Giovanni Storti Archivi - Fabrique Du Cinéma https://www.fabriqueducinema.it La Rivista Del Nuovo Cinema Italiano Tue, 06 Sep 2022 13:09:40 +0000 it-IT hourly 1 Le voci sole: Giovanni Storti operaio in Polonia diventa una star dei social https://www.fabriqueducinema.it/magazine/opera-prima/le-voci-sole-giovanni-storti-operaio-in-polonia-diventa-una-star-dei-social/ https://www.fabriqueducinema.it/magazine/opera-prima/le-voci-sole-giovanni-storti-operaio-in-polonia-diventa-una-star-dei-social/#respond Wed, 13 Jul 2022 08:50:16 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=17351 Dopo tre cortometraggi i registi Andrea Brusa e Marco Scotuzzi escono al cinema con la loro opera prima, Le voci sole: il protagonista è Giovanni Storti del Trio Aldo, Giovanni e Giacomo, «una delle persone più belle che abbiano mai calpestato questo pianeta». Uniti da un sodalizio nato ai tempi dell’università, Andrea Brusa a firmare […]

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Dopo tre cortometraggi i registi Andrea Brusa e Marco Scotuzzi escono al cinema con la loro opera prima, Le voci sole: il protagonista è Giovanni Storti del Trio Aldo, Giovanni e Giacomo, «una delle persone più belle che abbiano mai calpestato questo pianeta».

Uniti da un sodalizio nato ai tempi dell’università, Andrea Brusa a firmare la sceneggiatura e poi la regia con Marco Scotuzzi, i due cineasti milanesi affidano a Giovanni Storti il suo primo ruolo drammatico, affiancato da Davide Calgaro e Alessandra Faiella. Giovanni è un operaio gruista delocalizzato in Polonia, dove inizia una vita di videochiamate alla famiglia che sfoceranno per caso in una fama social destinata a mettere alla prova la famigliola. Abbiamo parlato a tutto tondo con questi due artisti che si completano a vicenda e con Le voci sole hanno già vinto il Gran Premio della Giuria al Festival di Seattle.

Dopo tre cortometraggi insieme siete arrivati all’opera prima. Com’è nata la vostra collaborazione?

Marco Scotuzzi Ci siamo conosciuti allo IULM quindici anni fa durante un corso di filmologia di Gianni Canova. Poi in un viaggio a Berlino organizzato dall’università io e Andrea ci siamo conosciuti meglio realizzando i cosiddetti corti universitari. Quelli orribili che non faremo mai vedere a nessuno.

Andrea Brusa Poi lui è andato in Brasile per due anni, io alla UCLA a studiare sceneggiatura, così nel 2013 ci siamo ritrovati per iniziare a girare davvero qualcosa insieme.

Le voci sole parla di temi attuali in maniera sobria e pacata.

M.S. La scelta del cast è stata fondamentale, perché nonostante il passato da comici e la formazione teatrale dei nostri tre attori volevamo che non fossero sopra le righe. Io e Andrea non siamo per le scene troppo esasperate e per i colori troppo forti. Forse viene da qui la nostra pacatezza. Allo stesso tempo siamo molto affascinati da quel che chiamiamo “le discese agli inferi”.

A.B. Per noi accadono quando persone normali scivolano in situazioni molto più grandi di loro che li portano a fare i conti con se stessi, a non riconoscersi più e a doversi reinventare da zero per trovare una via di fuga salvifica.

Le voci sole
Alessandra Faiella e Davide Calgaro in “Le voci sole”.

Per voi i social sono gli inferi o c’è una salvezza?

A.B. Originariamente in questa storia non c’era molto sui social media. Noi raccontiamo sempre di personaggi intrappolati in situazioni paradossali, grottesche, kafkiane. In Magic Alps parlavamo del primo migrante arrivato in Italia con un animale, una capra, mentre l’ufficiale di turno doveva gestirne la pratica complessa di asilo politico. Ma anche in Respiro e Il muro bianco ritorna questa struttura narrativa. Nelle Voci l’idea era guardare a personaggi persi in un mondo grottesco e sempre più surreale, la caduta negli inferi che dicevamo. Ma nel cuore della storia raccontiamo due forme diverse di alienazione e solitudine.

M.S. Pensiamo al bellissimo titolo scelto da Andrea. Se inizialmente nel film sembra suggerisca un altro modo di chiamare gli haters, in realtà l’interrogativo che viene fuori dal film è: “Non è che le voci sole siamo noi?”. Insomma, potremmo esserlo tutti. In questo modo ci mette in guardia dalla trappola in cui ognuno di noi, in certe circostanze, può cadere. Quindi è meglio mantenere alta l’attenzione.

Il tema forte del vostro film però è il lavoro delocalizzato.

A.B. Assolutamente sì, perché volevamo raccontare la storia di una famiglia di fatto smembrata. I personaggi non sono mai tutti e tre in compresenza fisica. Era questo l’espediente per vedere come questa famiglia avrebbe mantenuto l’unità anche a distanza. Così la strategia per rimanere legati diviene anche la trappola che li fa precipitare. Inserirci il Covid invece è stata una scelta più legata a problemi produttivi e di rinvio della lavorazione che pura necessità narrativa.

M.S. L’alienazione vissuta da Giovanni in fabbrica lo porta a divenire estraneo da se stesso, seguendo più i ritmi delle macchine che quelli umani. Allo stesso modo, Rita pensa di governare i suoi follower ma poi ne cade in balìa, vivendo in funzione di ciò che il web le chiede di fare. C’è un parallelismo interessante tra fabbrica e web nel meccanismo che fa muovere una persona come un burattino.

A.B. In questo senso è un film sul potere.

Giovanni Storti è anche il poliziotto del corto Magic Alps: ma cosa avete scoperto di lui facendolo passare dal comico al drammatico nel suo habitat, il lungometraggio?

M.S. Per lui è tutto molto inconsapevole, d’istinto. Spesso ce lo ripeteva. Giovanni, fidandosi, provava a realizzare al meglio le nostre richieste. Noi eravamo già da tempo innamorati del suo volto, perché è così austero che abbiamo sempre pensato alla sua potenzialità drammatica. Già in alcuni film del trio veniva fuori questa vena. Perché non esplorarla ancora di più?

A.B. Giovanni è un ventiduenne! Fa maratone in tutto il mondo, è una forza della natura. Ma ha una voglia di sperimentare e divertirsi, di provare cose diverse, che lo rende coraggioso e libero. Non ha alcuna paura a prendersi rischi, non ha sovrastrutture, pregiudizi o preconcetti. Si butta con entusiasmo ed è anche una delle persone più belle che abbiano mai calpestato questo pianeta. Lavorare con lui è un sogno.

Le voci sole
Andrea Brusa e Marco Scotuzzi.

Da dove viene l’idea di usare immagini e suoni industriali come una sorta di onomatopea delle emozioni dei vostri personaggi?

M.S. Avevamo proprio questo intento. Era un meccanismo rischioso trattare in maniera così fredda e oggettiva la fabbrica con inquadrature fisse, ferme e lunghissime, quasi alienanti; e in maniera diametralmente opposta le videochiamate: camera a mano dove senti quasi il respiro dell’operatore, dove percepisci ancora di più le tensioni tra Giovanni e Rita. Ma ci ha convinto sin dall’inizio. Anche il percorso della camera dentro la fabbrica da esterno giorno fino alla bocca del forno, di notte, ci sembrava rappresentasse la discesa agli inferi di Rita e Giovanni.

A.B. Volevamo quasi piazzare il pubblico a metà strada tra Italia e Polonia. Nella fabbrica c’è più il punto di vista di Rita che immagina il mondo intorno a Giovanni, però senza vedere lui. Ci piacerebbe dire che la fonderia si trova davvero in Polonia, ma abbiamo girato in provincia di Pavia, lì abbiamo trovato moltissima disponibilità dell’azienda che ci ha ospitati per girare le scene industriali, fondamentali. E il merito è del nostro produttore Andrea Italia.

Ha pure un che di chapliniano l’alienazione della vostra fonderia. Forse l’ingrediente che vi ha fatto conquistare il Festival di Seattle?

A.B. Sì, in un festival molto attento alle nuove voci del panorama internazionale, col nostro piccolo film pensavamo di passare sottotraccia. C’erano tanti altri film in concorso, una giuria americana, e invece abbiamo vinto nonostante i dialoghi difficili da sottotitolare.

M.S. E poi ridevano come pazzi, avendo colto che gli attori sono tre comici. Li faceva molto ridere che un italiano mangiasse la pizza col ketchup. E ci hanno visto anche Chaplin, infatti hanno definito il film un “cautionary tale sui tempi moderni” e sull’attualità che ci circonda.

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Il Collettivo Asterisco e la mucca più famosa di Instagram https://www.fabriqueducinema.it/magazine/futures/collettivo-asterisco/ Tue, 27 Apr 2021 08:16:00 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=15480 Paolo Bonfadini, Irene Cotroneo e Davide Morando sono tre giovani sognatori che hanno unito le forze per farsi spazio ai margini dei due poli istituzionali del cinema e della TV. Facendosi strada nella periferia del cinema italiano, hanno dato il via a un’attività itinerante e dinamica che si è poi concretizzata nel Collettivo Asterisco: una […]

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Paolo Bonfadini, Irene Cotroneo e Davide Morando sono tre giovani sognatori che hanno unito le forze per farsi spazio ai margini dei due poli istituzionali del cinema e della TV. Facendosi strada nella periferia del cinema italiano, hanno dato il via a un’attività itinerante e dinamica che si è poi concretizzata nel Collettivo Asterisco: una realtà giovane e fluida che ha permesso al trio di lavorare a videoclip, commercial, documentari e il mockumentary Gea – L’ultima mucca. Con equilibrio e lavoro di squadra, il collettivo è riuscito a restituire al giovane cinema indipendente una promessa di sincera leggerezza.

Come nasce Collettivo Asterisco?

Paolo Bonfadini: L’idea del collettivo è nata durante il primo lockdown, io e Davide scrivevamo già insieme da tempo e con Irene ho lavorato costantemente durante il triennio alla Scuola di Cinema Luchino Visconti. Abbiamo deciso di creare qualcosa che ci desse un’identità unica per lavorare ai progetti che avevamo in mente ed è nato Asterisco. Diciamo che è stato il naturale sviluppo della nostra collaborazione come trio, siamo abituati a condividere sempre idee e progetti nuovi e con l’esperienza abbiamo trovato la giusta alchimia.

Tutti e tre ricoprite vari ruoli, come è organizzato il vostro lavoro?

Paolo Bonfadini: Mi occupo principalmente di regia e di scrittura, il mio percorso è molto legato alla narrazione, ma sono anche musicista. Il nostro approccio è fluido, forse anche per questo ci troviamo a nostro agio con la forma del collettivo, cerchiamo di metterci sempre a disposizione l’uno dell’altra. Il nostro ultimo cortometraggio – Gea – ci rappresenta molto in questo senso: è diretto, sincero, colorato. Cerchiamo di trasmettere al pubblico lo stesso entusiasmo un po’ avventuroso con cui ci accostiamo al lavoro e quando ci riusciamo andiamo a letto felici. Tranne Davide, lui resta sveglio a montare.

Davide Morando: La struttura del collettivo Asterisco è molto chiara per noi: tutti possono dire la propria opinione e l’idea migliore vince sempre. Cerchiamo di lavorare con quest’ottica mantenendo ordine e precisione. Io mi occupo di regia e montaggio, ho iniziato come montatore diversi anni fa e questo mi dà un vantaggio anche nel lavoro di regista perché riesco ad avere una visione molto chiara del film, il che aiuta a ottimizzare i tempi.

Irene Cotroneo: Io seguo la parte di produzione ma ricopro soprattutto il ruolo di aiuto regia. Il cinema per me è stata una svolta, mi ha fatto capire cosa voglio davvero fare nella vita. Ho iniziato con piccoli set pubblicitari per poi lavorare su grandi produzioni televisive, cosa che mi ha aiutata ad adattarmi a progetti molto diversi tra loro. Per Gea mi sono ritrovata nell’insolita veste di regista insieme a Davide e Paolo. Non è facile dirigere un film con tre teste che hanno idee diverse, ma siamo riusciti a trovare il nostro equilibrio. C’è di buono proprio il fatto che siamo in tre: se c’è qualche dubbio, vince la maggioranza!

Siete riusciti a ritagliarvi uno spazio creativo atipico, puntando sulla varietà delle vostre competenze e su una certa mobilità.

Davide Morando: Tra di noi scherziamo spesso sul fatto che “viviamo in autostrada”. Siamo sempre in viaggio. In un certo senso ci consideriamo un collettivo itinerante, ci piace scoprire sempre nuovi luoghi dove poter girare. Abbiamo sviluppato molte competenze diverse perché siamo accomunati dalla curiosità, ci piace studiare, se c’è qualcosa che non sappiamo fare ci sbattiamo la testa fino a che non abbiamo imparato a padroneggiarla. Però quello che ci guida in ogni nostro lavoro è l’amore per le storie.

In Gea scompaiono 300 mucche a Serravalle Langhe, tutte tranne una: appunto Gea. Quando la sua pagina Instagram diventa più popolare di quella di Barack Obama, il suo staff organizza una visita ufficiale affinché l’ex presidente – noto amante delle mucche – possa conoscere Gea. Da dove nasce questa idea?

Paolo Bonfadini: Il film è nato durante la partecipazione a un festival estivo dedicato al mockumentary: a fine agosto 2020 siamo arrivati a Serravalle Langhe e in una settimana abbiamo ideato, scritto, girato e montato il cortometraggio. È stata una settimana frenetica e bellissima, una sfida da ogni punto di vista. Gea è un film indipendente nel vero senso della parola, totalmente libero. L’idea è nata dai nostri feed di Instagram: sembra assurdo ma i social sono pieni di profili dedicati ad animali con migliaia di follower. Il film ha un tono favolistico ma, allo stesso tempo, ci interessava raccontare il paese e le persone che abbiamo incontrato nel modo più genuino e sincero possibile. Quindi in fin dei conti è tutto vero tranne Gea.

Vi siete dunque ritrovati a lavorare con persone che non avevano mai recitato prima.

Irene Cotroneo: Sì, l’intero cast del film è composto da abitanti del paese senza alcuna esperienza nella recitazione, si sono trovati a dover raccontare in modo convincente una versione surreale della loro realtà quotidiana. Ci hanno sorpreso positivamente e a molti spettatori è rimasto il dubbio che la storia fosse in gran parte vera.

Come avete trovato Edo, il protagonista del cortometraggio?

Davide Morando: Non dimenticherò mai la prima volta che abbiamo incontrato Edo. Stavamo girovagando per il paese per delle ricerche, abbiamo visto un uomo dall’altra parte della strada, stava tagliando l’erba a torso nudo con dei jeans sgualciti, l’immancabile panama in testa e degli occhiali che gli coprivano tutta la faccia. Ci ha sorriso ed è stato un colpo di fulmine. Abbiamo passato giornate ad ascoltare le sue storie e quell’energia è diventata il cardine del nostro film.

A cosa state lavorando adesso?

Davide Morando: Ve lo sveliamo in anteprima, stiamo preparando il lungometraggio di Gea. Inoltre, stiamo progettando un lungometraggio di genere thriller/mistery intitolato Gotland. La storia ruota attorno al mistero di un labirinto ed è ispirata ad un luogo realmente esistente: il Labirinto della Masone di Fontanellato. Stiamo lavorando alla storia con l’aiuto di Paolo Borraccetti e il supporto di Officine – Fare Cinema e siamo in cerca di un produttore. Gea e Gotland sono due film agli antipodi, sia per genere che per necessità produttive, ma quello che li accomuna è la voglia di far sentire la nostra voce nel panorama del cinema di genere italiano. Nessuna pressione, insomma.

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