Gianni Amelio Archivi - Fabrique Du Cinéma https://www.fabriqueducinema.it La Rivista Del Nuovo Cinema Italiano Wed, 14 Sep 2022 15:28:27 +0000 it-IT hourly 1 Il signore delle formiche, emozionante atto d’accusa contro il conformismo https://www.fabriqueducinema.it/cinema/nuove-uscite/il-signore-delle-formiche-emozionante-atto-daccusa-contro-il-conformismo/ https://www.fabriqueducinema.it/cinema/nuove-uscite/il-signore-delle-formiche-emozionante-atto-daccusa-contro-il-conformismo/#respond Wed, 07 Sep 2022 09:08:54 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=17595 Il ritorno di Gianni Amelio a Venezia è un film emozionante, potentissimo, attraversato da una rabbia sotterranea sotto il manto di una scrittura ispiratissima e intrisa sempre di tenerezza. È questo Il signore delle formiche, la storia del processo al poeta, drammaturgo ma innanzitutto mirmecologo Aldo Braibanti, accusato di plagio nei confronti di un suo […]

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Il ritorno di Gianni Amelio a Venezia è un film emozionante, potentissimo, attraversato da una rabbia sotterranea sotto il manto di una scrittura ispiratissima e intrisa sempre di tenerezza. È questo Il signore delle formiche, la storia del processo al poeta, drammaturgo ma innanzitutto mirmecologo Aldo Braibanti, accusato di plagio nei confronti di un suo giovane studente. Il reato di plagio, che di per sé significa ben poco, era un modo per condannare un tipo di influenza psicologica e quindi fisica esercitata su un altro essere umano. Arma giudiziaria impugnata spesso contro la diversità, contro l’anticonformismo, e difatti, pochi anni dopo, cancellata dal codice penale.

Il film di Amelio ha un pregio che salta subito all’occhio e cioè le ambientazioni: il casale, soprannominato “la torre”, dove Braibanti ha la sua comune, nella quale le arti performative e figurative convivono con la biblioteca a cui attinge per regalare libri ai propri allievi, libri di poesia, storia dell’arte, i romanzi italiani oggetto del dibattito culturale e politico (come per esempio Il disprezzo di Moravia, al quale si fa riferimento successivamente, nel film, con una battuta geniale: sono assolutamente sconsigliabili, ai giovani, i libri scritti meno di cento anni fa…), e infine le teche con le colonie di formiche, oggetto dello studio di Braibanti e strumento per una importante lezione, che attraversa tutto il film, sul bene comune da preferire al successo individuale, “lo stomaco privato e lo stomaco sociale”; e poi c’è Roma, città ostile e notturna, la città delle feste in terrazza, stravaganti per il giovane Ettore ma da cui pure apprende qualcosa di Braibanti (e quindi di se stesso), ma anche la città del Palazzaccio, la città del processo, di un’assurda inquisizione condotta con, alla mano, un codice primitivo e uno sconcertante bigottismo.

Aldo Braibanti è tratteggiato da Amelio con aspetti pasoliniani che vanno dalla montatura degli occhiali, al nome dato alla madre (Susanna), al ragazzo in tenuta da calcio rossa e blu con cui si incontra all’inizio del film, ed è interpretato da Luigi Lo Cascio con una prova perfetta, misurata, cesellata nella voce e nei gesti, di una intensità che sugli schermi veneziani quest’anno ha pochissimi rivali. E tutti gli altri personaggi che ruotano intorno a Braibanti sono all’altezza del confronto: non c’erano dubbi su Elio Germano e Sara Serraiocco, la soprano Anna Caterina Antonacci nel ruolo della madre del giovane Ettore, ma è straordinaria la scoperta di Leonardo Maltese. Ha potuto beneficiare di un grande direttore di attori quale è sempre stato Gianni Amelio, ma il modo in cui ha reso la sofferenza del proprio personaggio, soprattutto al processo, ormai consumato dalla scellerata “cura” all’elettroshock, ha del prodigioso.

Basterebbe anche il prolungato primo piano che Amelio gli dedica durante la sua deposizione per poterne avere un’idea, e per avere idea anche della strada registica che percorre tutto il film: laddove si può non montare, laddove l’inquadratura può restare lunga e raccontare una evoluzione, un divenire, laddove la mancanza di stacchi genera una estenuante empatia, lì c’è la mano di un maestro.

Che poi, in realtà, c’è in nuce, nella scrittura. Un film su una vicenda così vergognosa, sulla quale si espressero all’epoca anche Pasolini, Moravia, Morante, Bellocchio, che tuttavia Amelio conduce con mano più poetica che indignata, prediligendo sempre la riflessione alla sterile denuncia.

 

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Il cinema di Gianni Amelio continua a Colpire al cuore https://www.fabriqueducinema.it/magazine/opera-prima/il-cinema-di-gianni-amelio-continua-a-colpire-al-cuore/ https://www.fabriqueducinema.it/magazine/opera-prima/il-cinema-di-gianni-amelio-continua-a-colpire-al-cuore/#respond Wed, 18 Jul 2018 11:56:32 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=10979 Colpire al cuore è l’opera prima di Gianni Amelio, un film sul terrorismo, ma soprattutto un manifesto dell’incomunicabilità fra due generazioni a confronto: il dramma intimo sul rapporto tra un padre e un figlio negli anni di piombo. «Oltre ad essere diventato padre, la mia conquista più grande è fare questo lavoro con una serenità […]

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Colpire al cuore è l’opera prima di Gianni Amelio, un film sul terrorismo, ma soprattutto un manifesto dell’incomunicabilità fra due generazioni a confronto: il dramma intimo sul rapporto tra un padre e un figlio negli anni di piombo. «Oltre ad essere diventato padre, la mia conquista più grande è fare questo lavoro con una serenità che prima non avevo!» eppure, il regista calabrese che ha fatto coming out nel 2014, aveva alle spalle già anni di gavetta in tv. Si libera però dell’ansia da prestazione solo dopo aver girato Porte Aperte (che gli dona la fama e una nomination agli Oscar), quando un macchinista gli dice che gli ricorda Mario Monicelli: questo gli permette di iniziare a lavorare accettando di poter sbagliare.

Sceneggiato con Vincenzo Cerami, Colpire al cuore è ambientato nella cupa e lattiginosa Milano dei primi anni Ottanta. Girato nel 1982 in appena otto settimane e con pochi mezzi, alla sua presentazione a Venezia ha diviso la critica tra chi parteggiava per il padre, chi per il figlio e chi l’ha accusato di fiancheggiare il terrorismo. Un’accusa ridicola per una lettura superficiale della pellicola e dei personaggi, entrambi vittime delle circostanze e delle ferite profonde che si portano addosso come una croce.

gianni amelio

Colpire al cuore è film controverso e audace, che offre un’inedita prospettiva capovolta: non sono i padri a controllare i figli, quella provocatoria gioventù bruciata che vorrebbe sovvertire l’ordine, ma l’esatto contrario. Gianni Amelio ribalta gli stereotipi patriarcali e racconta un padre rivoluzionario che collabora con un’organizzazione eversiva, fermato da un figlio schiacciato dal bisogno di ordine e di regole e, forse, anche un po’ di punire quel padre che sente distante. La storia è semplice e agghiacciante insieme, perché racconta un tradimento insanabile: un adolescente, Emilio (Fausto Rossi), che denuncia il padre (Jean-Louis Trintignant), quando scopre che sta aiutando la compagna (Laura Morante) di un brigatista, morto in uno scontro a fuoco.

Il gap tra padre e figlio, la distanza siderale che li divide è chiara fin dalle prime scene, la macchina da presa li segue con discrezione con un carrello all’indietro: Dario corre nel parco e fatica a stare accanto al figlio in bicicletta, i due non riescono a coordinarsi e a mantenere il passo. Sono una nota stonata, un meccanismo che si inceppa: qualcosa non funziona e lo si avverte dal primo istante. Emilio sembra incapace di avvicinarsi a suo padre o a chiunque altro; simbolo assoluto di voyerismo, si mantiene distante e osserva tutti dall’obiettivo di una macchina fotografica o dalla fessura tra i frammenti di una vetrata. Tutto è distorto, perché dal buco della serratura sembriamo tutti ladri, tutti assassini.

gianni amelio

Parafrasando uno dei dialoghi più famosi, Dario dice al figlio che lo sa che lui vorrebbe che gli dicesse cosa e bene o cosa è male, tutti vorrebbero qualcuno capace di semplificare in dicotomie nette la realtà, essere imboccati da certezze rassicuranti, ma padri perfetti così non ne esistono più e Emilio risponde: figli perfetti ancora meno. Ed è un po’ questa la chiave, il grumo dolorante dell’inadeguatezza di entrambi i personaggi in quelli che dovrebbero essere i loro ruoli naturali: si dice che un bambino impari cosa è la delusione quando cadono gli eroi, ovvero quando smette di idealizzare i genitori che crede onniscienti e infallibili e li scopre umani, imperfetti o peggio. Gli adulti la riscoprono quando capiscono di non poter convivere con la delusione di non potersi specchiare nel proprio figlio e infondo è un tradimento anche questo, forse il peggiore.

Gianni Amelio ha dichiarato spesso: «Non credevo che sarei sopravvissuto a questo film!» e invece è sopravvissuto a questa e a molte altre pellicole che hanno aperto porte e regalato tenerezze (qui la recensione di Fabrique du Cinéma). Di Gianni Amelio continueranno a sopravvivere il coraggio, il riscatto paterno, l’autenticità e la maestria. Ora più che mai è importante restare umani, e per ricordarcelo serve che sopravvivano le testimonianze, i film onesti e tutto quello che ci ha fatto innamorare nel buio della sala. Dopotutto, il cinema di Amelio ha il compito di colpire al cuore, lasciare un segno indelebile, altrimenti sarebbe una carezza e non farebbe così male.

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La sorprendente tenerezza di Gianni Amelio https://www.fabriqueducinema.it/cinema/recensioni/la-sorprendente-tenerezza-gianni-amelio/ https://www.fabriqueducinema.it/cinema/recensioni/la-sorprendente-tenerezza-gianni-amelio/#respond Sat, 29 Apr 2017 10:40:43 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=8086 «Sono innocente, sono innocente! ». Si apre con questa battuta l’ultima opera di Gianni Amelio, La tenerezza, che ha incontrato il pubblico giovedì scorso al cinema Anteo di Milano regalandogli una magistrale lezione di cinema. È Elena (interpretata da Giovanna Mezzogiorno) che traduce dall’arabo un sospettato terrorista: Elena rivela alla corte che ha di fronte, durante un […]

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«Sono innocente, sono innocente! ». Si apre con questa battuta l’ultima opera di Gianni Amelio, La tenerezza, che ha incontrato il pubblico giovedì scorso al cinema Anteo di Milano regalandogli una magistrale lezione di cinema. È Elena (interpretata da Giovanna Mezzogiorno) che traduce dall’arabo un sospettato terrorista: Elena rivela alla corte che ha di fronte, durante un processo, che questo giovane arabo sta mentendo, ma le ricordano che lei non deve interpretare, deve solo tradurre. «Non dovrebbero farci tradurre quello che dicono, ma come lo dicono», commenta poco dopo.

Fin dai primi minuti Amelio ci svela ciò che stiamo per vedere: un intreccio di personaggi che mentono, che non dicono mai quello che davvero vorrebbero dire, che non sono ciò che dicono di essere, perché si trattengono, perché hanno paura, hanno sofferto, perché il senso di colpa li ha consumati, perché alla fine «tutto ciò che facciamo è una scusa per farci volere bene». I personaggi sono come degli accumuli di conseguenze mai superate, tutti a loro modo orfani, chi di madre, chi di padre, chi di entrambi, chi di figli, e degli orfani si dice che non saranno mai più in grado di amare.

Dopo L’intrepido (2013), «un film bellissimo e sfortunato, che io metterò sempre in cima ai miei film», Amelio torna a indagare l’animo umano e lo fa attraverso il tema della paternità, dell’abbandono, del rapporto adulto-bambino, ma non inteso come età anagrafica, perché qui i bambini sono adulti «a cui si può dire tutto» e gli adulti sono bambini che non hanno mai superato quel senso di solitudine che si prova quando si cresce.

Lorenzo – Renato Carpentieri, qui una sorta di strepitoso Sean Connery italiano trattato in modo indegno nel manifesto e nei titoli di coda, dove appare come poco più di un personaggio secondario – è un avvocato più che famoso famigerato, in pensione, vedovo, quasi morto a causa di un infarto, che non ama più i suoi figli perché sono cresciuti, e che si affeziona a una famiglia che viene ad abitare accanto a lui, sconosciuti che gli danno la possibilità di tornare indietro a quando si poteva solo giocare.

È la prima volta che Amelio ha un protagonista della sua stessa età e, nonostante sottolinei come non sia stato lui a cercare e scegliere questa storia, quasi a volerne prendere un distacco, realizza il suo film più personaleOggetto chiave del film un giocattolo che avrà il potere di stravolgere le sorti di tutti i personaggi, che non è un oggetto di finzione, ma è realtà vissuta: è «una delle poche cose che sono riuscito a conservare della mia infanzia, sopravvissuta a tutti i traslochi ed emigrazioni possibili», racconta Amelio, che quel giocattolo lo possiede da quando ha 7 anni.

«I miei film non mi somigliano, sono sempre migliori di me, ma mi piace pensare che ci sia qualcuno che ci si possa riconoscere». Amelio prende il romanzo di Lorenzo Marone, La tentazione di essere felici (Loganesi, 2015), e ne fa «una liberissima trasposizione». Non crede nella fedeltà dell’opera da cui ci si ispira, «un libro, se è bello, devi cercare di non essergli troppo vicino perché se no gli fai un cattivo servigio». Infatti il soggetto lo firma lui, riscrivendo la storia: Amelio trasforma Lorenzo – che nel libro era Cesare – in un Re Lear che rinnega ed è a sua volta rinnegato dai suoi figli, per lui solo «due principi ereditieri», e trova un po’ di tenerezza nella figura distratta, infantile, gioiosa di Michela (Micaela Ramazzotti, che non sembra ancora uscita dal ruolo de La pazza gioia), una sconosciuta, che non ha bisogno di chiedergli se ha preso le pillole ma semplicemente gli fa compagnia cucinando il ragù. Lo sfondo è quella di una Napoli scintillante e spettrale, caotica e deserta – la luce è ancora una volta quella di Luca Bigazzi – una ghostown dove a Lorenzo non resta che consumare le scarpe.

La tenerezza di cui parla Amelio non è mai ostentata, anche se è l’unica salvezza per chi ha smesso di amare, è una tenerezza che non ha mai fretta di manifestarsi e arriva dalle persone da cui meno te l’aspetti, e risiede negli sguardi, nei silenzi, come quando Fabio (Elio Germano) si mette all’altezza del vucumprà che ha appena insultato e lo guarda, come a chiedergli scusa.

Ma la tenerezza più tangibile viene da dietro la macchina da presa, da Amelio che guarda i suoi attori, sfolgoranti per talento, sì, ma soprattutto per lo sguardo che il regista posa su di loro. Gli attori li plasma, li trasforma, non li costruisce in base a un personaggio, ma fa esattamente il contrario, «avvicino il personaggio al temperamento dell’attore». L’attore si deve infilare nel personaggio, deve scomparire per lasciare spazio solo a lui. Amelio ama i suoi attori a tal punto da occuparsi solo di loro, sul set.

«Io credo a un’emozione che ti arrivi non dal dolly, o dal carrello, ma dallo sguardo, dagli occhi, dal tono di voce». Amelio i suoi attori li studia, li osserva, li mette anche alla prova, come quando – racconta – non dà lo stop alla Ramazzotti facendola recitare per 42 minuti perché sentiva che solo lei avrebbe potuto regalare quel qualcosa che mancava alla scena, e non erano brillanti battute o gesti inseriti al momento giusto, era qualcosa che poteva dare solo lei, un finale speciale.

«Guai se in una sequenza non hai un elemento non previsto, sorprendente», e questo film è pieno di momenti così umani da essere davvero sorprendenti, perché non ce li aspettiamo quasi più i momenti di sorpresa in cui un attore, da copione, dovrebbe ridere e invece piange, come succede alla Mezzogiorno verso la fine, schiacciata dalla sua durezza, dall’orgoglio, dalla paura. Ma quando il padre torna a casa, lei esce dall’apnea, «perché la felicità non è una meta da raggiungere, ma una casa in cui tornare».

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Fabrique con il cinema italiano a sostegno del Baobab https://www.fabriqueducinema.it/cinema/interviste/fabrique-con-il-cinema-italiano-a-sostegno-del-baobab/ https://www.fabriqueducinema.it/cinema/interviste/fabrique-con-il-cinema-italiano-a-sostegno-del-baobab/#respond Thu, 21 Jul 2016 12:58:29 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=3420 Il 19 luglio 2016 moltissimi autori e protagonisti del cinema italiano si sono mobilitati a sostegno del Baobab, associazione che si occupa dei migranti transitanti a Roma. Moltissimi sono stati i sostenitori di questa iniziativa, fra cui: Gianni Amelio, Bernardo Bertolucci, Marco Bellocchio, Gianfranco Rosi, Daniele Vicari, Andrea Segre, Valerio Mastandrea, Alba Rohrwacher, Valeria Golino, […]

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Il 19 luglio 2016 moltissimi autori e protagonisti del cinema italiano si sono mobilitati a sostegno del Baobab, associazione che si occupa dei migranti transitanti a Roma.

Moltissimi sono stati i sostenitori di questa iniziativa, fra cui: Gianni Amelio, Bernardo Bertolucci, Marco Bellocchio, Gianfranco Rosi, Daniele Vicari, Andrea Segre, Valerio Mastandrea, Alba Rohrwacher, Valeria Golino, Luca Zingaretti, Claudio Santamaria, Mario Martone, Maya Sansa, Sabina Guzzanti.

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