Fabula Pictures Archivi - Fabrique Du Cinéma https://www.fabriqueducinema.it La Rivista Del Nuovo Cinema Italiano Wed, 08 Sep 2021 13:48:45 +0000 it-IT hourly 1 Futura: se è la musica a unire padri e figli https://www.fabriqueducinema.it/cinema/nuove-uscite/futura-se-e-la-musica-a-unire-padri-e-figli/ Wed, 09 Jun 2021 13:01:38 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=15611 Sin dall’inizio di Futura, il nuovo film di Lamberto Sanfelice (nei cinema dal 17 giugno, distribuito da Adler Entertainment), la musica prende per mano lo spettatore e non lo lascia più andare. Non detta solo il ritmo della storia, ma ne è il vero e proprio motore scatenante: in Futura tutti i personaggi vivono di […]

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Sin dall’inizio di Futura, il nuovo film di Lamberto Sanfelice (nei cinema dal 17 giugno, distribuito da Adler Entertainment), la musica prende per mano lo spettatore e non lo lascia più andare.

Non detta solo il ritmo della storia, ma ne è il vero e proprio motore scatenante: in Futura tutti i personaggi vivono di (e per) la musica e inevitabilmente trascinano chi guarda all’interno di questo vortice fatto di note. Perché il protagonista Louis (Niels Schneider) si trova proprio all’interno di un vortice, dal quale dovrà tentare di uscire non tanto per realizzare i suoi sogni, quanto per riconquistare sua figlia. Futura è un viaggio che si dipana attraverso la musica, ma conduce inesorabile verso le proprie responsabilità: un percorso di crescita che comincia con la tromba di Louis, passa per la voce di Lucya (Daniela Vega) e termina con il pianoforte della piccola Anita (Aurora Onofri). Non sorprende che sia stata quindi proprio la musica il punto di partenza per Sanfelice.

Da dove nasce l’idea per il film?

Nasce in particolare dall’incontro con un tassista che suonava la tromba, ma poi si è sviluppato attraverso altri incontri con musicisti come Stefano Di Battista ed Enrico Rava, che fanno anche parte del cast. È un film che abbiamo voluto fare soprattutto con loro e per loro, per i musicisti. Dopo una pellicola silenziosa e fatta di atmosfere come Cloro (2015), dove a fare da colonna sonora erano il vento e l’acqua, avevo voglia di musica. Volevo che fosse il cuore della storia e soprattutto che raccontasse gli stati d’animo dei personaggi. Il jazz e la tromba sono il punto di partenza del film, ma ogni personaggio ha una propria musica, diversa: Daniela Vega ha la lirica, la piccola Aurora ha il piano, la stessa Matilde Gioli ha un’anima rock. I personaggi insomma con la musica comunicano e cercano il contatto con gli altri.

Futura
Niels Schneider e Aurora Onofri (ph: Adele Pozzali).

Il ruolo dei musicisti dunque è importantissimo. In che modo hai lavorato con loro?

Sì, il loro contributo va oltre la composizione delle musiche. Li ho conosciuti un paio d’anni prima di girare il film e sono stati fondamentali nel farmi scoprire il mondo del jazz, verso il quale provavo molta curiosità. Mi sono quindi lasciato guidare alla sua scoperta. Mi hanno raccontato le storie dei musicisti e molti dei racconti sono poi finiti nel film, ad esempio la figura del padre del protagonista è un omaggio ai musicisti degli anni Ottanta e Novanta e in particolare a Massimo Urbani. E poi devo dire che sono stati incredibilmente generosi, hanno sempre creduto nel progetto, anche quando il film non aveva ancora una produzione. Insomma, sono state delle figure importanti proprio a livello di scrittura.

Dalla visione si evince la cura con la quale hai costruito, aiutato dalla fotografia di Luca Bigazzi, l’atmosfera giusta per questa storia. Qual è stata la tua fonte d’ispirazione?

È stata sicuramente Milano, che ha plasmato il linguaggio del film: volevamo un’estetica metropolitana e contemporanea per portare il jazz al mondo d’oggi. Si tende a relegare questo genere al passato, mentre noi avevamo la voglia di attualizzarlo. Per questo ci siamo appoggiati a Milano, facendo anche ricerche sull’architettura e decidendo di raccontare soprattutto i quartieri riqualificati. L’idea era quella di immergere questa storia in una metropoli europea e sicuramente Milano lo è, molto più di altre città italiane.

Puntavi sin da subito ad un cast internazionale?

Anche in questo caso c’entra Milano: prima della pandemia aveva un’energia incredibilmente internazionale e abbiamo pensato che fosse un’idea interessante restituirla attraverso il cast del film. Nello specifico Daniela Vega l’avevamo vista su Una donna fantastica, mentre Niels Schneider lo seguo dai primi film con Xavier Dolan e ho pensato che per lui fosse arrivato il momento di interpretare un personaggio alle prese con il fatidico passaggio all’età adulta, un uomo che dovesse scendere a patti con il ruolo di padre.

Futura Daniela Vega
Daniela Vega è Lucya in “Futura” (ph: Adele Pozzali).

Daniela Vega ha un ruolo davvero interessante e quando canta Un bel dì vedremo crea uno dei momenti più d’impatto all’interno della pellicola. Parlami del suo personaggio.

È un personaggio che è l’antitesi del protagonista. Lui cerca l’isolamento dal mondo ed è un emarginato per scelta, mentre lei lo è perché si trova a vivere le difficoltà delle donne che affrontano la transizione. Anche per questo stanno bene insieme: lei non chiede niente che lui non possa darle e si tengono compagnia girando per questa città notturna. Persino nel rapporto con i figli sono agli opposti: lei ha il forte desiderio di tornare dal suo bambino, un desiderio che esprime anche attraverso la Butterfly, una donna alla quale tentano di portare via il figlio, appunto, mentre invece il protagonista fa fatica a prendersi le responsabilità paterne e rifiuta quasi questo ruolo. Daniela poi ha un’energia davvero incredibile e la trasmette al film, senza contare che ha anche una formazione da cantante lirica e quindi ci ha permesso di giocare con la sua voce.

 

 

 

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Il Divin Codino: regia raffinata, ma la sceneggiatura non segna il gol https://www.fabriqueducinema.it/cinema/nuove-uscite/il-divin-codino-regia-raffinata-ma-la-sceneggiatura-non-segna-il-gol/ Sat, 29 May 2021 13:23:31 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=15590 Non bisogna essere dei patiti del calcio per ricordare il nome di Roberto Baggio, uno dei miglior attaccanti a livello mondiale. A parlar di lui, anche la canzone dei Pinguini Tattici Nucleari (Scrivile scemo), che proprio tra le prime strofe recita: “Ci vuole coraggio nel ’94 a essere Baggio”. Ed è da qui che parte […]

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Non bisogna essere dei patiti del calcio per ricordare il nome di Roberto Baggio, uno dei miglior attaccanti a livello mondiale. A parlar di lui, anche la canzone dei Pinguini Tattici Nucleari (Scrivile scemo), che proprio tra le prime strofe recita: “Ci vuole coraggio nel ’94 a essere Baggio”. Ed è da qui che parte Il Divin Codino (prodotto da Fabula Pictures e disponibile su Netflix dal 26 maggio), dal quel 1994 e dal portato di essere Roberto Baggio esattamente in quel fatidico anno in cui, a causa di un rigore (di Baggio stesso), l’Italia perse i mondiali per un soffio contro il Brasile.

Con una struttura a cornice, che parte dalla famosa partita contro il Brasile, la mano di Letizia Lamartire decide fin da subito di relegare le prime inquadrature a una prospettiva raso terra. A queste alterna i pensieri dell’infanzia del “Divin Codino” in un momento specifico: quando nell’officina del padre s’immaginava già come uno dei più importanti calciatori. L’intento tanto della regia della Lamartire, quanto della sceneggiatura di Ludovica Rampoldi e di Stefano Sardo (coautori anche de Il ragazzo invisibile), è quindi subito lampante. Non si vuole raccontare della leggenda, ma dell’umanità di questo immenso giocatore.

Si va, allora, in rewind e, tra immagini in hd e immagini che riprendono abilmente i formati televisivi e telecronistici dell’epoca, s’inizia non tanto una biografia che possa racchiudere la carriera dell’attaccante, ma un vero e proprio racconto di formazione, che parte dalla necessità di accettare di non essere sempre i migliori per poter essere riconosciuti. Didascalicamente, si procede dentro le pieghe del rapporto che Baggio ha con il proprio padre, dal quale si sente trascurato perché non ancora abbastanza maturo da capirne i ragionamenti e gli insegnamenti. Il Divin Codino decide di non fermarsi, perciò, sulle tappe della carriera del calciatore, ma su quelle del rapporto padre-figlio e uomo-maturità.

Nel delineare questo percorso, il film viene diviso in due grandi blocchi: prima del “fallimento” del 1994 e dopo quel giorno. Se, in questa costruzione, la regia sperimenta e riesce ben ad agganciare lo spettatore prima a una visione quasi cronistica/osservazionale e poi a un punto di vista più intimo, sono tuttavia le basi a mancare affinché si venga totalmente catturati dal racconto. La sceneggiatura, infatti, non gioca di stile come fa, invece, l’occhio della Lamartire (e come faceva in campo Roberto Baggio, proprio per questo soprannominato “Raffaello”), ma di forza. L’umanità del messaggio si perde, così, tra le pieghe di una verbosità fin troppo esplicativa, che produce un immenso calderone di concetti ridondanti e paradossalmente superficiali.

Insomma, Il Divin Codino è un film incapace di cogliere l’assist. È, infatti, un prodotto che presenta un attento gioco di raffinatezza della regia e anche della recitazione (in primis di quella di Andrea Arcangeli, proprio nel ruolo di Baggio, di cui coglie ogni sfumatura e tensione), che però non riesce a superare i difetti di contenuto e di penna. La Fabula Pictures si ritrova, allora, come Roberto Baggio in quel famoso ’94: in un campionato con diversi goal decisivi, ma incapace di mettere in porta il rigore decisivo.

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