David Donatello Archivi - Fabrique Du Cinéma https://www.fabriqueducinema.it La Rivista Del Nuovo Cinema Italiano Mon, 02 Sep 2024 13:06:37 +0000 it-IT hourly 1 Faccio sogni rivoluzionari https://www.fabriqueducinema.it/magazine/industry/faccio-sogni-rivoluzionari/ https://www.fabriqueducinema.it/magazine/industry/faccio-sogni-rivoluzionari/#respond Mon, 29 Jul 2024 10:04:23 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=19239 Allora, sicuramente commetterò degli errori scrivendo questo articolo, ma come dice Nietzsche, l’importante è lo slancio vitale, l’energia sprigionata che provoca il pensiero, la riflessione. Una provocazione forse, nata dall’istinto del puer aeternus il cui spirito si muove nella verticalità come gli spruzzi di un geyser, creando impeto e smuovendo le coscienze. In questo ultimo […]

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Allora, sicuramente commetterò degli errori scrivendo questo articolo, ma come dice Nietzsche, l’importante è lo slancio vitale, l’energia sprigionata che provoca il pensiero, la riflessione. Una provocazione forse, nata dall’istinto del puer aeternus il cui spirito si muove nella verticalità come gli spruzzi di un geyser, creando impeto e smuovendo le coscienze.

In questo ultimo periodo sono usciti diversi articoli che spiegano come in Italia vengano prodotti troppi film e che tanti di questi film abbiano degli incassi risibili che non giustificano gli investimenti, soprattutto quelli dello Stato. È assolutamente vero. Ma a differenza di quello che dicono molti, la soluzione non è solo il taglio della produzione. Bisogna infatti spostare il fuoco del problema non sulla parte finale, l’incasso, ma su quella iniziale, ossia il sistema che ha generato questi film. Perché se non si analizza questo punto, difficilmente si riuscirà a trovare una soluzione che possa salvare la settima arte in Italia.

Il sistema che produce i film è al collasso, parliamo di una crisi di logica imprenditoriale, di coscienza e di identità. Se si pensa ai risultati del box office, sono veramente pochi i casi in cui dei film italiani hanno avuto successo, quando per successo s’intende quello commerciale e dunque la capacità di recuperare il costo del film e di generare un utile, meglio se questo possa poi permettere la produzione di altri film. Nel 2023, ad esempio, il box office italiano ha registrato un incremento del 62% rispetto al 2022, raggiungendo i 495 milioni di euro, ma gran parte di questo incremento non è dovuto ai pochi titoli italiani di punta come C’è ancora domani che ha incassato quasi 33 milioni di euro, ma ai blockbuster internazionali come Avatar: The Way of Water e Black Panther: Wakanda Forever, che hanno dominato le classifiche rappresentando più del 75% del box office.

Questo sistema che si muove con una base saldamente ancorata allo Stato, da cui attinge con finanziamenti automatici e selettivi, tax credit ecc., sembra aiutare esclusivamente i favoriti in partenza, le grandi produzioni, che pur non avendone bisogno possono ottenere fino al 50% del budget complessivo, a scapito dei piccoli produttori che spesso cercano di realizzare opere prime e seconde raschiando il barile. I contributi destinati a questi film sono infatti talmente bassi da scoraggiare anche i più avventurosi. Il lavoro è duro e bisogna comporre un puzzle difficile per un giovane o un indipendente, i cui tasselli economici sono composti da più elementi che assolutamente non sono facili da raggiungere. Un puzzle quasi impossibile quando le richieste superano a volte le disponibilità, quando i film sono troppi e i soldi per ogni film diventano contributi quasi invisibili. Basterebbe pensare che in Francia vengono prodotti meno film (meno di 300 film) che però incassano il doppio rispetto a quelli italiani (i film nazionali hanno guadagnato più di 160 milioni, quelli italiani circa 120 milioni a fronte di quasi 400 film prodotti e il box office francese totale nel 2022 è stato di 1,1 miliardi di euro ) e così ancora meglio la Germania (con “soli” 200 film e un incasso di più di 170 milioni delle opere nazionali e un box office totale di quasi 800 milioni). Questo dimostra la necessità di concentrare i finanziamenti su meno opere. Poche, ma buone.

Senza entrare nei dettagli tecnici, ma rimanendo in un quadro generale, il problema è che la maggior parte dei film ha budget che a malapena riescono a coprire le spese di produzione, figuriamoci la distribuzione e la promozione. Dunque, la maggior parte dei film arriva alla linea di partenza, l’uscita nelle sale, storpia, già stanca prima di iniziare la corsa e senza che nessuno se ne accorga. A volte senza neanche il ticket per partecipare alla maratona; ebbene sì, la maggior parte dei film riesce ad uscire a fatica. E a noi di Fabrique i film che più ci interessano sono le opere prime e seconde, i film d’autore indipendenti, quelli a cui insomma non frega niente a nessuno. Mi sono sempre chiesto perché le opere giudicate d’interesse culturale, non avessero le porte spalancate all’interno del mercato, garantendogli visibilità, promozione e distribuzione, elemento fondamentale oggi per essere notati. Mi sono sempre chiesto perché un film in cui lo Stato ha creduto finanziandolo non riesca ad arrivare al nastro di partenza con tutte le carte in regola per competere. E dunque c’è un problema di abbondanza di progetti che provoca una diluizione eccessiva del finanziamento che rende ancora più invisibili gli invisibili. L’Italia infatti è un paese d’invisibili e nonostante tanti autori e registi si facciano il mazzo per mettere in piedi un film, rimangono invisibili, perché uscendo – forse – nelle sale con 4-5 copie, racimolano qualche presenza fantasma e poi spariscono nell’oltretomba. Questo porta anche all’impossibilità di giudicare un progetto, che magari in partenza aveva buone potenzialità ma che a causa delle difficoltà economiche per costruirlo si sgonfia diventando mediocre o non pervenuto.

La domanda è perché? La risposta è che pare che nessuno voglia cambiare realmente il sistema. Mi ricordo quando un giorno ero andato a parlare di questo tema a una riunione di una importante associazione di autori, tutti preoccupati di come far guadagnare di più chi ha già tanto, chi già fa parte di quel closedspace di autori italiani affermati. Avevo spiegato le difficoltà dei giovani e degli outsider ad accedere al mercato dell’audiovisivo, ad essere considerati, ad essere distribuiti. Avevo proposto di creare un tavolo per discutere la questione; mi era stato risposto: «E poi chi ci parla con il Ministro?». Gli avevo detto: «Ci parlo io, che problema c’è?». E da lì la complessità, l’impossibilità, ricordandomi ovviamente di pagare la quota annuale. La verità è che degli invisibili, di chi sogna e lotta con merito per trovare posto nel cinema, non importa a nessuno. Il sistema attuale loda i pochi successi, nasconde i grandi insuccessi e censura i piccoli capolavori. È il Far West, produzioni che mettono in cantiere trilogie ottenendo flop uno dopo l’altro. Sceneggiatori e registi che hanno raggiunto la fama senza sapere per quale motivo, che continuano a lavorare senza che nessuno giudichi il loro lavoro e i loro insuccessi. Il flop viene fatto notare solo quando le opere sono proprio quelle degli invisibili, perché i visibili non possono ammettere la verità, ossia che i prodotti che sfornano sono mediocri, e che la mediocrità è il nuovo trend. Ma tanto si danno le pacche sulle spalle da soli, ai festival si lodano tra di loro dimenticandosi anche di chi – le maestranze – gli hanno permesso di raggiungere ambiti premi.

I David di Donatello sono stati scandalosi; ci si chiede ancora come mai, su centinaia di film presentati, solo una manciata ha ricevuto premi. Sorge il dubbio che monziamentilti film non siano stati nemmeno visionati. Qual è dunque la soluzione a questo stallo tendente al suicidio cinematografico di una nazione che nel dopoguerra fino agli anni ’70 era al top della cinematografia internazionale? L’unica soluzione è la rivoluzione. Una rivoluzione pacifica, ovviamente. Una rivoluzione delle coscienze e della struttura. In realtà basterebbe seguire la metafora del rasoio di Occam. Basterebbe guardare al di fuori di noi stessi e cercare nell’altro la trovata geniale, o se non si dovesse intercettare il genio, quella più funzionale. Francia, Germania e tanti altri paesi europei hanno un sistema cinema solido e prolifico. Come mai? Come mai non riusciamo a rubargli qualcosa? La Francia impone una tassa su tutti i biglietti dei film che finisce nel fondo gestito dallo Stato che ha l’unico scopo di promuovere la cultura e l’industria cinematografica del paese, la valorizzazione che passa attraverso una sinergia di contributi per produzione, distribuzione e promozione. Perché un film deve essere prodotto, distribuito e promosso per essere visto e generare incasso e, incredibile ma vero, recuperare magari parte dell’investimento. Un migliore impiego delle risorse che permette di valorizzare la cinematografia nazionale. Addirittura in Turchia (dove i film nazionali sono il 56% del box office totale) impongono una tassa sulla distribuzione dei film stranieri. Producono meno film evidentemente sono film di maggiore qualità e attrattiva.

E allora si possono fare dei sogni rivoluzionari. Si potrebbe sognare che lo Stato contribuisse economicamente in modo importante solo alle opere prime e seconde garantendone l’accesso alle tre fasi: produzione, distribuzione, promozione, selezionando un numero inferiore di film da finanziare e magari finanziandogli, esagero, il 100% del budget, creando dei progetti con importanti potenzialità. E come ci insegnano le regole di mercato, su un tot di film indipendenti che finanzi, bastano pochi successi per ripagare tutti gli altri, scoprire nuovi talenti e rinvigorire il settore. E così per concentrare più risorse su chi ha realmente bisogno di contributi, si potrebbe immaginare di togliere il finanziamento alle altre opere, lasciando solo quelli automatici basati sul merito, dunque sugli incassi e premi nazionali e internazionali. Si potrebbe pensare di tassare i film stranieri, che ormai sono gli unici che garantiscono incassi al box office, così da permettere a un film italiano di rimanere in sala per più di due giorni con più di due copie e possibilmente in un periodo in cui la gente va al cinema. E magari che un biglietto di un film italiano al cinema costi meno di quello di un blockbuster. E così si arriva al cinema, alla sala. La sala abbandonata a se stessa, la sala inesistente, un luogo ormai tetro in cui si entra e poi si esce. Pochi ci hanno fatto capire che la sala può e deve essere uno spazio culturale di interscambio immersivo, dove è piacevole incontrare persone e non lo spazio di una poltrona individuale. L’evento culturale, lo spazio culturale funziona sempre, ma ci vuole impegno nel gestirlo e allora anche qui, come fanno nei già citati paesi, ci può essere la rivoluzione di un aiuto concreto basato sui risultati che renda questi luoghi dimenticati dei meravigliosi spazi culturali dove, oltre che guardarlo, il cinema lo si racconta con intrecci significativi con le altre arti. Ma non solo la sala italiana, ma anche le sale europee, aiutando la circolazione dei film nel mercato internazionale.

Sarebbe la rivoluzione dell’invisibile, colui che ormai è costretto ad aspettare il proprio turno per sempre, colui che aspetta di essere scoperto, ma alla fine viene scartato per una storia tratta da un best seller, perché nessuno vuole più rischiare o forse nessuno sa più fare il proprio mestiere, e allora meglio andare sul sicuro, che poi anche quello non va, ma tanto nessuno lo verrà mai a sapere.

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Alessandro Grande ci racconta come ha vinto il David con Bismillah https://www.fabriqueducinema.it/magazine/futures/alessandro-grande-ci-racconta-vinto-david-bismillah/ Thu, 29 Mar 2018 08:24:39 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=9990 È Bismillah di Alessandro Grande a vincere il David di Donatello 2018 come miglior cortometraggio. Dopo aver ottenuto un’ottantina di premi nei festival di tutto il mondo (l’ultimo a Cortinametraggio) e una nomination ai Nastri d’argento con il corto precedente Margherita (2013), il regista originario di Catanzaro, ma ormai trapiantato a Roma, riceve il riconoscimento più importante del […]

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È Bismillah di Alessandro Grande a vincere il David di Donatello 2018 come miglior cortometraggio. Dopo aver ottenuto un’ottantina di premi nei festival di tutto il mondo (l’ultimo a Cortinametraggio) e una nomination ai Nastri d’argento con il corto precedente Margherita (2013), il regista originario di Catanzaro, ma ormai trapiantato a Roma, riceve il riconoscimento più importante del nostro paese, assegnato dall’accademia del cinema italiano.

Prodotto dal regista insieme alla Indaco Film di Luca Marino, con il supporto di RAI Cinema, Calabria Film Commission e Comune di Catanzaro, Bismillah mette in scena il coraggio e la determinazione di Samira, una bambina tunisina di dieci anni che vive in Italia in clandestinità, con il padre e il fratello diciasettenne, ma anche la paura e l’insicurezza nell’affrontare una situazione drammatica che potrebbe significare l’espulsione dal paese.

Bismillah-Alessandro GrandeCon Bismillah hai deciso di non focalizzare l’attenzione direttamente sul dramma dell’immigrazione, sul processo di integrazione/emarginazione, evitando un impatto direttamente politico, ma di concentrarti su una storia intima e privata. Come mai la scelta di questa prospettiva?

Nei miei lavori ho sempre affrontato forti tematiche sociali, sia in In My Prison, che in Margherita. L’idea per Bismillah è nata dopo aver letto un articolo in cui si diceva che nel 2011 l’Italia ha registrato il maggior numero di immigrati tunisini nella sua storia, circa 23 mila persone fuggite durante la Primavera Araba, e la cui metà viveva in clandestinità nel nostro paese. Tuttavia, più che l’immigrazione, che rimane una cornice, il mio intento è stato quello di evidenziare l’aspetto umano e sentimentale dei personaggi, come l’amore della bambina nei confronti del fratello e le grandi responsabilità che lei dovrà affrontare. Ho cercato di evitare la retorica, la ridondanza e gli artifizi raccontando in maniera sincera il riflesso umano più intimo e privato del dramma.

Cosa significa il termine Bismillah?

Bismillah’ è un termine arabo e significa “in nome di Dio” ed è la parola che intona Samira nella canzone che accompagna il cortometraggio, un brano che cantano i genitori ai bambini prima di andare a dormire sia come ninna nanna sia per avvicinarli alla fede. Ho cercato di fare in modo che nel film questo fosse un canto di speranza. Ho voluto inserire un elemento che fa parte della cultura e dell’intimità dei personaggi, un elemento che potesse rappresentare un loro aspetto profondo e sincero.

Come mai hai voluto raccontare la storia attraverso gli occhi di una bambina?

Mi sembrava giusto che un insegnamento così ottimista e forte potesse venire da una bambina che deve caricarsi sulle spalle un peso più grande di lei, prendendo una decisione che sarebbe dovuta spettare ad un adulto. Inoltre, credo che la rappresentazione dei caratteri dell’infanzia e dell’adolescenza faccia parte della mia sensibilità. Questo sguardo caratterizza anche i miei cortometraggi precedenti.

BismillahCome hai trovato la protagonista?

Grazie all’ambasciata socio-culturale tunisina di Roma ho organizzato dei provini. Nonostante moltissime si siano candidate per il ruolo della protagonista io mi sono subito innamorato degli occhi di Linda (Mresy), della sua espressività e della sua determinazione. È stata infatti l’unica bambina ad avermi chiesto, durante le prove, consigli sull’interpretazione o come si pronunciasse correttamente una frase. Questo vuol dire che hai grande voglia di apprendere, di imparare, senza aver paura di confrontarti con una persona più grande di te come può essere in questo caso il regista. Per una bambina di dieci anni alla primissima esperienza davanti alla macchina da presa è sinonimo di coraggio, un aspetto che volevo che il personaggio di Samira trasmettesse.

Progetti per il futuro?

Io vengo da un’esperienza decennale nel mondo del cortometraggio, un mezzo di comunicazione eccezionale così come un ottimo strumento per un giovane regista per poter perfezionare e fare i conti con quello che potrebbe essere il suo mestiere. Tuttavia, dopo questo corto ho deciso di abbandonare la forma breve per provare a cimentarmi nel lungometraggio, al momento sono in fase di scrittura. Non affronterà tematiche legate all’immigrazione, ma avrà tanti ingredienti che accomunano i miei lavori precedenti, in linea con una ricerca che sto facendo proprio sul lato intimo e umano dell’individuo.

 

 

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Duel: il folgorante esordio di Spielberg (errori compresi) https://www.fabriqueducinema.it/magazine/opera-prima/duel-folgorante-esordio-spielberg-errori-compresi/ https://www.fabriqueducinema.it/magazine/opera-prima/duel-folgorante-esordio-spielberg-errori-compresi/#respond Sun, 25 Mar 2018 20:00:49 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=9980 Il 21 marzo si è svolta la 62esima edizione dei David di Donatello, Steven Spielberg è stato l’ospite più atteso: durante la serata, Monica Bellucci gli ha consegnato la statuetta alla carriera. Il suo discorso di ringraziamento è diventato subito virale, moltissime le belle parole spese nei riguardi del cinema italiano: dall’ammirazione per i maestri […]

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Il 21 marzo si è svolta la 62esima edizione dei David di Donatello, Steven Spielberg è stato l’ospite più atteso: durante la serata, Monica Bellucci gli ha consegnato la statuetta alla carriera.

Il suo discorso di ringraziamento è diventato subito virale, moltissime le belle parole spese nei riguardi del cinema italiano: dall’ammirazione per i maestri come Pasolini, Fellini e Antonioni ai colleghi di origine italiana come Tarantino, Scorsese e Minelli che, in un’epoca fatta di accoglienza e meno barriere, hanno permesso al cinema italiano e a quello americano di fondersi.

Duel, il regista Spielberg ai David di Donatello

L’aneddoto più magico resta l’incontro con Fellini: nel 1971, a inizio carriera, il grande regista l’aveva cercato per complimentarsi per Duel, il suo esordio, proiettato la sera prima alla presentazione romana del film. Fellini e il regista americano, ancora sconosciuto, passeggiarono per Roma e Spielberg vide la città attraverso gli occhi del suo mito. Soprattutto, non dimenticò mai il suo consiglio: è importante intrattenere il pubblico, ma è ancora più importante intrattenere sé stessi. Per conquistare il pubblico bisogna essere il pubblico, consiglio seguito alla lettera e mai dimenticato. Da 45 anni, una fotografia di quel giorno a Roma è appesa alla parete del suo ufficio.

Spielberg comincia a fare cinema da giovanissimo, con la cinepresa regalatagli dal padre. Il suo primo cortometraggio, Amblin (1969), attirò l’attenzione della Universal che gli offrì un contratto per la tv. Ventunenne in un settore dominato da autori e registi ultracinquantenni, Spielberg diresse alcuni episodi di vari telefilm. Alla fine degli anni ’60 la Universal cercava però di produrre lungometraggi per la televisione associandosi all’emittente ABC, con l’obiettivo di abbattere i costi ma soddisfare comunque il grande pubblico ancora innamorato del cinema.

In queste circostanze, gli viene commissionato il suo primo film per la televisione, da girare in dieci giorni con un budget di 450.000 dollari. La segretaria di Spielberg, Nona Tyson, esorta il regista appena ventiquattrenne ad adattare un racconto del grande scrittore Richard Matheson, pubblicato su Playboy e basato su un episodio autobiografico. Il film ha una lavorazione rapidissima: girato in appena tredici giorni, con la colonna sonora composta in una settimana e ben cinque editor al montaggio, per rispettare i tempi strettissimi.

Duel è la storia surreale e adrenalinica di un uomo che si trova coinvolto in un duello nel deserto. Come in un tipico road-movie, ci sono le classiche immagini del paesaggio desertico degli Stati Uniti: le strade sbiadite, i bar, i dirupi, le stazioni di benzina e le cabine telefoniche dall’aria malconcia. Ad attraversare il deserto è David Mann (Dennis Weaver), un uomo comune perfettamente calato nello stile di vita dei sobborghi californiani: vive con la moglie casalinga e i due figli, mangia nei fast-food, non ha uno scopo e il suo ruolo di padre e marito è in crisi. David, con un’auto rossa qualunque, si allontana sempre di più dal mondo civilizzato e va incontro a un pericolo inaspettato.

Duel

L’antagonista è l’autocisterna: mossa da un’inspiegabile volontà di distruzione, tenta di mandare David fuori strada. Il film non mostra mai il conducente, ma solo il Peterbilt 281 del 1955. Spielberg lo scelse fra tanti perché frontalmente dava l’idea di un volto, e il motore rombava tanto da sembrare un ruggito. In questo scontro, David incarna l’uomo medio che si ritrova in una situazione incredibile e non è preparato ad affrontarla: un meccanismo narrativo che diventerà un vero e proprio leitmotiv nel cinema spielberghiano.

Duel non è un film perfetto, è quasi del tutto privo di dialoghi e presenta tanti piccoli errori, anche perché il giovane Spielberg non riguardava mai i giornalieri. Ad esempio, in una scena, è possibile intravederlo riflesso sul vetro della cabina telefonica mentre legge il copione.

Nonostante il ritmo frenetico, la giovane età del regista e qualche imprecisione, il film ebbe un enorme successo e una distribuzione internazionale. Spielberg, anni dopo, ammise: «Se non avessi avuto la possibilità di girare Duel, la mia carriera sarebbe stata molto diversa» e, forse, non avrebbe mai passeggiato per Roma con Fellini.

Con questo articolo Fabrique inizia una serie di approfondimenti sugli esordi di autori divenuti maestri del cinema italiano e mondiale. L’appuntamento è ogni venerdì su sito e social. Non perdetevi la prossima uscita!

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“La ragazza del mondo” https://www.fabriqueducinema.it/magazine/opera-prima/la-ragazza-del-mondo/ https://www.fabriqueducinema.it/magazine/opera-prima/la-ragazza-del-mondo/#respond Fri, 31 Mar 2017 14:05:33 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=4427 Ha appena trionfato ai David di Donatello come Opera prima: La ragazza del mondo di Marco Danieli (che, ricordiamo, a dicembre aveva già vinto il Premio Fabrique 2016) racconta la storia di Giulia, una diciannovenne Testimone di Geova soffocata dalle restrizioni impostele dal mondo di provenienza, la cui vita inizia a cambiare quando si innamora di […]

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Ha appena trionfato ai David di Donatello come Opera prima: La ragazza del mondo di Marco Danieli (che, ricordiamo, a dicembre aveva già vinto il Premio Fabrique 2016) racconta la storia di Giulia, una diciannovenne Testimone di Geova soffocata dalle restrizioni impostele dal mondo di provenienza, la cui vita inizia a cambiare quando si innamora di un trentenne appena uscito di galera che non fa parte della sua comunità. 

Rispetto a tanti suoi colleghi Marco Danieli ha esordito tardi nel lungometraggio, all’età di 40 anni. Al Centro Sperimentale, dove si è formato e attualmente svolge l’attività di docente tutor nel corso di regia curato da Luchetti, è giunto solo ventisettenne («per diverso tempo non ci ho nemmeno provato, convinto che fosse troppo difficile entrare») e in passato, oltre a girare alcuni cortometraggi e documentari brevi, ha lavorato per una TV satellitare. Questi anni gli sono serviti per maturare una padronanza del mezzo filmico che l’ha portato a realizzare un’ottima opera prima, caratterizzata da una regia rigorosa e un approccio al contempo intimo e privo di retorica.

Cosa ti ha spinto a raccontare la particolare esperienza di una giovane Testimone di Geova?

Con il co-sceneggiatore Antonio Manca eravamo da tempo concentrati su un’altra storia e avevamo già un produttore, quando un’amica comune ci ha raccontato questo vissuto personale che ci ha folgorato. Abbiamo così deciso di spostarci su questa nuova storia, convinti che dovessimo darle la precedenza. All’inizio c’è stata una fascinazione quasi antropologica, perché sapevamo poco dei Testimoni di Geova ed era un po’ come se avessimo scoperto un mondo. A interessarci era però soprattutto lo specifico della vicenda di questa ragazza, che poi è l’aspetto che credo possa rendere il film più universale. La ragazza del mondo, infatti, è in fondo una sorta di romanzo di formazione di una ragazza alla ricerca della propria identità, che vive forti conflitti in un contesto molto rigido.

La ragazza del mondo si concentra molto sulla storia d’amore tra i due protagonisti, ottimamente interpretati da Sara Serraiocco e Michele Riondino.

Fin da quando tre anni fa ho realizzato un promo di 10 minuti, in cui ho girato le scene più importanti di quello che poi sarebbe stato il film, ho capito che la protagonista doveva essere interpreta da Sara. Mi sono talmente legato a questa sua idea di interpretazione del personaggio che non ho mai aperto un casting per il ruolo di Giulia. Oltre a essere molto espressiva, ha un naturalismo fortissimo e, nonostante abbia una sua tecnica di recitazione, quando è in scena sembra quasi una non attrice. Per me lei è davvero un’interprete cinematografica nata. Per quanto riguarda Michele, ho pensato immediatamente a lui non appena abbiamo deciso di alzare l’età del personaggio di Libero, che originariamente avevamo immaginato più giovane. Michele ha una formazione teatrale e tuttora alterna al cinema teatro e fiction: è un attore trasversale, preparato, scrupoloso e che compie un lavoro sul personaggio simile a quello di molti interpreti americani.

La sceneggiatura che hai scritto con il tuo abituale collaboratore è solida e priva di sbavature.

Tra me e Antonio c’è un feeling particolare. Ci siamo conosciuti sui banchi del Centro Sperimentale e da quel momento abbiamo fatto tanto insieme. In qualche modo ci completiamo a vicenda: lui ha una notevole cultura umanistica mentre io sono più tecnico. L’ambizione era proprio di dare vita a una sceneggiatura solida. Volevo in tutti i modi evitare di accorgermi sul set che c’era un passaggio che non funzionava a dovere e abbiamo lavorato parecchio in questa direzione. Diciamo che, avendoci messo più di qualche anno a trovare i finanziamenti per il film, abbiamo avuto parecchio tempo da dedicare alla scrittura. A ogni modo, sentivo che era fondamentale avere come base una sceneggiatura forte, matura e con un certo ritmo. Anche perché poi sul set, come regista, avevo il desiderio di lasciare spazio all’improvvisazione e aprirmi alle possibilità che possono riservare le intuizioni del momento. Non volevo in alcun modo perdere la capacità di emozionarmi e di capire la scena nei momenti in cui mi trovavo per la prima volta sul set.

A proposito delle difficoltà nel reperire i finanziamenti, cos’è che più di tutto ti ha aiutato a realizzare il film e quali consigli daresti a dei giovani registi che tentano di esordire?

Per trovare i soldi necessari c’è voluto davvero molto tempo e alla fine il promo a cui accennavo prima è stato fondamentale per reperire i fondi e convincere produttori e attori ad accettare di prendere parte al progetto. Il mio consiglio è quello di lavorare su una storia che sentono fortemente. Credo che non sia utile chiedersi cosa vada di moda al cinema, ma piuttosto cercare un tema che ti emoziona e che ti coinvolge, perché poi probabilmente ci dovrai lavorare per anni e a quel punto, se non hai un legame molto forte con quanto vuoi raccontare, c’è il rischio che nel frattempo te ne disamori. Sono riuscito a portare a termine il film anche perché questa vicenda mi aveva molto colpito, toccandomi delle corde profonde di cui probabilmente ancora oggi non sono fino in fondo consapevole.

Recentemente hai scritto insieme a Manca e ad Antonella Lattanzi 2Night di Ivan Silvestrini. In futuro pensi di dedicarti ancora a sceneggiature di film di cui non curerai la regia?

Attualmente mi sto concentrando sulla mia opera seconda e sono in fase di scrittura. Con 2Night è stata la prima volta che scrivevo un film per altri e devo dire che lo rifarei volentieri. Mi piacerebbe anche girare un film di cui non ho scritto soggetto o sceneggiatura. Secondo me è importante avere una certa elasticità che possa portarti a fare una volta lo sceneggiatore per un altro regista e magari la volta dopo il regista di un script non tuo. Non penso che questo tolga qualcosa alla vocazione autoriale di un cineasta. Come ci insegnano tanti importanti registi americani, se hai un tuo punto di vista e una tua personalità, alla fine questi emergono anche se non hai scritto il film.

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David, Avanti i Giovani. Ma non troppo https://www.fabriqueducinema.it/focus/david-avanti-i-giovani-ma-non-troppo/ https://www.fabriqueducinema.it/focus/david-avanti-i-giovani-ma-non-troppo/#respond Tue, 28 Mar 2017 13:41:18 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=4403 I vincitori: Che “La pazza gioia” di Paolo Virzì fosse il vincitore annunciato, almeno nella categoria Miglior Film, era cosa risaputa. Un’eventualità talmente probabile che ieri, sulla pagina di Wikipedia, c’era chi ci aveva scommesso fin dalla mattina. Delle 17 nomination per il film, Virzì ne ha incassate cinque (miglior film, miglior regia, migliore attrice […]

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I vincitori: Che La pazza gioia” di Paolo Virzì fosse il vincitore annunciato, almeno nella categoria Miglior Film, era cosa risaputa. Un’eventualità talmente probabile che ieri, sulla pagina di Wikipedia, c’era chi ci aveva scommesso fin dalla mattina. Delle 17 nomination per il film, Virzì ne ha incassate cinque (miglior film, miglior regia, migliore attrice protagonista, scenografo e acconciatore), lasciando il resto agli altri due talenti, entrambi under 40, che avevano prenotato il podio: Matteo Rovere con Veloce come il vento (6 premi vinti tra cui miglior attore protagonista, fotografia e montaggio) e Edoardo De Angelis con Indivisibili (6 premi tra cui miglior sceneggiatura, produttore, attrice non protagonista e – sarebbe stato uno scandalo altrimenti – le musiche). Miglior regista esordiente Marco Danieli con La ragazza del mondo (peraltro già premiato da Fabrique lo scorso dicembre), David Giovani a In guerra per amore di Pif.

Gli sconfitti: Tanti. A partire da Marco Bellocchio, che con Fai bei sogni non ha vinto nessuna statuetta delle dieci per cui era stato nominato. È tornato a mani vuote anche Mine di Fabio Guaglianone e Fabio Resinaro, così come Piuma di Roan Johnson, il cui cast in stato di grazia avrebbe meritato qualcosa di più – almeno in fase di nomination.

Ma il grande sconfitto della serata è Fiore di Claudio Giovannesi: premiato una sola volta, con il riconoscimento a Valerio Mastandrea come miglior attore non protagonista, Fiore avrebbe meritato di più. Difficile per tema e costruzione, realizzato in condizioni se non estreme non certo di comodo, avrebbe potuto incassare senza colpo ferire un premio per la produzione, alla coraggiosa Pupkin di Rita Rognoni, riuscita a girare in carcere e a portare il film a Cannes. Avrebbe potuto ricevere un riconoscimento per l’eccezionale performance della sua attrice protagonista, Daphne Scoccia: senza nulla togliere alla brava Valeria Bruni Tedeschi, un David avrebbe potuto incoraggiarne la carriera, darle una rete protettiva, una piccola certezza. E per tutte queste ragioni Giovannesi avrebbe dovuto vincere la regia: per aver saputo mettere insieme i pezzi di un puzzle complesso (a partire dagli attori), per averci creduto con passione, per aver girato la “sua” storia senza compromessi.

Ma forse un podio con tre trentenni, accanto a un giovane maestro come Virzì, sarebbe stato davvero troppo rivoluzionario.

La cerimonia: Chiunque ricordi il siparietto indecoroso tra Paolo Ruffini e Sophia Loren durante l’ultima cerimonia a gestione RAI, converrà che il passaggio a Sky resta una misura di sicurezza indispensabile. Cattelan ha condotto con garbo (anche troppo) una macchina che pecca ancora di autoreferenzialità: funzionano i siparietti comici sul cinema italiano, funzionano i tempi rigorosi, il red carpet, il palco, la confezione da grande evento. Quel che non va è la platea. Sono gli stessi premiati i primi a non credere a quello che stanno facendo. Quando per una standing ovation di 120 secondi ne servono 70 per far alzare tutti in piedi, allora c’è un problema.

Dovrebbe essere chiaro, alla platea dei David, che su quel palco non si sale da artisti, ma da star. Bisogna crederci, perché la confezione – tappeto rosso, lustrini, vestiti – promette questo agli spettatori. Agli invitati perciò non si richiede un intellettuale distacco, ma una performance completa. Basterebbe prepararsi un discorso decente da fare sul palco (come hanno fatto Stefano Accorsi e Valerio Mastandrea), o inventarsi qualcosa di più scoppiettante per animare il momento (grazie, Valeria Bruni Tedeschi).

Considerino, gli autori di Cattelan, la possibilità di sferzare con un pizzico di cattiveria quella platea impigrita e comodamente adagiata nel proprio status. Potrebbe far comodo, a tal scopo, mescolare gli artisti e la loro poesia con il pubblico e la realtà dell’entertaining moderno. Va bene Manuel Agnelli, va bene Eva Riccobono. Ma sarebbe stato così scandaloso se su quel palco fossero saliti Bello Figo o Chiara Ferragni?

TUTTI I PREMI

MIGLIOR FILM

La pazza gioia prodotto da Marco BELARDI per Lotus Production (una società di Leone Film Group) con Rai Cinema per la regia di Paolo VIRZÌ

MIGLIORE REGISTA

Paolo VIRZÌ per il film La pazza gioia

 MIGLIORE REGISTA ESORDIENTE

Marco DANIELI per il film La ragazza del mondo

MIGLIORE SCENEGGIATURA

Nicola GUAGLIANONE, Barbara PETRONIO, Edoardo DE ANGELIS per il film Indivisibili

MIGLIORE SCENEGGIATURA ADATTATA

Gianfranco CABIDDU, Ugo CHITI, Salvatore DE MOLA per il film La stoffa dei sogni

MIGLIORE PRODUTTORE

Attilio DE RAZZA, Pierpaolo VERGA per il film Indivisibili

 MIGLIORE ATTRICE PROTAGONISTA

Valeria BRUNI TEDESCHI per il film La pazza gioia

MIGLIORE ATTORE PROTAGONISTA

Stefano ACCORSI per il film Veloce come il vento

MIGLIORE ATTRICE NON PROTAGONISTA

Antonia TRUPPO per il film Indivisibili

MIGLIORE ATTORE NON PROTAGONISTA

Valerio MASTANDREA per il film Fiore

MIGLIORE AUTORE DELLA FOTOGRAFIA

Michele D’ATTANASIO per il film Veloce come il vento

MIGLIORE MUSICISTA

Enzo AVITABILE per il film Indivisibili

MIGLIORE CANZONE ORIGINALE

“ABBI PIETÀ DI NOI” musica, testi di Enzo AVITABILE interpretata da Enzo AVITABILE, Angela e Marianna FONTANA per il film Indivisibili

MIGLIORE SCENOGRAFO

Tonino ZERA per il film La pazza gioia

MIGLIORE COSTUMISTA

Massimo CANTINI PARRINI per il film Indivisibili

MIGLIOR TRUCCATORE

Luca MAZZOCCOLI per il film Veloce come il vento

MIGLIOR ACCONCIATORE

Daniela TARTARI per il film La pazza gioia

MIGLIORE MONTATORE

Gianni VEZZOSI per il film Veloce come il vento

MIGLIOR FONICO DI PRESA DIRETTA

Presa diretta: Angelo BONANNI – Microfonista: Diego DE SANTIS – Montaggio e Creazione suoni: Mirko PERRI – Mix: Michele MAZZUCCO per il film Veloce come il vento

MIGLIORI EFFETTI SPECIALI VISIVI

Artea Film & Rain Rebel Alliance International Network per il film Veloce come il vento

MIGLIOR FILM DELL’UNIONE EUROPEA

Io, Daniel Blake, di Ken LOACH (Cinema)

MIGLIOR FILM STRANIERO

Animali notturni, di Tom FORD (Universal Pictures)

DAVID GIOVANI

In guerra per amore, di Pierfrancesco DILIBERTO

 MIGLIOR DOCUMENTARIO DI LUNGOMETRAGGIO

Crazy for football, di Volfango DE BIASI

 MIGLIOR CORTOMETRAGGIO

A casa mia, di Mario PIREDDA

DAVID SPECIALE ALLA CARRIERA

Roberto Benigni

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David di Donatello: rese note le cinquine https://www.fabriqueducinema.it/festival/italia/david-di-donatello-rese-note-le-cinquine/ https://www.fabriqueducinema.it/festival/italia/david-di-donatello-rese-note-le-cinquine/#respond Tue, 21 Feb 2017 15:01:23 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=4230 L’Accademia del Cinema Italiano ha appena reso noti i candidati dell’edizione 2017 dei David di Donatello, la cui cerimonia di premiazione avrà luogo il 27 Marzo a Roma. Ricco bottino di nomination per Paolo Virzì con La Pazza Gioia e Edoardo De Angelis con Indivisibili, entrambi con 17 candidature. Ma la vera novità la riserva […]

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L’Accademia del Cinema Italiano ha appena reso noti i candidati dell’edizione 2017 dei David di Donatello, la cui cerimonia di premiazione avrà luogo il 27 Marzo a Roma.

Ricco bottino di nomination per Paolo Virzì con La Pazza Gioia e Edoardo De Angelis con Indivisibili, entrambi con 17 candidature.

Ma la vera novità la riserva la cinquina della categoria Migliore regista esordiente: si contendono, infatti, il prestigioso premio Michele Vannucci con Il più grande sogno, Marco Segato con La pelle dell’orsoLorenzo Corvino per il film WAX: We are the XMarco Danieli con La ragazza del mondo – già premio Fabrique 2016 come Miglior Opera prima,  Fabio Guaglione e Fabio Resinaro per Mine, anch’esso insignito da Fabrique du Cinéma del premio alla Miglior Opera innovativa e sperimentale.

Di seguito la lista dei candidati ai premi principali dell’edizione 2017 dei David di Donatello:

Miglior film
Fai bei sogni di Marco Bellocchio
Fiore di Claudio Giovannesi
Indivisibili di Edoardo De Angelis
La pazza gioia di Paolo Virzì
Veloce come il vento di Matteo Rovere

Migliore regista
Fai bei sogni di Marco Bellocchio
Fiore di Claudio Giovannesi
Indivisibili di Edoardo De Angelis
La pazza gioia di Paolo Virzì
Veloce come il vento di Matteo Rovere

Migliore regista esordiente
Michele Vannucci per il film Il più grande sogno
Marco Danieli per il film La ragazza del mondo
Marco Segato per il film La pelle dell’orso
Fabio Guaglione, Fabio Resinaro per il film Mine
Lorenzo Corvino per il film WAX: We are the X

Migliore sceneggiatura originale
Claudio Giovannesi, Filippo Gravino, Antonella Lattanzi per il film Fiore
Michele Astori, Pierfrancesco Diliberto, Marco Martani per il film In guerra per amore
Nicola Guaglianone, Barbara Petronio, Edoardo De Angelis per il film Indivisibili
Francesca Archibugi, Paolo Virzì per il film La pazza gioia
Roberto Andò, Angelo Pasquini per il film Le confessioni
Filippo Gravino, Francesca Manieri, Matteo Rovere per il film Veloce come il vento

Migliore sceneggiatura adattata
Fiorella Infascelli, Antonio Leotti per il film Era d’estate
Edoardo Albinati, Marco Bellocchio, Valia Santella per il film Fai bei sogni
Gianfranco Cabiddu, Ugo Chiti, Salvatore De Mola per il film La stoffa dei sogni
Francesco Patierno per il film Naples ’44
Francesca Marciano, Valia Santella, Stefano Mordini per il film Pericle il nero
Massimo Gaudioso per il film Un paese quasi perfetto

Migliore attrice protagonista
Daphne Scoccia per il film Fiore
Angela e Marianna Fontana per il film Indivisibili
Valeria Bruni Tedeschi per il film La pazza gioia
Micaela Ramazzotti per il film La pazza gioia
Matilda De Angelis per il film Veloce come il vento

Migliore attore protagonista
Valerio Mastandrea per il film Fai bei sogni
Michele Riondino per il film La ragazza del mondo
Sergio Rubini per il film La stoffa dei sogni
Toni Servillo per il film Le confessioni
Stefano Accorsi per il film Veloce come il vento

Migliore attrice non protagonista
Antonia Truppo per il film Indivisibili
Valentina Carnelutti per il film La pazza gioia
Valeria Golino per il film La vita possibile
Michela Cescon per il film Piuma
Roberta Mattei per il film Veloce come il vento

Migliore attore non protagonista
Valerio Mastandrea per il film Fiore
Massimiliano Rossi per il film Indivisibili
Ennio Fantastichini per il film La stoffa dei sogni
Pierfrancesco Favino per il film Le confessioni
Roberto De Francesco per il film Le ultime cose

Migliore autore della fotografia
Daniele Ciprì per il film Fai bei sogni
Ferran Paredes Rubio per il film Indivisibili
Vladan Radovic per il film La pazza gioia
Maurizio Calvesi per il film Le confessioni
Michele D’attanasio per il film Veloce come il vento

Migliore musicista
Carlo Crivelli per il film Fai bei sogni
Enzo Avitabile per il film Indivisibili
Carlo Virzì per il film La pazza gioia
Franco Piersanti per il film La stoffa dei sogni
Andrea Farri per il film Veloce come il vento

Migliore canzone originale
I Can See The Stars musica e testi di Fabrizio Campanelli per il film Come diventare grandi nonostante i genitori
Abbi Pietà Di Noi musica e testi di Enzo Avitabile per il film Indivisibili
L’estate Addosso musica di Lorenzo Cherubini,Christian Rigano e Riccardo Onori, testi di L. Cherubini e Vasco Brondi per l’omonimo film 
Po Popporoppò musica e testi di Carlo Virzì per il film La pazza gioia
Seventeen musica di Andrea Farri testi di Lara Martelli per il film Veloce come il vento

La lista completa è consultabile sul sito dell’Accademia del Cinema Italiano.

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David di Donatello: “Jeeg” e “Non essere cattivo” i più nominati https://www.fabriqueducinema.it/festival/italia/david-di-donatello-jeeg-e-non-essere-cattivo-i-piu-nominati/ https://www.fabriqueducinema.it/festival/italia/david-di-donatello-jeeg-e-non-essere-cattivo-i-piu-nominati/#respond Wed, 23 Mar 2016 08:54:01 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=2887 Queste le candidature ai Premi David di Donatello 2016, con i film di Mainetti e di Caligari che la fanno da padrone con ben 16 candidature ciascuno. Ben rappresentati anche Garrone e Rosi. MIGLIOR FILM Fuocoammare, di Gianfranco Rosi Il racconto dei racconti – Tale of Tales, di Matteo Garrone Non essere cattivo, di Claudio […]

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Queste le candidature ai Premi David di Donatello 2016, con i film di Mainetti e di Caligari che la fanno da padrone con ben 16 candidature ciascuno. Ben rappresentati anche Garrone e Rosi.

MIGLIOR FILM
Fuocoammare, di Gianfranco Rosi
Il racconto dei racconti – Tale of Tales, di Matteo Garrone
Non essere cattivo, di Claudio Caligari
Perfetti sconosciuti, di Paolo Genovese
Youth – La giovinezza, di Paolo Sorrentino

MIGLIORE REGISTA
Gianfranco Rosi per Fuocoammare
Matteo Garrone per Il racconto dei racconti – Tale of Tales
Claudio Caligari per Non essere cattivo
Paolo Genovese per Perfetti sconosciuti
Paolo Sorrentino per Youth – La giovinezza

MIGLIORE REGISTA ESORDIENTE
Carlo Lavagna per Arianna
Adriano Valerio per Banat – Il viaggio
Piero Messina per L’attesa
Gabriele Mainetti per Lo chiamavano Jeeg Robot
Fabio Bonifacci e Francesco Micciché per Loro chi?
Alberto Caviglia per Pecore in erba

MIGLIORE SCENEGGIATURA
Il racconto dei racconti – Tale of Tales
Lo chiamavano Jeeg Robot
Non essere cattivo
Perfetti sconosciuti
Youth- La giovinezza

MIGLIORE PRODUTTORE
Fuocoammare, 21uno Film, Stemal Entertainment, Istituto Luce-Cinecittà, Rai Cinema, Les Films d’Ici con Arte France Cinéma
Il racconto dei racconti – Tale of Tales, Archimede, Rai Cinema
Lo chiamavano Jeeg Robot, Gabriele Mainetti per Goon Films, Rai Cinema
Non essere cattivo, Paolo Bogna, Simone Isola e Valerio Mastandrea per Kimera Film, con Rai Cinema e Taodue Film, produttore associato Pietro Valsecchi, in collaborazione con Leone Film Group
Youth – La giovinezza, Nicola Giuliano, Francesca Cima, Carlotta Calori per Indigo Film

MIGLIORE ATTRICE PROTAGONISTA
Àstrid Bergès-Frisbey per Alaska
Paola Cortellesi per Gli ultimi saranno ultimi
Sabrina Ferilli per Io e lei
Juliette Binoche per L’attesa
Ilenia Pastorelli per Lo chiamavano Jeeg Robot
Valeria Golino per Per amor vostro
Anna Foglietta per Perfetti sconosciuti

MIGLIORE ATTORE PROTAGONISTA
Claudio Santamaria per Lo chiamavano Jeeg Robot
Alessandro Borghi per Non essere cattivo
Luca Marinelli per Non essere cattivo
Marco Giallini per Perfetti sconosciuti
Valerio Mastandrea per Perfetti sconosciuti

MIGLIORE ATTRICE NON PROTAGONISTA
Piera Degli Esposti per Assolo
Antonia Truppo per Lo chiamavano Jeeg Robot
Elisabetta De Vito per Non essere cattivo
Sonia Bergamasco per Quo vado?
Claudia Cardinale per Ultima fermata

MIGLIORE ATTORE NON PROTAGONISTA
Valerio Binasco per Alaska
Fabrizio Bentivoglio per Gli ultimi saranno ultimi
Giuseppe Battiston per La felicità è un sistema complesso
Luca Marinelli per Lo chiamavano Jeeg Robot
Alessandro Borghi per Suburra

MIGLIORE AUTORE DELLA FOTOGRAFIA
Il racconto dei racconti – Tale of Tales, Peter SUSCHITZKY
Lo chiamavano Jeeg Robot, Michele D’ATTANASIO
Non essere cattivo, Maurizio CALVESI
Suburra, Paolo CARNERA
Youth – La giovinezza, Luca BIGAZZI

MIGLIORE MUSICISTA
Il racconto dei racconti – Tale of Tales, Alexandre DESPLAT
La corrispondenza, Ennio MORRICONE
Lo chiamavano Jeeg Robot, Michele BRAGA, Gabriele MAINETTI
Non essere cattivo, Paolo VIVALDI con la collaborazione di Alessandro SARTINI
Youth – La giovinezza, David LANG

MIGLIORE CANZONE ORIGINALE

La felicità è un sistema complesso, “TORTA DI NOI” musica, testi e interpretazione di Niccolò CONTESSA
Non essere cattivo, “A CUOR LEGGERO” musica, testi e interpretazione di Riccardo SINIGALLIA
Perfetti sconosciuti, “PERFETTI SCONOSCIUTI” musica di BUNGARO e Cesare CHIODO testi e interpretazione di Fiorella MANNOIA
Quo vado?, “LA PRIMA REPUBBLICA” musica, testi e interpretazione di Luca MEDICI (Checco ZALONE)
Youth – La giovinezza, “SIMPLE SONG #3” musica e testi di David LANG interpretata da Sumi JO

MIGLIORE SCENOGRAFO

Il racconto dei racconti – Tale of Tales, Dimitri CAPUANI, Alessia ANFUSO
La corrispondenza, Maurizio SABATINI
Lo chiamavano Jeeg Robot, Massimiliano STURIALE
Non essere cattivo,Giada CALABRIA
Suburra, Paki MEDURI
Youth – La giovinezza, Ludovica FERRARIO

MIGLIORE COSTUMISTA
Il racconto dei racconti – Tale of Tales, Massimo CANTINI PARRINI
La corrispondenza, Gemma MASCAGNI
Lo chiamavano Jeeg Robot, Mary MONTALTO
Non essere cattivo, Chiara FERRANTINI
Youth – La giovinezza, Carlo POGGIOLI

MIGLIORE TRUCCATORE

Il racconto dei racconti – Tale of Tales, Gino TAMAGNINI, Valter CASOTTO, Luigi D’ANDREA, Leonardo CRUCIANO
La corrispondenza, Enrico IACOPONI
Lo chiamavano Jeeg Robot, Giulio PEZZA
Non essere cattivo, Lidia MINÌ
Youth – La giovinezza, Maurizio SILVI

MIGLIORE ACCONCIATORE
Il racconto dei racconti – Tale of Tales, Francesco PEGORETTI
La corrispondenza, Elena GREGORINI
Lo chiamavano Jeeg Robot, Angelo VANNELLA
Non essere cattivo, Sharim SABATINI
Youth – La giovinezza, Aldo SIGNORETTI

MIGLIORE MONTATORE

Fuocoammare, Jacopo QUADRI
Lo chiamavano Jeeg Robot, Andrea MAGUOLO con la collaborazione di Federico CONFORTI
Perfetti sconosciuti, Consuelo CATUCCI
Suburra, Patrizio MARONE
Youth – La giovinezza, Cristiano TRAVAGLIOLI

MIGLIOR FONICO DI PRESA DIRETTA

Il racconto dei racconti – Tale of Tales
Lo chiamavano Jeeg Robot Non essere cattivo
Perfetti sconosciuti
Youth – La giovinezza

MIGLIORI EFFETTI DIGITALI
Game Therapy, EDI – Effetti Digitali Italiani
Il racconto dei racconti – Tale of Tales, Makinarium
Lo chiamavano Jeeg Robot, Chromatica
Suburra, Visualogie
Youth – La giovinezza, Peerless

MIGLIOR DOCUMENTARIO DI LUNGOMETRAGGIO

HARRY’S BAR, di Carlotta CERQUETTI
I BAMBINI SANNO, di Walter VELTRONI
LOUISIANA (The Other Side), di Roberto MINERVINI
REVELSTOKE. UN BACIO NEL VENTO, di Nicola MORUZZI
S IS FOR STANLEY, di Alex INFASCELLI

MIGLIOR FILM DELL’UNIONE EUROPEA
45 ANNI
DIO ESISTE E VIVE A BRUXELLES
IL FIGLIO DI SAUL
PERFECT DAY
THE DANISH GIRL

MIGLIOR FILM STRANIERO
CAROL
IL CASO SPOTLIGHT
IL PONTE DELLE SPIE
INSIDE OUT
REMEMBER

L’apposita Giuria, composta da Andrea Piersanti, Presidente, Francesca Calvelli, Enzo Decaro, Leonardo Diberti, Paolo Fondato, Enrico Magrelli, Lamberto Mancini, Mario Mazzetti, Paolo Mereghetti, comunica le cinquine del miglior cortometraggio.
MIGLIOR CORTOMETRAGGIO
A METÀ LUCE, di Anna Gigante
BELLISSIMA, di Alessandro Capitani
DOVE L’ACQUA CON ALTRA ACQUA SI CONFONDE, di Gianluca Mangiasciutti e Massimo Loi
LA BALLATA DEI SENZATETTO, di Monica Manganelli
PER ANNA, di Andrea Zuliani

Il miglior cortometraggio Premio David di Donatello 2016 è: BELLISSIMA di Alessandro Capitani. Oltre 6000 giovani delle scuole superiori di tutta Italia votano per il
DAVID GIOVANI
ALASKA, di Claudio Cupellini
GLI ULTIMI SARANNO ULTIMI, di Massimiliano Bruno
LA CORRISPONDENZA, di Giuseppe Tornatore
NON ESSERE CATTIVO, di Claudio Caligari
QUO VADO?, di Gennaro Nunziante

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Michael Jackson è tornato. A Taranto https://www.fabriqueducinema.it/cinema/recensioni/michael-jackson-balla-a-taranto/ https://www.fabriqueducinema.it/cinema/recensioni/michael-jackson-balla-a-taranto/#respond Fri, 27 Nov 2015 09:20:08 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=2275 Dopo una candidatura ai Globi d’oro del 2009 con Il cappellino e la vittoria nel 2012 del Nastro d’argento per Stand by me, nel 2013 il regista e sceneggiatore Giuseppe Marco Albano ha girato Una domenica notte, il suo primo lungometraggio. Qualche mese fa, grazie a Thriller, si è invece aggiudicato il David di Donatello per […]

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Dopo una candidatura ai Globi d’oro del 2009 con Il cappellino e la vittoria nel 2012 del Nastro d’argento per Stand by me, nel 2013 il regista e sceneggiatore Giuseppe Marco Albano ha girato Una domenica notte, il suo primo lungometraggio. Qualche mese fa, grazie a Thriller, si è invece aggiudicato il David di Donatello per il miglior cortometraggio.

Come è nata l’idea di raccontare la storia di un quattordicenne con il sogno di diventare famoso ballando come Michael Jackson, sullo sfondo della questione dell’Ilva di Taranto?

Fin da piccolo Michael Jackson è stato uno dei miei idoli e ho sempre pensato che un giorno avrei potuto raccontare una storia che in qualche modo lo riguardasse. Da anni inoltre avevo il desiderio di girare a Taranto, una città bellissima che conosco bene perché vicina al paese dove sono cresciuto e tuttora vivo. Nel periodo in cui si è iniziato a parlare della drammatica situazione dell’Ilva, ho immaginato fosse interessante collegare questo aspetto alla vicenda di un fan di Michael Jackson in attesa di partecipare a un talent show. Una volta buttato giù il soggetto, ho scritto la sceneggiatura con Francesco Niccolai e così, dal mio amore per Taranto e per Michael Jackson, è venuto fuori Thriller.

Thriller privilegia l’interesse per una tematica sociale attraverso un approccio improntato alla commedia. Quali sono, da questo punto di vista, le tue ispirazioni?

Ho studiato e amo follemente grandi autori come Fellini, Bertolucci e Truffaut, però i miei modelli sono altri. Ho scoperto la settima arte con i film di Castellano e Pipolo, Sergio Corbucci, Steno, così come con le pellicole che vedevano protagonisti Bud Spencer e Terence Hill o Enrico Montesano. Poi ho conosciuto Johnny Stecchino e Il mostro di Benigni. In generale, mi affascina quel tipo di cinema capace di affrontare importanti temi sociali con la leggerezza tipica di noi italiani, permettendoci di essere profondi pur non virando necessariamente verso il dramma vero e proprio.

Tutti i tuoi corti si concludono con dei finali surreali e, in una certa misura, sospesi. A cosa è dovuta questa scelta?

In effetti si tratta di una struttura che continuo a sviluppare nel corso del tempo. In ogni mio lavoro sono presenti la componente onirica e un doppio finale. Thriller ad esempio sarebbe potuto finire nel momento in cui il protagonista va a ballare davanti all’Ilva interrompendo la manifestazione. Invece, citando il celebre videoclip di Michael Jackson diretto da John Landis, ho scelto di aggiungere la scena in cui il ragazzino danza con gli operai trasformatisi in zombi. Spesso per l’ideazione e lo sviluppo di un progetto mi capita di trarre ispirazione dai miei sogni ed è per questo che i miei lavori hanno sempre degli aspetti fantastici e surreali.

A cosa ti stai dedicando ora?

Insieme a Dario D’Amato e Angela Giammatteo sto scrivendo un lungometraggio che spero di dirigere il prossimo anno. È una commedia che si concentra su tematiche sociali forti attraverso la rappresentazione del mondo degli anziani. Si chiama Vedi Napoli e poi muori e attualmente stiamo dialogando con diverse produzioni italiane interessate, alla ricerca di una soluzione che mi permetta di fare il film come lo intendo io, senza doverne stravolgere la storia.

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L’urgenza di Spaghetti Story, la piccola bellezza del cinema https://www.fabriqueducinema.it/magazine/opera-prima/lurgenza-di-spaghetti-story-la-piccola-bellezza-del-cinema/ https://www.fabriqueducinema.it/magazine/opera-prima/lurgenza-di-spaghetti-story-la-piccola-bellezza-del-cinema/#respond Wed, 12 Mar 2014 17:53:09 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=195 I precari sono arrivati al cinema, anche se nessuno li voleva. Il piccolissimo film di Ciro De Caro è anche una piccolissima rivincita per una generazione che vorrebbe cambiare il cinema e l’accesso alla cultura. Ciro de Caro lo conosco dai tempi dell’università. L’altro giorno ho letto della selezione per il concorso del suo piccolo film, Spaghetti […]

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I precari sono arrivati al cinema, anche se nessuno li voleva. Il piccolissimo film di Ciro De Caro è anche una piccolissima rivincita per una generazione che vorrebbe cambiare il cinema e l’accesso alla cultura. Ciro de Caro lo conosco dai tempi dell’università. L’altro giorno ho letto della selezione per il concorso del suo piccolo film, Spaghetti story, ai David di Donatello.

Felicità.

Due estati fa Ciro mi chiamò per vedere il film alla tv del suo salottino-studio. Non lo sentivo da un po’ e mi fece un gran piacere. Faceva caldissimo, presi il motorino scappando dal lavoro (precario e sottopagato) che stavo facendo in quel momento per la Rai.  Ciro era stanco e felice, aveva appena finito il montaggio del lungometraggio realizzato in poco più di una settimana, con l’attrezzatura che poteva entrare nell’utilitaria che gli avevano prestato.  Nei 10 anni precedenti ha fatto diverse piccole regie, più che altro pubblicità e tentativi di fuga, ora ha 39 anni. Il suo film racconta l’ineluttabile sconfitta della nostra generazione, parla il linguaggio della nostra generazione ed è stato fatto con l’incazzatura della nostra generazione. Siamo quei figli che nel migliore dei casi crescono con un pensiero critico, perché in Italia si studia tanto, e finiscono con le lauree in mano a spiegare ai genitori che è inutile spedire cv.    Il suo appartamento, quello dove mi aveva invitata a vedere il film, è anche il set di Spaghetti Story. Coi mobili girati, ma si riconosce. Quel giorno sulla scrivania aveva pacchetti per spedizioni, inviava copie del film a produzioni e registi per cercare di dargli una distribuzione, mi disse che solitamente non riceveva risposte.   Io gli dissi che la forza del film era averlo realizzato, che l’avrebbe dovuto promuovere spingendo sul fatto che era costato meno di 15mila euro e che era stato realizzato in 11 giorni. Mi pareva l’unico “titolo” possibile per quella storia. Ma Ciro mi disse che non voleva si sapesse il budget, o almeno non subito, perché avrebbe voluto che la gente se ne incuriosisse in modo sincero e non viziato dall’etichetta low budget, anzi no budget.   Ciro aveva ragione e io avevo torto.   Al cinema Aquila, al Pigneto, a Roma, qualche mese dopo il film riempiva le poltrone mentre i film dei “grandi” andavano semi-deserti nella sala accanto. Gli avevano concesso due giorni, c’è rimasto 13 settimane. Altri cinema lo cercavano e le copie avevano iniziato a girare in Italia. E Ciro se andava all’estero per portarlo ai festival, fino a Mosca e a Dhaka, prendendosi sempre un sacco di applausi alla fine delle proiezioni. Si era creato da solo un bel sito web, pubblicato su YouTube i trailer e i cortometraggi con gli stessi protagonisti che anticipavano in qualche modo quello che sarebbe stato il film (il corto Salame milanese ha 260mila visualizzazioni), una pagina Facebook piena di fan. Spaghetti story non sarebbe arrivato dove sta ora se non ci fosse stata la

Rete

Il film è a tratti ingenuo e ha tanti difetti. Sono esattamente l’ingenuità e i difetti che ne fanno trasparire l’urgenza. C’era qualcosa di importante che stava dentro una storia talmente realistica da poter essere girata su quel divano. La storia dei protagonisti è anche la storia di Ciro e anche la mia, e forse la vostra. Trentenni che invecchiano faticando per crescere. Mi pareva bello, diciamo disneyano, pensare che il cinema si potesse inventare esattamente come qualunque altro mestiere quando lo si vuole davvero.   In quel periodo mi era capitato di intervistare registi come Gianni Amelio e Marco Bellocchio (per una rivista no budget pure quella), loro mi dicevano sempre la stessa cosa, che oggi fare cinema è più facile per i giovani, basta una spesa minima con l’attrezzatura digitale, il problema è solo trovare qualcosa da dire. Il problema, infatti, è quell’urgenza.   Ovvio che i film non si possono fare con 15mila euro, ovvio che chiunque merita una paga dignitosa, dall’attore al fonico. E ovvio dunque che quel che ha fatto Ciro non è l’obiettivo, ma forse può essere un mezzo. Io non so se Spaghetti story vincerà un David, però mi piacerebbe vedere come sarebbe. Mi piacerebbe anzi che qualcuno desse a Ciro 9milioni di euro per fare il prossimo film e magari che ne desse solo 15mila a Sorrentino.   Così, tanto per provare cosa potrebbe succedere in un’Italia per una volta alla rovescia.

 

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