.

Progetti in cantiere?

Stiamo lavorando al primo film da regista di Giuseppe Battiston, scritto insieme a Marco Pettenello, che si trova già in uno stato relativamente avanzato. Le riprese erano previste per lo scorso maggio, ma a causa dell’emergenza Covid abbiamo rimandato al prossimo anno. È un film completamente diverso dai due precedenti, è una commedia che si avvicina un po’ al cinema di Mazzacurati, il più grande maestro di Giuseppe. Il cast è davvero straordinario e questa è una delle caratteristiche di Giuseppe regista: non lesinare sulla ricerca degli attori, anche la parte più piccola del film è affidata infatti a un bravissimo interprete. Due, questo il titolo, è una coproduzione internazionale con la Slovenia: tengo molto a costruire collaborazioni internazionali perché credo che lavorare con altri paesi sia un importante gemellaggio artistico e creativo, grazie al quale si incontrano tradizioni e culture diverse.

Fabrique è un giornale letto soprattutto dai giovani che amano il cinema e stanno muovendo i primi passi in questo mondo. Che consigli daresti loro, in base alla tua storia professionale?

Il primo consiglio che ci tengo a dare è quello di non mollare mai, perché quando si ha la fortuna di sapere ciò che si vuole si deve perseguire l’obiettivo con forza. Contemporaneamente a ciò credo sia fondamentale essere, passami il termine un po’ abusato, estremamente “liquidi”. È indispensabile possedere la capacità di ascoltare quello che il mondo ti propone e di adattarsi a situazioni diverse, perché sono tutte esperienze che alla fine ti migliorano e ti insegnano qualcosa di nuovo. Non ritengo esista un unico percorso da seguire o regole fisse da rispettare, perché l’unico percorso che ha senso è il tuo, ti costruisce mentre tu costruisci lui.

Se dopo di me potessi prendere un caffè con una persona per te importante, con chi lo prenderesti?

Non si può fare questa domanda a una mamma che lavora tante ore al giorno come me, perché ovviamente ti dice il proprio figlio! Il mio ha appena compiuto 12 anni e mi sorprende tutti i giorni, cambia continuamente e questo mi diverte e mi incuriosisce. In questi ultimi due anni così intensi ha accettato con pazienza i miei tempi, le mie mancanze, i miei entusiasmi e le mie incertezze: gli sono davvero grata.

 

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“L’ordine delle cose” di Andrea Segre https://www.fabriqueducinema.it/festival/italia/lordine-delle-cose-andrea-segre/ https://www.fabriqueducinema.it/festival/italia/lordine-delle-cose-andrea-segre/#respond Fri, 01 Sep 2017 12:20:01 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=9161 A pochi giorni dall’uscita in sala, Andrea Segre torna alla Mostra del Cinema di Venezia per presentare – con una “proiezione speciale” – il suo terzo lungometraggio a soggetto. L’ordine delle cose, coproduzione italo-francese. Un film che racconta nitidamente, con stile asciutto, la crisi di coscienza di Corrado Rinaldi, alto funzionario di polizia incaricato dal […]

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A pochi giorni dall’uscita in sala, Andrea Segre torna alla Mostra del Cinema di Venezia per presentare – con una “proiezione speciale” – il suo terzo lungometraggio a soggetto. L’ordine delle cose, coproduzione italo-francese. Un film che racconta nitidamente, con stile asciutto, la crisi di coscienza di Corrado Rinaldi, alto funzionario di polizia incaricato dal Ministero degli Interni italiano di una delicata missione in Libia: sanati e risolti i conflitti tra potentati tribali locali, ci si aspetta che Rinaldi ottenga alla causa del Governo italiano la completa collaborazione dei libici nel contenimento e nella  repressione delle partenze dei migranti dalle coste africane.

“Le vicende sono immaginarie ma è vero il contesto sociale che le produce”: tre anni fa, quando Segre mise mano al progetto iniziando – da sociologo – le ricerche e gli incontri con i veri funzionari impegnati sul fronte dei nuovi flussi migratori, l’orizzonte degli eventi era ancora meno chiaro di quanto non lo sia oggi. Più chiare ne erano forse le possibili evoluzioni, divenute ormai fatti di cronaca.

Scelto un materiale tanto rischioso, intricato e incandescente, Andrea Segre sembra trovare soluzioni nuove e diverse rispetto al passato. Sparita quasi del tutto l’eco lontana del documentario, l’apertura e l’incertezza, l’indeterminazione di un fronteggiamento diretto della realtà, subentra ora una più forte macchina narrativa che serve da innesco all’illuminazione di un discorso politico. La linearità meccanica, schematica, quasi pallida nel suo elementare e inesorabile meccanismo, ricorda il cinema italiano d’impegno civile degli anni Ottanta. D’altra parte il ritmo della narrazione, il colore della recitazione – bravi e giusti Pierobon e Battiston -, la semplificazione del mondo ad opera di un racconto senza pori, senza strappi, senza fessure, sembrano riecheggiare di lontano i film statunitensi sulla politica internazionale dei primi anni Duemila.

Il ricorso al cliché e alla sintesi, la ridottissima gamma cromatica di una fotografia desertificata, i pochi gesti ripetuti, le poche parole, selezionate e pronunciate come in un pezzo di teatro dell’assurdo, sono il palinsesto che Andrea Segre costruisce per esporre, disarticolata e riordinata, la spiegazione di una complessa congiuntura politica. La scrittura lacunosa – che semina dettagli e indizi dimenticando poi di orientarne l’accumulo – e la regia compilatoria – che sembra cercare sempre l’immagine più chiara e più utile per la composizione di un pamphlet – non bastano a disinnescare del tutto la necessità di un film come questo, che tenta di nominare l’innominabile, rappresentando l’irrappresentabile.

Un film che pur rintanandosi nella dinamica della denuncia, e risolvendo la sua parabola etica nell’arco breve di una crisi di coscienza stroncata sul nascere, si prende la responsabilità e i rischi di brutalizzare i fatti pur di poter prendere parola e dire qualcosa. Qualcosa di semplice, qualcosa di giusto.

 

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Festival di Cannes 2017: “Dopo la guerra” https://www.fabriqueducinema.it/festival/dal-mondo-festival/festival-cannes-2017-la-guerra/ https://www.fabriqueducinema.it/festival/dal-mondo-festival/festival-cannes-2017-la-guerra/#respond Wed, 24 May 2017 13:52:54 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=8594 Qui al Festival l’attesa per Dopo la guerra, opera prima di Annarita Zambrano in concorso a Un Certain Regard, era molta e la lunghissima fila di spettatori fuori della sala Debussy per la prima proiezione del film l’ha ampiamente confermato. In molti, come chi scrive, non sono riusciti a entrare e si sono così dovuti […]

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Qui al Festival l’attesa per Dopo la guerra, opera prima di Annarita Zambrano in concorso a Un Certain Regard, era molta e la lunghissima fila di spettatori fuori della sala Debussy per la prima proiezione del film l’ha ampiamente confermato. In molti, come chi scrive, non sono riusciti a entrare e si sono così dovuti accontentare di vedere Dopo la guerra alla proiezione serale.

fotogramma dal film Dopo la guerra di Annarita Zambrano

La forte curiosità intorno all’esordio nel lungometraggio di finzione della 45enne Annarita Zambrano era dovuta a tre fattori in particolare: da una parte si tratta di una coproduzione franco-italiana a prevalenza francese; in secondo luogo la cineasta, romana che vive e lavora ormai da vent’anni a Parigi, viene da una serie di apprezzati cortometraggi presentati nei festival più prestigiosi del mondo, come lo stesso Cannes (Ophelia fu in gara per la Palma d’Oro nel 2013, Tre ore alla Quinzane des Réalisateurs), Venezia (À la lune montante) e Berlino (Andante mezzo forte); infine, Dopo la guerra affronta il delicato tema del terrorismo rosso e il rapporto fra Italia e Francia tra i primi anni Ottanta e i primi Duemila in materia di estradizione e diritto d’asilo.

Dopo aver fatto parte insieme al deceduto fratello di un gruppo terroristico italiano ed essere stato condannato all’ergastolo per l’uccisione di un magistrato, Marco Lamberti (Giuseppe Battiston) si è costruito una nuova vita in Francia, dove per vent’anni ha usufruito del diritto d’asilo garantito a partire dal 1982 dalla dottrina Mitterand. Qui ha avuto una figlia, la 16enne Viola (Charlotte Cétaire), che sa ben poco del drammatico passato del padre. Tutto cambia radicalmente quando nel 2002, in seguito alla decisione del Presidente francese Raffarin di abrogare la dottrina Mitterrand, un insegnante universitario viene assassinato a Bologna. L’ipotesi del governo italiano è che Marco sia la mente dell’attentato e così padre e figlia si trovano all’improvviso costretti a fuggire.

fotogramma dal film Dopo la guerra di Annarita Zambrano

Ambientato tra la Francia e l’Italia, Dopo la guerra si concentra non solo sulla fuga di Marco e Viola ma anche su come le passate attività terroristiche dell’uomo si ripercuotano ancora drammaticamente, a distanza di oltre vent’anni, sulla famiglia italiana: la madre Teresa (Elisabetta Piccolomini), la sorella Anna (Barbora Bobulova), il marito di quest’ultima Riccardo (Fabrizio Ferracane) e la loro figlioletta. Annarita Zambrano evita abilmente di prendere banali posizioni ideologiche e focalizza la propria attenzione sulle sofferenze e il travaglio esistenziale dei vari personaggi. La sceneggiatura, scritta a quattro mani dalla stessa regista insieme a Delphine Agut, colpisce per la solidità e sul piano drammaturgico alterna in maniera particolarmente efficace le vicende francesi e quelle italiane. In questo contesto, i percorsi emotivi dei protagonisti vengono raccontati con delicatezza, senza mai calcare la mano, optando per un approccio asciutto ed essenziale che allontana qualsiasi tipo di enfasi.

fotogramma dal film Dopo la guerra di Annarita Zambrano

Nonostante qualche piccola sbavatura registica iniziale (i primi minuti ambientati all’università e nella palestra in cui Viola gioca a pallavolo non convincono appieno), Dopo la guerra rivela il talento di Annarita Zambrano non solo come sceneggiatrice ma anche dietro la macchina da presa. Affascinanti sono ad esempio alcuni primi piani dedicati a Viola, in primis quello abbinato a un carrello laterale che la ritrae mentre va in bicicletta in uno dei momenti più intensi del film. Accolto da un lungo applauso al termine della proiezione ufficiale, Dopo la guerra uscirà in Italia in autunno e noi di Fabrique vi consigliamo fin d’ora di andarlo a vedere.

 

 

 

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“Perfetti sconosciuti”: metti, una sera a cena https://www.fabriqueducinema.it/cinema/recensioni/perfetti-sconosciuti-metti-una-sera-a-cena/ https://www.fabriqueducinema.it/cinema/recensioni/perfetti-sconosciuti-metti-una-sera-a-cena/#respond Tue, 16 Feb 2016 08:33:29 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=2700 I film ambientati in una sola location sono perfetti per tirar fuori dai personaggi le sfumature caratteriali meno prevedibili. Sono sufficienti una cena e un gruppo di personalità differenti e ben definite che nel lasso di tempo limitato di una serata entrano in conflitto a causa dello spazio ristretto in cui si trovano e di […]

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I film ambientati in una sola location sono perfetti per tirar fuori dai personaggi le sfumature caratteriali meno prevedibili. Sono sufficienti una cena e un gruppo di personalità differenti e ben definite che nel lasso di tempo limitato di una serata entrano in conflitto a causa dello spazio ristretto in cui si trovano e di un pretesto come, in questo caso, un gioco basato sulla sincerità: tutti decidono di mostrare, infatti, da un certo momento in poi, il contenuto dei propri telefoni cellulari. Chiamate, messaggi, email. Quel che è privato viene svelato. Non ci sono più segreti, e il film così ci mostra senza freni e senza timidezza per la sua intera durata ogni possibile conseguenza derivante dalla sospensione della sfera privata.

La forza di Perfetti sconosciuti di Paolo Genovese sta nell’utilizzare al meglio il potere del cinema di rendere parlato il pensiero per mezzo di una sceneggiatura che non si vergogna di scavare a fondo. La nascita di vari equivoci provoca difatti reazioni che mostrano i lati oscuri dei caratteri, la polvere celata sotto il tappeto della coscienza. Una volta frantumato l’involucro del comune buon senso, l’immondizia accantonata è pronta a incendiarsi attraverso dialoghi feroci e intelligentemente scritti, pronunciati da attori a loro agio proprio perché liberi di incattivirsi laddove necessario. È la scrittura, ancor prima della regia, che quindi aiuta un cast ben assortito come questo (con le vette raggiunte dal trio Giallini – Mastandrea – Battiston) a scaldarsi e dominare la scena.


Nel frattempo, fuori dalla casa in cui i commensali litigano, è in corso un’eclissi lunare, metafora di una minaccia incombente così come il passaggio di una cometa lo era nell’indipendente Coherence (altro caso di film su una cena che prende una piega imprevedibile), o l’imminente impatto del pianeta Melancholia nell’omonima e più nota opera di Von Trier. Sembra che certi film ambientati soprattutto in interni, nel momento in cui si aprono all’esterno, abbiano bisogno di guardare a qualcosa di incredibilmente distante eppure angosciante come l’universo per raffigurare paure inconsce. E nel nostro caso il lato oscuro della luna sta a rappresentare il più grande terrore, il più grande tabù, che è quasi sempre lo stesso nel cinema e nell’arte in generale: il tradimento. La paura che il vincolo dell’esclusività possa rompersi, per via di quel delitto che risiede nel desiderare qualcun altro al di fuori del sistema-coppia.

Quest’angoscia la avvertiamo anche noi spettatori, che ci riconosciamo nei brevi e intensi scambi di sguardi tra i protagonisti, colti dai numerosi cambi di inquadratura con cui Genovese interviene registicamente, anche se è pur vero che qualche stacco in meno ci avrebbe fatto godere maggiormente della contemporaneità delle risposte emotive di ciascun personaggio. Il regista tuttavia preferisce la sottolineatura, con singoli (primi) piani d’ascolto che per fortuna non sfociano mai nella didascalia.
Anche la musica ha il compito di sottilineare, ma se fosse stata completamente assente non ne avremmo sentito più di tanto la mancanza, così come non ne sentiamo in altri film di “tavolate” come Il fascino discreto della borghesia, per citare un esempio eccellente.

Va detto però che c’è il preciso intento da parte di Genovese di movimentare dall’interno l’impostazione teatrale della narrazione mediante gli strumenti resi disponibili dal cinema come, oltre al commento musicale e al montaggio, alcune lievissime ma frequenti carrellate presenti in situazioni in cui non sarebbe stato un problema lasciare la macchina da presa fissa su un treppiedi. Al di là di questo, in ogni modo, il risultato è efficace, pungente e l’amaro che lascia in bocca ci ricorda quello assaggiato su vecchie terrazze scoliane.

E chissà se è un caso che il film si chiuda con la visione di un palazzo in Piazzale delle Belle Arti che appariva proprio in quel film del 1980, che portava via con sé tutta la vecchia commedia all’italiana, la quale però a quanto pare continua a pulsare, pronta a esplodere con buoni risultati come è successo stavolta, nel cuore di ogni italiano, di ogni perfetto sconosciuto.

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