film d'animazione Archivi - Fabrique Du Cinéma https://www.fabriqueducinema.it La Rivista Del Nuovo Cinema Italiano Wed, 23 Oct 2024 14:24:13 +0000 it-IT hourly 1 La fabbrica italiana dei cartoons https://www.fabriqueducinema.it/magazine/industry/la-fabbrica-italiana-dei-cartoons/ https://www.fabriqueducinema.it/magazine/industry/la-fabbrica-italiana-dei-cartoons/#respond Wed, 24 Jul 2024 15:07:17 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=19228 Negli ultimi anni l’industria dell’animazione ha registrato un notevole successo commerciale, che però ha portato anche a una sovrapproduzione. Con un numero sempre maggiore di cartoons rilasciati ogni anno, il rischio è quello di saturare il mercato e ridurre l’attenzione e l’entusiasmo del pubblico per le nuove uscite. Perciò sia gli studi cinematografici che i […]

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Negli ultimi anni l’industria dell’animazione ha registrato un notevole successo commerciale, che però ha portato anche a una sovrapproduzione. Con un numero sempre maggiore di cartoons rilasciati ogni anno, il rischio è quello di saturare il mercato e ridurre l’attenzione e l’entusiasmo del pubblico per le nuove uscite.

Perciò sia gli studi cinematografici che i creativi si trovano a dover bilanciare la domanda del pubblico con la necessità di mantenere la qualità e l’originalità delle loro produzioni. Anche in Italia.

Secondo l’Osservatorio europeo dell’audiovisivo, nel nostro Paese l’animazione è in crescita, anche grazie alla Legge Cinema che ha permesso di fissare il tax credit al 40%, riportando la proprietà intellettuale nelle mani delle produzioni italiane, che prima erano costrette a cederle ai coproduttori stranieri. Da noi l’animazione ha trovato terreno fertile soprattutto, ma non solo, nel campo della serialità e, se prima si guardava ai rating televisivi, adesso è fondamentale la sentiment analysis: le produzioni cercano di percepire attraverso social, siti e canali digitali l’effettivo gradimento dei prodotti e delle rispettive campagne di comunicazione.

A ogni modo, il panorama italiano di oggi è caratterizzato da una vivace comunità di animatori, registi e artisti che lavorano sia nell’ambito del lungometraggio che delle serie tv animate. Il successo di film come La gabbianella e il gatto, Leo da Vinci: Missione Monna Lisa, Yaya e Lennie – The Walking Liberty e Mary e lo spirito di mezzanotte ha dimostrato che c’è un mercato per il cinema d’animazione italiano, e numerosi talenti emergenti o affermati stanno collezionando riconoscimenti a livello internazionale. Nel caso della serialità animata, invece, il prodotto più famoso resta il Winx Club, iconica serie animata italiana trasmessa in oltre 150 paesi; creata da Iginio Straffi e prodotta dalla casa di produzione Rainbow, la serie ha debuttato nel 2004 e da allora ha generato un vasto franchise che include serie tv, film, giocattoli e molto altro ancora. Sono tante le medie realtà italiane del settore, come Mondo Tv, creatrice di La famiglia Passaguai, Sissi – La giovane imperatrice e Pocoyo, Gruppo Alcuni, che ha dato vita a Lupo Alberto, Pet Pals e Leonardo, e la divisione di Rai Ragazzi, con Geronimo Stilton e Il piccolo principe. Sono sempre di più anche gli studi indipendenti che contribuiscono ad arricchire il panorama, come Lanterna Magica per i corti e le serie animate, Studio Bozzetto & Co del famoso animatore Bruno Bozzetto e le napoletane MAD Entertainment, fondata da Luciano Stella, Maria Carolina Terzi, Carlo Stella e Lorenza Stella, con il loro premiatissimo Gatta Cenerentola di Alessandro Rak, Marino Guarnieri, Ivan Cappiello, Dario Sansone, e Uanèma Entertainment, con Fiammetta di Nicola Barile, che celebra uno degli amori più famosi della letteratura italiana, quello tra Fiammetta e Boccaccio. Titoli, questi ultimi, che mostrano l’importanza dell’ancoraggio al territorio e alla cultura locale.

Diversity strategy

Gli eventi e i festival che forniscono dei report dettagliati sull’andamento dei contenuti animati in Europa sono numerosi: il CartoonNext di Marsiglia, il Cartoon Movie a Bordeaux, il Cartoon Springboard di Madrid e il Cartoon Forum di Tolosa. Si tratta solo di alcuni dei panel del settore, insieme a quelli organizzati dai grandi festival dell’animazione come Imaginaria e Annency. Ed è dal 2022 che i dibattiti ospitati dal CartoonNext evidenziano fra l’altro la necessità di stabilire nuove coproduzioni internazionali, per dar vita a un nuovo modello europeo, solido abbastanza da competere con quelli dominanti: il modello giapponese e quello americano.

animazione in Italia

È stato proprio Luca Milano – che sarà direttore di Rai Ragazzi con mandato fino al 2025 – a spingere sull’importanza del lavoro di squadra. Infatti oltre il 50% dei prodotti animati italiani coinvolge una coproduzione francese (Lupin Stories), tedesca (Leo Da Vinci) o spagnola (Annie & Carola). Questo tipo di coproduzioni dovrebbe indirizzare le aziende e i talenti verso un obiettivo comune, abbandonando una certa forma di protezionismo culturale che non ha fatto altro che nuocere al settore, impendendo al mercato europeo di diventare competitivo sul piano mondiale. Secondo Milano, un altro passo importante sarebbe stabilire una nuova forma di alleanza tra i brodcaster nazionali e i produttori indipendenti, ponendo fine a una rivalità interna del mercato che finisce per danneggiare entrambi.

Più di recente invece, nel corso dell’ultimo CartoonNext, il tema centrale è stato quello della diversity e dell’inclusività nei contenuti per bambini, in un’ottica critica verso la meccanizzazione di elementi applicati forzatamente, al solo scopo di far risultare il prodotto al passo con le nuove aspettative dei consumatori. La diversity infatti è un punto focale del nuovo dibattito sulle produzioni animate, ma è necessario che non sia una lista da spuntare per far approvare un contenuto, ma un’attitudine, parte della missione aziendale. La diversità e l’inclusione non sono questioni risolvibili solo ampliando il ventaglio etnico dei personaggi o evitando un certo tipo di umorismo; è una tema di accessibilità dei contenuti, di costante aggiornamento e revisione della diversity strategy, ma anche di lavoro fatto dietro le quinte nei team stessi di produzione.

Un tipo di impegno che, nel loro piccolo, tentano di portare avanti con successo molti giovani talenti dell’animazione italiana ed europea. Federica Carbone e Anita Verona ne sono un esempio con il loro Astrid and the School of Astronauts: Astrid è una bambina albina di sette anni che vuole fare l’astronauta e il cartone animato mostra una figura femminile in grado di promuovere con naturalezza lo studio delle discipline STEM da parte delle bambine, solitamente escluse o scoraggiate nell’intraprenderle. La serie spagnola Sex Symbols, di Paloma Mora, accosta invece edutainment, sessualità e affettività. I quattro protagonisti Carla, Mia, Max e Hugo, stanno per affrontare l’adolescenza e devono venire a patti con i cambiamenti del proprio corpo. La serie è supportata da Save the Children e, con la consulenza di medici e psicologi, il cartone animato affronta temi come il desiderio, l’orientamento sessuale, l’identità di genere e le malattie sessualmente trasmissibili.

Nella sensibilizzazione dell’opinione pubblica sulle questioni sociali attraverso l’animazione, la più grande difficoltà sta però nelle tempistiche: i minutaggi sono sempre più ridotti e ci si ritrova a dover affrontare e risolvere un tema complesso anche in un paio di minuti, correndo il rischio di semplificare troppo. Un’altra difficoltà risiede nella scelta di contenuti controversi o di temi sgradevoli o spaventosi, come la pandemia, l’estinzione delle specie animali a rischio, il riscaldamento globale o il genocidio, senza creare troppa distanza con lo spettatore o cadere vittime della censura. L’animazione deve sempre essere un terreno di incontro e i professionisti devono essere liberi e consapevoli, pronti a prendersi la responsabilità di cosa portano sugli schermi.

Rodari e Goldrake

Insomma, poiché è indubitabile che i cartoni animati sono elementi radicati nella nostra cultura, vanno padroneggiati in modo cosciente. Già negli anni Ottanta Gianni Rodari dichiarava in un articolo di schierarsi «dalla parte di Goldrake», e invitava gli spettatori a non focalizzarsi solo sugli aspetti eventualmente negativi dei cartoni, ma a riconoscere e comprendere i contenuti entrati a far parte della vita di milioni di ragazzi, per ampliare l’esperienza dei bambini e perché non restasse circoscritta o isolata. In quei disegni innocenti, colorati, pieni di fascino e mistero spesso si nasconde un significato insondabile, perché il segreto di un prodotto destinato a diventare un classico – anche per l’infanzia – non sta nella riduzione della complessità ma nella stratificazione del senso, che non ne riduce l’accessibilità ma ne democratizza la comprensione.

Una versione più estesa di questo articolo è apparsa su Fabrique du Cinéma n. 43. Abbonati qui per restare sempre aggiornato sulle novità del cinema italiano. 

 

 

 

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 Yaya e Lennie, in cerca di libertà in una Napoli sepolta dalla giungla https://www.fabriqueducinema.it/magazine/visual-effects/yaya-e-lennie-in-cerca-di-liberta-in-una-napoli-sepolta-dalla-giungla/ Fri, 05 Nov 2021 09:03:50 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=16342 Napoli. Anche nel paese d’o sole perenne, per strano che possa sembrare, la pioggia è una eventualità possibile. E questo lo raccontano tanti film, e bellissimi, dando della città una immagine (vivaddio) finalmente non turistica: L’amore molesto, Il verificatore, L’arte della felicità. Sì, proprio il film d’esordio di Alessandro Rak, che immagina, coi suoi disegni, una metropoli piovosa, grigia, […]

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Napoli. Anche nel paese d’o sole perenne, per strano che possa sembrare, la pioggia è una eventualità possibile. E questo lo raccontano tanti film, e bellissimi, dando della città una immagine (vivaddio) finalmente non turistica: L’amore molestoIl verificatoreL’arte della felicità. Sì, proprio il film d’esordio di Alessandro Rak, che immagina, coi suoi disegni, una metropoli piovosa, grigia, sporca, anti-cartolinesca. La trasfigurazione della città diventerà una cifra stilistica del regista napoletano, il campione del cinema animato contemporaneo che l’Italia può vantare, dopo il folgorante primo film, premiato agli EFA nel 2014, e poi La gatta cenerentola, presentato a Venezia nel 2017 e vincitore di due David, e infine l’ultimo, proiettato in piazza Grande a Locarno, Yaya e Lennie -The Walking Liberty, dove Napoli pure c’è, ma sepolta dalla giungla, affiorante qua e là più come monito che come reperto. 

A piazza del Gesù il clima è più clemente quando raggiungiamo Alessandro Rak e il produttore Carlo Stella, con cui chiacchieriamo su dei divani comodissimi, ma sotto l’inquietante sguardo di un cuscino con le fattezze di Darth Vader.

Prima ancora di parlare di Yaya e Lennie, vi chiederei di svelare l’iter produttivo di un cinema di animazione. Quali differenze ci sono con il cinema live action?

A.R.: Per quanto riguarda la preparazione, secondo me non c’è un grande scarto. Direi che esistono delle libertà diverse nell’immaginare. Intendo che, ovviamente, ci si fa un’idea del budget al quale si va incontro quando si pensa la storia, ma in animazione alcune cose sono meno costose di quanto sarebbero per il cinema reale, per esempio gli effetti speciali; risultano invece estremamente faticose delle cose che nel cinema reale vengono quasi spontanee con la macchina da presa. Mi spiego meglio: se parliamo dell’animazione di un personaggio, nel caso del cinema di animazione si tratta di ricostruire fotogramma per fotogramma ogni comportamento muscolare, espressivo, o addirittura le pieghe del vestito che si muovono insieme alle articolazioni del corpo, una cosa complessissima da fare. Invece nella ripresa live ci pensa l’attore, e la macchina da presa in tempo reale riprende quello che c’è da riprendere. Quanto più si vuole rendere realistico un movimento o un sentimento, tanto più diventa difficile l’animazione. Invece fare effetti speciali, anche far precipitare un meteorite, per noi è di una banalità incredibile a fronte di quello che verrebbe a costare nel cinema live. Infine, l’animazione ha la possibilità di percorrere e ripercorrere di continuo la lavorazione di un momento del film: non è legata a un ciak, ma è un lavoro di miglioramento continuativo che poi a un certo punto va necessariamente arrestato perché da un punto di vista produttivo sarebbe una follia e io e Carlo Stella non andremmo più d’accordo. 

Venendo ora a Yaya e Lennie, come è nata questa idea?

A.R.: In realtà stavamo lavorando a un altro progetto, poi però è uscito un film Disney che aveva troppi punti di contatto con quello che stavamo facendo, si sarebbe potuto forse pensare a un plagio, e invece era un progetto ispirato a una graphic novel a cui avevo lavorato una quindicina di anni fa. Abbiamo deciso di spostarci completamente, abbiamo buttato giù dal nulla un soggetto nuovo proposto dalla produzione, e da lì in tempo brevissimo abbiamo sviluppato una sceneggiatura che ci ha permesso almeno di attivare la fase di pre-produzione del film. Lo spunto originario era Uomini e topi di Steinbeck, poi elaborato dagli altri soggettisti che sono Marino Guarnieri, Dario Sansone e Francesco Filippini, per fare in modo che fosse qualcosa di diverso, che passasse dalla Grande Depressione americana, come nel romanzo, a uno scenario di crisi più estesa, globale, un’apocalisse, con personaggi che invece di essere in difficoltà a trovare un loro posto nel mondo sono giovani ancora più in difficoltà nel trovare la loro collocazione esistenziale. 

Yaya e Lennie
“Yaya e Lennie”, Ciro Priello e Fabiola Balestriere.

I due protagonisti non sono degli eroi, hanno delle fragilità, uno di loro due è raccontato come portatore di un ritardo…

A.R.: Sono antieroi perché sono fragili, e funzionano bene perché hanno due diversi “tempi del vivere”: uno dei due ha un ritardo mentale, ma invece secondo me quello di Lennie è un tempo di vivere diverso, che per certi versi è anche più saggio, più godurioso della vita, quello di Yaya invece è più frenetico, più veloce, più ansioso nella ricerca di qualcosa, ma anche più preoccupato. Questi due personaggi, appena sono venuti fuori, ci sono piaciuti per questo scarto che ci aiutava a generare un conflitto, comunque fraterno, ma che è un filo conduttore in tutta la storia.

Tu hai citato Uomini e topi, ma a un tratto si intravede la copertina di Walden di Thoreau. È stato anche quello una fonte?

A.R.: Sì. Il mito del buon selvaggio e tutte le speculazioni di fine Ottocento e inizio Novecento sulla reinterpretazione della società e la messa in discussione delle basi della civiltà sono stati elementi di discussione e di ragionamento con gli sceneggiatori.

Una provocazione: un film come questo potrebbe far nascere il dubbio che uno sconvolgimento apocalittico del genere, più che fare paura, quasi sembrerebbe auspicabile.

A.R.: Durante la pandemia, una cosa che abbiamo tutti accolto con ammirazione sono state le immagini della natura che si riprendeva i propri spazi, la vegetazione che si faceva rigogliosa, il mare che si ripuliva, fiumi e laghi di nuovo cristallini… Questa condizione fa ingolosire, però noi siamo l’uomo, la nostra presenza la dobbiamo necessariamente manifestare non restando chiusi nei nostri appartamenti, quindi le soluzioni per cui possiamo combattere dovrebbero essere diverse da una sorta di auto-annichilimento.

Dalla vegetazione affiorano opere d’arte del passato, San Matteo e l’angelo di Caravaggio, la volta della cappella di San Gennaro…

A.R.: C’era un’idea di Napoli sotto forma di reperto, il territorio sepolto da questa giungla doveva essere la città di Napoli per come la conosciamo, o anche in una sua prospettiva più avanzata, e quindi per gli amanti della città poteva essere bello veder riemergere alcune testimonianze. Questo lo abbiamo ricercato anche dal punto di vista del sonoro, con gli accenti dei personaggi, o con qualche brano musicale che affiora dal passato.

Il film non è manicheo nel raccontare gli abitanti dei villaggi come i buoni e l’Istituzione come il cattivo assoluto. Nella scena del ricovero di Lennie sembra che si voglia creare un dialogo tra le due realtà.

A.R.: Il personaggio di André è il centro di questa contraddittorietà. L’idea non era quella di costruire buoni o cattivi, ma di costruire delle parti, che poi con l’andamento del film scoprivano i loro difetti. La differenza sostanziale tra i personaggi è che ce ne sono alcuni che hanno ben chiaro come devono andare le cose, mentre altri, come i protagonisti, questa idea non ce l’hanno, hanno curiosità o paura, ma non stabiliscono come gli altri debbano vivere.

Ci raccontate la fase del doppiaggio?

A.R.: Noi in realtà non facciamo il doppiaggio, è più corretto dire che costruiamo delle voci guida. È praticamente l’opposto. La costruzione del nostro film prevede il lavoro con l’attore che poi diventa uno stimolo e una guida e una ispirazione per tutto il processo dell’animazione. Noi ricostruiamo il labiale e tutti i comportamenti fisici e somatici partendo da una voce che sentiamo in cuffia, che è una voce, appunto, ed è stata incisa da un attore che ha lavorato al buio, senza vedere niente se non qualche immagine di storyboard, o qualche schizzo preparatorio. Un attore che a sua volta segue la voce guida del direttore del doppiaggio che gli dà le indicazioni di com’è la situazione, del suo assetto fisico, di dove si trovano gli altri personaggi sulla scena, di qual è il tempo della scena, se è affrettato oppure se è molto lento, e in base a tutto questo l’attore regola la sua voce, di fatto parlando con dei fantasmi. Da questo, poi, si arriva a un lavoro di taglia e cuci che è il nostro montaggio del sonoro, che si aggiunge al videoboard realizzato nel frattempo, e così si arriva ad avere la scena già leggibile.

Tutto questo è estremamente affascinante. La fase della registrazione delle voci potrebbe essere quella in cui maggiormente il regista compie un intervento sulla realtà, che in questo caso è l’attore, che può metterci anche del suo, nell’interpretazione, seppure solo con la voce.

A.R.: E noi vogliamo che ciò accada. Vogliamo che l’attore si appropri del personaggio, per costruire quel match che nell’arco di tre film posso dire che avviene all’improvviso. Raramente sappiamo tutto dall’inizio, e nel momento in cui avviene siamo pronti a rifare tutto da capo.

C.S.: Ci vogliono grandi prove attoriali, perché in quel momento il fisico viene escluso totalmente, non gestisci più espressione, trucco, parrucco, ma è tutto affidato solo alla voce. 

A.R.: E poi ieri, in occasione dell’anteprima, abbiamo assistito alla situazione divertente che si crea dopo: gli attori, a differenza dei film live action, quando si rivedono si trovano diversi nell’aspetto, ma con dei comportamenti fisici che rimandano a loro, perché nella ricostruzione che l’animatore fa in cuffia è come se venisse naturale creare una somiglianza del personaggio con l’attore. Quindi per l’attore rivedere il film deve essere strano, perché non si è se stessi, però poi arrivano dei lampi in cui ci si riconosce.

C.R.: Inoltre, gli attori non si sono mai incontrati quando sono state registrate le voci. 

A.R.: Infatti. Nel caso di Yaya e Lennie, Ciro Priello e Fabiola Balestriere si sono incontrati, ma nel caso di altri attori, che pure nel film interagiscono, l’interazione non è stata reale. Quindi per loro deve essere una strana emozione.  

L’intervista completa sarà sul prossimo numero di “Fabrique du Cinéma” in uscita ai primi di dicembre.

 

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Al via in Friuli il Piccolo Festival dell’Animazione  https://www.fabriqueducinema.it/festival/italia/torna-il-piccolo-festival-dellanimazione/ https://www.fabriqueducinema.it/festival/italia/torna-il-piccolo-festival-dellanimazione/#respond Sun, 11 Dec 2016 16:15:10 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=3834 La rassegna internazionale di cortometraggi d’autore apre il 12 dicembre a Trieste con una retrospettiva di uno dei massimi interpreti dell’arte del disegno animato: Chris Landreth, vincitore dell’Oscar per il cortometraggio d’animazione nel 2005 con Ryan, dedicato all’artista di culto canadese Ryan Larkin. Studio Tommaseo e Teatro Miela di Trieste sono due delle location culturali d’eccellenza […]

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La rassegna internazionale di cortometraggi d’autore apre il 12 dicembre a Trieste con una retrospettiva di uno dei massimi interpreti dell’arte del disegno animato: Chris Landreth, vincitore dell’Oscar per il cortometraggio d’animazione nel 2005 con Ryan, dedicato all’artista di culto canadese Ryan Larkin.

Studio Tommaseo e Teatro Miela di Trieste sono due delle location culturali d’eccellenza del Friuli Venezia Giulia – insieme a Cinemazero di Pordenone, Visionario di Udine, Cinecity di Lignano e Dobialab di Dobbia di Gorizia – che accoglieranno il Piccolo Festival dell’Animazione.

L’iniziativa, giunta quest’anno alla sua nona edizione, ideata da Vivacomix con la direzione artistica di Paola Bristot e main sponsor il festival sloveno Animateka, torna dunque per mostrare al pubblico la migliore produzione d’autore di cortometraggi animati provenienti da tutto il mondo: un cinema “invisibile”, ricco e variegato, e che vive ingiustamente ai margini della programmazione cinematografica delle sale italiane.

Dieci eventi che, a partire dal 12 dicembre, saranno occasione per il pubblico di scoprire stili, generi e narrazioni che fanno dell’animazione analogica e digitale una della realtà di sperimentazione e innovazione tra le più effervescenti e ricche di questi anni.

Oltre ai film in competizione, raccolti nella sezione Competition Program, ci sono i film per i più piccoli e per i ragazzi, sezioni AnimaKIDS, e le opere prodotte da autori nostrani, sezione Animazioni Italiane, oltre a una speciale selezione di film con un’originale relazione tra la musica e le immagini, sezione Visual&Music. Tutti i film potranno essere votati dal pubblico in sala e i vincitori saranno proclamati il 29 dicembre presso il Visionario di Udine.

Tanti gli autori ospiti, chiamati a presentare le loro opere in concorso e a dialogare col pubblico, e l’ospite d’onore, quest’anno appunto Chris Landreth. Oltre a incontrare il pubblico, Landreth condurrà una masterclass per gli studenti dell’Accademia di Belle Arti di Venezia e per gli studenti delle scuole superiori di secondo grado di Trieste al Cinema Ariston.

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