gaming Archivi - Fabrique Du Cinéma https://www.fabriqueducinema.it La Rivista Del Nuovo Cinema Italiano Mon, 26 Sep 2022 08:49:58 +0000 it-IT hourly 1 Project Galileo: il videogioco made in Italy che sfida gli studi internazionali https://www.fabriqueducinema.it/magazine/industry/project-galileo-il-videogioco-made-in-italy-che-sfida-gli-studi-internazionali/ https://www.fabriqueducinema.it/magazine/industry/project-galileo-il-videogioco-made-in-italy-che-sfida-gli-studi-internazionali/#respond Mon, 25 Jul 2022 09:09:51 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=17474 Al contrario di quello che si potrebbe pensare, il mercato dei videogiochi in Italia si è rivelato, e si sta rivelando negli ultimi anni, sempre più florido. Lo studio tripla A di Ubisoft Milano, in collaborazione con Ubisoft Parigi, si fregia nientemeno che dei personaggi storici di Nintendo nel loro imminente strategico Mario + Rabbids: […]

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Al contrario di quello che si potrebbe pensare, il mercato dei videogiochi in Italia si è rivelato, e si sta rivelando negli ultimi anni, sempre più florido. Lo studio tripla A di Ubisoft Milano, in collaborazione con Ubisoft Parigi, si fregia nientemeno che dei personaggi storici di Nintendo nel loro imminente strategico Mario + Rabbids: Spark of Hope, seguito del fortunato Mario + Rabbids: Kingdom Battle del 2018. Emergono artisti indipendenti come il catanese Chris Darril, nome d’arte di Mario Christopher Darril Valenti, che si è fatto conoscere anche all’estero grazie ai due survival horror Remothered: Tormented Fathers e Remothered: Broken Porcelain, ispirati a giochi come la serie Silent Hill o Rule of Rose. Inoltre, il team milanese Reply Game Studios si è imbarcato nello sviluppo di un titolo hack & slash con il suo Soulstice, in uscita a settembre, prendendo spunto da classici del genere come la serie Devil May Cry o da prodotti di culto come NieR: Automata.

Sono ancora pochi però i prodotti italiani che attingono dalla storia e dal folklore del nostro paese, e sono ancora meno quelli che prendono questi elementi e tentano di rielaborarli in un’esperienza nuova e immersiva. In questa nicchia ancora poco esplorata si inserisce il team milanese di Jyamma Games con il loro Project Galileo, un interessante progetto appartenente al genere sempre più popolare dei Souls-Like, un genere di action-rpg (role-playing game) misti a Rogue-Like inventato dallo studio From Software con Demon’s Souls. I suoi principali punti di forza sono uno stile di gioco che rielabora le dinamiche del Flos Duellatorum, un manuale di scherma del XV secolo, e, soprattutto, un’ambientazione che prende a piene mani dal folklore e dalla cultura italiana per creare un mondo fantastico originale. In Project Galileo, la magia del continente di Enotria è stata intrappolata da una misteriosa forza chiamata il Canovaccio, e il mondo, di conseguenza, ha iniziato lentamente a degradarsi fino a uno stato di stagnazione, diventando un guscio vuoto di ciò che era un tempo. Starà al giocatore scoprire i misteri di questa terra e riportarla al suo antico splendore. Abbiamo avuto l’opportunità di parlare con il CEO e Founder di Jyamma Games, Giacomo Greco, e il direttore creativo ed artistico, Francesco Abbonizio, per fare più luce su questo interessante progetto completamente made in Italy attualmente in lavorazione.

Com’è nata Jyamma Games? Cosa vi ha spinto a entrare nel mercato dei videogiochi?

Greco: Siamo nati nel luglio del 2019 come una piccola azienda di nove membri che produceva giochi mobile. Abbiamo prodotto quattro giochi nel corso di un anno e mezzo, che hanno raggiunto più di 700.000 download complessivi. A quel punto abbiamo deciso di fare un passo importante e di realizzare un progetto per pc e console. Nel frattempo, il numero dei membri del team è raddoppiato e, anche grazie al passaparola, sono entrati a far parte dello studio dei talenti che avevano lavorato a titoli tripla A all’estero, come il nostro Francesco. Oggi siamo più di cinquanta membri.

Dopo aver sviluppato i vostri primi progetti, come siete arrivati all’idea di sviluppare un Souls-Like, un genere di action-rpg famoso per la sua complessità?

Greco: Abbiamo fatto dei lunghi briefing per capire cosa potesse calzare di più con quello che stavamo facendo. L’idea iniziale era quella di lavorare ad un action-rpg più tradizionale, ma durante lo sviluppo ci siamo accorti che sono pochi i giochi Souls-Like di qualità che vengono sviluppati da team occidentali indipendenti. È un tipo di prodotto difficile da realizzare, ma con i talenti che avevamo con noi sapevamo che c’erano le capacità per realizzare un gioco valido, anche vista la passione che tutti all’interno del team abbiamo per il genere in questione. Oggi il progetto è più grande di quello che pensavamo. Vogliamo seguire le orme di From Software incrociandoci con il folklore italiano in modo non stereotipato, rappresentandolo similmente a come la serie di The Witcher ha rappresentato la cultura slava.

Project Galileo

L’ambientazione marcatamente fantasy di Project Galileo richiama molti aspetti architettonici e artistici del nostro paese. Oltre allo studio fatto su questi elementi, ci sono state delle opere significative – libri, film o videogiochi – che vi hanno ispirato durante la fase di concettualizzazione del mondo di gioco?

Abbonizio: Parlando di media moderni è stato d’ispirazione il film Ladyhawke di Richard Donner, soprattutto per le ambientazioni girate al castello di Rocca Calascio in Abruzzo. È stato uno dei primi film fantasy che riconosceva il potenziale dell’Italia come cornice per ambientazioni evocative in un contesto fantastico originale. Allo stesso modo, anche la serie di videogiochi di Ubisoft Assassin’s Creed, in particolare il secondo capitolo, ha offerto molteplici spunti. Un altro punto di riferimento importante è stato il videogioco A Plague Tale: Innocence di Asobo Studio, che valorizza il contesto storico della Francia meridionale durante la Guerra dei Cent’anni, ma aggiunge un sostrato narrativo fantastico. Inoltre, rimane interessante poiché creato da uno studio piccolo di 60 persone, che ha comunque sviluppato un gioco AA massiccio. Anche Greedfall del team Spiders è stato fonte d’ispirazione: il gioco ha un’ambientazione fantasy che si rifà al XVII secolo. Ad esempio, la città di Sérène, la prima esplorabile dal giocatore, riprende aspetti della Lisbona precoloniale ed elementi delle repubbliche marinare.

Visto l’enorme lavoro fatto sulla parte estetica del gioco, c’è da aspettarsi una simile cura anche sugli effetti audio e sulla colonna sonora?

A: Aram Shahbazians, il nostro audio-director e compositore, sta lavorando con musicisti di strumenti tradizionali. Tutte le sessioni di registrazione sono fatte dal vero, anche vista la scarsità di librerie sintetiche degli strumenti tradizionali. Teniamo molto all’autenticità del suono, tanto che un’idea, in realtà poi scartata, era di contattare un fabbro sardo che forgiasse dei campanacci per ricreare il sound specifico dei Mamuthones del carnevale sardo. Aram ha registrato tutte le librerie di suoni delle cicale del centro Italia, per rendere le sonorità di un paesaggio di pini marittimi. Inoltre, molti dei nemici del gioco sono doppiati per dare l’idea di un mondo vivo che reagisce alla presenza del giocatore.

Project GalileoIl genere dei Souls-Like è spesso associato a narrative frammentate ed enigmatiche, che volutamente spiegano poco o nulla al giocatore in modo diretto. Ci sono tuttavia degli esponenti del genere, come i capitoli della serie Nioh del Team Ninja, che invece raccontano una trama più lineare. Verso quali dei due estremi si muove maggiormente l’anima da “Summer Souls” di Project Galileo?

A: Siamo consapevoli dei nostri punti di debolezza. Non abbiamo il cult following di From Software, quindi non è detto che i giocatori scavino così a fondo nella storia del mondo di gioco. Oltretutto non abbiamo neanche le risorse per fare un’esperienza cinematica simile a giochi del calibro di God of War. Possiamo dire che la trama ha la stessa densità di filmati di un Souls, quindi quel tanto che basta a dare un contesto al mondo che si esplora. Ci saranno delle testimonianze scritte da collezionare che permetteranno di unire i tasselli in un modo meno criptico rispetto a quanto i classici del genere hanno abituato. Far in modo che il giocatore si affezioni al mondo di gioco mentre lo esplora è una nostra priorità.

Avete parlato in altre sedi della natura da AA+ del progetto. Quali sono le difficoltà di sviluppare un videogioco indipendente di questa portata in Italia? Pensate di aver trovato un buon equilibrio all’interno del team?

A: Io ho lavorato come Technical Artist all’estero, cosa che mi ha permesso, quando sono diventato direttore artistico, di aiutare il team a non perdersi nell’ambito puramente creativo. Qualsiasi feature va valutata in base al rapporto “costi – ricavi”, ma siamo più che disposti a fare quel passo in più se notiamo che qualcosa può arricchire l’esperienza.

G: Il termine AA+ lo usiamo per indicare uno sforzo produttivo superiore a quello di un team indipendente, ma senza il supporto finanziario che c’è alle spalle di uno studio importante. È impossibile per un team del genere rifinire le meccaniche secondarie allo stesso modo di quelle principali, ma non è neanche detto che con fondi illimitati esca fuori un prodotto di qualità. Preferiamo concentrarci su un gioco denso che duri tra le 10 e le 15 ore piuttosto che su un open world, oltre al fatto che la rigiocabilità è garantita dal New Game + e dal fatto che nel corso del tempo Project Galileo verrà espanso con dei DLC.  I feedback riscontrati da chi ha provato il gioco sono stati molto positivi e tutti i director del team si sono stupiti della capacità produttiva dello studio, considerando che la build attuale viene da nove mesi di sviluppo. Abbiamo fatto cose, tra cui il cambio di motore grafico da Unity ad Unreal Engine, che sono atipiche per un gioco indie, e questa è un’ulteriore dimostrazione della forza del gruppo. Abbiamo una visione dell’azienda più moderna rispetto a molte altre aziende nostrane. Oggi bisogna ragionare in modo diverso se si vuole avere qualcosa in più degli altri.

Project Galileo non ha ancora una finestra di lancio, ma gli sviluppatori hanno confermato che arriverà “prima di quanto pensato”, e hanno rilasciato di recente un nuovo trailer che mostra le evocative ambientazioni di Enotria. Non ci resta che aspettare e vedere ciò che hanno in serbo per noi!

 

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Il cinema è il passato della realtà virtuale, parola di Michel Reilhac https://www.fabriqueducinema.it/magazine/visual-effects/il-cinema-e-il-passato-della-realta-virtuale-parola-di-michel-reilhac/ https://www.fabriqueducinema.it/magazine/visual-effects/il-cinema-e-il-passato-della-realta-virtuale-parola-di-michel-reilhac/#respond Mon, 21 Dec 2015 15:51:58 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=2429 Vive tra Parigi e Berlino e per oltre dieci anni è stato direttore esecutivo di Arte Cinema France, coproducendo circa 28 lungometraggi l’anno, tra cui: Blancanieves, Lebanon, 2046, Tom à la ferme, Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza, Tomboy, Melancholia e Nymphomaniac (la lista si allungherebbe con nomi come Wim Wenders, i fratelli […]

L'articolo Il cinema è il passato della realtà virtuale, parola di Michel Reilhac proviene da Fabrique Du Cinéma.

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Vive tra Parigi e Berlino e per oltre dieci anni è stato direttore esecutivo di Arte Cinema France, coproducendo circa 28 lungometraggi l’anno, tra cui: Blancanieves, Lebanon, 2046, Tom à la ferme, Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza, Tomboy, Melancholia e Nymphomaniac (la lista si allungherebbe con nomi come Wim Wenders, i fratelli Dardenne, Aki Kaurismaki e Michael Haneke), non mancano gli italiani: sono passati da lui Il divo, Corpo celeste, Le chiavi di casa, Nuovomondo. Dal 2008 comincia a interessarsi a tutte le forme di narrazione ibrida che offrano al pubblico un’esperienza partecipativa e interattiva. Nel 2012 lascia Arte per dedicarsi esclusivamente ai suoi progetti personali; lo stesso anno Le Film Français lo elegge uomo dell’anno.

Oggi Michel Reilhac, independent transmedia storyteller e pionere delle nuove forme di narrazione, insegna e tiene workshop in occasione dei maggiori eventi internazionali; oltre ad essere a capo del Biennale College Cinema di Venezia. Scrive e dirige i suoi progetti alternando experience design, gaming e altre forme di interazione e ci spiega perché non ha dubbi che la realtà virtuale, sua nuova scommessa, rivoluzionerà completamente il nostro modo di intendere e vedere i film e perché questo non deve spaventarci.

Fabrique l’ha incontrato al BFI London Film Festival, nell’ambito di “Power to the Pixel”, l’evento collaterale al  dedicato ai new media e ai progetti crossmediali e interattivi.

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Michel Reilhac

La realtà virtuale è effettivamente il futuro del cinema?

Come fu per la TV, le videocassette, i DVD e, recentemente, Internet, la realtà virtuale non ucciderà il cinema, piuttosto andrà ad aggiungersi al panorama, già vasto, delle esperienze audiovisive. Il cinema, come lo conosciamo oggi, continuerà a esistere, nello stesso modo in cui i libri e la radio sono ancora (largamente) parte del nostro mondo, nonostante esso sia costantemente in evoluzione… il cinema rimarrà una piacevole forma vintage di intrattenimento. La realtà virtuale userà il linguaggio del cinema mentre ne sviluppa uno proprio (in questo c’è la vera continuità tra l’esperienza del film e quella della realtà virtuale) ma nel momento in cui il cinema inventerà la sua tipologia di futuro le due cose prenderanno strade diverse. Quindi direi che il cinema è certamente il passato della realtà virtuale ma quest’ultima non è il futuro del cinema.

 Come storyteller e artista, la realtà virtuale cosa ti permette più del cinema tradizionale?

La realtà virtuale crea un ambiente totale nel quale lo spettatore è libero di decidere dove focalizzare la sua attenzione, aggiunge una dimensione di interazione che è completamente assente nel cinema tradizionale, permettendo di ricreare un universo narrativo totale e quindi realizzare pienamente la dimensione esperienziale della storia che si vuole raccontare. Scrivendo storie da realizzare con la realtà virtuale mi sono accorto che le tre principali qualità che questa tecnologia aggiunge al racconto sono: l’immersione, la presenza e l’empatia. Chiaramente per il creatore e lo sviluppatore il lavoro è molto più difficile, perché questo tipo di impianto richiede la creazione di un intero mondo e non soltanto una finestra (quella dello schermo sul quale è proiettata l’immagine) su un ipotetico mondo. È un tipo di esperienza molto più completa, più reale e, in definitiva, più autentica.

Sembrerebbe paradossale definire più autentica” la realtà virtuale …

(Ride) Concettualmente forse sì, ma a livello realizzativo un film in realtà virtuale prevede un campo d’azione a 360° quindi è impossibile nascondere ogni eventuale trucco fuori dallo schermo e in questo, secondo me, c’è una dimensione etica di purezza che mi piace molto.

Quindi, a questo punto, come cambia la realizzazione di un film?

Cambia la dimensione spaziale nella quale concepisci la storia e, di conseguenza, sia la sua scrittura che la sua regia. Come ti dicevo è tutto a 360° e questo devi tenerlo costantemente a mente: i suoni, le immagini, le azioni, gli attori, le luci … la realtà virtuale diventa un mezzo emotivo nel quale ti ritrovi a essere un experience designer più che un narratore. A livello tecnico siamo ancora in una prima fase di sviluppo; la questione dei raccordi tra le varie camere che compongono l’inquadratura totale è ancora uno degli ostacoli principali; il prossimo vero passo sarà compiuto quando il rilevamento e la riproduzione dei movimenti nello spazio virtuale diventerà una cosa semplice da realizzare… da quel momento in poi, con due o tre anni la realtà virtuale diventerà un mezzo straordinariamente popolare.

Un altro dei principali nuovi oggetti di discussione è lo studio dell’osservatore e la sua posizione, e data la prospettiva soggettiva di un’esperienza come questa, è cosa con la quale dobbiamo assolutamente fare i conti. Ad esempio: che differenza fa, all’interno del mondo narrativo, avere o meno un corpo? Quanto potere decisionale è giusto che abbia sull’andamento della storia essendo coinvolto nella storia a un livello così profondo? Da regista, quanto è giusto che io dia allo spettatore (che non è più solo uno spettatore ma diventa a tutti gli effetti un fruitore)?

Tra le maggiori critiche mosse alla realtà virtuale c’è il suo essere totalmente isolante, eppure ho notato che immediatamente dopo aver terminato la visione le persone non vedono l’ora di parlarne e condividere le proprie reazioni. Sembrerebbe che, per assurdo, la realtà virtuale costruisca comunità attraverso l’isolamento, com’è possibile? Dov’è il trucco?

È esattamente come con i libri: nessuno si è mai lamentato che leggere un libro è un’esperienza solitaria. Gran parte del piacere della lettura sta proprio nel leggere da soli, completamente isolati nella bolla immaginaria del mondo raccontato dal libro, nel quale ti immergi completamente; però, appena finito di leggerlo, hai una gran voglia di condividere le tue opinioni ed emozioni con chi ha letto lo stesso libro.

La realtà virtuale è esattamente la stessa cosa: progressivamente scopriremo, e impareremo ad accettare, che la dimensione isolata dell’esperienza in realtà virtuale è ciò che la rende speciale, forte e decisamente personale. Ma, allo stesso tempo, la realtà virtuale diventerà un modo di abbattere le distanze, di incontrarsi, giocare, creare e discutere insieme in un luogo comune virtuale.

Questo è il motivo per cui Facebook ha comprato Oculus Rift per oltre 2 miliardi di dollari un anno e mezzo fa: perché la realtà virtuale è il futuro delle riunioni e degli incontri di gruppo.

La realtà virtuale sta progressivamente connettendo i film ai videogiochi?

Il mercato principale della realtà virtuale è sicuramente quello dei videogiochi. Quello sarà sicuramente il principale traino per spingere le persone a comprare attrezzature e contenuti di realtà virtuale quando, all’inizio del prossimo anno, aprirà il mercato. Alcune cose si trovano già in commercio ma principalmente sui mercati asiatici e negli Stati Uniti.

Il mondo del cinema fino adesso ha completamente ignorato l’industria dei videogiochi, considerandola una forma di intrattenimento di livello inferiore, e nel frattempo produttori e sceneggiatori di videogiochi si sono appropriati pienamente del linguaggio del cinema, facendo sì che quello dei videogiochi sia oggi già pienamente calibrato e stabile per le nuove forme di realtà virtuale.

I videogiochi somigliano sempre di più ai film e i giocatori richiedono sempre più una dimensione psicologica ed emotiva dei personaggi e delle storie che gli vengono offerte. I game designers non sono stati ad aspettare l’avvento della realtà virtuale per fare giochi che sono, sempre di più, dei “film giocabili” e questo processo è ancora in costante evoluzione. Mi preoccupa l’idea che un bel giorno l’industria cinematografica si risvegli trovandosi indifesa e debole, scoprendo di colpo cosa è successo mentre ignorava il mondo che gli scorreva intorno.

Le tecnologie per la realtà virtuale sono in costante miglioramento e sempre più storie vengono sviluppate in quella direzione; come narratore, produttore e ora pioniere di questo mondo, dove credi che la realtà virtuale stia conducendo l’intera questione narrativa?

Come ho detto la realtà virtuale sta trasformando sempre di più lo storytelling in un’esperienza completamente immersiva, dove le possibilità degli spettatori saranno sempre più ampie e sempre più profonde.

In questo senso, la realtà virtuale corre il rischio di diventare profondamente disconnettiva, creando un’incredibile dipendenza per quelle persone che, per qualsiasi motivo, hanno il desiderio di mettere distanza tra loro e il mondo reale. I ragazzini, che in quanto nativi digitali sono già tagliati fuori dal mondo reale attraverso un uso estremamente intensivo dei social network e del gioco online, saranno decisamente a rischio di disconnettersi ancora di più con i giochi in realtà virtuale.

Quello che succederà per certo, è che la realtà virtuale aumenterà di molto il gusto del pubblico per l’interazione con le storie e la popolarità dei giochi di ruolo.

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