Dario Argento Archivi - Fabrique Du Cinéma https://www.fabriqueducinema.it La Rivista Del Nuovo Cinema Italiano Mon, 21 Jun 2021 17:03:17 +0000 it-IT hourly 1 Profondo Argento: L’uccello dalle piume di cristallo e il giallo all’italiana https://www.fabriqueducinema.it/magazine/opera-prima/profondo-argento-luccello-dalle-piume-di-cristallo-e-il-giallo-allitaliana/ https://www.fabriqueducinema.it/magazine/opera-prima/profondo-argento-luccello-dalle-piume-di-cristallo-e-il-giallo-allitaliana/#respond Wed, 19 Sep 2018 14:02:35 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=11332 Dagli esordi come critico alla collaborazione come soggettista di C’era una volta il West di Sergio Leone (qui la sua opera prima), dal successo di Profondo rosso al recentissimo “remake” di Suspiria realizzato da Luca Guadagnino (qui la recensione), la fama di Dario Argento è in continua ascesa. Argento fa il salto da critico cinematografico […]

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Dagli esordi come critico alla collaborazione come soggettista di C’era una volta il West di Sergio Leone (qui la sua opera prima), dal successo di Profondo rosso al recentissimo “remake” di Suspiria realizzato da Luca Guadagnino (qui la recensione), la fama di Dario Argento è in continua ascesa.

Argento fa il salto da critico cinematografico appassionato di film di genere a sceneggiatore e poi a regista, anche grazie a Bernardo Bertolucci: dopo aver lavorato insieme alla sceneggiatura di C’era una volta il West di Sergio Leone, l’amico lo incarica di realizzare l’adattamento cinematografico del romanzo La statua che urla (The Screaming Mimi) di Fredric Brown. Terminato il lavoro, Argento inizia a proporre a vari produttori il soggetto, ma il copione rischia più volte di essere modificato o attribuito ad altri. Così, con l’aiuto del padre, fonda la società di produzione autonoma S.E.D.A. Spettacoli, in questo modo finanzia e dirige la sua opera prima.

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L’uccello dalle piume di cristallo (1970) è un raffinato film tra il noir e il thriller, basato sul gioco di sguardi con lo spettatore. La sequenza che apre la pellicola concentra l’attenzione sui preliminari del delitto più che sull’omicidio in sé, in un montaggio alternato che è un flirt con il pubblico in sala, un mostrare e nascondere; una tensione avvolgente tra desiderio e repulsione che fa del primo film del regista romano un successo commerciale eclatante e inaspettato.

Le riprese, iniziate nel settembre 1969, durarono sei settimane e si rivelarono più problematiche del previsto: tra i contrasti con l’attore Tony Musante che riteneva Argento un regista improvvisato, i tentativi di boicottaggio della società cinematografica Titanus di Goffredo Lombardo e il rischio continuo di superare i costi di produzione, la realizzazione del film fu tutt’altro che semplice. Il 19 febbraio del 1970, L’uccello dalle piume di cristallo esce in sala con un divieto ai minori di quattordici anni e la critica, dopo un’iniziale freddezza, lo accoglie come «un sasso nello stagno del cinema italiano». Qualcosa destinato a cambiarlo, dando il via a un filone noto come giallo all’italiana.

Argento è un visionario dalla tecnica impeccabile, sperimenta soluzioni innovative e improbabili, l’opera prima contiene diversi elementi che verranno perfezionati nei film successivi, andando a comporre la sua personalissima firma registica: l’uso singolare della soggettiva e il ralenti esasperante, i primissimi piani, il montaggio alternato, la scarsità dei dialoghi, il whodunit (il giallo deduttivo a enigma) e l’interesse per le psicopatologie.

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Il punto focale del film però, come in quasi tutte le opere di Dario Argento, non sta in superficie. Il protagonista della pellicola è Sam Dalmas (Tony Musante), un giovane scrittore italo-americano che lavora a Roma, dopo essersi specializzato nello studio degli uccelli rari. Unico testimone di una colluttazione in una galleria d’arte tra una donna e una figura misteriosa in nero, Sam non può più partire per gli Stati Uniti con la sua ragazza, Giulia (Suzy Kendall). Solo lui può identificare quella figura, ma continua a sfuggirgli un particolare risolutivo per il caso. Ed è proprio il tentativo di Dalmas di analizzare i dettagli di ciò che ha visto, il focus del film, per questo la scena della galleria d’arte è soprattutto una lezione di cinema, una profonda analisi della poetica e della teoria dello sguardo.

Per quanto si tenda a legare la figura di Argento a Alfred Hitchcock – in quanto maestro del brivido – è evidente il debito del primo cinema argentiano nei confronti della filmografia di Mario Bava (La ragazza che sapeva troppo ma anche Sei donne per l’assassino) e di Sergio Leone – soprattutto nella scelta delle musiche di Ennio Morricone. Quello che però rende Dario Argento un grande regista già dal suo esordio è soprattutto il suo essere un vero cinefilo: Argento conosce il cinema ancora prima di farlo, lo capisce profondamente ancora prima di scriverlo e lo ama in modo sincero quando il suo non esiste ancora. Il voto che compie il maestro della suspense è pura devozione alla settima arte, non al denaro non all’amore né al cielo, prendendo in prestito le parole di De Andrè, solo al cinema.

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Venezia 75: Suspiria, quando il sospiro diventa silenzioso https://www.fabriqueducinema.it/festival/venezia-75-suspiria-quando-il-sospiro-diventa-silenzioso/ https://www.fabriqueducinema.it/festival/venezia-75-suspiria-quando-il-sospiro-diventa-silenzioso/#respond Sat, 01 Sep 2018 17:15:49 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=11207 Quando Luca Guadagnino ha annunciato il remake di Suspiria, celebre pellicola horror di Dario Argento, una domanda è subito sorta spontanea: è davvero possibile produrre una nuova versione di un vero e proprio cult del cinema italiano? Se molti affezionati fan hanno risposto fin da subito negativamente, solo dopo oggi è possibile esprimere un parere […]

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Quando Luca Guadagnino ha annunciato il remake di Suspiria, celebre pellicola horror di Dario Argento, una domanda è subito sorta spontanea: è davvero possibile produrre una nuova versione di un vero e proprio cult del cinema italiano? Se molti affezionati fan hanno risposto fin da subito negativamente, solo dopo oggi è possibile esprimere un parere concreto e almeno parzialmente definitivo. Presentato in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, Suspiria (qui il trailer ufficiale) è stato infatti il titolo principale di questa quarta giornata di proiezioni veneziane, dimostrandosi capace di sorprendere in quanto totalmente diverso dal suo predecessore.

Le nuove avventure di Susie Bannion e della misteriosa scuola di danza che decide di frequentare appaiono fin dai contenuti estremamente più complesse e sfaccettate. Nonostante la storia originale sia conservata nelle sue premesse generali, la sceneggiatura di David Kajganich appare innovativa già dalla sequenza d’apertura, rievocando anche un contesto storico non facilmente trattabile nei film di genere: la Guerra Fredda e i drammi del dopoguerra berlinese sono elementi costanti nella pellicola, che intreccia le note vicissitudini sovrannaturali con un trauma più vasto e tangibile. In tal senso, linee narrative inedite si confrontano con quelle che i fan di Argento ben conoscono, aprendosi a nuove ed inquietanti svolte.

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Il ripensamento narrativo, che offre non poche sorprese nel corso delle due ore e mezza di visione, non è tuttavia esclusivamente additivo, poiché ripensa anche diversi elementi della storia ideata quattro decenni fa. I personaggi femminili appaiono in netta contrapposizione con le proprie antesignane, delineandosi come modelli di donne forti, lontane dalle scream queens – rubando un termine all’horror a stelle e strisce – del cult del 1977. Ottime in questo senso sono soprattutto le due protagoniste Tilda Swinton e Dakota Johnson: se la prima si è innumerevoli volte dimostrata una delle più brillanti attrici del panorama internazionale, la seconda è finalmente pronta a mettersi in gioco seriamente, dopo il terribile franchise di Cinquanta Sfumature.

Andando oltre il piano contenutistico, in controtendenza con il passato è anche la dimensione più propriamente tecnica, che abbandona l’asfissiante pienezza di Argento a favore della freddezza ispirata di Guadagnino. Proponendo inquadrature eleganti in ogni singolo dettaglio, il cineasta palermitano svuota la scena, operando principalmente su tre livelli: la scenografia, la fotografia e il sonoro. Nel primo caso, l’eccesso tipico del maestro del cinema horror italiano lascia spazio a luoghi più geometrici, estremamente spogli nelle forme ma non meno claustrofobici e disorientanti. Soprattutto le sequenze di ballo, dove i corpi delle attrici dialogano maggiormente con i pavimenti e le pareti, insinuano marcatamente nello spettatore un senso di piacevole inquietudine.

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Parallelamente, la fotografia abbandona quasi interamente i colori forti e tendenti al rosso sangue, giocando anche in questo caso con tonalità più fredde, che si adattano perfettamente al contesto post-bellico nel quale si svolgono le vicende. Questo minimalismo è rintracciabile anche nella controparte sonora, che è forse tra le più interessanti tra quelle fino ad oggi proposte da Guadagnino. Mentre la floridezza linguistica vista in Call Me By Your Name è mantenuta, nuovo è invece l’uso che il regista fa del silenzio e soprattutto del sospiro, che puntella tacitamente l’intera narrazione, accompagnando lo spettatore verso l’atteso e visivamente inaspettato finale.

Tornando infine alla domanda iniziale, sembra quindi giusto chiedersi nuovamente: è davvero possibile rifare un cult? Suspiria di Luca Guadagnino ci insegna che la risposta non può che essere affermativa ma, affinché ciò avvenga, è necessario rimodellare totalmente il passato, rispettandolo ma anche restituendolo a proprio modo.

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Dario Argento: ieri oggi sempre https://www.fabriqueducinema.it/magazine/icone/dario-argento-ieri-oggi-sempre/ https://www.fabriqueducinema.it/magazine/icone/dario-argento-ieri-oggi-sempre/#respond Thu, 17 Sep 2015 08:14:42 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=1909 È una calda e tetra mattina d’inizio estate. Citofoniamo, segue una bella voce profonda che ci indica di salire al primo piano. Molte immagini, parafrasando un famoso film della nostra Icona, «ci penetrano nella mente come una lama», mentre saliamo la rampa di antiche scale che termina davanti a una porta. Il “Maestro del brivido” […]

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È una calda e tetra mattina d’inizio estate. Citofoniamo, segue una bella voce profonda che ci indica di salire al primo piano. Molte immagini, parafrasando un famoso film della nostra Icona, «ci penetrano nella mente come una lama», mentre saliamo la rampa di antiche scale che termina davanti a una porta. Il “Maestro del brivido” ci accoglie calorosamente nella sua casa, sfoglia alcuni numeri di Fabrique in modo attento e meticoloso, li poggia accanto a sé sulla scrivania.

Come e quando nasce il cinema di Dario Argento?

Moltissimi anni fa. Non puoi stabilire un momento preciso, non è che si viene folgorati come San Paolo, a un certo punto nella tua vita incontri il cinema e comincia a fermentare dentro di te. Il mio ad esempio nasce già quando ero un bambino, poi da giovane ho iniziato il lungo percorso che mi ha portato fin qui. L’ho vissuto prima da spettatore, poi come giornalista, come critico cinematografico, come sceneggiatore e infine regista. Tutto il percorso che si compie è in realtà lo sviluppo di una personalità che si va infine a esprimere nel cinema vero e proprio.

Che consiglio darebbe a chi oggi vuole fare cinema?

Oggi è indubbiamente più difficile fare cinema rispetto a quando ero giovane, per diverse ragioni e innanzitutto per questioni finanziarie, perché non ci sono più distributori. La strada è sempre la stessa: studiare, frequentare scuole di cinema – quelle mediocri è meglio evitarle perché non servono a niente, solo a far guadagnare quelli che le organizzano, altre però sono interessanti, come quelle legate al pubblico. Magari fare anche qualche stage durante la lavorazione di qualche film così da poter vedere come funziona il cinema in concreto e non solo in teoria. Bisogna frequentarlo, il cinema. Ripeto, però, oggi debuttare non è affatto facile. Ho visto anche molte opere prime di genere lo scorso anno al Courmayeur Noir Film Festival, film pieni di inventiva, con storie molto forti, però nessuno è riuscito a trovare un distributore italiano.

Forse perché in Italia si privilegiano la commedia e il dramma, anziché tentare altre strade come avveniva in passato.

Esatto. Hanno paura che il film non abbia successo. Poi, come accennavo, è vero anche che in Italia non ci sono quasi più distributori, e quei pochi che restano, soprattutto per questioni economiche, tendono a puntare su film decisamente più “piccoli”. Questo è il problema più grave, nessuno più osa.

Per valicare questi ostacoli in molti si sono buttati sulle webserie.

Però non ci si guadagna nulla. Chi ti dà soldi per fare questo tipo di prodotto? Senza poi contare che sono comunque dei film piccoli, che vengono seguiti in gran parte dagli affezionati del web, privi di alcuna diffusione, nazionale o internazionale che sia.

Quindi lei esclude di intraprendere un giorno un progetto dedicato alle webserie?

No, in realtà non lo escludo… Però al momento non ci penso.

In passato ha già accolto giovani sotto la sua “ala protettrice”. Oggi sarebbe ugualmente disposto a fare la stessa cosa con qualche altro giovane cineasta?

Dovrei conoscerlo. Tutti quelli che ho prodotto, Lamberto Bava, Michele Soavi, Sergio Stivaletti, li conoscevo molto bene perché avevano lavorato con me, erano stati miei assistenti per lungo tempo, quindi avevo una consuetudine con loro che da tempo non ho con altri. Non ho più contatti così frequenti con i giovani registi.

Perché oggi, secondo lei, i produttori non hanno il coraggio di investire in un cinema diverso, come il suo?

A parte il fatto che opere come le mie sono più costose (prevedono un certo tipo di effetti speciali), spesso i film di genere per non apparire rozzi hanno bisogno di una “veste” che li arricchisca, li renda più interessanti, e questa sorta di abito da far indossare al film è molto costoso. Mentre la commedia è tecnicamente più “semplice”.

Parliamo del “nuovo Argento”. Molti si dicono fedeli all’“Argento classico” e meno a quello degli anni Duemila. Perché secondo lei?

Francamente non lo so, non l’ho mai capito: credo di aver fatto dei film interessanti, ad esempio Il cartaio e Non ho sonno. Forse le persone sono rimaste affezionate a un certo tipo di mio cinema e quindi aspettano sempre che io lo rifaccia, ma non posso perché devo progredire, devo guardare avanti, sperimentare.

La sperimentazione tecnica: ha sempre avuto un occhio di riguardo per questo aspetto.

Io sono nato come sperimentatore, perché sapevo che il cinema è sperimentazione e progresso, bisogna continuamente superare se stessi. Sono andato sempre avanti, dai miei primi film fino a titoli come Profondo rosso, Suspiria, Inferno, La sindrome di Stendhal. Le mie opere sono sempre state delle sperimentazioni, seguendo anche l’insegnamento dei grandi maestri come Sergio Leone e Alfred Hitchcock, che nella loro vita, anche da anziani, hanno sempre sperimentato, inventato. È un modo che è nella mia personalità.

Parliamo allora del suo ultimo film, Dracula 3D. In quanto a tecnica cinematografica c’è sicuramente molto da dire.

Per cominciare c’è appunto l’uso del 3D, che adesso sembra non avere più molta diffusione, però era un aspetto che a me interessava e mi sono deciso a impiegarlo dopo aver partecipato a un convegno negli Stati Uniti su un titolo di Hitchcock, Dial M For Murder (Delitto perfetto), che ignoravo fosse stato filmato originariamente in 3D. Rispetto a Hitchcock, ho voluto provare a girare in un ambiente più ampio, allargandomi, evitando gli espedienti più appariscenti come ad esempio gli oggetti che fuoriescono dallo schermo. Ho preferito incentrarmi sui piani visivi, ogni piano doveva avere una sua visibilità: ad esempio le foreste, ho scoperto che luoghi simili sono i migliori per il 3D perché appunto alberi e cespugli consentono di avere una grande profondità di campo e conferiscono alla storia una visione più ampia.

È possibile che la sua attenzione per la tecnica sia il motivo per cui gli spettatori (non comprendendo appieno questo aspetto) preferiscono i suoi film del passato?

Sinceramente no, credo che il cinema in generale abbia subìto un cambio di rotta. Il boom degli effetti speciali made in USA, ad esempio, ha finito a lungo andare per creare una sorta di sconcerto nel pubblico. Questo tipo di effetti, a volte esagerati, tendono a rendere i film troppo artificiosi, cioè sviliscono la materia poiché si percepisce che sono falsi, quindi in realtà si finisce spesso per vedere film di plastica.

E poi, mi corregga se sbaglio, rispetto a prima la gente oggi difficilmente si spaventa.

Esattamente! L’artificiosità di questo cinema ha determinato anche un’assuefazione del pubblico alla paura.

Profondo rosso ha compiuto 40 anni, e la versione restaurata uscita per l’occasione è stata un grande successo. Come si è sentito?

Mah, non è che penso molto all’anniversario. Ho fatto il film, quello che è stato è stato. La cosa positiva è che finalmente l’ho visto [non guarda mai i suoi film, ndr] nella versione restaurata in varie città e posso dire che non è affatto male.

A breve (2017) toccherà anche a Suspiria.

Proprio come Profondo rosso, anche Suspiria è un film che ho fatto, punto. Lascio godere il momento agli altri.

Suspiria diverrà una serie televisiva. Sarà coinvolto nel progetto?

Faccio una piccola precisazione, in realtà la serie televisiva non è propriamente su Suspiria, ma sul Suspiria De Profundis, il libro di Thomas De Quincey da cui ho tratto la Trilogia delle madri, e avrà proprio Thomas De Quincey come protagonista. È quello che diventerà una serie televisiva e sì, io sarò coinvolto nel progetto.

Altri progetti?

Da tempo ho in programma The Sandman, purtroppo le varie produzioni coinvolte non riescono ancora ad trovare un accordo, ma se si supera questo ostacolo forse riesco finalmente a coronare anche questo… incubo.

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