DYLAN DOG Archivi - Fabrique Du Cinéma https://www.fabriqueducinema.it La Rivista Del Nuovo Cinema Italiano Tue, 06 Sep 2022 13:18:43 +0000 it-IT hourly 1 Ambra Garlaschelli: «Tanto più forte è una luce, tanto più mostruosa è l’ombra che proietta» https://www.fabriqueducinema.it/focus/ambra-garlaschelli-tanto-piu-forte-e-una-luce-tanto-piu-mostruosa-e-lombra-che-proietta/ https://www.fabriqueducinema.it/focus/ambra-garlaschelli-tanto-piu-forte-e-una-luce-tanto-piu-mostruosa-e-lombra-che-proietta/#respond Tue, 19 Jul 2022 07:16:05 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=17402 «Tanto più una luce è forte, tanto più netta e mostruosa è l’ombra che proietta». Con questa massima Ambra Garlaschelli sintetizza il suo segno grafico: luci e ombre intense, accostate fra loro a creare immagini di grande impatto. L’illustratrice e fumettista lombarda ribadisce però che è molto aperta alle sperimentazioni, mentre alcuni suoi progetti, come […]

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«Tanto più una luce è forte, tanto più netta e mostruosa è l’ombra che proietta». Con questa massima Ambra Garlaschelli sintetizza il suo segno grafico: luci e ombre intense, accostate fra loro a creare immagini di grande impatto. L’illustratrice e fumettista lombarda ribadisce però che è molto aperta alle sperimentazioni, mentre alcuni suoi progetti, come ci ha raccontato, mostrano un consapevole impegno femminista.

Partiamo dalla bellissima illustrazione per la copertina del Dylan Dog Color Fest. Com’è nata la collaborazione con Bonelli e quale è stato il tuo approccio a un personaggio iconico?

La collaborazione per questa cover è nata in realtà un po’ per caso. Credo che Roberto Recchioni [il curatore della testata, ndr] mi abbia scovata per via di un post di Michele Garofoli sul sito Lo Spazio Bianco. Dopo qualche mese ho realizzato una commission proprio su Dylan Dog che deve essere piaciuta, perché subito dopo Roberto mi ha contattata per propormi di realizzare una cover per il Color Fest. Caso vuole che dovessero uscire anche le storie di Spugna, Jacopo Starace e Officina Infernale, che conosco molto bene, per cui realizzare la cover del loro numero è stata proprio una coincidenza fortunata. Roberto mi aveva chiesto di proporre un’immagine che raccontasse l’immaginario legato all’Indagatore dell’incubo, per cui ho cercato di condensare il maggior numero di informazioni creando diversi livelli di lettura. La prima cosa che volevo risultasse evidente era Dylan che con un gesto della mano ci invita al silenzio, collegandosi ai segreti e al mistero che li circonda. Dopodiché ho inserito una serie di sotto-tracce all’interno del personaggio, visibili solo se si osserva meglio, come un teschio sovrapposto alla faccia di Dylan, mani mostruose che lo afferrano e due scheletri che gli sussurrano all’orecchio.

Immagino che le atmosfere oscure di Dylan Dog si sposino bene con il tuo immaginario grafico, fatto di neri profondi e lampi luminosi. È così?

Sì, direi proprio che a livello di immaginario le atmosfere cupe sono indubbiamente nelle mie corde. Preferisco comunque non etichettarmi in una categoria troppo specifica perché mi piace variare e sperimentare cose nuove. Sono molto attratta dalle note scure, dai movimenti del nero, dalle sue sovrapposizioni e dai contrasti che si creano ed è così che vengo percepita. Ma non significa che abbia un tipo di personalità cupa, anzi!

Qual è stata la tua formazione e quali i tuoi riferimenti nelle arti visive, dal cinema alla letteratura?

Dopo la maturità mi sono iscritta allo IED di Milano, sezione Illustrazione e Arti visive. Durante il corso triennale ero ancora molto incerta sulla scelta e anche dopo il diploma ho fatto altro, principalmente grafica; all’illustrazione e alle arti visive mi sono riavvicinata abbastanza di recente. Del nero profondo di cui parli mi sono re-innamorata con l’inizio del mio lavoro nei laboratori di incisione, osservando gli inchiostri calcografici, probabilmente, ma ciò non toglie che mi sia sempre riempita gli occhi di immagini di ogni tipo. Potrei darti una lista di nomi e riferimenti ma sarebbe lunghissima. Indubbiamente le atmosfere cupe e desaturate, le luci nette o soffuse, i tratti nervosi mi hanno sempre attratta, ma nella categoria del visivo rientrano fumetti, illustrazioni, fotografia, grafica, cinema, persino la musica e i testi senza immagini lasciano comunque una sorta di immagine interna. Shakera poi il tutto: il risultato sarà contaminazione pura che però mantiene un mood di fondo e avrai la mia lista di influenze.

Che rapporto hai invece con il fumetto, sia da lettrice che da autrice?

Io e il fumetto abbiamo un flirt da anni, anche se nasco principalmente come illustratrice e grafica. Col fumetto a livello autoriale sto amoreggiando a tempo perso, ho un progetto personale in cantiere che porto avanti quando riesco e che mi sono ripromessa di finire in tempi utili. Per il resto leggo fumetti da quando ho imparato a leggere, anche se il vero amore restano i libri. Certo, il fumetto ha una sintesi testo/immagine che lo rende potentissimo rispetto a un libro, ma entrambi fanno parte di ciò che sono diventata a livello personale e professionale. Attualmente sto attraversando l’incomprensibile (a me stessa in primis) “fase cosmologica”: in pratica leggo solo saggi sulla fisica quantistica (prima o poi la capirò!) o sulle origini dell’universo, boh!

In Favola vera, la storia che hai disegnato per l’antologia Artiste di Flavia Luglioli, ti sei occupata della grande pittrice manierista Lavinia Fontana. Come hai lavorato a questo progetto su una figura storica?

La storia che mi è stata affidata da Flavia riguardava il primo incontro tra la grande pittrice Lavinia Fontana e Antonieta Gonzales, una bambina di dieci anni affetta da ipertricosi, una malattia caratterizzata da un eccesso di peluria su tutto il corpo ereditata dal padre. Quest’ultimo fu donato al re di Francia come animale esotico, venne educato a corte e infine si sposò con una nobildonna da cui ebbe due figli, entrambi con la stessa malattia genetica. Si pensa che la storia della sua famiglia abbia ispirato la favola de La bella e la bestia.  Nel mio racconto, volutamente muto, volevo dare risalto alla dolcezza e alla timidezza di Antonieta, che ho immaginato a disagio per il fatto di dover essere ritratta proprio per la sua diversità, mentre volevo che Lavinia risultasse molto materna, pratica e aperta (fu madre di ben 11 figli ed era incinta al momento dell’incontro con la bambina), cosa che, unita alla complicità dei due figli e del cane che la accompagnano nella storia, alla fine convincerà Antonieta a uscire dal suo nascondiglio per giocare, permettendo la realizzazione del famoso ritratto.

Il progetto di questo libro mira anche ad approfondire il ruolo e il lavoro di molte artiste, a volte poco note al grande pubblico. Una sensibilità e un’esigenza, il racconto delle donne, che in un senso diverso – ma per certi aspetti contiguo – ritorna anche nel romanzo La porta del cielo di Ana Llurba, che hai illustrato per Eris. Cosa ci puoi dire delle tue esperienze professionali in questo senso?

Concordo, sia per Favola vera che per La porta del cielo di Ana Llurba il tema femminile è molto forte, così come nel libro che ho illustrato di recente per Sonzogno, Galatea, sul testo di Madeline Miller. Soprattutto gli ultimi due racconti citati sono legati a personaggi femminili che cercano di scappare o evadere da un rapporto tossico, violento e dominante legato a figure maschili. Ultimamente ho realizzato molte illustrazioni legate al tema femminista. Credo che sia un momento molto forte quello che stiamo vivendo, in cui la voce delle donne, un po’ in tutti i settori compreso quello artistico, si sta facendo sentire parecchio con lo scopo di dare più fastidio possibile proprio perché è evidente che esiste ancora una grande disparità tra i generi, sia in ambito privato che professionale. La strada da fare è ancora lunga e credo che qualsiasi voce in più aggiunta al coro sia utile.

L’illustrazione per Dylan Dog probabilmente ha fatto conoscere il tuo segno anche in ambiti nuovi. Cosa puoi dirci dei tuoi ultimi progetti?

Effettivamente ci sono un po’ di progetti in chiusura e altri in cantiere: un piccolo progetto di animazione, Premise, sul tema del desiderio e della violenza, creato insieme all’amico animatore Roberto Grasso; poi un libro illustrato insieme a un amico scrittore e animalista, Francesco Cortonesi, sulla storia di Mocha Dick, la balena che ispirò Moby Dick, realmente esistita; c’è poi un video musicale per il gruppo Pray For the Day, fatto di inchiostri in movimento e animazioni a segno nervoso; infine il famoso fumetto personale a cui accennavo prima, che si intitola Rain Dogs, come la canzone di Tom Waits. Insomma, non ci si annoia…

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Ratigher: quello che scrivo e disegno è dovuto a Daniel Clowes https://www.fabriqueducinema.it/magazine/arts/ratigher/ Fri, 15 Jan 2016 09:58:47 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=2517 La fortuna di avere un padre che legge fumetti è che sin da piccoli ci si abitua a raccontare il mondo con i disegni. Il mondo, le storie, le persone, le amicizie. Francesco D’Erminio, in arte Ratigher, cresce così, nella sua natura il raccontare è imprescindibilmente disegnato. Tra le letture di tutti i generi possibili […]

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La fortuna di avere un padre che legge fumetti è che sin da piccoli ci si abitua a raccontare il mondo con i disegni. Il mondo, le storie, le persone, le amicizie. Francesco D’Erminio, in arte Ratigher, cresce così, nella sua natura il raccontare è imprescindibilmente disegnato.

Tra le letture di tutti i generi possibili quelle dei manga e dello Spiderman dei primi anni ’90 sono le influenze che aumentano la sua voglia di diventare un fumettista. Ma il mare è sterminato e si rischia di perdersi. A segnare una direzione nel suo viaggio sono stati gli anni dell’università, anni in cui divide la casa con Tuono Pettinato, altro fumettista di talento. Il confronto e lo scambio di letture aumenta la voglia di esprimere il proprio tratto.

Ratigher: Ma quello che scrivo e disegno è dovuto a David Boring di Daniel Clowes. Un giorno ero a casa e, finito di leggerlo, salto sulla sedia, corro di là da Tuono e gli dico: «Qui dentro c’è tutto, se qualcuno ha fatto qualcosa di simile, anche noi allora dovremmo tentare».

 Gli artisti si incontrano, si parlano, si aiutano e a volte ufficializzano una collaborazione creativa che diventa qualcosa di indelebile nel panorama culturale. Ratigher, Tuono Pettinato, Maicol & Mirco, Dr. Pira e LRNZ creano i Super Amici, poi diventati i Fratelli del Cielo. Un gruppo dove Ratigher trova nuovi stimoli in stili completamente diversi dal suo, caratterizzato da un’attenzione per i personaggi difficili, crudi e apparentemente poco affascinanti, antieroi che diventano grandi perché l’autore trova in loro un valore e un significato.

Il suo fumetto parte sempre da una storia, un evento, un racconto piccolo, anche solo un dialogo accennato e poi cresce e diventa una storia lunga. La lunghezza delle opere va di pari passo con l’evoluzione della sua esperienza e le pubblicazioni: prolifico nei fumetti brevi in passato, ora pronto a disegnare lunghe storie. Dai racconti di Bimbo Fango a Trama, il suo primo libro a fumetti.

 

R: Partivo da storie brevi perché non ero in grado di gestire racconti più estesi, la tecnica e la lunghezza delle storie sono cresciute insieme. Non sentivo l’esigenza di lavori più corposi perché non sapevo come muovermi. Sono un avidissimo lettore di libri, ma ho iniziato tardi. È stata la lettura di libri più articolati che mi ha formato e stimolato nella costruzione di storie lunghe.

In un mercato dove spesso il fumetto predilige un formato lungo Ratigher si è imposto con un’opera di 64 pagine. Le ragazzine stanno perdendo il controllo. La società le teme. La fine è azzurra. È la storia delle adolescenti Castracani e Motta, e del loro modo di rispondere alle distanze e alle incomprensioni che vivono a scuola, nella società, in famiglia, con la loro arma più forte, l’amicizia.

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R: È un lavoro in cui ho messo anima e corpo. Poche pagine, lo so, forse ha troppo poco respiro. Ma è il mio stile e mi piace questo formato. Amo le storie medie, anche se ora sto scrivendo un libro molto lungo. La necessità di aumentare la mole è per dare respiro a tutte le sfaccettature. I miei fumetti sono molto ritmati e continuerò con questo passo, ma finora non mi sono mai permesso di dedicare dieci pagine a una scena sola. È quello che voglio fare adesso.

I suoi racconti trattano situazioni quotidiane ma con uno sviluppo surreale. Le ragazzine nasce dal brano musicale degli X-Mary dove si parla di un’amicizia/amore tra ragazze.

R: Mi piacciono i punti di vista non consueti che ti lasciano di stucco. Persone completamente diverse da me, modi di pensare lontani. Di questa canzone mi ha incuriosito il fatto che fosse stata scritta da un ragazzo e il ritornello era «sono più bella io o sei più bella tu».

 Un modo di raccontare l’adolescenza privo di cliché, che descrive i comportamenti fuori dagli schemi delle due protagoniste nel modo più naturale possibile, come se Ratigher volesse sottolineare che ognuno di noi agli occhi dell’altro può sembrare strano ma la nostra quotidianità ci rende normali a noi stessi.

La sua sensibilità racconta un finale dove una delle due ragazzine per una malattia sembra avere un destino segnato in modo emozionante e unico. E come parlare della fine? Un’unica parola, la fine è azzurra. La scena finale del fumetto, un momento drammatico, diventa per Ratigher un’occasione per caricare di significato tutta la nostra considerazione sull’amicizia. L’autore ribalta la morte dando un senso, un colore azzurro come il cielo ad avvolgere i ricordi di due amiche.

R: Se riusciamo a stringere legami forti e belli e senza compromessi, non è poi tanto importante la nostra fine, il finale di ognuno di noi è segnato, è scritto, lo sappiamo tutti, l’importante è il tempo che abbiamo a disposizione, riempirlo di cose emozionanti e vere. La protagonista forse un giorno morirà, ma c’è modo e modo di andarsene, e non era quella la fine della mia storia.

Non a caso nel 2015 con questo lavoro vince due premi molto importanti: il premio Micheluzzi come miglior fumetto e il premio Boscarato per la miglior colorazione. Vincerli con un fumetto autoprodotto significa aver inciso davvero nel panorama del fumetto italiano.

I progetti futuri sono legati alla collaborazione come sceneggiatore per alcuni numeri di Dylan Dog.

R: Scrivere per DYD è un lavoro di squadra: un altro disegnatore, in questo caso Alessandro Baggi, deve lavorare sul tuo testo e occorre accettare che lui cambi alcune cose o che addirittura le elimini.

Nel 2016 usciranno altre pubblicazioni, sono storie di lunghezza media come La notte è dei fantasmi (48 pagine), legata al mondo degli adolescenti, degli spin off di alcuni personaggi di Le ragazzine, con la Saldapress. Successivamente uscirà una graphic novel lunga (2-300 pagine), ancora top secret.

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Roberto Recchioni, il cavaliere oscuro https://www.fabriqueducinema.it/magazine/arts/roberto-recchioni-il-cavaliere-oscuro/ https://www.fabriqueducinema.it/magazine/arts/roberto-recchioni-il-cavaliere-oscuro/#respond Thu, 02 Jul 2015 14:09:26 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=1672 Roberto Recchioni è un autore, sceneggiatore, fumettista e oggi una sorta di produttore che scova altri artisti, gli scava dentro l’anima creativa e tira fuori quanto di più bello possano dire. Lui forse non se n’è accorto, ma insieme a Leo Ortolani, Gipi e Zerocalcare, è uno dei quattro giganti del fumetto attuale. Nella sede […]

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Roberto Recchioni è un autore, sceneggiatore, fumettista e oggi una sorta di produttore che scova altri artisti, gli scava dentro l’anima creativa e tira fuori quanto di più bello possano dire.

Lui forse non se n’è accorto, ma insieme a Leo Ortolani, Gipi e Zerocalcare, è uno dei quattro giganti del fumetto attuale.

Nella sede di Uno Studio in Rosso, il luogo che ha creato insieme ad altri sette sceneggiatori e fumettisti, Roberto ha la sua postazione al centro della sala e, al fianco della sua statuetta di The Dark Knight, a cui chiede spesso consiglio, controlla le sorti dello studio ma anche del futuro del fumetto italiano.

È un cavaliere a sua volta perché sta contribuendo ad arginare l’erosione di cultura in Italia. L’edicola e le librerie hanno vissuto un periodo di crisi profonda. La rivoluzione che sta vivendo il fumetto però sta arrestando questa crisi e la nuova generazione di fumettisti sta costringendo a suon di vendite le librerie ad aprire un reparto comics.

Recchioni è uno degli artefici di questo cambio di rotta. Emblematico quello che è successo da quando è diventato il responsabile editoriale di Dylan Dog, l’indagatore dell’incubo creato da Tiziano Sclavi. È il secondo fumetto più venduto in Italia, ma nel momento in cui gli è stato chiesto di diventarne il curatore soffriva di una forte emorragia di lettori che andava arrestata.

Roberto: Tiziano ha fatto il mio nome, io ci ho pensato molto perché la mole di lavoro e la responsabilità erano enormi, bisognava prendersi grossi rischi e fare scelte complicate. Ma sapevo di essere la persona giusta, perché non ho nessuno spirito di sopravvivenza. Se mi affidi una sfida rischiosa tendo ad accettarla perché non temo il fallimento, il fallimento ci può stare.

È stato un lavoro molto faticoso in cui Recchioni ha dovuto innanzitutto, il primo anno, gestire e recuperare una serie di storie che erano già in magazzino. Mentre la seconda fase è stata molto ambiziosa, perché la sfida era rilanciare il personaggio agli occhi di lettori affezionati ma sempre in diminuzione. La sua capacità di rimanere fedele pur cambiando tutto è stato il segreto.

R: I suoi primi successori hanno tentato di codificarlo, ma l’hanno fermato nel tempo. Ora, per me Dylan non è un personaggio fermo, tradire Dylan non è dargli un cellulare, semmai mettere il personaggio in una condizione di non azione. Quindi riportare Dylan in uno stato sempre mutevole per me è nel pieno rispetto del personaggio. Il lettore nostalgico, che dire… la nostalgia non si può vincere del tutto.

In realtà la battaglia è stata vinta. Oggi la perdita dei lettori è stata arrestata e la Bonelli sta iniziando ad acquistarne di nuovi.

Tra i segreti anche quello di portare nelle storie la più stretta attualità. Così come Roberto fece da sceneggiatore per l’albo Mater Morbi, uscito nel gennaio 2010 ma scritto nel pieno caso Englaro.

R: Tiziano guardava la realtà e la raccontava attraverso i suoi occhi e la veicolava attraverso Dylan Dog. È quello che ho chiesto di fare a tutti gli sceneggiatori. Non tutti i mesi ci riusciremo, qualche volta ci sarà la storia di alleggerimento, però lo scopo è quello. Scrivere storie che risultino significative, se no è niente.

Recchioni è onnipresente. Lui dice spesso che il fumetto, la letteratura e il cinema sono tre linguaggi ben distinti ma dietro c’è sempre la stessa cosa, scrivere. E lui scrive. Stanno arrivando tre romanzi per la Mondadori, il primo in uscita a ottobre. È in pre-produzione il primo lungometraggio di cui è autore. La sua serie Orfani, di cui sta preparando la quarta stagione oltre alle edizioni deluxe per la Bao Publishing, è pronta per diventare una serie tv. Praticamente ogni mese esce una novità a fumetti con la sua firma, da Battaglia ai prossimi I maestri dell’orrore, o come l’ultima nata The 4 Hoods, la prima serie per ragazzi della Sergio Bonelli Editore.

R: Il bello della scrittura è che la declini e la trovi dietro ogni forma di espressione. Il mio ambito è il fumetto e rimarrò sempre nei fumetti. Poi mi permetto esperienze in altri media, l’importante è pensare che questi linguaggi si parlino. Se domani Orfani diventerà una serie televisiva è perché è stata pensata per avere anche un tipo di sfruttamento in quel senso.

P: Hai la percezione di come il mondo ti osservi?

R: Di solito mi insultano… Mi piacerebbe essere ricordato in una maniera rilevante. Non riesco a pensare ad altro se non che il gesto che faccio deve essere significativo. Deve “riverberare”. Il dinamismo è il cardine del mio stato d’essere. Combattere le critiche è semplice, basta continuare a seppellirle di fatti.

Forse chi guarderà a questo periodo tra decenni si accorgerà che si è trattato di uno dei momenti di svolta nella cultura italiana. Roberto Recchioni ha già segnato il nostro tempo. Ha spazzato via il terrore di vivere in una stagione culturale vuota e lo ha fatto insieme alla generazione degli autori che oggi parla e soprattutto scrive costantemente, ricordando che dietro a quei “pupazzi” ci sono esseri umani.

P: Il tuo primo ricordo legato al fumetto?

R: Molti ricordi, ma uno in particolare riguarda Topolino: quando l’ho visto per la prima volta ho chiesto a mia madre come facevano a farlo e lei mi rispose “con gli stampini”. Ecco, mi sono detto subito, da grande voglio fare gli stampini.

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Mauro Uzzeo: un esploratore al centro del racconto https://www.fabriqueducinema.it/magazine/arts/mauro-uzzeo-un-esploratore-al-centro-del-racconto/ https://www.fabriqueducinema.it/magazine/arts/mauro-uzzeo-un-esploratore-al-centro-del-racconto/#respond Tue, 10 Mar 2015 15:40:37 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=1076 Normalmente s’inizia a scrivere piccoli racconti per poi passare a storie più articolate. Da un’idea per uno spot si giunge a un concept per un videoclip. Un fatto per strada che un giorno ti colpisce diventa un articolo, ma poi pensi a come girare una serie di documentari. Si parte da un cortometraggio pensando di […]

L'articolo Mauro Uzzeo: un esploratore al centro del racconto proviene da Fabrique Du Cinéma.

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Normalmente s’inizia a scrivere piccoli racconti per poi passare a storie più articolate. Da un’idea per uno spot si giunge a un concept per un videoclip. Un fatto per strada che un giorno ti colpisce diventa un articolo, ma poi pensi a come girare una serie di documentari. Si parte da un cortometraggio pensando di raggiungere un film. Mauro Uzzeo scrive tutto.

Lui è l’evoluzione del vecchio narratore nei villaggi che sedeva accanto al fuoco e raccontava viaggi, storie realmente accadute o inventate. Poteva impiegarci una manciata di minuti o tutta la notte. Raccontare, ecco. Uzzeo è un esploratore della narrativa e a seconda della storia che gli si presenta trova il giusto linguaggio: «Chi vuole raccontare deve per forza variare e differenziare la sua proposta di scrittura, deve imparare tutti i mestieri che ruotano intorno all’idea di racconto».  Un giorno sei corto, un altro sei spot, sei videoclip o sei fumetto, un giorno sei lungometraggio. Certo devi esserne capace, e Mauro lo dimostra a ogni lavoro.

Ritornando alla figura del narratore accanto al fuoco, la necessità di chi racconta è di avere un pubblico che ti ascolta. Il pubblico è vario e varia deve essere la scrittura. Chi raccontava storie, prima, aveva solo la voce per interpretare i personaggi, per incutere paura, timore, gioia. Oggi gli strumenti sono tanti, si può lavorare con attori, disegnatori, grafici. Anche il pubblico è cambiato, ma è sempre disposto a prestare attenzione a una storia, che sia un videogioco, un film o un fumetto.

Mauro scrive sin da piccolissimo, da ragazzino portava le prime storie a fumetto dal giornalaio vicino a casa e con un accordo degno dei più geniali distributori, riusciva a vendere quei pezzi unici a millelire. La svolta è avvenuta seguendo un corso di sceneggiatura tenuto da Lorenzo Bartoli: un workshop in una fumetteria, frequentato tra gli altri anche da Roberto Recchioni. Tre ore a settimana per capire cosa c’è dietro i fumetti. Bartoli donava il segreto di come si scrive un fumetto, come si costruisce, la scansione delle vignette, il glossario, la didascalia, la descrizione dell’inquadratura, il linguaggio. Gli strumenti di viaggio per un narratore pronto a tutto. Nelle sceneggiature dei fumetti si fa quello che nel cinema fanno lo sceneggiatore, il regista, il location manager, lo scenografo, il casting director.

Da allora ha pubblicato di tutto, dall’horror alle storie romantiche, ai supereroi, al porno: «Per un periodo ho scritto su “Blu”, un periodico erotico, ma avevo 17 anni e non potevo comprare la rivista su cui scrivevo. Assurdo!». Per la Sergio Bonelli Editore ora scrive su Dylan Dog e sta preparando una serie di volumi speciali, autoconclusivi, dal titolo Le storie.

La sua ricerca narrativa è in continua evoluzione: all’inizio i racconti erano di completa evasione, ora invece i personaggi sono espressione dei suoi interrogativi e vivono le sue stesse difficoltà. Nel numero di Dylan Dog che sta preparando si domanda ad esempio quanto il concetto di verità in epoca social stia perdendo di significato e come rispondere al fenomeno delle bufale su un mezzo come internet, nato come controinformazione: «Oggi mi preme spiegare quanto sia contraddittorio cercare un unico punto di vista per raccontare le cose».

Di Orfani, la serie creata da Roberto Recchioni ed Emiliano Mammucari per la Bonelli, è uscita la seconda stagione. Un fumetto nuovo per l’Italia, una saga strutturata come una serie tv. Mauro è stato letteralmente arruolato da Recchioni per intervenire nella seconda stagione. La prima era riconducibile alla fantascienza del tipo fanteria dello spazio. Le caratteristiche di Uzzeo, scrittore del suo tempo, lo legano con naturalezza più al secondo progetto, dove le atmosfere raccontano un viaggio disperato in un mondo condannato e senza scampo. Il personaggio di Ringo s’incontra con un uomo che ha aperto un campo medico in una zona di battaglia e accoglie persone di entrambe gli schieramenti: «Tutta la storia è una riflessione sul compromesso, fino a dove ci si può spingere per non perdere la tua dignità o la tua umanità. Quest’uomo rimane anonimo ma è la trasposizione di Gino Strada, fondatore di Emergency».

Mauro è passato anche per l’animazione. Ha lavorato, tra le tante cose, per gli spot della CocaCola, dell’acqua Lete, per i video dei Tiromancino, dei Subsonica, di Jovanotti. Ha collaborato alle Winx e ai I gladiatori di Roma per la Rainbow di Iginio Straffi. Continua a scrivere di tutto, sono pronte una serie di sceneggiature per il cinema e per i cartoni, tra cui il progetto Bum Bum di Maurizio Forestieri.

«Non sceglierò mai una forma sola di racconto, tra dieci anni voglio ancora raccontare, qualsiasi forma prenderà la scrittura. Scrivere è prima di tutto un’esplorazione all’interno del mezzo in cui mi sto esprimendo e di me stesso».

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