Gabriel Montesi Archivi - Fabrique Du Cinéma https://www.fabriqueducinema.it La Rivista Del Nuovo Cinema Italiano Wed, 23 Oct 2024 14:08:20 +0000 it-IT hourly 1 El Paraiso racconta la simbiosi fra madre e figlio, con Edoardo Pesce e un’incredibile attrice colombiana https://www.fabriqueducinema.it/cinema/nuove-uscite/el-paraiso-racconta-la-simbiosi-fra-madre-e-figlio-con-edoardo-pesce-e-unincredibile-attrice-colombiana/ https://www.fabriqueducinema.it/cinema/nuove-uscite/el-paraiso-racconta-la-simbiosi-fra-madre-e-figlio-con-edoardo-pesce-e-unincredibile-attrice-colombiana/#respond Thu, 06 Jun 2024 12:38:09 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=19157 Lo avevamo già visto in panni criminali, di algidi altoborghesi, come sicario, ma pure come solare babysitter e addirittura a impersonare Alberto Sordi nel suo biopic. Questa volta Edoardo Pesce in El Paraiso è invece alle prese con qualcosa di completamente inedito. Julio Cesar è un uomo che vivacchia di espedienti insieme alla madre colombiana […]

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Lo avevamo già visto in panni criminali, di algidi altoborghesi, come sicario, ma pure come solare babysitter e addirittura a impersonare Alberto Sordi nel suo biopic. Questa volta Edoardo Pesce in El Paraiso è invece alle prese con qualcosa di completamente inedito. Julio Cesar è un uomo che vivacchia di espedienti insieme alla madre colombiana in una relazione simbiotica e toccante a ritmo di nostalgici salsa e merengue.

Siamo ai bordi della periferia romana, foce del Tevere, dove dal galleggiare nell’anonimato urbano al perdersi l’anima per pochi soldi il passo può essere incredibilmente breve. Così campare d’impicci, anche grazie all’amico un po’ più inserito che procura loro lavoretti saltuari, diventa l’appiglio ideale, una sopportabile normalità proprio grazie a quel legame speciale. L’unica cosa che permette alle anime di madre e figlio di tenersi reciprocamente strette.

In El paraiso di Enrico Maria Artale la madre di Julio è interpretata da Margarita Rosa De Francisco, star di telenovelas colombiane e nel cast di Narcos, la serie Netflix. Riscoprire quest’attrice è un’alba multicolor. Struggente e trascinante con il suo caratterizzare questa donna così intima con il figlio, combattuta, segnata nello sguardo da un passato difficile, custode di mille non detti e segreti. Una fisicità che fa pensare ad una Michelle Pfeifer più aspra, latina, e carismatica pure nel più semplice dei gesti. Canta, balla, tiene a bacchetta quel testone del figlio, ma si lascia anche proteggere. Ha vinto come Migliore attrice nella sezione Orizzonti alla Mostra del Cinema di Venezia, anche grazie alla sua splendida spalla, l’attore romano. Insieme creano dei momenti di puro cinema e Artale li fa convergere a perfezione nella sua ricostruzione decadente e variopinta del loro micromondo casalingo in riva al fiume.

Nel cast figurano anche Gabriel Montesi, attualmente la miglior nuova faccia da cinema romano e un’altra piacevole scoperta, Maria del Rosario. La musica la fa da padrona con una selezione di hit colombiane ’70 e ’80 che creano un’atmosfera nuova e avvolgente. Il film ha vinto a Venezia anche il Premio Orizzonti per la Miglior sceneggiatura, nonostante presenti un terzo atto scivolato, che scarseggia in quanto a scelte del protagonista e sul quale meglio non spoilerare. Giusto far muovere i propri personaggi senza giudizio, ma quanto lo è farli smettere di scegliere? Peccato perché tutto il resto è davvero un colpo al cuore.

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Non credo in niente, la selvaggia opera prima di Alessandro Marzullo https://www.fabriqueducinema.it/magazine/opera-prima/non-credo-in-niente-la-selvaggia-opera-prima-di-alessandro-marzullo/ https://www.fabriqueducinema.it/magazine/opera-prima/non-credo-in-niente-la-selvaggia-opera-prima-di-alessandro-marzullo/#respond Mon, 25 Sep 2023 12:44:31 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=18730 Inizia con una citazione di Zygmunt Bauman Non credo in niente. È stato girato, ma anche scritto e prodotto nel giro di soli 8 mesi, che hanno visto sparpagliate al loro interno anche le 13 notti di set effettive. Il film di Alessandro Marzullo risulta anche da una sorta di assemblaggio espanso di due suoi […]

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Inizia con una citazione di Zygmunt Bauman Non credo in niente. È stato girato, ma anche scritto e prodotto nel giro di soli 8 mesi, che hanno visto sparpagliate al loro interno anche le 13 notti di set effettive. Il film di Alessandro Marzullo risulta anche da una sorta di assemblaggio espanso di due suoi cortometraggi precedenti, Quando il cielo è scuro e la sua Parte II. Ai protagonisti principali dei corti, Giuseppe Cristiano, Demetra Bellina, Mario Russo, Renata Malinconico e Jun Ichikawa si sono aggiunti Gabriel Montesi e Antonio Orlando per dar vita a uno degli esordi più graffianti e stralunati di questo giovane decennio, in sala dal 28 settembre.

L’opera prima di Marzullo mostra un impatto estetico quasi selvaggio, fatto di pellicola tirata e luce sporca. Scatta un’istantanea smaliziata su una serie di quasi trentenni che attraversano la notte romana. Una notte che sembra infinita perché composta da molte notti temporalmente sconnesse nel montaggio come in un videoclip. Una città deserta illuminata da colori acidi affétta questa coralità di personaggi con in comune solo un imminente cambio di programma nelle loro vite già abbastanza scombussolate di millenials. Il regista ci fa guardare alla sua generazione attraverso un puzzle di anime ampiamente rappresentative. Così al ricatto sguaiato del lavoro nero per una coppia di musicisti lavapiatti si affianca la noia solitaria di una hostess taciturna ma piena di altri talenti e parcheggiata in un hotel. Entriamo poi nelle confidenze sentimentali di un meccanico logorroico all’amico attorucolo che flirta tra letti e amplessi distribuiti come sigarette offerte.

Tutti loro prima o poi passeranno da un paninaro notturno caput Romae che dispensa massime metropolitane come ingredienti di panini improbabili. A Roma le paninoteche notturne su camper e tutti i loro addetti vengono chiamati “zozzoni”. Quasi fosse un concetto filosofico al neon, e addirittura superiore alla distinzione tra luoghi e persone.  Le filosofie farneticanti di uno “zozzone” di periferia fanno da fil rouge per le varie storie e i sogni che ognuna disvelerà. Ecco, i sogni stanno appesi al cavo di un microfono, o in un viaggio mai fatto, o tra le speranze riposte in un provino, ma a prescindere vanno a sbattere sull’accogliente furgone di quel paninaro notturno, e scendono giù insieme a una birra.

Con i suoi riferimenti a «Rossellini, Cassavetes e Kar Wai», Non credo in niente è imbevuto di uno stile sincopato, un po’ sconclusionato come la vita romana, e la narrazione non lineare gli dona il fascino notturno e sbandato dei sentimenti che percorre ognuno dei ragazzi, anzi, degli uomini e delle donne in ballo in questa città ingrata. Una Roma che se una volta faceva andare via Remo Remotti, oggi, nel 2023 i suoi giovani se li tiene stretti al seno freddo di asfalto in un’illusione fin troppo lucida e reiterata.

«Ci innamoriamo perché prendiamo le droghe sbagliate», dirà uno dei personaggi. La disillusione la leggiamo già chiaramente nel titolo, Non credo in niente è un piccolo manifesto di una generazione confusa tra speranza e rassegnazione. Una girandola di strade buie percorse da mille contraddizioni che il regista rappresenta efficacemente come nel caso di un freddo bacio a stampo per dirsi addio sovrapposto a immagini di lava che scorre lenta e ineluttabile.

Il cast è trasognato, pulsante, cool, pieno di vitalità e il soundtrack di Riccardo Amorese segna il pastiche ben oltre il semplice commento musicale. Allora la musica di un violino suonato in cucina e una canzone cantata in un locale possono diventare avamposti sul territorio lontano dei sogni in una metropoli che preme e luccica come pinze di acciaio rugginoso. E se il vero problema di questa generazione fosse soltanto ritrovare il sorriso nelle cose semplici? 

 

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