L'articolo Era ora, “contare fino a dieci” non basta proviene da Fabrique Du Cinéma.
]]>Fra i titoli più visti nell’ultima settimana su Netflix e prodotto da BIM, Palomar e Vision, Era ora è la storia di Dante: dedito fin troppo al lavoro, lo vediamo fin dall’inizio sempre in ritardo per qualcosa, correre da una parte all’altra della città riempendosi l’agenda giornaliera con impegni di ogni tipo. Sposato con Alice – pittrice, “mezz’elfa” e inguaribile romantica – la sera del suo quarantesimo compleanno fa tardi alla sua festa e, spegnendo le candeline, esprime uno strano desiderio. La mattina tutto cambia e si risveglia esattamente un anno dopo: la casa sistemata e Alice incinta. Così sarà per ogni suo nuovo risveglio, saltando di volta in volta un anno della sua vita che non ricorda e che non potrà più recuperare. La sua vita, il suo lavoro, la sua famiglia e quotidianità cambieranno senza che lui ne abbia il controllo.
Dante è un personaggio passivo e rappresenta tutti noi: la nostra impotenza davanti agli eventi, la nostra eterna corsa in cerca di tempo che sembra non bastare mai, le nostre paure davanti all’inesorabile scorrere della vita. Allora cosa fare quando tutto è fuori controllo? Era ora è un film che ci invita a rallentare, a “contare fino a dieci”, a godere dell’amore, dell’amicizia, di una giornata di riposo.
Era ora si inserisce bene nel panorama delle commedie romantiche all’italiana pensate per un target familiare molto vasto: ma, come spesso accade, a navigare in acque già ampiamente esplorate si rischia di trovare un mare fin troppo calmo e noioso. Le intenzioni di partenza e le riflessioni che il film si propone di suscitare sono sì ben conosciute, ma non invecchiano mai male; tuttavia una regia dinamica ma spesso invadente, una sceneggiatura che in tutta la parte centrale fatica a delineare una chiara direzione della storia e dei personaggi privi di una vera tridimensionalità non aiutano a dare forza al racconto.
Capita insomma di chiedersi quale sia il vero scopo della storia, perché viene raccontata, dove – dietro ai virtuosi movimenti di macchina un po’ fini a se stessi – si nasconde la voce del regista. Era ora appare quasi una catena di sequenze, immagini, che raccontano una storia a metà, senza il coraggio di andare fino in fondo, rimanendo sulla superficie degli argomenti trattati.
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]]>L'articolo Ambrosia Caldarelli, protagonista di Circeo: “sul set avevo sempre la voce di Donatella nelle cuffie” proviene da Fabrique Du Cinéma.
]]>Tra spot, TV e qualche ruolo nel cinema (l’ultimo nel delicatissimo Il filo invisibile di Marco Simon Puccioni), Ambrosia sta per essere lanciata come protagonista da due progetti che hanno investito molto su di lei: oltre a Circeo (dove sarà affiancata da Greta Scarano e Angelo Spagnoletti) arriverà il film Non sono quello che sono, un dramma torbido diretto e interpretato da Edoardo Leo.
Ambrosia, come il nettare che rende immortali gli dei…
Mia madre una volta sfogliò I fiori del male di Baudelaire e lesse nella poesia L’anima del vino di un’«ambrosia vegetale». Qualche anno dopo aprì un cassetto nella biblioteca dell’università e ci trovò scritto dentro «ambrosia». Troppe coincidenze, quindi contro tutto e tutti decise di chiamarmi Ambrosia. Mi piace molto, non ce l’ha nessuno.
Ed è difficile da dimenticare, ottimo per questo mestiere. Quando hai capito che volevi fare l’attrice? È stata un’epifania o un percorso?
Diversi anni fa io e le mie amiche ci siamo ritrovate in fila per dei casting, sembravano i provini di X Factor però al Nuovo Sacher, per un film di Moretti. Ci fotografavano con un numeretto, era un evento di massa. Senza che me lo spiegassi mi hanno richiamata per un ruolo. Mi sono ritrovata a fare un provino con Nanni: ero andata con l’idea di fare la comparsa per gioco e mi sono ritrovata con un grande del cinema. Ovviamente è stato un disastro totale, però qualcosa dentro mi è scattato.
Cos’è che ti ha emozionato, quella prima volta?
Dare voce a un personaggio. A pensarci bene, oggi è quello che mi spinge a fare questo lavoro. Infatti ora non mi vedrei a fare nient’altro… che rischia pure di essere un problema [ride].
Con Circeo hai dato voce a un personaggio che più complesso di così non si poteva, Donatella Colasanti. Sarà il primo ruolo da protagonista con cui il pubblico ti conoscerà. Ci si può mai sentire pronti per un ruolo del genere?
È proprio quello il punto, forse non ci si sente mai pronti. E forse l’ho fatto anche per questo, perché se ci avessi pensato troppo avrei rifiutato. Ho studiato moltissimo ma mi sono anche un po’ buttata… sennò non ce l’avrei fatta.
Com’è arrivato questo ruolo?
Era uno dei mille self-tape, ma notavo che continuavano a chiamarmi. Al sesto provino ho iniziato a crederci un po’. Quando mi hanno telefonato per dirmi che mi avevano presa stavo lavorando in un ristorante come cameriera, ero in pausa e ho urlato davanti a tutti. Ricordo che dall’inizio ho iniziato a informarmi e poi ad affezionarmi a Donatella. Era pesante anche solo la preparazione, perché non facevo che guardare i video di repertorio.
Ho l’impressione che tu abbia un fortissimo senso della disciplina…
Hai ragione. Se faccio qualcosa diventa totalizzante. Ma non è un vanto, credo sia questione di carattere. Se ho un progetto in ballo io non esco di casa, entro in modalità secchiona. Anche quando facevo la cameriera la vivevo così, penso sempre che se mi è arrivata una cosa devo tenermela. Nessuno ti regala niente.
Interpretare una storia vera: come hai trovato l’equilibrio tra fedeltà verso la persona reale e libertà verso il tuo lavoro sul personaggio? È uno dei tranelli più difficili del mestiere…
Sai, ho studiato tantissimo Donatella, i video in cui parlava, la sua postura, la gestualità. Sul set avevo sempre nelle cuffie la sua voce. E mi è piaciuto osservarla, farla mia, cercando sempre di non esagerare. Non ho un metodo, magari ce l’avrò in futuro. Oggi non so spiegarti come faccio, ma so che una volta dato lo stop torno a casa e sono io. Non continuo a essere il personaggio, anche perché cinque mesi sempre nei panni di Donatella sarebbero stati devastanti. Io la vedo così: è comunque un lavoro, e a un certo punto della giornata devi uscirne.
A questo punto non giriamoci intorno: nel film di Leo che ruolo avrai?
È una storia psicologicamente violenta, dominata dalla gelosia. Ho il ruolo di una ragazza che si sposa molto presto per poi subire delle violenze dal suo compagno.
Lo chiedo a tutte le cover: se in questo momento guardi il nuovo cinema italiano, cosa vedi all’orizzonte?
Vedo tante facce nuove, finalmente. Ci sono attori che non vengono notati ma che sono bravissimi. In Circeo c’erano colleghi giovanissimi, anche con ruoli minori, che però tenevano la scena con grande potenza. Allora mi auguro che non vengano scelte sempre le stesse persone. E che venga premiata la bravura, non solo la bellezza. Soprattutto quando si parla di attrici spesso si guarda all’immagine e non all’interpretazione. Va bene l’estetica, ma l’anima?
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Fotografa Roberta Krasnig, Assistenti Sonia Pagavino, Gina Lisa Paccagnella
Stylist Stefania Sciortino, Assistente Giulia Laface
Capelli Adriano Cocciarelli@Harumi
Make-up Ilaria Di Lauro@idlmakeup Assistente utopia.sfx@idlmakeup
Prodotti per capelli Body e Sun Schwarzkopf Professional
Abiti Patrizia Pepe, Philipp Plein
LOCATION: Borgo Ripa/Roma
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]]>La forza di Perfetti sconosciuti di Paolo Genovese sta nell’utilizzare al meglio il potere del cinema di rendere parlato il pensiero per mezzo di una sceneggiatura che non si vergogna di scavare a fondo. La nascita di vari equivoci provoca difatti reazioni che mostrano i lati oscuri dei caratteri, la polvere celata sotto il tappeto della coscienza. Una volta frantumato l’involucro del comune buon senso, l’immondizia accantonata è pronta a incendiarsi attraverso dialoghi feroci e intelligentemente scritti, pronunciati da attori a loro agio proprio perché liberi di incattivirsi laddove necessario. È la scrittura, ancor prima della regia, che quindi aiuta un cast ben assortito come questo (con le vette raggiunte dal trio Giallini – Mastandrea – Battiston) a scaldarsi e dominare la scena.
Nel frattempo, fuori dalla casa in cui i commensali litigano, è in corso un’eclissi lunare, metafora di una minaccia incombente così come il passaggio di una cometa lo era nell’indipendente Coherence (altro caso di film su una cena che prende una piega imprevedibile), o l’imminente impatto del pianeta Melancholia nell’omonima e più nota opera di Von Trier. Sembra che certi film ambientati soprattutto in interni, nel momento in cui si aprono all’esterno, abbiano bisogno di guardare a qualcosa di incredibilmente distante eppure angosciante come l’universo per raffigurare paure inconsce. E nel nostro caso il lato oscuro della luna sta a rappresentare il più grande terrore, il più grande tabù, che è quasi sempre lo stesso nel cinema e nell’arte in generale: il tradimento. La paura che il vincolo dell’esclusività possa rompersi, per via di quel delitto che risiede nel desiderare qualcun altro al di fuori del sistema-coppia.
Quest’angoscia la avvertiamo anche noi spettatori, che ci riconosciamo nei brevi e intensi scambi di sguardi tra i protagonisti, colti dai numerosi cambi di inquadratura con cui Genovese interviene registicamente, anche se è pur vero che qualche stacco in meno ci avrebbe fatto godere maggiormente della contemporaneità delle risposte emotive di ciascun personaggio. Il regista tuttavia preferisce la sottolineatura, con singoli (primi) piani d’ascolto che per fortuna non sfociano mai nella didascalia.
Anche la musica ha il compito di sottilineare, ma se fosse stata completamente assente non ne avremmo sentito più di tanto la mancanza, così come non ne sentiamo in altri film di “tavolate” come Il fascino discreto della borghesia, per citare un esempio eccellente.
Va detto però che c’è il preciso intento da parte di Genovese di movimentare dall’interno l’impostazione teatrale della narrazione mediante gli strumenti resi disponibili dal cinema come, oltre al commento musicale e al montaggio, alcune lievissime ma frequenti carrellate presenti in situazioni in cui non sarebbe stato un problema lasciare la macchina da presa fissa su un treppiedi. Al di là di questo, in ogni modo, il risultato è efficace, pungente e l’amaro che lascia in bocca ci ricorda quello assaggiato su vecchie terrazze scoliane.
E chissà se è un caso che il film si chiuda con la visione di un palazzo in Piazzale delle Belle Arti che appariva proprio in quel film del 1980, che portava via con sé tutta la vecchia commedia all’italiana, la quale però a quanto pare continua a pulsare, pronta a esplodere con buoni risultati come è successo stavolta, nel cuore di ogni italiano, di ogni perfetto sconosciuto.
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]]>L’evento d’apertura vedrà come protagonista Edoardo Leo, che oltre a presentare Noi e la Giulia, andrà in scena con il reading musicale “Ti racconto una storia…letture semiserie e tragicomiche “.
Tra i cortometraggi del concorso internazionale (Paesi in corto), sono presenti numerose anteprime italiane e internazionali provenienti da tutto il mondo. E una presenza speciale è quella di Vishakha Singh, giovane attrice indiana di successo, che parteciperà alla giuria dei corti internazionali e porterà in Molise un pizzico di Bollywood.
Nella sezione italiana (Percorsi) saranno presentati tra gli altri, Varicella per la regia di Fulvio Risuleo, Love sharing di Monica Scattini, Child K di Roberto de Feo e Vito Palumbo, L’attesa del maggio di Simone Massi. Per il concorso documentari (Frontiere): La compagna solitudine di Davide Vigore, Habitat–Note personali, di Emiliano Dante, Napolislam diErnesto Pagano, LocalEuropa. Musica Valida per l’Espatrio, di Francesco Cordio, SmoKingsdi Michele Fornasero e Uomini proibiti, Angelita Fiore.
Per le opere prime e seconde (Paesi in lungo), con premio assegnato dal pubblico, verranno presentati 6 film che saranno accompagnati al festival da alcuni dei protagonisti. Banana, di Andrea Jublin, accompagnato dai giovani attori Marco Todisco e Beatrice Proietti. Cloro,che sarà accompagnato dall’interprete Andrea Vergoni e con la presenza della protagonistaSara Serraiocco alla conferenza stampa. Fin qui tutto bene, di Roan Johnson sarà introdotto da Guglielmo Favilla e Melissa Anna Bartolini. La prima volta di mia figlia, di Riccardo Rossi, sarà presentato dallo stesso regista. La terra dei santi di Fernando Muraca verrà accompagnato dal regista e da Daniela Marra. Infine, Vergine giurata di Laura Bispuri, con Alba Rohrwacher, sarà presentato dalla co-protagonista Flonja Kodheli.
Ci saranno inoltre Stefano Fresi, Giulio Manfredonia, Rosaria Russo, Marco Puccioni.
La tredicesima edizione di Molise Cinema dedicherà, inoltre, un omaggio a Pierpaolo Pasolini nel 40° anniversario della sua morte con la proiezione di alcuni dei suoi celebri film: Il vangelo secondo Matteo, Mamma Roma, Comizi d’amore, Uccellacci e uccellini, Il fiore delle mille e una notte. In programma anche Pasolini di Abel Ferrara.
La retrospettiva su Pasolini sarà accompagnata da una mostra fotografica dal titolo Pasolini sul Set a cura di Antonella Felicioni e proposta al Festival dal CSC – Cinteteca Nazionale, da quest’anno partner del Festival. Nella mostra, la straordinaria energia di Pasolini, la sua passione civile e la profondità della sua arte, la sua relazione con i luoghi, gli attori, la macchina da presa traspaiono da foto di set e fotogrammi che lo ritraggono sia in veste di regista che in veste di attore, in film suoi e di altri maestri del cinema italiano. Per citare alcuni titoli e alcuni fotografi: Mamma Roma (1962), scatti di Divo Cavicchioli; Ro.Go.Pa.G. (1963), scatti di Angelo Novi; Porcile (1969), scatti di Velio Cioni; Requiescant (1966) di Carlo Lizzani, scatti di Francesco Alessi. Alla mostra si accompagna un video, ideato per l’occasione, che celebra con ulteriori immagini uno dei nostri più grandi intellettuali ed artisti.
Tornerà anche quest’anno l’ormai consolidato appuntamento con la terrazza dei libri a cui si aggiungeranno tanti altri eventi, concerti e spettacoli dal vivo, tra cui quello di Canio Loguercio e Antonio Pascale.
Per le giurie, Antonio Pezzuto, Vanessa Roghi e Giovanni Cioni giudicheranno i documentari della sezione Frontiere mentre Janet de Nardis, Fabio Mollo e Elena Mazzocchi i cortometraggi italiani della sezione Percorsi.
Chris Richmond, Vishakha Singh, Luca Briasco saranno i giurati dei cortometraggi internazionali della sezione Paesi in corto. Sarà invece il pubblico a decretare il vincitore della sezione Paesi in lungo.
Tra le novità, in programma un workshop dedicato al mondo delle webseries, realizzato in collaborazione con il Roma Web Fest, durante il quale saranno approfonditi i temi legati alle nuove frontiere del racconto per immagini. Ci sarà anche un Focus sul 70° anniversario della Liberazione, con la presentazione del film Dal ritorno di Giovani Cioni e un omaggio ai deportati militari italiani nei campi nazisti.
Il festival è organizzato dall’associazione MoliseCinema, con la direzione artistica di Federico Pommier Vincelli.
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]]>L'articolo Al Riff vincono l’Europa dell’est e la provincia italiana proviene da Fabrique Du Cinéma.
]]>I RIFF Awards, il cui valore ammonta a un totale di circa 50.000 Euro, sono stati assegnati nel corso della serata di premiazione alla presenza, come ospite d’onore, della grande attrice Caroline Goodall (Cliffhanger, Schindler’s List, Nymphomaniac) alle seguenti opere:
Miglior Lungometraggio Internazionale
**Ex-aequo:
“Fair Play” di Andrea Sedlackova (Czech Rep/Slovakia/Germany)
“Kebab & Horoscope” di Grzegorz Jaroszuk (Poland)
Miglior Lungometraggio Italiano:
“La mezza stagione” di Danilo Caputo (Italy/Romania/Greece)
Premio speciale all’attrice di “The Elevator” Caroline Goodall
Miglior Film Documentario Internazionale:
Vincitore: “The land of many palaces” di Adam Smith & Song Ting (UK/China)
**Menzione speciale a “Return to Homs” di Talal Derki (Syria)
Miglior Film Documentario Italiano:
Vincitore: “Gente dei bagni” diStefania Bona & Francesca Scalisi
**Menzione speciale a “Altamente” di Gianni De Blasi
**Segnalazione per “Il segreto di Otello” di Francesco Ranieri Martinotti, per il racconto divertito di un pezzo della storia del cinema italiano che oggi non c’è più.
Miglior Documentario Corto:
Vincitore: “My dad’s a rocker” di Zuxin Hou (USA / China)
Miglior Cortometraggio Internazionale:
Vincitore: “Invisible spaces” di Dea Kulumbegashvili (Georgia)
**Menzione speciale a “Discipline” diChristophe M. Saber (Switzerland)
Miglior Cortometraggio Italiano:
Vincitore: “L’uomo pietra” di Luca Scivoletto
**Menzione speciale a “Child K” di Roberto De Feo & Vito Palumbo
**Menzione speciale a “Due piedi sinistri” di Isabella Salvetti
Miglior Cortometraggio Studenti
Vincitore: “Paris on the water” di Hadas Ayalon (Israel)
**Menzione speciale a “How I didn’t become a piano player” di Tommaso Pitta (UK)
Miglior Cortometraggio d’Animazione
Vincitore: “The Old Tree” di Farnoosh Abedi (Iran)
I RIFF Awards 2015 sono stati assegnati dalla Giuria Internazionale del Festival, composta da Louis Siciliano musicista e compositore, vincitore nel 2005 del Nastro d’Argento, da Philippe Antonello,fotografo di scena che ha lavorato con i migliori registi italiani come Gabriele Salvatores, Pupi Avati e Nanni Moretti, e internazionali come Mel Gibson, per “The Passion”, e “Wes Anderson”; da Ines Vasiljevic produttrice di molti film tra i quali “La nave dolce”, “La ritirata” e “Con il fiato sospeso”, dall’attrice e produttrice indiana Vishakha Singh, dal documentarista Antonio Pezzuto, dall’attrice giapponese Jun Ichikawa, da Fabio Mancini responsabile dello slot di documentari DOC3 di Raitre e collaboratore alla scrittura del programma Storie Maledette e dal regista Gianfranco Pannone.
Tra i prestigiosi ospiti intervenuti durante la settimana del Festival ricordiamo, tra gli altri, Citto Maselli,Edoardo Leo, Angelo Orlando, Alessandro Haber, Valentina Carnelutti, Nicoletta Romanoff, Marco Bonini, Luca Lionello, Agnese Nano, Carmen Giardina.
Il RIFF, diretto da Fabrizio Ferrari, con il sostegno dell’Assessorato alla Cultura e Turismo di Roma, il contributo del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo – DGC e il contributo dell’Assessorato alla Cultura e Politiche Giovanili della Regione Lazio, registra ogni anno crescenti apprezzamenti, di pubblico e critica, per la qualità delle opere selezionate.
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