Favolacce Archivi - Fabrique Du Cinéma https://www.fabriqueducinema.it La Rivista Del Nuovo Cinema Italiano Tue, 18 Jan 2022 08:41:28 +0000 it-IT hourly 1 Ileana D’Ambra, la trasformista https://www.fabriqueducinema.it/cinema/people/ileana-d-ambra/ Mon, 25 May 2020 09:30:13 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=14007 Un esordio coraggioso Ileana D’Ambra è una giovane attrice al suo debutto cinematografico accanto ad Elio Germano nel film Favolacce dei fratelli Fabio e Damiano D’Innocenzo (Orso d’Argento per la sceneggiatura a Berlino), da qualche giorno in onda sulle maggiori piattaforme streaming. Vilma, donna-bambina Scelta dai talentuosi fratelli romani per il suo volto “portatore di […]

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Un esordio coraggioso

Ileana D’Ambra è una giovane attrice al suo debutto cinematografico accanto ad Elio Germano nel film Favolacce dei fratelli Fabio e Damiano D’Innocenzo (Orso d’Argento per la sceneggiatura a Berlino), da qualche giorno in onda sulle maggiori piattaforme streaming.

Vilma, donna-bambina

Scelta dai talentuosi fratelli romani per il suo volto “portatore di dolcezza”, Ileana D’Ambra si è messa in gioco con grande coraggio e ci ha regalato un personaggio senza filtri, Vilma, per la quale è ingrassata di quasi 20 kg.

Ti abbiamo vista nei panni di Vilma in Favolacce, vuoi raccontarci qualcosa di lei?

Vilma è una ragazza di 19 anni, vive e lavora con la mamma, il papà non lo vediamo, ed è fidanzata con Mattia. Lei però non è sola e si presenta fin dalla prima scena con un grembo gonfio che dentro contiene una bambina. Vilma la definirei una “middleclass decaduta”, come d’altronde tutti i personaggi del film.  È un personaggio pieno di contraddizioni: è molto bambina, lo si nota da aspetti estremamente infantili come il suo modo di vivere la femminilità e la sessualità. Un’altra contraddizione di Vilma è il contrasto tra il suo voler apparire gentile e i suoi naturali modi un po’ rudi e sgraziati.

Ileana D'Ambra al Festival di Berlino
Ileana D’Ambra al Festival di Berlino

Come sei stata scelta dai d’Innocenzo?

Io non credo nella fortuna, credo semplicemente che esista il momento giusto. Fare l’attrice per me è stata una scelta di vita legata a una passione innata. In questo mestiere devi avere le spalle larghe per accettare un quantitativo gigantesco di no e tradurli in occasioni per crescere e migliorarsi. È fondamentale essere resilienti e volgere al positivo quanto ti capita, perché è proprio grazie a questo che le esperienze personali diventano nuove “sfumature” di te nel tuo lavoro. Ecco, penso che con Favolacce sia arrivato il mio momento giusto.

Vilma è stato un personaggio impegnativo dal punto di vista psicologico ma anche fisico, considerando che per interpretarlo hai dovuto prendere quasi 20 kg.

In realtà, nonostante l’iniziale difficoltà, credo sia proprio grazie a questo importante aumento di peso che mi sono realmente calata nel personaggio di Vilma. Fin da subito il mio viso, scelto dai fratelli D’Innocenzo perché – dicono – “portatore di infinita dolcezza”, con l’aumentare dei chili cambiava e diventava altro, così come il mio fisico e il mio portamento. Ero goffa e scoordinata, con un’andatura da camionista! Ho capito che Vilma stava prendendo forma dentro di me.

Questo è stato il tuo primo film, che effetto ti ha fatto il set?

Inizio dicendoti che Fabio e Damiano riescono a rendere veramente semplici anche le cose più difficili. Da subito è scattato come un “clic” tra di noi, una sintonia e una stima reciproca che ha reso tutto estremamente naturale. Non dimenticherò mai il primo giorno sul set. Avevo l’adrenalina a mille e non appena sono arrivata mi sono detta: “Ok, questo è il mio posto, sono a casa mia!”. È esattamente per questo che spero di continuare a fare il cinema, perché mi sono veramente sentita al mio posto come mai sentita prima. La prima scena che ho girato, ambientata in un mercatino, per me non ha semplicemente rappresentato la nascita di Vilma, ma è stato anche l’inizio di un percorso di cambiamento personale. Una cosa con cui ho dovuto da subito fare l’abitudine sono stati i piani strettissimi sul mio viso e sul mio corpo. Prima dell’inizio delle riprese ho trascorso due giornate con Paolo Carnera, il direttore della fotografia, e con lui ho assistito ai provini per la camera e alla scelta degli obiettivi e delle lenti. È stato molto utile perché ho imparato e capito quello che poi ho ritrovato sul set.

Ileana-D-Ambra
Un ritratto di Ileana D’Ambra

Favolacce è uscito in un momento difficile e ci ha tenuto compagnia durante un periodo di isolamento forzato. Tu come hai trascorso il lockdown? Cosa ne hai guadagnato?

Ovviamente il radicale cambiamento di quotidianità che mi ha portata a passare da ritmi serrati e pienissimi a giornate lente e vuote, soprattutto all’inizio, è stato duro. Anche se il mio lavoro mi ha aiutata perché mi ha abituato a una routine mai scandita da orari fissi e allo stare molto spesso da sola, a studiare, a pensare, a guardare film. L’inizio del lockdown ha combaciato con il mio ritorno da Berlino, Favolacce aveva appena vinto l’Orso d’Argento per la sceneggiatura e io ero gasatissima. Mi sono guardata allo specchio e mi son detta: “Vai Ileana, questo è il tuo momento!”. Insomma ero pronta a non fermarmi più, ma una sorte ironica ha deciso di chiudermi in casa. Le mie giornate sono state altalenanti: a volte mi svegliavo piena di voglia di fare altre, quelle più no, le passavo a letto, tra libri e pensieri. La cosa bella è stata che durante questo periodo ho avuto la possibilità di sentirmi veramente vicino il mondo fuori. Mi spiego meglio: fin da piccolissima, ho sempre avuto una grande empatia verso gli altri e durante l’isolamento forzato mi sono sentita un tutt’uno con il mondo che insieme a me soffriva, cambiava e si adattava passo dopo passo.

Nuovi progetti? Hai già qualcosa in mente?

Al momento c’è un progetto di cui però per ora preferisco non dire nulla. Parlando in generale del futuro comunque spero che questo brutto periodo ci abbia finalmente fatto capire quanto la cultura sia importante per tutti. Spero che l’industria cinematografica possa riprendere al più presto, perché senza i film in questi lunghi giorni chiusi in casa non ce l’avremmo mai fatta!  Come dice poi lo scrittore Stefano Massini, quando viene a mancare la cultura emergono emozioni come la paura e altri sentimenti che inducono alla violenza.

Mi piace concludere le mie interviste con una domanda. Se dopo di me potessi prendere un caffè con una persona per te importante, con chi lo prenderesti?

Oddio, questa è una domanda davvero difficile [ride ndr]… Posso dirti due persone? La prima sarebbe sicuramente stata Goliarda Sapienza, di cui in questa quarantena ho finito di leggere L’arte della gioia, un libro rivoluzionario, con una figura femminile in continua evoluzione. La seconda invece è Marion Cotillard, attrice di quel cinema francese che tanto amo. Non ti nego che uno dei miei più grandi sogni è quello di lavorare in un set internazionale, sono certa che mi arricchirebbe tantissimo. Sì, direi che farmi due chiacchiere con Marion mi farebbe molto piacere!

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I fratelli d’Innocenzo, Favolacce e la malinconia degli adulti https://www.fabriqueducinema.it/cinema/interviste/i-gemelli-dinnocenzo-favolacce-e-la-malinconia-degli-adulti/ Mon, 11 May 2020 07:00:18 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=13925 A dirla tutta, a 31 anni Fabio e Damiano D’Innocenzo sono una delle voci più originali e promettenti del panorama italiano, ma i riflettori puntati non sembrano averli cambiati più di tanto. La principale differenza rispetto al passato è la maggior facilità nel fare i film, ma anche nel pubblicare le loro poesie e addirittura […]

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A dirla tutta, a 31 anni Fabio e Damiano D’Innocenzo sono una delle voci più originali e promettenti del panorama italiano, ma i riflettori puntati non sembrano averli cambiati più di tanto. La principale differenza rispetto al passato è la maggior facilità nel fare i film, ma anche nel pubblicare le loro poesie e addirittura un libro fotografico. «Adesso ci vogliono tutti» commenta Damiano. Barba lunga, capelli scomposti, look casual, i due gemelli sono più uniti che mai dopo la prima grande prova internazionale e dopo Favolacce, che arriva oggi nei principali store digitali italiani.

Dalla periferia di La terra dell’abbastanza alla provincia di Favolacce, i D’Innocenzo operano un decentramento per raccontare uno spaccato sociale tutto sommato tradizionale, nonostante la crisi economica che incombe, ma sotto la cui superficie serpeggiano nevrosi e disagio. La novità è che stavolta al centro della storia non vi è più l’adolescenza criminale bensì l’infanzia. Un’infanzia che nasconde risvolti inquietanti. La tensione, in Favolacce, traspare in controluce nella quotidianità, dai giochi e dai comportamenti dei piccoli protagonisti e guida la storia verso un climax imprevedibile. Questo, per i D’Innocenzo, era «l’unico modo possibile di raccontare questa storia che abbiamo scritto quando avevamo diciannove anni. Non avevamo strutturato il film in tre atti e non avevamo nessun tipo di velleità aristotelica del racconto classico, ma avendo visto tanti film e avendo in mente quello che volevamo raccontare abbiamo creato una struttura ipnotica. Succede poco, ma quel poco esprime una minaccia. Come diceva Carver, l’idea è dare il senso di una minaccia che sta per arrivare anche se poi magari non arriva. L’attesa è sempre più forte del fatto compiuto. Creare una prima parte di film rarefatta arrivando poi a un climax emotivo ci sembrava un bel contrappunto».

La scelta di raccontare l’infanzia, in Favolacce, ha portato i registi a selezionare un eccezionale cast di giovanissimi, facce meravigliose e innocenti che si contrappongono all’abbrutimento e alla volgarità degli adulti. Bambini incredibilmente consapevoli, nel film, che compiono scelte controcorrente in virtù della loro comprensione del mondo. Una visione senza dubbio fuori dal comune, ma non secondo il punto di vista dei D’Innocenzo, come ammette Fabio: «Da piccoli siamo sempre stati dei grandi osservatori, molto perspicaci. Sentivamo che c’era qualcosa che non andava, che c’era qualcosa di malinconico nel mondo, negli adulti. Mi dicevo “Quando crescerò capirò che mi sbaglio”. Sono cresciuto e ho capito che avevo ragione io. Da piccolo ero molto lucido, poi crescendo ti annacqui un po’. Ora sono molto benevolo coi miei 30 anni, ma se mi fossi visto da piccolo mi sarei fatto schifo».

favolacce

Eppure hanno molto di cui essere soddisfatti i D’Innocenzo, entrati nell’industria italiana dalla porta principale con un’opera prima lodata unanimemente dalla critica a cui è seguita la collaborazione con Matteo Garrone alla sceneggiatura di Dogman. «Questa è la porta principale, ma prima noi eravamo i ladri. Ci cacciavano tutti» scherzano loro. «Noi non abbiamo fatto scuole di cinema, abbiamo fatto l’Alberghiero. A diciannove anni ci siamo detti “Proviamo a fare cinema”, ma ce lo siamo detto tra noi, senza che nessuno lo sapesse. Non avevamo strumenti né conoscenze, ma sapevamo quello che volevamo fare. Volevamo scrivere, per noi il film era finito quando era finito lo script, così abbiamo scritto trenta copioni. Poi abbiamo conosciuto Alex Infascelli, che ci ha portato dal suo agente e abbiamo iniziato a fare i ghostwriter. Questo ci ha permesso di collaborare con tanti registi importanti e di conoscere tanti tipi di cinema. Poi abbiamo collaborato con Matteo Garrone e quando gli altri lo hanno saputo hanno cominciato a chiamarci. Se ci meritiamo di aver vinto a Berlino è per quei dieci anni che abbiamo passato a faticare».

Sempre d’accordo nelle risposte, che si spartiscono equamente, Fabio e Damiano D’Innocenzo sembrano incarnare tutti i luoghi comuni sui gemelli, presentandosi al photocall della Berlinale tenendosi per mano. «Anche se cerchiamo di simulare una certa nonchalance, la vittoria a Berlino è stata davvero significativa per noi» ammette Damiano. «Prima di essere registi, siamo cinefili e siamo cresciuti coi film di Berlino. Per noi fare i registi vuol dire avere i soldi per poter andare al cinema. Non posso negare che la notte prima della proiezione al Festival ho fatto fatica ad addormentarmi. Per affrontare tutto questo avevo bisogno della stretta di mano di mio fratello e lui della mia». Questa simbiosi che vivono i due registi si ripropone anche nel lavoro, ma è proprio vero che non litigano mai? «Sul set di Favolacce ci è capitato in due occasioni di essere in disaccordo» svela Fabio. «Ci siamo chiusi in camerino a parlare e quando siamo usciti avevamo trovato l’accordo. Nel film precedente, che era il primo, siamo stati quasi tutto il tempo chiusi in camerino».

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Giuseppe Saccà: è in atto un cambio di paradigma https://www.fabriqueducinema.it/tuttiacasaconfabrique/giuseppe-sacca/ Mon, 23 Mar 2020 10:55:08 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=13682 Giuseppe Saccà, 37 anni, produttore di quel Favolacce dei gemelli D’Innocenzo premiato con l’Orso d’Argento a Berlino che avrebbe dovuto uscire nelle sale ad aprile, ci racconta come potrà evolversi la distribuzione dei nuovi titoli con la chiusura delle sale per l’emergenza da coronavirus e, più in generale, del cambio di paradigma a cui stiamo assistendo in […]

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Giuseppe Saccà, 37 anni, produttore di quel Favolacce dei gemelli D’Innocenzo premiato con l’Orso d’Argento a Berlino che avrebbe dovuto uscire nelle sale ad aprile, ci racconta come potrà evolversi la distribuzione dei nuovi titoli con la chiusura delle sale per l’emergenza da coronavirus e, più in generale, del cambio di paradigma a cui stiamo assistendo in questi tempi.

Iniziamo con una domanda inevitabile. Come stai vivendo il presente?

Con una forte apprensione ma anche con ottimismo. Spero che quello che sta succedendo porti tutti a capire l’importanza e la bellezza delle piccole cose, dal vedere un film in sala con gli amici, a una mostra al museo o uno spettacolo a teatro. Sono tutte cose che davamo per scontate prima ma che ora non lo sono più. Abbiamo compreso che c’è un qualcosa di più grande di noi, in questo caso è di dimensioni microscopiche ma comunque è molto potente e capace di fermare tutto. Questo ci ricorda la caducità della vita e ci ribadisce che non siamo immortali. Probabilmente non tutti saremo più gli stessi. Molti lasceranno il proprio lavoro perché si renderanno conto di averlo sempre odiato, lasceranno i vecchi amori e ne troveranno di nuovi.

Sei produttore indipendente dal 2014, prima hai un passato da attore. C’è un collegamento tra le due esperienze? Cosa ti ha fatto fare questo salto?

Penso che aver visto questo lavoro anche da un’altra angolazione sia importante. Sicuramente essendoci passato ho prestato una particolare attenzione come produttore nei film fatti da Pepito, e lo si vede anche in Favolacce, con attori sconosciuti al grande pubblico come Gabriel Montesi, Barbara Chichiarelli, Max Malatesta, Ileana d’Ambra e Lino Musella. A farmi prendere la decisione vera e propria di lasciare il lavoro di attore è stato anche il fatto che ho capito di non avere il carattere per fare questo mestiere. Richiede una corazza dura, la forza di resistere a tutti i “no” che ti vengono detti e la voglia di essere esposti, cose che non mi appartenevano fino in fondo.

Nel 2018 hai prodotto La terra dell’abbastanza dei fratelli D’Innocenzo. Come è avvenuto questo incontro?

In realtà i Fabio e Damiano hanno fermato mio padre Agostino a teatro e gli hanno chiesto se poteva leggere un loro copione. Mio padre, uomo curioso e intuitivo, ha preso il copione, lo ha letto tutto la notte stessa e la mattina mi ha chiamato per dirmi che secondo lui era straordinario. Anche Rai Cinema, nella persona di Paolo del Brocco, partner industriale e finanziario ma anche e soprattutto partner editoriale, ha creduto subito in questo progetto. Se un giovane produttore e due giovani registi dopo soli quattro anni si trovano a ritirare un Orso d’argento alla loro opera seconda, tutto ciò è frutto del lavoro di una squadra che termina con un distributore internazionale che è Michael Weber di The Match Factory, una società di vendita mondiale che rappresenta filmmaker di tutto il mondo. È Rai Cinema che ha cresciuto me e questi due registi e mi sento di doverla ringraziare per questo.

EPA/RONALD WITTEK

Berlino 2020, Favolacce vince l’Orso d’argento per la sceneggiatura. 

Favolacce è un film estremamente contemporaneo. Io credo che il talento di Damiano e Fabio sia la loro incredibile connessione con la contemporaneità: il film parla dei nostri tempi e anche di questo momento, paradossalmente, perché parla di solitudine e di incomunicabilità all’interno delle famiglie. In Favolacce, come ne La terra dell’abbastanza, i personaggi sono allo stesso tempo infernali ed estremamente poetici, veri. Sullo schermo non si muovono caratteri e attori fasulli, gli spettatori riconoscono se stessi in tutte le loro ombre ma anche in tutta la loro luce.

Parliamo della distribuzione del film. Prevedi ci saranno delle novità in merito, considerando i tempi imprevedibili di riapertura dei cinema?

Questa è la domanda capitale che tutto il sistema cinematografico si sta facendo adesso. So che si sta iniziando a ragionare anche su modelli distributivi diversi o meglio di incentivare quelli che già esistono. Si parla di distribuire direttamente su piattaforme online, ma non ti posso assicurare che questo sarà il caso di Favolacce. Qualora comunque si tendesse a prendere questa strada, tutta la filiera produttiva dovrà essere d’accordo. Io, da produttore, non posso far altro che ragionarci perché un prodotto non può rimanere fermo e perché il pubblico giustamente vuole poterne fruire, ma accanto a questo dico che dobbiamo tutelare al massimo la sala perché è un bene imprescindibile.

Progetti futuri, sperando ovviamente di tornare presto alla normalità?

Con i fratelli D’Innocenzo stiamo già lavorando sul loro prossimo film; stavamo inoltre partendo con la preparazione di un film sulla famiglia de Filippo con la regia di Sergio Rubini. Ci sono anche un paio di esordi molto interessanti di cui però ancora non posso parlare. Inoltre io ho fondato da poco una società che si occupa di arte contemporanea. Siamo allestendo un museo multimediale a Enna, un progetto molto interessante perché sono profondamente convinto che l’arte, il cinema e la moda siano dei mondi che si debbano intrecciare. Basti pensare ad esempio al lavoro straordinario che sta facendo Alessandro Michele, il giovane direttore creativo di Gucci.

Che consigli daresti a chi vorrebbe lavorare nella produzione cinematografica?

Io non do consigli ai giovani perché secondo me non ne hanno bisogno. Li darei invece ai miei colleghi produttori indipendenti, soprattutto a quelli più grandi di me. Sono loro che devono favorire l’accesso alla filiera produttiva degli under 35, perché penso che la chiave vincente non sia la “rottamazione” ma la fusione e la collaborazione tra generazioni. Sono dell’idea che chi ha fame e ha voglia di fare è portatore di novità e di linguaggi: ne sono un esempio proprio Fabio e Damiano D’Innocenzo. L’unica cosa importante è trovare il giusto equilibrio tra chi è giovane e porta innovazione e chi invece percorre queste strade già da tempo e quindi ha esperienza e conoscenza. Oggi assistiamo a un cambiamento di paradigma per cui sono proprio i giovani a darci la chiave e gli strumenti culturali per leggere il mondo e consentire a noi più adulti di entrarci in contatto. Io ho 37 anni e sono figlio di una cultura novecentesca come mio padre e come mio nonno, ma ora sono la Generazione Z e i Millennials a possedere le chiavi per leggere il presente. Mi rivolgo produttori più maturi, alle banche che danno i crediti, a Rai Cinema, a Rai Fiction. A loro dico di fare sempre di più, anche in questo momento di crisi, perché è soltanto nella collaborazione che può venire fuori qualcosa di nuovo e importante.

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