Fabio e Damiano D’Innocenzo Archivi - Fabrique Du Cinéma https://www.fabriqueducinema.it La Rivista Del Nuovo Cinema Italiano Wed, 26 Apr 2023 13:20:19 +0000 it-IT hourly 1 Cosa leggono gli sceneggiatori italiani da tenere d’occhio? https://www.fabriqueducinema.it/magazine/industry/cosa-leggono-gli-sceneggiatori-italiani-da-tenere-docchio/ https://www.fabriqueducinema.it/magazine/industry/cosa-leggono-gli-sceneggiatori-italiani-da-tenere-docchio/#respond Tue, 18 Apr 2023 07:19:17 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=18385 Cosa leggono gli sceneggiatori e le sceneggiatrici italiani? E in che modo quello che leggono li influenza nella scrittura di cinema? Lo abbiamo chiesto ai fratelli Damiano e Fabio D’Innocenzo, sceneggiatori e registi de La terra dell’abbastanza, Favolacce, America Latina, ora impegnati nella preparazione della loro prima serie tv, Dostoevskij; Carolina Cavalli, che con Amanda […]

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Cosa leggono gli sceneggiatori e le sceneggiatrici italiani? E in che modo quello che leggono li influenza nella scrittura di cinema? Lo abbiamo chiesto ai fratelli Damiano e Fabio D’Innocenzo, sceneggiatori e registi de La terra dell’abbastanza, Favolacce, America Latina, ora impegnati nella preparazione della loro prima serie tv, Dostoevskij; Carolina Cavalli, che con Amanda ha esordito nella doppia veste di sceneggiatrice e regista; Alice Urciuolo, sceneggiatrice delle serie tv Skam Italia e Prisma; Giuseppe G. Stasi, che ha co scritto (e co diretto) la serie Amazon Prime Video The Bad Guy e, prima ancora tra gli altri, Gli uomini d’oro e Metti la nonna in freezer.

Ti ritieni un lettore o una lettrice forte? Pensi che la lettura abbia influito sulla scelta di scrivere di cinema?

 Fratelli D’Innocenzo: Non esistono lettori deboli. Non tutti i giorni vediamo film. Tutti i giorni leggiamo. Fin da bambini l’abbiamo fatto con tutto: da Topolino ai Peanuts, da Pasolini al retro dei cartoni di cereali del discount. Leggevamo anche i silenzi di nostro padre o i capelli appena lavati di nostra madre.

Cavalli: Il vero cambiamento nell’approccio alla lettura è arrivato con la possibilità di scegliere. Sono cresciuta in una casa in cui le letture a disposizione non erano molte. C’erano i Gialli Mondadori, mia nonna che leggeva gli Harmony. Anche di cinema non ne girava molto, quindi guardavo tanta tv, ma la tv di quindici anni fa, anche lì non c’era molta scelta. Il cinema lo guardavo un po’ come una tv: se ero libera alle quattro di pomeriggio andavo e vedevo lo spettacolo che c’era. Più tardi, verso i 18 anni, sono diventata una lettrice e una spettatrice più consapevole, è a partire da lì che ho iniziato a pensare di voler fare questa professione.

Urciuolo:  Se ci atteniamo alla definizione di lettore forte (almeno 12 libri letti in un anno ndr) sicuramente posso dire di esserlo. Ho iniziato a leggere da ascoltatrice, quando mio padre mi leggeva i libri, e poi da quando ho imparato a farlo autonomamente non ho più smesso. La lettura ha sempre fatto parte di me, così anche la scelta di fare questo mestiere è stata molto naturale, non me lo sono mai davvero chiesto. Mi rendo conto che prima leggevo in modo più costante, ogni giorno, adesso tendo a concentrare la lettura in modo intensivo quando ho più tempo. In realtà mi sono avvicinata alla scrittura di cinema perché volevo acquisire gli attrezzi del mestiere che ritenevo mi sarebbero stati utili per la scrittura di romanzi, come la stesura dei dialoghi o di una trama, e invece poi ho scoperto un mondo che per me è stato dirompente e me ne sono innamorata.

Stasi: Mi ritengo un lettore medio, riuscivo a leggere per piacere molto di più prima. Ora mi capita più spesso di dover leggere delle cose per lavoro. Ricordo con particolare piacere un’estate in cui una professoressa del ginnasio ci diede da leggere qualcosa come venti libri. Lessi Simone de Beauvoir a 14 anni, e la detestai. Dopo invece ci sono tornato e l’ho amata. Ricordo che i miei compagni odiarono l’insegnante per queste letture coatte, ma io l’apprezzai e da allora ogni estate, quando ho più tempo a disposizione, cerco di leggere più libri possibile. Sicuramente alcune letture hanno influito sulla mia scelta di fare questo lavoro. In realtà volevo fare lo scrittore, ma poi mi sono reso conto che per farlo bisogna essere ricchi di famiglia, magari avere una casa in campagna o al mare e non vivere a Roma che, come dice Jep Gambardella, ti fa perdere un sacco di tempo.

Scrittori o scrittrici non di cinema possono influenzare la scrittura cinematografica?

 Fratelli D’Innocenzo: Ogni scrittore di cui abbiamo letto qualcosa influenza la nostra scrittura: narratori, poeti, giardinieri, fidanzate, fantasmi.

Cavalli: Tantissimo, come del resto ogni esperienza che prescinde dal cinema. Tutto influenza la scrittura cinematografica, a maggior ragione la letteratura, capace di creare scenari che vivono soltanto nell’immaginazione di chi la legge, e quindi lo sforzo di creazione di un film è già dentro di te.

Urciuolo: Sì, infatti quando scrivo di cinema indico spesso dei riferimenti letterari. Quello che ho letto diventa la reference per un’idea su cui stiamo lavorando, un’atmosfera, un personaggio.

Stasi: Scrittori non di cinema devono influenzarci continuamente, come anche la musica e le canzoni. Tra l’altro sono profondamente convinto che le sceneggiature non debbano essere asettiche, dei verbali. Come regista mi capita molto più spesso di leggere sceneggiature di altri, e quelle che di solito mi colpiscono di più sono quelle scritte meglio, che sono più evocative, anche se magari non hanno delle storie che immediatamente ti agganciano. Cerco di fare lo stesso quando scrivo io. Per l’ultimo lavoro (Bad Guy) ho lavorato con Ludovica Rampoldi e Davide Serino, che sono tra gli sceneggiatori più piacevoli da leggere.

Quali sono gli autori o le autrici che più ti hanno influenzato nella scrittura cinematografica?

Fratelli D’Innocenzo: Don Rosa e Carl Barks, senza dubbio. Sceneggiavano le storie che disegnavano e questo conferiva loro una coerenza poetica assoluta, un fanatismo e fervore disperato. Sceneggiare è diverso da scrivere, è una (come insegna Tito Faraci) “scrittura invisibile”. Non abbiamo riferimenti eclatanti tra gli sceneggiatori cinematografici, anche perché è sempre complesso rimediare sceneggiature altrui da leggere.

Cavalli: Mi piace molto rileggere Ryū Murakami, Irvine Welsh e Joe R. Lansdale, me ne rendo conto anche dalla situazione spaziale della casa: sono sempre fuori dagli scaffali, mi capita di ritrovarli in giro, prenderli in mano e rileggerne delle parti.

Urciuolo: Ci sono tanti autori e autrici che hanno una grande potenza visiva. Mi vengono in mente Nadia Terranova, Teresa Ciabatti e Giulia Caminito o, al di là delle italiane, scrittrici che creano un racconto molto intimo fatto di sentimenti e memoria, come Annie Ernaux, sono molto potenti proprio per le immagini che evocano. Per non parlare di grandi romanzieri come Philip Roth, autori incredibilmente letterari ma che riescono ad abbinare allo stile anche delle trame grandiose, cosa tutt’altro che scontata.

Stasi: Partiamo da un presupposto: sono un lettore molto disattento sulle “nuove proposte”. Tra i nuovi stimo molto Enrico Dal Buono. Per il resto cerco di recuperare i classici (quelli che tutti ci vantiamo di aver letto, ma che magari non abbiamo fatto davvero) e quindi i russi, Cechov, Gogol, Bulgakov; i francesi Celine, Sartre, poi Henry Miller, che scriveva come un francese anche se era americano. Poi Dante, Pirandello, Calvino, che ritengo uno degli scrittori italiani più cinematografici ma meno sfruttati al cinema. Omero, che ha dentro tutto: Vincenzo Cerami diceva che con l’Odissea nasce il romanzo e finisce l’epica. E poi Calasso, Dumas, ma anche i filosofi, come Nietzsche che scriveva benissimo.

Quando sei nel processo creativo continui a leggere? Ci sono degli autori o delle autrici particolari su cui torni in quella fase, o continui a leggere quello che stavi leggendo?

Fratelli D’Innocenzo: Leggiamo sempre, mentre scriviamo poesie, racconti, quindi anche mentre scriviamo sceneggiature. Mentre giriamo film o dipingiamo o ascoltiamo musica. Gli scrittori su cui torniamo ossessivamente in questo momento sono Antonio Moresco, Piero Chiara, Federigo Tozzi, Milo De Angelis, Bruno Enna, William T. Vollmann, Ugo Moretti, Ivano Ferrari, Breece D’J Pancake, Pierluigi Cappello.

Cavalli: Nel momento di scrittura leggo molto meno, la voglia di leggere aumenta tantissimo quando non sto scrivendo. Non mi piace l’eccesso di parole, e quando scrivo vado alla ricerca di cose da leggere che mi liberino da questo eccesso, anche molto lontane da quello a cui sto lavorando: video sottotitolati su YouTube su come si costruisce qualcosa, libretti delle istruzioni o libri per bambini. Riguardo molto South Park con i sottotitoli proprio per il piacere di abbandonarmi alla lettura.

Urciuolo: Quando scrivo leggo libri che possono essermi utili, che richiamano o hanno a che fare con quello che sto scrivendo: mi servono da riferimento per saper cosa, prima di me, è stato scritto a proposito di un tema, o magari di un personaggio simile a quello che sto scrivendo. Cambiano quindi di volta in volta e per ogni progetto potrei citare degli autori o delle autrici che mi hanno accompagnata. Se dovessi fare tre nomi che sicuramente sono particolarmente importanti per me direi Annie Ernaux, Philip Roth e Gustave Flaubert.

Stasi: La lettura per svago quando sto scrivendo mi uccide, perché vedo autori molto più bravi di me. Però sì, c’è una serie di autori che rileggo. Per i dialoghi mi affido a Friedrich Dürrenmatt, che forse ha scritto i dialoghi più belli della letteratura, di grandissima modernità. Edgar Allan Poe è uno scrittore su cui torno sempre per le descrizioni, perché sapeva descrivere così bene una cosa immateriale come il terrore. Paradossalmente tendo poi a leggere sceneggiature, c’è una piccola casa editrice toscana (Erasmo Libri ndr) che sta pubblicando vecchie meravigliose sceneggiature, e ho riletto da poco In nome del popolo italiano dei maestri Age & Scarpelli. Le loro sceneggiature, così ben scritte, rappresentano il mio ideale di sceneggiatura e un aiuto per tutti. Il cinema è un lavoro d’equipe, e buone sceneggiature influenzano e stimolano tutte le parti, dal regista agli scenografi a chi lavora al suono. È una questione di ritmo, dipendiamo completamente dal ritmo.

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Gabriel Montesi, da Cassano a Bukowski con passione https://www.fabriqueducinema.it/magazine/cover/gabriel-montesi-da-cassano-a-bukowski-con-passione/ Thu, 08 Apr 2021 08:14:09 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=15389 Eclettico e intenso, Gabriel Montesi, classe ’92, è una delle promesse più promettenti del cinema italiano. Inizia da un piccolo teatro di Aprilia per entrare successivamente alla Scuola d’arte cinematografica Gianmaria Volontè: per lui il cinema è collettività, scambio e armonia tra anime diverse. Negli ultimi anni ha lavorato con registi del calibro di Fabio […]

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Eclettico e intenso, Gabriel Montesi, classe ’92, è una delle promesse più promettenti del cinema italiano. Inizia da un piccolo teatro di Aprilia per entrare successivamente alla Scuola d’arte cinematografica Gianmaria Volontè: per lui il cinema è collettività, scambio e armonia tra anime diverse. Negli ultimi anni ha lavorato con registi del calibro di Fabio e Damiano D’Innocenzo e Matteo Rovere e lo abbiamo visto da poco nei panni di Antonio Cassano diretto da Luca Ribuoli. È una persona istintiva che preferisce «occuparsi del presente anziché preoccuparsi del futuro», perché è così che sono nati alcuni degli incontri che hanno segnato la sua carriera.

Ti avvicini al mondo della recitazione a meno di vent’anni. Nel 2019 termini il tuo percorso alla Volonté. Chi è oggi Gabriel Montesi?

Non lo so [ride], ancora non lo so. La ricerca di me stesso è stata la vera ragione per cui mi sono avvicinato alla recitazione. Avevo 19 anni, ero in quella fase della vita in cui non sai né chi sei né chi vuoi essere, io e un mio amico siamo andati ad Aprilia a seguire un corso di teatro dentro una ex fabbrica abbandonata, ci sembrava un’atmosfera divertente. In seguito mi sono avvicinato a Roma frequentando dei laboratori e nel 2016 sono entrato alla Volontè, ed è stata una delle più grandi opportunità che mi sia mai capitata. Grazie alle persone che ho conosciuto lì ho capito veramente l’importanza del gruppo e che il cinema è un’arte collettiva. In assoluto sono una persona che preferisce puntare a occuparsi del presente più che a preoccuparsi del futuro. Ho sempre vissuto l’oggi e ciò mi ha portato a fare begli incontri, ho messo da parte tante esperienze che ora mi stanno aiutando a costruire la mia persona.

Ti abbiamo visto lo scorso anno in Favolacce dei fratelli D’Innocenzo. Come ti sei trovato nei panni di Amelio?

È stato un viaggio bellissimo, a volte ancora mi manca quel set e le sue sensazioni. Ho incontrato i fratelli D’Innocenzo grazie al casting director Davide Zurolo che mi mise a fare la spalla durante i provini di Favolacce. Ho sentito da subito una forte intesa con Fabio e Damiano, legata forse anche al fatto che proveniamo tutti da un’infanzia vissuta in un piccolo paesino. Questo credo che ti regali una certa poetica e un preciso modo di vedere le cose, di recepirle e di ascoltarle. Amelio è stato un personaggio che mi ha posto molte domande sul concetto di famiglia. L’intero film racconta di persone che hanno l’obiettivo di raggiungere un desiderio di perfezione, una famiglia divinizzata. La figura di Amelio è un po’ il paradosso del film, il completo opposto del personaggio interpretato da Elio [Germano ndr]: è euforico, non sa bene come fare il padre e non sa come dare amore, quindi tratta il figlio Geremia più come se fosse un amico, un fratellino. Favolacce è un film che, oltre ad avermi fatto riflettere come attore, mi ha messo in discussione anche come spettatore, stravolgendo i miei concetti personali di vita e di morte, di buono e di cattivo.

In Romulus di Matteo Rovere eri il re Cnaeus. Cosa ti ha lasciato questo personaggio?

Cneaus è un re che si autoproclama all’interno di un gruppo, interpretarlo mi ha ricordato Il Signore delle mosche. Domina il branco per garantirsi una sopravvivenza più lunga. È un personaggio interessante e mi ha fatto molto piacere tornare a lavorare con Rovere che avevo già conosciuto precedentemente sul set de Il primo re. Di questa serie ho amato anche il fatto che il concetto di “branco” (in senso positivo) si è ricreato perfettamente anche all’interno del set, mi sono trovato circondato da persone meravigliose che mi hanno aiutato a costruire il mio personaggio e a sostenerlo. Ho legato moltissimo con Claudio Bellisario, un giovane attore formidabile conosciuto lì, e con Marco Cicalese, con cui invece avevo già condiviso tutto il percorso all’interno della Volontè.

Gabriel MontesiTi abbiamo rivisto su Sky in Speravo de morì prima, miniserie italiana diretta da Luca Ribuoli: che effetto ti ha fatto interpretare un mito del calcio come Antonio Cassano? 

Quando ho fatto il provino per Cassano mi sono presentato al casting con il suo taglio di capelli, per calarmi meglio nel personaggio. Ricordo che guardandomi allo specchio ho pensato: “Ao’, però ce prendo!”. Nonostante la somiglianza fisiognomica è stato impegnativo interpretare una personalità geniale e stravagante come quella di questo mito del calcio. Una delle sfide più grandi poi è stato il dialetto barese: per questo devo ringraziare infinitamente Francesco Zenzola, un attore fantastico senza il quale non sarei riuscito a fare nulla. Lui è di Bari e abbiamo fatto insieme un doppio lavoro: siamo arrivati prima a un barese più pulito e poi a uno con cadenza “spagnoleggiante” dovuta all’anno che Cassano ha passato in Spagna con il Real Madrid. È stata la prima volta che ho interpretato una persona reale e grazie a questo ho imparato che mi piace restituire e non imitare. Scegliendo alcuni gesti e alcune movenze è come se restituissi a Cassano una parte di sé e così facendo lo ringraziassi in modo vero e puro.

Sarai anche nella serie Christian, sempre per Sky, diretta da Stefano Lodovichi e Roberto “Saku” Cinardi. Vuoi parlarci della trama?

Christian, interpretato da Edoardo Pesce, vive alla periferia di Roma in un contesto di criminalità. Sopravvive “menando”, fino a quando non si ritrova con dei segni sulle mani, che scopre essere delle stimmate. La serie viaggia su questo contrasto, si costruisce sul limite tra il reale e i miracoli. Qui io interpreto Penna, un piccolo malvivente amico della compagnia di Christian. Lavorare con Edoardo è stato davvero formativo e divertente, è un grande. Personalmente non credo al “sovrannaturale” ma sono sicuro che esista un qualcosa che va oltre i nostri limiti, che superi i nostri pensieri. Mi piace spostare lo sguardo.

Sei considerato una delle giovani promesse del cinema italiano: come vedi il futuro di questo mondo? Un consiglio ai giovani che vorrebbero fare il tuo lavoro?

Se io so’ una promessa già siamo messi male! Non lo so, stiamo vivendo un presente in cui il futuro fa un po’ paura ma in ogni caso sono ottimista, e penso che ci sarà presto una grande rinascita. Comunque, spero in una reazione più che in una resistenza. A un giovane che si sta avviando in un percorso lavorativo come il mio dico di continuare, di non arrendersi mai e soprattutto di sentire la “fame” di questo mestiere. Per me recitare ormai non è neanche più una passione, è una sorta di bisogno fisico che mi fa star bene, una parte di me senza la quale non riesco nemmeno a immaginarmi. Non ci dobbiamo far fermare dalla situazione di distacco che stiamo vivendo, dobbiamo interagire con persone con la stessa passione, perché il cinema è collettività, è scambio, è armonia tra anime diverse.

Gabriel MontesiHai interpretato ruoli diversi, quasi sempre drammatici: quale di questi ti è rimasto particolarmente impresso?

Ogni ruolo ha lasciato in me qualcosa e non ne vorrei scegliere uno in particolare. Ho paura che dovendo prediligere un personaggio sugli altri mi lascerei troppo influenzare, mentre voglio sentirmi sempre libero e completamente adattabile. Se dovessi scegliere invece una personalità che vorrei interpretare e che mi piacerebbe studiare, è quella di Martin Luther King.

Se dopo di me potessi prendere un caffè con una persona per te importante, chi sceglieresti?

Mio fratello Gianmarco, per me lui è stato ed è tuttora un maestro, è una persona ribelle e coraggiosa che va dritto per la sua strada. Non ha paura di osare e per questo ha e avrà per sempre tutta la mia stima. Pensando a lui mi viene in mente una frase di Bukowski: «Godo nel minacciare il sole con una pistola ad acqua».

Fotografa: ROBERTA KRASNIG Assistenti fotografa: LAURA AURIZZI / ELISA MALLAMACI Stylist: CONSUELO MOCETTI per STEFANIA SCIORTINO STYLIST Trucco: ELEONORA DE FELICIS@HARUMI Capelli: GIADA UDOVISI@HARUMI Abiti: HUGO BOSS / LEVI’S / BOMBOOGIE / BERNA / ANERKJENDT

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Il nuovo numero di Fabrique finalmente online! Leggilo ora https://www.fabriqueducinema.it/tuttiacasaconfabrique/il-nuovo-numero-di-fabrique-online/ https://www.fabriqueducinema.it/tuttiacasaconfabrique/il-nuovo-numero-di-fabrique-online/#respond Fri, 17 Apr 2020 14:51:28 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=13795   LEGGI E SCARICA QUI FABRIQUE N. 28! Per la prima volta il nuovo numero di Fabrique du Cinéma è pubblicato esclusivamente sul web: certo, è una scelta dettata dal lockdown che in questi mesi ha rivoluzionato ogni aspetto dell’economia e della società di tanti Paesi, e il cinema è uno di quei settori che ne […]

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LEGGI E SCARICA QUI FABRIQUE N. 28!

Per la prima volta il nuovo numero di Fabrique du Cinéma è pubblicato esclusivamente sul web: certo, è una scelta dettata dal lockdown che in questi mesi ha rivoluzionato ogni aspetto dell’economia e della società di tanti Paesi, e il cinema è uno di quei settori che ne ha particolarmente sofferto. Le produzioni sono tuttora bloccate e l’uscita di tanti film molto attesi, di cui parliamo nelle pagine del nuovo numero (preparato prima dell’emergenza), è stata rimandata a data da destinarsi e non possiamo nasconderci che tutta la filiera stia attraversando un momento particolarmente difficile.

Tuttavia noi siamo assolutamente convinti che questo sovvertimento porterà con sé anche tante novità positive, nelle modalità di fruizione e nei contenuti del cinema, e con il 28esimo Fabrique lo gridiamo a gran voce: e come noi ci credono tanti registi, sceneggiatori, produttori, distributori ed esercenti, che si stanno attrezzando per trasformare gli ostacoli in opportunità.

Ed ecco cosa trovate nel nuovo numero di Fabrique: un focus sui fratelli D’Innocenzo, trionfatori alla Berlinale – Berlin International Film Festival con il loro Favolacce, Daphne Scoccia, scoperta per caso da Claudio Giovannesi e che, a soli venticinque anni, ha partecipato all’ultima Berlinale come protagonista dell’opera prima di Chiara Bellosi, Palazzo di giustizia.

Giovani, pieni di idee e di entusiasmo sono anche i nostri Futures Martina Scarpelli, Damiano Giacomelli e il duo composto da Andrea Brusa e Marco Scotuzzi, così come l’autore teatrale Fabio Condemi e il fumettista Toni Bruno. Dialogano con noi anche il direttore delle serie Netflix per l’Europa Felipe Tewes e la presidente di Italian Film Commissions Cristina Priarone.

Nell’anno del centenario della nascita, non potevamo tralasciare in questo nuovo numero un omaggio a Federico Fellini, il cineasta più rappresentativo del cinema italiano che rivive con forza nell’intervista rilasciata allo storico del cinema Aldo Tassone e che pubblichiamo in esclusiva.

Last but not least il team di giovani attori pronti a sbalordire pubblico e critica sul grande e piccolo schermo: Elisa Visari, Davide Calgaro, Roberto Luigi Mauri, Serena De Ferrari, Filippo Marsili, Gea Dall’Orto.

Ringraziamo i nostri partner:
Teatro BrancaccioIlaria Di Lauro make-up artistHarumi RomaD-Vision Movie PeopleZero21 Braziliansushibar

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Giuseppe Saccà: è in atto un cambio di paradigma https://www.fabriqueducinema.it/tuttiacasaconfabrique/giuseppe-sacca/ Mon, 23 Mar 2020 10:55:08 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=13682 Giuseppe Saccà, 37 anni, produttore di quel Favolacce dei gemelli D’Innocenzo premiato con l’Orso d’Argento a Berlino che avrebbe dovuto uscire nelle sale ad aprile, ci racconta come potrà evolversi la distribuzione dei nuovi titoli con la chiusura delle sale per l’emergenza da coronavirus e, più in generale, del cambio di paradigma a cui stiamo assistendo in […]

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Giuseppe Saccà, 37 anni, produttore di quel Favolacce dei gemelli D’Innocenzo premiato con l’Orso d’Argento a Berlino che avrebbe dovuto uscire nelle sale ad aprile, ci racconta come potrà evolversi la distribuzione dei nuovi titoli con la chiusura delle sale per l’emergenza da coronavirus e, più in generale, del cambio di paradigma a cui stiamo assistendo in questi tempi.

Iniziamo con una domanda inevitabile. Come stai vivendo il presente?

Con una forte apprensione ma anche con ottimismo. Spero che quello che sta succedendo porti tutti a capire l’importanza e la bellezza delle piccole cose, dal vedere un film in sala con gli amici, a una mostra al museo o uno spettacolo a teatro. Sono tutte cose che davamo per scontate prima ma che ora non lo sono più. Abbiamo compreso che c’è un qualcosa di più grande di noi, in questo caso è di dimensioni microscopiche ma comunque è molto potente e capace di fermare tutto. Questo ci ricorda la caducità della vita e ci ribadisce che non siamo immortali. Probabilmente non tutti saremo più gli stessi. Molti lasceranno il proprio lavoro perché si renderanno conto di averlo sempre odiato, lasceranno i vecchi amori e ne troveranno di nuovi.

Sei produttore indipendente dal 2014, prima hai un passato da attore. C’è un collegamento tra le due esperienze? Cosa ti ha fatto fare questo salto?

Penso che aver visto questo lavoro anche da un’altra angolazione sia importante. Sicuramente essendoci passato ho prestato una particolare attenzione come produttore nei film fatti da Pepito, e lo si vede anche in Favolacce, con attori sconosciuti al grande pubblico come Gabriel Montesi, Barbara Chichiarelli, Max Malatesta, Ileana d’Ambra e Lino Musella. A farmi prendere la decisione vera e propria di lasciare il lavoro di attore è stato anche il fatto che ho capito di non avere il carattere per fare questo mestiere. Richiede una corazza dura, la forza di resistere a tutti i “no” che ti vengono detti e la voglia di essere esposti, cose che non mi appartenevano fino in fondo.

Nel 2018 hai prodotto La terra dell’abbastanza dei fratelli D’Innocenzo. Come è avvenuto questo incontro?

In realtà i Fabio e Damiano hanno fermato mio padre Agostino a teatro e gli hanno chiesto se poteva leggere un loro copione. Mio padre, uomo curioso e intuitivo, ha preso il copione, lo ha letto tutto la notte stessa e la mattina mi ha chiamato per dirmi che secondo lui era straordinario. Anche Rai Cinema, nella persona di Paolo del Brocco, partner industriale e finanziario ma anche e soprattutto partner editoriale, ha creduto subito in questo progetto. Se un giovane produttore e due giovani registi dopo soli quattro anni si trovano a ritirare un Orso d’argento alla loro opera seconda, tutto ciò è frutto del lavoro di una squadra che termina con un distributore internazionale che è Michael Weber di The Match Factory, una società di vendita mondiale che rappresenta filmmaker di tutto il mondo. È Rai Cinema che ha cresciuto me e questi due registi e mi sento di doverla ringraziare per questo.

EPA/RONALD WITTEK

Berlino 2020, Favolacce vince l’Orso d’argento per la sceneggiatura. 

Favolacce è un film estremamente contemporaneo. Io credo che il talento di Damiano e Fabio sia la loro incredibile connessione con la contemporaneità: il film parla dei nostri tempi e anche di questo momento, paradossalmente, perché parla di solitudine e di incomunicabilità all’interno delle famiglie. In Favolacce, come ne La terra dell’abbastanza, i personaggi sono allo stesso tempo infernali ed estremamente poetici, veri. Sullo schermo non si muovono caratteri e attori fasulli, gli spettatori riconoscono se stessi in tutte le loro ombre ma anche in tutta la loro luce.

Parliamo della distribuzione del film. Prevedi ci saranno delle novità in merito, considerando i tempi imprevedibili di riapertura dei cinema?

Questa è la domanda capitale che tutto il sistema cinematografico si sta facendo adesso. So che si sta iniziando a ragionare anche su modelli distributivi diversi o meglio di incentivare quelli che già esistono. Si parla di distribuire direttamente su piattaforme online, ma non ti posso assicurare che questo sarà il caso di Favolacce. Qualora comunque si tendesse a prendere questa strada, tutta la filiera produttiva dovrà essere d’accordo. Io, da produttore, non posso far altro che ragionarci perché un prodotto non può rimanere fermo e perché il pubblico giustamente vuole poterne fruire, ma accanto a questo dico che dobbiamo tutelare al massimo la sala perché è un bene imprescindibile.

Progetti futuri, sperando ovviamente di tornare presto alla normalità?

Con i fratelli D’Innocenzo stiamo già lavorando sul loro prossimo film; stavamo inoltre partendo con la preparazione di un film sulla famiglia de Filippo con la regia di Sergio Rubini. Ci sono anche un paio di esordi molto interessanti di cui però ancora non posso parlare. Inoltre io ho fondato da poco una società che si occupa di arte contemporanea. Siamo allestendo un museo multimediale a Enna, un progetto molto interessante perché sono profondamente convinto che l’arte, il cinema e la moda siano dei mondi che si debbano intrecciare. Basti pensare ad esempio al lavoro straordinario che sta facendo Alessandro Michele, il giovane direttore creativo di Gucci.

Che consigli daresti a chi vorrebbe lavorare nella produzione cinematografica?

Io non do consigli ai giovani perché secondo me non ne hanno bisogno. Li darei invece ai miei colleghi produttori indipendenti, soprattutto a quelli più grandi di me. Sono loro che devono favorire l’accesso alla filiera produttiva degli under 35, perché penso che la chiave vincente non sia la “rottamazione” ma la fusione e la collaborazione tra generazioni. Sono dell’idea che chi ha fame e ha voglia di fare è portatore di novità e di linguaggi: ne sono un esempio proprio Fabio e Damiano D’Innocenzo. L’unica cosa importante è trovare il giusto equilibrio tra chi è giovane e porta innovazione e chi invece percorre queste strade già da tempo e quindi ha esperienza e conoscenza. Oggi assistiamo a un cambiamento di paradigma per cui sono proprio i giovani a darci la chiave e gli strumenti culturali per leggere il mondo e consentire a noi più adulti di entrarci in contatto. Io ho 37 anni e sono figlio di una cultura novecentesca come mio padre e come mio nonno, ma ora sono la Generazione Z e i Millennials a possedere le chiavi per leggere il presente. Mi rivolgo produttori più maturi, alle banche che danno i crediti, a Rai Cinema, a Rai Fiction. A loro dico di fare sempre di più, anche in questo momento di crisi, perché è soltanto nella collaborazione che può venire fuori qualcosa di nuovo e importante.

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Favolacce: i bambini ci guardano (e ci giudicano) https://www.fabriqueducinema.it/festival/favolacce/ https://www.fabriqueducinema.it/festival/favolacce/#respond Wed, 26 Feb 2020 08:12:51 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=13606 Favolacce è il secondo film dei gemelli Fabio e Damiano D’Innocenzo, una favola nera con protagonisti bambini e i loro genitori

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Una fiaba nera come la notte quella firmata da Fabio e Damiano D’Innocenzo con tanto di voce narrante che funge da cornice, colori acidi e sguardo infantile. Dopo aver raccontato l’adolescenza criminale della periferia romana ne La terra dell’abbastanza, i D’Innocenzo si spingono oltre e scandagliano il lato oscuro dei sobborghi residenziali. Quelle raccontate in Favolacce sono famiglie del sottoproletariato uguali a tante altre, disoccupati, venditori, camerieri, che fanno sacrifici per tirare avanti dando ai figli un po’ di quel che meriterebbero, ma il malessere che scorre sotto la superficie troverà il modo di manifestarsi in modo imprevedibile.

A trentun anni, i fratelli D’Innocenzo si avventurano in un territorio impervio che ha visto cadere nomi più illustri ed esperti, ma la visione lucida e coraggiosa dei gemelli romani non teme ostacoli nell’accostarsi all’infanzia con sguardo a tratti partecipe e a tratti distaccato. Il talento di Fabio e Damiano D’Innocenzo si manifesta fin dal casting, perfetto, dei piccoli protagonisti che incarnano bambini solo in apparenza normali, bambini isolati, timidi o smarriti, curiosi di sperimentare e di conoscere ciò che li aspetta nella crescita.

Per gran parte del tempo Favolacce sembra raccontare una quotidianità fatta di piccole cose, incontri, confronti coi genitori, tentativi di socializzazione, prime cotte. La crisi economica rende più duro il quotidiano, ma le famiglie si dimostrano presenti, attente. Elio Germano, Gabriel Montesi e gli altri adulti non nascondono i loro lati grotteschi, la loro loro volgarità intrinseca, che cozza con la purezza dello sguardo infantile e i D’Innocenzo traslano da un punto di vista all’altro in un equilibro che arriverà a incrinarsi nel climax finale.

I D’Innocenzo si distanziano dalla matrice neorealista che caratterizzava la loro opera prima per esplorare quella regione oscura dove reale e surreale si incontrano, ed è da questo scarto che nasce Favolacce. La visione del film risulta ancor più angosciante proprio in virtù del fatto che la storia narrata nel film utilizza strumenti desueti per il cinema italiano. Lo stile visivo dei D’Innocenzo si fa più raffinato e stratificato, con primissimi piani insistiti sui piccoli protagonisti a cui corrisponde una rarefazione della parola. I piccoli osservano muti il degrado degli adulti che invece riversano su di loro un mare di parole (parolacce spesso), in buona fede, ma si dimostrano incapaci di comprenderli fino in fondo. La presenza dell’elemento naturalistico, tipico delle aeree suburbane, unito alla suggestiva fotografia di Paolo Carnera e a un montaggio sapiente creano un’atmosfera straniante e allucinata amplificata dall’uso del silenzio, tanto più assordante man mano che gli adulti aprono gli occhi sulla vera natura dei piccoli fino a toccare con mano l’orrore che si nasconde dietro i loro sguardi dopo che la luce si è spenta.

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