concerto Archivi - Fabrique Du Cinéma https://www.fabriqueducinema.it La Rivista Del Nuovo Cinema Italiano Mon, 21 Jun 2021 17:17:27 +0000 it-IT hourly 1 Cosmo in piazza. E ballano anche i sanpietrini https://www.fabriqueducinema.it/magazine/musica/cosmo-piazza-ballano-anche-sanpietrini/ https://www.fabriqueducinema.it/magazine/musica/cosmo-piazza-ballano-anche-sanpietrini/#respond Mon, 26 Jun 2017 09:43:34 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=8832 Cosmo è sul palco che salta, si sbraccia, fa avanti e indietro, gigioneggia sul mixer pizzicando le manopole colorate tra un balzo e uno strillo. La fronte suda, la gente canta. Suoni psichedelici si sprigionano dalle casse e vanno a sincrono con i faretti e i proiettori in fila, che dalle americane flagellano la folla […]

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Cosmo è sul palco che salta, si sbraccia, fa avanti e indietro, gigioneggia sul mixer pizzicando le manopole colorate tra un balzo e uno strillo. La fronte suda, la gente canta. Suoni psichedelici si sprigionano dalle casse e vanno a sincrono con i faretti e i proiettori in fila, che dalle americane flagellano la folla con fendenti e lampi intermittenti.

L’aria calda di un giorno lungo. Il più lungo dell’anno. E l’estate che si è annunciata col sorgere dell’ultimo sole. Piazza Farnese vibra di suoni e pulsioni che generalmente non le appartengono e tutto ciò la rende ancora più bella.

Questa sera, questo angolo di Roma, sembra estorto da un’altra città, una piazza che di solito è bella e buia e silenziosa, oggi è viva e vitale, grazie ad un concerto all’improvviso, che aprono i La Femme e chiude uno straordinario Cosmo da Ivrea, di quasi Torino. Tutto in occasione della Festa della Musica, tradizione piacevolmente copiata e presa in prestito dai “franzosi”, che ci ospitano a casa nostra, di fronte all’Ambasciata di Francia, quel loro gioiello romano.

Qualche minuto di ritardo e la prima canzone parte con un riverbero irritante che mangiucchia le parole al microfono. Cosmo non si perde d’animo, allunga i tempi e mixa i ritardi insieme alla sua band, un altro cenno d’intesa con i tecnici e la serata prende la piega giusta e basta un attimo e una canzone in più a far dimenticare a tutti ogni possibile disguido.

Le canzoni de L’ultima festa si intervallano con quelle più datate di Disordine, ripescate dal lontano 2013. Per una sera il nostro esce fuori dalla dimensione del club, quella che più ama, quella che lo ha visto protagonista di un infinito tour denominato Succede l’impossibile che ha attraversato il 2016 come una Formula Uno tra i go-kart, riscrivendo un nuovo modo di intendere la musica elettronica in Italia, coniugandola finalmente con la felice tradizione cantautorale nostrana, che oggi più che mai sta vivendo una nuova giovinezza.

Sul palco il buon Marco canta che «tramonta un continente, ed io non sento niente» e questa è la sensazione che vivo quando da Campo de’ Fiori vedo la strada interdetta da folla, transenne e camionette, quando la perquisizione in piazza si fa normalità, come i mitra alle stazioni della metro. Tutti col sorriso ovviamente, ma con la fobia del terrorismo nascosta nella borsetta, tra l’accendino e il rossetto. Niente birra, neanche un paninaro a mezzi col Comune.

Per fortuna che c’è Cosmo e tutto passa in secondo piano, il suo repertorio sembra magico anche fuori dal buio angusto di quei locali invernali che ha cappottato lungo tutto lo stivale. La serie di pezzi in progressione mi ricordano quanto siano belli, veri e così maledettamente ben riusciti.

Come un nubifragio di buonumore le casse ci tempestano di suoni e parole e si inseguono Le voci, Dicembre, L’altro mondo, Cazzate, la meravigliosa Regata ’70, legandosi a tracce che andiamo a ripescare dal passato, come la già citata Continente, fino a Ho visto un Dio, Dedica ed Esistere; le mani a tempo seguono i battiti di ogni traccia, tutti saltano e sudano. Ballano anche i sanpietrini.

Le cose più rare non manca mai, insieme alla novità de La mia città e al solito gran finale, con L’ultima festa, che anche se non è neanche mezzanotte sembra quanto mai azzeccata.

Come sanno bene anche i ragazzi del Cinema America a San Cosimato, in questa città invecchiata e lamentosa l’amplificazione va spenta presto, la musica smorzata, e allora tutti cantano «via, è ora di andare via, iniziamo a guardarci male», anche il signore coi baffi che suda dietro di me; tutti si muovono a tempo, anche la signora in vestaglia che si affaccia da sopra al ristorante. «Eppure mi sento da Dio» ripete Marco sul palco, prima di salutare e ringraziare. Con grazia e senza troppo miele, con discrezione piemontese e calore romano. La piazza ricambia il saluto con un lungo applauso prima di svincolarsi in cerca di una birra rinfrescante, tra le transenne spostate a fatica, tra una bottiglia rotta e un turista ubriaco che ancora sta cercando da dove arrivi la musica.

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Carl Brave x Franco 126, live in Roma https://www.fabriqueducinema.it/magazine/musica/carl-brave-x-franco-126-live-roma/ https://www.fabriqueducinema.it/magazine/musica/carl-brave-x-franco-126-live-roma/#respond Thu, 18 May 2017 07:37:42 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=8532 Dieci tracce. Dieci tracce che sembrano una sola. Dieci fotografie statiche, che bastano per riempire lo spazio buio degli Ex Magazzini, a Roma, sotto l’ombra bucherellata del Gazometro. Dieci tracce che hanno lanciato Carl Brave x Franco 126 nell’harem digitale dei cantanti di cui se ne dice un gran bene. Il perché non è ben […]

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Dieci tracce. Dieci tracce che sembrano una sola. Dieci fotografie statiche, che bastano per riempire lo spazio buio degli Ex Magazzini, a Roma, sotto l’ombra bucherellata del Gazometro. Dieci tracce che hanno lanciato Carl Brave x Franco 126 nell’harem digitale dei cantanti di cui se ne dice un gran bene.

Il perché non è ben chiaro a nessuno, quasi mi viene voglia da chiederlo a tutti i ragazzi ammucchiati sotto al palco, a tutta la fila che incontro mentre entro nel locale e scambio qualche rapido saluto. Cosa sono? Carl Brave x Franco 126 si sono presentati con una compilation di polaroid sfuocate e sovraesposte e una cascata di parole che ci disegnano qualcosa di così naturale da chiederci se non ci siamo già visti.

Quando attaccano, tutta la fauna accaldata che si stringe in questo piccolo club si mette a cantare a squarciagola, tipo cori da stadio, persino i due ragazzi sul palco sembrano stupirsene, ancora un po’ incerti mentre testano il risultato della loro creatività.

Carl Brave x Franco 126 in concerto a Roma giovedì 11 maggio 2017Occhiali da sole, camicie colorate e un atteggiamento fin troppo sfrontato se lo confrontiamo poi con le loro canzoni. Cosa sono? Vengono dall’hip hop, strizzano l’occhio alla musica indie, corteggiano il pop e fanno il verso da una parte ai cantautori dall’altra alla trap. Cosa sono non è chiaro e forse è questo il motivo per cui ci piacciono, quell’attrazione semi-illogica verso la novità, la ricerca dello stupore.

Chitarra, batteria, sassofono, strumenti che si mescolano bene, il riverbero dell’autotune a volte disturba, ma non distrae da questa passeggiata nei vicoli di Roma, di una Trastevere umana e partecipe. Queste canzoni non ti fanno emozionare, non ti fanno pensare, non ti fanno piangere, ma sono una scorpacciata di realtà, intrisa di una malinconia velata di gente senza posto.

I loro testi sono sinceri, sono loro stessi vomitati su ogni rima e raccontano quella realtà generazionale che forse si può raccontare solo così. La leggerezza con cui si vive tra cose serie e cose frivole è riflessa perfettamente nel loro palleggiare tra la morte di un nonno ai like su facebook, tra le “guardie” e i genitori che invecchiano; in quella naturale tranquillità con cui si parla di droghe, di canne, di rom, di AIDS, di negri e di “lelle” (lesbiche). Non c’è nessuno che si offende, non c’è traccia di morale, c’è uno scudo fatto di trasparenza e di romanità che li protegge. Tanti ragazzini con gli occhi un po’ rossi mi strillano intorno ogni singola frase, ripassando tutto il glossario contemporaneo che va dal car sharing allo “zozzone”, dagli onnipresenti sanpietrini alla “solita vecchia Santa Maria”, dall’Atac all’ACAB; d’un tratto mi vedo seduto con loro sull’ingresso di una chiesa, davanti al bar San Calisto, una birra in mano a far passare un’altra innocua serata romana.

Carl Brave x Franco 126Non c’è un senso di rivalsa mentre cantano, non c’è quella sopravvalutazione di sé tipico retaggio del rap, la spavalderia di chi mostra la coda tipo pavone; tutto questo non c’è in Carl Brave x Franco 126, ci sono solo due ragazzi a mollo, che cercano di non affogare in questa pozza urbana. Nessuna ricerca sociologica può essere più accurata di questa melodia, nel raccontare la generazione di mezzo dei figli di Roma, non i ricchi snob, non i poveri delle periferie. I figli di Trastevere, dei turisti, dei vucumpra’, della John Cabot, delle birre dal “bangladino.

Dieci tracce, dieci polaroid che già prima di approdare su Spotify hanno vagabondato su YouTube e rimbalzato da una bacheca all’altra. C’è da ringraziare Bomba Dischi per l’ennesimo regalo. Carl sgambetta rigido sul palco, Franco sembra più sciolto con la sua maglietta di Wojtyla. In mezzo alla folla scorgo Gemitaiz e qualcuno dei The Pills, una sorta di meadley/jam conclusivo mi annuncia la fine di un concerto per forza di cose breve ma intenso. L’odore dell’erba aleggia nell’ambiente ma l’elettricità si percepisce ancora nell’aria.

Chissà se allontanandosi dalle mura di questa città tutto questo carico emozionale possa essere percepito, se questa poetica sommessa ma mai arrendevole, questa slavina di riferimenti sia, allo stesso modo, comprensibile. Per adesso ce li godiamo noi, da qui.

 

 

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