D'Innocenzo Archivi - Fabrique Du Cinéma https://www.fabriqueducinema.it La Rivista Del Nuovo Cinema Italiano Wed, 26 Jan 2022 15:14:30 +0000 it-IT hourly 1 America Latina: ogni famiglia infelice è infelice a modo suo https://www.fabriqueducinema.it/cinema/nuove-uscite/america-latina-ogni-famiglia-infelice-e-infelice-a-modo-suo/ Tue, 18 Jan 2022 08:41:47 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=16644 È con delle immagini dal sapore documentaristico che Damiano e Fabio D’Innocenzo scelgono di simulare il viaggio che conduce nel regno del loro ultimo film, America Latina, passato in concorso all’ultima Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia e ora nei cinema dal 13 gennaio. Prosegue il sodalizio con Elio Germano, profondamente convincente nei panni del […]

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È con delle immagini dal sapore documentaristico che Damiano e Fabio D’Innocenzo scelgono di simulare il viaggio che conduce nel regno del loro ultimo film, America Latina, passato in concorso all’ultima Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia e ora nei cinema dal 13 gennaio. Prosegue il sodalizio con Elio Germano, profondamente convincente nei panni del benestante dentista Massimo Sisti, sulla cui villa in provincia di Latina termina quel viaggio in mezzo alla natura della prima sequenza. Una volta dentro, il registro stilistico dei fratelli D’Innocenzo si ripresenta sin da subito nel dipingere un’atmosfera da oscuro presagio all’interno di quello che sembra essere l’idillio di un padre di famiglia che vive con la moglie (Astrid Casali) e le due figlie (Carlotta Gamba e Federica Pala).

La sconvolgente scoperta di una ragazzina (Sara Ciocca) legata nella sua cantina apre le porte al corpo del film: la manifestazione e la costruzione della colpa del protagonista, che scuote i sotterranei della sua casa e aggredisce il suo mondo immacolato. Il conflitto insorge andando ad intaccare quegli elementi simbolo dell’armonia iniziale, come il pianoforte: se prima Massimo vi si avvicina per imparare un’ordinata scala musicale, nella seconda metà del film si ritrova a picchiare con violenza sui tasti, rendendolo un ottimo correlativo oggettivo e sonoro delle oscillazioni della sua mente. Notevole come il lavoro sul suono partecipi in modo estremamente efficace al processo di accerchiamento del protagonista, per cui anche il mangiare una torta assume dei tratti rivoltanti. Un reparto sonoro, arricchito dalle musiche dei Verdena, che completa ciò che già trasmettono i frequenti primissimi piani e alcune (ma significative) inquadrature in controluce, come a mettere l’uomo davanti a un giudizio incombente.

Su quest’ultima osservazione va ad inserirsi una delle maggiori lodi al film, la fotografia, curata da Paolo Carnera. Le pervasive tonalità di rosso e di blu-verde si impongono da una parte come acute risonanze psicologiche, dall’altra come riflessi di una natura, quella del protagonista, sempre più dominata da un istinto selvaggio. Quando insegue in macchina tra le strade di campagna l’amico Simone (Maurizio Lastrico), una caldissima luce infiamma il suo sguardo, che ora sembra quello di un giaguaro che si muove nella foresta (dell’America Latina) in cerca della sua preda, così come in una delle scene finali può essere accostato a un alligatore che nuota in acque gelide. In entrambi i casi si ha l’immagine di un uomo che in solitaria si aggira in un mondo animale, con tutti i suoi simboli e le sue leggi.

Il film si configura come una stratificazione di piani che sfumano alterità e realtà, assurdo e verosimile, un’ulteriore evidente marca stilistica dei fratelli D’Innocenzo, che con America Latina scrivono e dirigono un’altra “favolaccia” in un castello apparentemente perfetto ma circondato dal buio di una palude. Qui dentro si consuma la tragedia di Massimo Sisti, così disperatamente alla ricerca di un bersaglio, di un’espiazione, che finirà per trasformare il suo rifugio in una gabbia, il suo status dominante in quello di preda, in un film che vede distruggere le più alte mistificazioni maschili della vita borghese.

 

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America Latina dei D’Innocenzo, un film in sottrazione https://www.fabriqueducinema.it/festival/america-latina/ Fri, 10 Sep 2021 04:59:00 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=16044 Quinto e ultimo dei film italiani del concorso di Venezia 78 è l’atteso ritorno dei fratelli D’Innocenzo, America Latina, scritto dai registi e prodotto da The Apartment con Vision e Le Pacte. “America Latina è un film sulla luce e abbiamo scelto il punto di vista privilegiato dell’oscurità per osservarla”, dichiarano gli autori, introducendo subito all’atmosfera […]

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Quinto e ultimo dei film italiani del concorso di Venezia 78 è l’atteso ritorno dei fratelli D’Innocenzo, America Latina, scritto dai registi e prodotto da The Apartment con Vision e Le Pacte.

America Latina è un film sulla luce e abbiamo scelto il punto di vista privilegiato dell’oscurità per osservarla”, dichiarano gli autori, introducendo subito all’atmosfera di mistero che aleggia per tutta la durata: è la storia di un affermato dentista pontino, Massimo Sisti, che nella presentazione dei personaggi e della vicenda individuiamo subito come un privilegiato, affermato professionalmente, con una famiglia amorevole che è la sua ragione di vita, tre cani, villa di design un po’ cattedrale nel deserto. E già dalla location principale e quasi unica, che è la casa, si evince che il film proporrà sempre scenari che possono essere l’uno il rovescio della medaglia dell’altro: una dimora invidiabile, ma che può anche essere un terribile labirinto, un’amicizia sincera ma che potrebbe nascondere delle ombre, una famiglia meravigliosa, ma con alcune incrinature.

Ed è un livello sotterraneo vero e proprio, cioè la cantina della villa di Massimo, a diventare il vaso di Pandora delle sue paure: il dentista, una sera, vi accede, e fa la scoperta che dà l’innesco alla vicenda narrativa. Una discesa negli inferi. Un inferno mentale, ma pur sempre un interno. Una vicenda narrativa che con l’incedere del film viene raccontata come progressiva proiezione mentale del protagonista, che è interpretato da Elio Germano, perfettamente in parte, e che regge il film sulle proprie spalle.

Sebbene siano due film molto diversi, il dentista Massimo Sisti potrebbe essere uno dei personaggi che popolano il caleidoscopico mondo di Favolacce, un vicino di casa, il cui dramma, però, è introflesso, e non scaricato con la violenza verso l’esterno. È un film, America Latina, in cui come mai prima nel cinema dei due gemelli l’immagine si fa portatrice di senso, e allo scopo è decisivo il contributo di Paolo Carnera: anche in pieno giorno, c’è un senso di cupezza che pervade sia gli interni che gli esterni, le tende di casa sono spesso chiuse, i volti quasi sempre ridotti a silhouette.

Ma con Favolacce ci sono anche profonde differenze, c’è il tentativo dei fratelli di ragionare come per contrasto: laddove lì l’affresco era corale, qui il film è un’emanazione del solo assoluto protagonista, perfino le familiari presenze della moglie e delle figlie sono raccontate con tratti spettrali, complici anche i costumi di Massimo Cantini Parrini, che in alcune scene sono decisivi alla restituzione del senso del racconto.

Insomma, in America Latina i D’Innocenzo sottraggono, sottraggono, sottraggono, lasciano allo spettatore il compito di reperire le informazioni necessarie, sacrificano la sceneggiatura fino all’essenziale di dialoghi e azioni e affidano tutto alla creazione di atmosfere di luce, rumori e musiche, per le quali va fatta una speciale menzione ai Verdena, che è un piacere ritrovare al cinema.

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La ragazza ha volato, Alma Noce è da lode https://www.fabriqueducinema.it/festival/la-ragazza-ha-volato-alma-noce-e-da-lode/ Sat, 04 Sep 2021 12:33:15 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=15958 Torna utile una bella battuta del film di Paolo Sorrentino come epigrafe per La ragazza ha volato, il lungometraggio di Wilma Labate presentato a Venezia nella sezione Orizzonti Extra: “Noi non sappiamo quello che succede nelle case degli altri”. La scrittura per immagini di Labate incornicia questo racconto con alcuni avvolgenti movimenti di macchina che […]

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Torna utile una bella battuta del film di Paolo Sorrentino come epigrafe per La ragazza ha volato, il lungometraggio di Wilma Labate presentato a Venezia nella sezione Orizzonti Extra: “Noi non sappiamo quello che succede nelle case degli altri”.

La scrittura per immagini di Labate incornicia questo racconto con alcuni avvolgenti movimenti di macchina che restituiscono proprio questa sensazione: in testa e in coda al film, i balconi e le finestre di Trieste, tutte uguali l’una all’altra ma ciascuna contenitore di una storia diversa, teatro di gioie, di dolori, di umanità per cui provare rispetto, compassione, senza giudizio, perché il protagonista della storia che stiamo guardando potrebbe essere il nostro vicino e, se non è lui, allora potremmo essere noi.

Sono subito esplicite quindi le intenzioni registiche di Wilma Labate: un film di osservazione, di sguardo, qualche piano sequenza, ma anche semplicemente inquadrature lunghe, con un proprio respiro, che inducono all’attesa, ma anche invitano a prendere parte a ciò che si sta vedendo.

La ragazza ha volato è la storia di un’adolescente di nome Nadia, una ragazza come tante, forse un po’ solitaria, ma introversa, che quando esce dal proprio guscio inciampa in un ragazzo di cui sfortunatamente accetta un invito: i due si ritrovano a casa di lui, c’è l’umiliazione, c’è il ricatto, c’è la violenza.

Ammirevoli la discrezione e l’economia di scrittura: ci sono le mani dei fratelli D’Innocenzo nella sceneggiatura di questo film, e un certo sapore di gioventù prigioniera e disincantata e di adulti inermi e incapaci di vera comunicazione sono argomenti che i due autori romani hanno nelle loro corde. “È una storia fatta di personaggi che subiscono la vita nel disordine e nell’inerzia. Nadia è una ragazzetta attraente che si muove nel grigiore, con una famiglia affettuosa ma immobile nel destino della periferia, non degradata, solo difficile e sciatta”, dice Wilma Labate, che segue la sua straordinaria protagonista senza il pedinamento “di nuca” che ci stiamo abituando a vedere troppo spesso, né con quella macchina a mano che punta a far dire “dardenniano” di qualunque film ruoti intorno a un personaggio fulcro di tutta la storia. Come già detto, la scrittura per immagini di Labate è misurata, essenziale, mai troppo né troppo poco.

Un’ultima menzione va ad Alma Noce, che interpreta Nadia: bravissima nella prima parte del film, dove le parole che pronuncia si possono quasi contare, ma ancora più brava dal momento della scoperta che le cambia la vita, e in tutti i momenti successivi di accettazione, gestione, condivisione del proprio destino.

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Ileana D’Ambra, la trasformista https://www.fabriqueducinema.it/cinema/people/ileana-d-ambra/ Mon, 25 May 2020 09:30:13 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=14007 Un esordio coraggioso Ileana D’Ambra è una giovane attrice al suo debutto cinematografico accanto ad Elio Germano nel film Favolacce dei fratelli Fabio e Damiano D’Innocenzo (Orso d’Argento per la sceneggiatura a Berlino), da qualche giorno in onda sulle maggiori piattaforme streaming. Vilma, donna-bambina Scelta dai talentuosi fratelli romani per il suo volto “portatore di […]

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Un esordio coraggioso

Ileana D’Ambra è una giovane attrice al suo debutto cinematografico accanto ad Elio Germano nel film Favolacce dei fratelli Fabio e Damiano D’Innocenzo (Orso d’Argento per la sceneggiatura a Berlino), da qualche giorno in onda sulle maggiori piattaforme streaming.

Vilma, donna-bambina

Scelta dai talentuosi fratelli romani per il suo volto “portatore di dolcezza”, Ileana D’Ambra si è messa in gioco con grande coraggio e ci ha regalato un personaggio senza filtri, Vilma, per la quale è ingrassata di quasi 20 kg.

Ti abbiamo vista nei panni di Vilma in Favolacce, vuoi raccontarci qualcosa di lei?

Vilma è una ragazza di 19 anni, vive e lavora con la mamma, il papà non lo vediamo, ed è fidanzata con Mattia. Lei però non è sola e si presenta fin dalla prima scena con un grembo gonfio che dentro contiene una bambina. Vilma la definirei una “middleclass decaduta”, come d’altronde tutti i personaggi del film.  È un personaggio pieno di contraddizioni: è molto bambina, lo si nota da aspetti estremamente infantili come il suo modo di vivere la femminilità e la sessualità. Un’altra contraddizione di Vilma è il contrasto tra il suo voler apparire gentile e i suoi naturali modi un po’ rudi e sgraziati.

Ileana D'Ambra al Festival di Berlino
Ileana D’Ambra al Festival di Berlino

Come sei stata scelta dai d’Innocenzo?

Io non credo nella fortuna, credo semplicemente che esista il momento giusto. Fare l’attrice per me è stata una scelta di vita legata a una passione innata. In questo mestiere devi avere le spalle larghe per accettare un quantitativo gigantesco di no e tradurli in occasioni per crescere e migliorarsi. È fondamentale essere resilienti e volgere al positivo quanto ti capita, perché è proprio grazie a questo che le esperienze personali diventano nuove “sfumature” di te nel tuo lavoro. Ecco, penso che con Favolacce sia arrivato il mio momento giusto.

Vilma è stato un personaggio impegnativo dal punto di vista psicologico ma anche fisico, considerando che per interpretarlo hai dovuto prendere quasi 20 kg.

In realtà, nonostante l’iniziale difficoltà, credo sia proprio grazie a questo importante aumento di peso che mi sono realmente calata nel personaggio di Vilma. Fin da subito il mio viso, scelto dai fratelli D’Innocenzo perché – dicono – “portatore di infinita dolcezza”, con l’aumentare dei chili cambiava e diventava altro, così come il mio fisico e il mio portamento. Ero goffa e scoordinata, con un’andatura da camionista! Ho capito che Vilma stava prendendo forma dentro di me.

Questo è stato il tuo primo film, che effetto ti ha fatto il set?

Inizio dicendoti che Fabio e Damiano riescono a rendere veramente semplici anche le cose più difficili. Da subito è scattato come un “clic” tra di noi, una sintonia e una stima reciproca che ha reso tutto estremamente naturale. Non dimenticherò mai il primo giorno sul set. Avevo l’adrenalina a mille e non appena sono arrivata mi sono detta: “Ok, questo è il mio posto, sono a casa mia!”. È esattamente per questo che spero di continuare a fare il cinema, perché mi sono veramente sentita al mio posto come mai sentita prima. La prima scena che ho girato, ambientata in un mercatino, per me non ha semplicemente rappresentato la nascita di Vilma, ma è stato anche l’inizio di un percorso di cambiamento personale. Una cosa con cui ho dovuto da subito fare l’abitudine sono stati i piani strettissimi sul mio viso e sul mio corpo. Prima dell’inizio delle riprese ho trascorso due giornate con Paolo Carnera, il direttore della fotografia, e con lui ho assistito ai provini per la camera e alla scelta degli obiettivi e delle lenti. È stato molto utile perché ho imparato e capito quello che poi ho ritrovato sul set.

Ileana-D-Ambra
Un ritratto di Ileana D’Ambra

Favolacce è uscito in un momento difficile e ci ha tenuto compagnia durante un periodo di isolamento forzato. Tu come hai trascorso il lockdown? Cosa ne hai guadagnato?

Ovviamente il radicale cambiamento di quotidianità che mi ha portata a passare da ritmi serrati e pienissimi a giornate lente e vuote, soprattutto all’inizio, è stato duro. Anche se il mio lavoro mi ha aiutata perché mi ha abituato a una routine mai scandita da orari fissi e allo stare molto spesso da sola, a studiare, a pensare, a guardare film. L’inizio del lockdown ha combaciato con il mio ritorno da Berlino, Favolacce aveva appena vinto l’Orso d’Argento per la sceneggiatura e io ero gasatissima. Mi sono guardata allo specchio e mi son detta: “Vai Ileana, questo è il tuo momento!”. Insomma ero pronta a non fermarmi più, ma una sorte ironica ha deciso di chiudermi in casa. Le mie giornate sono state altalenanti: a volte mi svegliavo piena di voglia di fare altre, quelle più no, le passavo a letto, tra libri e pensieri. La cosa bella è stata che durante questo periodo ho avuto la possibilità di sentirmi veramente vicino il mondo fuori. Mi spiego meglio: fin da piccolissima, ho sempre avuto una grande empatia verso gli altri e durante l’isolamento forzato mi sono sentita un tutt’uno con il mondo che insieme a me soffriva, cambiava e si adattava passo dopo passo.

Nuovi progetti? Hai già qualcosa in mente?

Al momento c’è un progetto di cui però per ora preferisco non dire nulla. Parlando in generale del futuro comunque spero che questo brutto periodo ci abbia finalmente fatto capire quanto la cultura sia importante per tutti. Spero che l’industria cinematografica possa riprendere al più presto, perché senza i film in questi lunghi giorni chiusi in casa non ce l’avremmo mai fatta!  Come dice poi lo scrittore Stefano Massini, quando viene a mancare la cultura emergono emozioni come la paura e altri sentimenti che inducono alla violenza.

Mi piace concludere le mie interviste con una domanda. Se dopo di me potessi prendere un caffè con una persona per te importante, con chi lo prenderesti?

Oddio, questa è una domanda davvero difficile [ride ndr]… Posso dirti due persone? La prima sarebbe sicuramente stata Goliarda Sapienza, di cui in questa quarantena ho finito di leggere L’arte della gioia, un libro rivoluzionario, con una figura femminile in continua evoluzione. La seconda invece è Marion Cotillard, attrice di quel cinema francese che tanto amo. Non ti nego che uno dei miei più grandi sogni è quello di lavorare in un set internazionale, sono certa che mi arricchirebbe tantissimo. Sì, direi che farmi due chiacchiere con Marion mi farebbe molto piacere!

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I fratelli d’Innocenzo, Favolacce e la malinconia degli adulti https://www.fabriqueducinema.it/cinema/interviste/i-gemelli-dinnocenzo-favolacce-e-la-malinconia-degli-adulti/ Mon, 11 May 2020 07:00:18 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=13925 A dirla tutta, a 31 anni Fabio e Damiano D’Innocenzo sono una delle voci più originali e promettenti del panorama italiano, ma i riflettori puntati non sembrano averli cambiati più di tanto. La principale differenza rispetto al passato è la maggior facilità nel fare i film, ma anche nel pubblicare le loro poesie e addirittura […]

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A dirla tutta, a 31 anni Fabio e Damiano D’Innocenzo sono una delle voci più originali e promettenti del panorama italiano, ma i riflettori puntati non sembrano averli cambiati più di tanto. La principale differenza rispetto al passato è la maggior facilità nel fare i film, ma anche nel pubblicare le loro poesie e addirittura un libro fotografico. «Adesso ci vogliono tutti» commenta Damiano. Barba lunga, capelli scomposti, look casual, i due gemelli sono più uniti che mai dopo la prima grande prova internazionale e dopo Favolacce, che arriva oggi nei principali store digitali italiani.

Dalla periferia di La terra dell’abbastanza alla provincia di Favolacce, i D’Innocenzo operano un decentramento per raccontare uno spaccato sociale tutto sommato tradizionale, nonostante la crisi economica che incombe, ma sotto la cui superficie serpeggiano nevrosi e disagio. La novità è che stavolta al centro della storia non vi è più l’adolescenza criminale bensì l’infanzia. Un’infanzia che nasconde risvolti inquietanti. La tensione, in Favolacce, traspare in controluce nella quotidianità, dai giochi e dai comportamenti dei piccoli protagonisti e guida la storia verso un climax imprevedibile. Questo, per i D’Innocenzo, era «l’unico modo possibile di raccontare questa storia che abbiamo scritto quando avevamo diciannove anni. Non avevamo strutturato il film in tre atti e non avevamo nessun tipo di velleità aristotelica del racconto classico, ma avendo visto tanti film e avendo in mente quello che volevamo raccontare abbiamo creato una struttura ipnotica. Succede poco, ma quel poco esprime una minaccia. Come diceva Carver, l’idea è dare il senso di una minaccia che sta per arrivare anche se poi magari non arriva. L’attesa è sempre più forte del fatto compiuto. Creare una prima parte di film rarefatta arrivando poi a un climax emotivo ci sembrava un bel contrappunto».

La scelta di raccontare l’infanzia, in Favolacce, ha portato i registi a selezionare un eccezionale cast di giovanissimi, facce meravigliose e innocenti che si contrappongono all’abbrutimento e alla volgarità degli adulti. Bambini incredibilmente consapevoli, nel film, che compiono scelte controcorrente in virtù della loro comprensione del mondo. Una visione senza dubbio fuori dal comune, ma non secondo il punto di vista dei D’Innocenzo, come ammette Fabio: «Da piccoli siamo sempre stati dei grandi osservatori, molto perspicaci. Sentivamo che c’era qualcosa che non andava, che c’era qualcosa di malinconico nel mondo, negli adulti. Mi dicevo “Quando crescerò capirò che mi sbaglio”. Sono cresciuto e ho capito che avevo ragione io. Da piccolo ero molto lucido, poi crescendo ti annacqui un po’. Ora sono molto benevolo coi miei 30 anni, ma se mi fossi visto da piccolo mi sarei fatto schifo».

favolacce

Eppure hanno molto di cui essere soddisfatti i D’Innocenzo, entrati nell’industria italiana dalla porta principale con un’opera prima lodata unanimemente dalla critica a cui è seguita la collaborazione con Matteo Garrone alla sceneggiatura di Dogman. «Questa è la porta principale, ma prima noi eravamo i ladri. Ci cacciavano tutti» scherzano loro. «Noi non abbiamo fatto scuole di cinema, abbiamo fatto l’Alberghiero. A diciannove anni ci siamo detti “Proviamo a fare cinema”, ma ce lo siamo detto tra noi, senza che nessuno lo sapesse. Non avevamo strumenti né conoscenze, ma sapevamo quello che volevamo fare. Volevamo scrivere, per noi il film era finito quando era finito lo script, così abbiamo scritto trenta copioni. Poi abbiamo conosciuto Alex Infascelli, che ci ha portato dal suo agente e abbiamo iniziato a fare i ghostwriter. Questo ci ha permesso di collaborare con tanti registi importanti e di conoscere tanti tipi di cinema. Poi abbiamo collaborato con Matteo Garrone e quando gli altri lo hanno saputo hanno cominciato a chiamarci. Se ci meritiamo di aver vinto a Berlino è per quei dieci anni che abbiamo passato a faticare».

Sempre d’accordo nelle risposte, che si spartiscono equamente, Fabio e Damiano D’Innocenzo sembrano incarnare tutti i luoghi comuni sui gemelli, presentandosi al photocall della Berlinale tenendosi per mano. «Anche se cerchiamo di simulare una certa nonchalance, la vittoria a Berlino è stata davvero significativa per noi» ammette Damiano. «Prima di essere registi, siamo cinefili e siamo cresciuti coi film di Berlino. Per noi fare i registi vuol dire avere i soldi per poter andare al cinema. Non posso negare che la notte prima della proiezione al Festival ho fatto fatica ad addormentarmi. Per affrontare tutto questo avevo bisogno della stretta di mano di mio fratello e lui della mia». Questa simbiosi che vivono i due registi si ripropone anche nel lavoro, ma è proprio vero che non litigano mai? «Sul set di Favolacce ci è capitato in due occasioni di essere in disaccordo» svela Fabio. «Ci siamo chiusi in camerino a parlare e quando siamo usciti avevamo trovato l’accordo. Nel film precedente, che era il primo, siamo stati quasi tutto il tempo chiusi in camerino».

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