Comics Archivi - Fabrique Du Cinéma https://www.fabriqueducinema.it La Rivista Del Nuovo Cinema Italiano Mon, 21 Jun 2021 17:25:04 +0000 it-IT hourly 1 Lee Miller, icona del ‘900, secondo la matita di Eleonora Antonioni https://www.fabriqueducinema.it/magazine/arts/lee-miller-trame-libere/ Fri, 05 Feb 2021 09:44:57 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=15171 Premiata come “Miglior autrice unica italiana” all’ultimo Treviso Comic Book Festival, Eleonora Antonioni, romana di nascita ma da anni residente a Torino, ha raccontato nel suo ultimo libro a fumetti, Trame libere (pubblicato da Sinnos), la vita complessa e affascinante di Lee Miller.  Modella prima, poi fotoreporter nella Seconda Guerra Mondiale e amica di alcuni […]

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Premiata come “Miglior autrice unica italiana” all’ultimo Treviso Comic Book Festival, Eleonora Antonioni, romana di nascita ma da anni residente a Torino, ha raccontato nel suo ultimo libro a fumetti, Trame libere (pubblicato da Sinnos), la vita complessa e affascinante di Lee Miller.

 Modella prima, poi fotoreporter nella Seconda Guerra Mondiale e amica di alcuni dei maggiori artisti delle avanguardie, Lee Miller – ed Eleonora con lei, nell’attenta fase di documentazione per il libro – ha attraversato alcuni snodi centrali della storia del Novecento.  

Trame libere è il tuo primo fumetto da autrice unica. Come sei arrivata a Lee Miller e come hai gestito il doppio binario della narrazione e del lavoro sui disegni?

La scelta di fare una biografia di Lee Miller è partita in parte da me e in parte da Sinnos, la mia casa editrice. Inizialmente conoscevo e amavo Lee quasi esclusivamente per il suo percorso con Man Ray, brevissimo ma molto prolifico. Quando mi sono ritrovata di fronte alla sua biografia intera ho avuto un momento di smarrimento. Ogni dettaglio sembrava irrinunciabile, ma allo stesso tempo troppo complesso da far rientrare in un libro di 160 pagine. Parte della complessità della vita di Lee sta nel fatto che ogni cosa che ha fatto sembra appartenere alla vita di una persona diversa. Ci ho riflettuto molto e alla fine ho deciso che questo doveva essere evidenziato e non nascosto. Ho dato a ogni capitolo un’identità grafica diversa, che fosse funzionale al contenuto del racconto. Al centro di tutto c’è lei, Lee Miller, che, pur crescendo, rimane solida e indipendente.

La biografia di Lee Miller incrocia le vite di molti artisti – da Man Ray a Picasso e a Paul Éluard – ma anche grandi eventi storici come la Seconda Guerra Mondiale. Raccontaci il tuo lavoro di ricerca.

La ricerca è stata molto complessa, però è anche uno step preparatorio del mio lavoro che amo. Ho letto tutto quello che potevo trovare anche lontanamente collegato al tema. Per fare un esempio: il libro si apre con una scena nello studio della pittrice Neysa McMein, che, secondo alcune fonti, sarebbe la persona che ha consigliato a Elizabeth Miller il nome d’arte Lee. Per arrivare a disegnare quelle poche pagine ho cercato informazioni su tutte le persone che gravitavano intorno al suo studio. Niente di tutta questa ricerca è finito in quella scena o nel libro, ma è stato importante per farmi immergere in quel clima. Sicuramente la parte che temevo di più di affrontare era quella della guerra, mi sembrava davvero troppo più grande di me. Per fortuna sono stata guidata dagli spunti che la stessa Lee Miller scriveva ad Audrey Whiters, la sua editor di British Vogue (sono raccolti in un libro curato dal figlio di Lee, Anthony Penrose) che mi hanno rivelato tutta la sua umanità, fornendomi la chiave su come gestire il capitolo.

Lee Miller nel fumetto Trame libere
Lee Miller aveva cominciato la sua carriera come modella.

Uno dei punti di forza del libro, a mio parere, è la composizione delle tavole, da cui si evince un profondo studio dei volumi e delle forme, accanto alle precise citazioni di pubblicità, abiti e riviste d’epoca. Un’attenzione al contesto, questa, che mi ha ricordato la Spagna della Guerra Civile di Vittorio Giardino in No Pasaran. Quali sono state le tue fonti?

Ti ringrazio tantissimo per il complimento, mi diverto molto nella progettazione delle tavole! La mia guida principale per diffidare dai tag sbagliati delle fonti sul web sono i volumi di pubblicità della Taschen (tutta la serie All American Ads del Novecento). Adoro inserire le pubblicità nei miei libri, l’ho fatto anche in Non bisogna dare attenzioni alle bambine che urlano (ambientato negli anni ’90), perché credo che siano una testimonianza importante delle varie epoche. In Lee Miller, in particolare, il primo capitolo riguarda la sua infanzia, fino alla fine della sua carriera da modella. Mi piaceva l’idea che il capitolo riguardante una parte di vita ancora in divenire rispecchiasse quello che la società si aspettava da una giovane donna in quegli anni. Quindi ho cercato di dare al capitolo l’aspetto di una rivista per signore con elementi decorativi liberty, geometrie e simmetrie a incorniciare le vignette. Mi piaceva l’idea che le pagine/magazine fossero la società e che Lee, già da ragazzina sentisse quella gabbia (di fumetto) stretta.

Lee Miller è stata una donna libera, dal carattere forte, pur con le sue debolezze. In passato, penso al tuo fumetto precedente – appunto Non bisogna dare attenzioni alle bambine che urlano, con Francesca Ruggiero, pubblicato da Eris – hai già mostrato interesse per un delicato passaggio di crescita in un gruppo di ragazze. C’è un filo conduttore rintracciabile nel tuo lavoro?

Sicuramente sì. Alla base c’è l’amore per i racconti al femminile: mi piace raccontare storie di ragazze e di donne. Mentre mi occupavo dell’adolescenza di Lee Miller provavo le stesse sensazioni di quando lavoravo alle Bambine con Francesca. L’unica differenza è che le Bambine guardavano Buffy, ascoltavano Fatboy Slim e volevano essere come Britney Spears, Lee Miller leggeva Anita Loos e voleva essere come Zelda Fitzgerald! Alla base c’è la stessa umanità. Lee ha fatto cose enormi, ma prima di andare a Parigi a 22 anni non aveva idea di cosa avrebbe fatto nella vita, la stessa cosa succede oggi ai ragazzi contemporanei. Spesso io e Francesca Ruggiero ci domandiamo cosa sono diventate da grandi le protagoniste di Non bisogna dare attenzioni alle bambine che urlano, magari un giorno lo racconteremo.

 

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“La vita è bella” vent’anni dopo https://www.fabriqueducinema.it/magazine/arts/la-vita-bella-ventanni/ https://www.fabriqueducinema.it/magazine/arts/la-vita-bella-ventanni/#respond Wed, 11 Oct 2017 07:31:10 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=9462 Sono passati vent’anni dall’uscita del capolavoro di Roberto Benigni La vita è bella e Fabrique lo omaggia con una recensione di ChickenBroccoli* feat. The Pine and the Apple. Mel Brooks, ebreo, a chi lo accusava di aver fatto ironia su un argomento IMPOSSIBILE da ridicolizzare come l’Olocausto (cercate su YouTube Springtime for Hitler), rispose: «Si […]

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Sono passati vent’anni dall’uscita del capolavoro di Roberto Benigni La vita è bella e Fabrique lo omaggia con una recensione di ChickenBroccoli* feat. The Pine and the Apple.

Mel Brooks, ebreo, a chi lo accusava di aver fatto ironia su un argomento IMPOSSIBILE da ridicolizzare come l’Olocausto (cercate su YouTube Springtime for Hitler), rispose: «Si può e si deve ridere di tutto, anche della più grande tragedia della Storia. Ma a una sola condizione: che la battuta sia veramente, ma veramente buona».

Era il 1997 e Roberto Benigni, dopo cinque film milionari, realizzava il suo capolavoro, e a ben vedere uno di quelli dell’Italia tutta intera, visto il successo internazionale suggellato alla Notte degli Oscar, quella dei piedi in testa a Steven Spielberg e del «Robbertoo!» urlato con puteolana felicità da Sophiona Loren.

La vita è bella è un film perfetto perché perfetta è la sua semplicità. E se è vero che la semplicità è l’unica risposta possibile all’incomprensibilità manifesta del Male, scrivere una storia semplice, paradossalmente, è la cosa più difficile del mondo. La semplicità è lo scrigno dell’innocenza, quella che perdiamo un po’ alla volta, a ogni tramonto.

Benigni, e con lui Vincenzo Cerami, co-autore della sceneggiatura, hanno il merito di non aver scherzato dell’Olocausto, piuttosto hanno saputo cogliere quella vena grottesca che l’Odio si porta dietro, sempre. Ogni tiranno è una maschera comica (ma come si permette Hitler di rubare a Charlot i baffetti buffetti! Logico che Chaplin gli renda pan per focaccia ne Il grande dittatore! Lo dice Bazin, mica io) e La vita è bella, anche senza ricorrere a dittatori mascelloni da ridicolizzare, riesce a farsi beffe del Male assoluto, quello che si cela anche dentro chi non te l’aspetti.

Il film è diviso in un primo e un secondo tempo distinti, che si spartiscono colori, toni tragicomici e colonna sonora (Oscar a Nicola Piovani, strameritato pure quello). Il primo tempo è una “semplice” storia d’amore, tra Commedia dell’Arte e romanzetto d’appendice, con piccoli e grandi ingranaggi oliati alla perfezione, il secondo tempo è una discesa nella tragedia della deportazione, dei lavori forzati, dello sterminio di massa. E se nel primo il cuore si gonfia di romanticismo nel rito del corteggiamento rocambolesco, nel secondo tempo è la coraggiosa malinconia di un uomo che vuole preservare l’innocenza negli occhi del figlio, almeno fino a che il sole non tramonti, a dilaniarcelo, il cuore.

Benigni ha rischiato tantissimo (e infatti La vita è bella è anche un film fortemente criticato, quel cinico brontolone di Monicelli lo odiava), ma, riprendendo le parole di Brooks, è riuscito a fare un film veramente, ma veramente buono, è riuscito in quell’impresa delicatissima di farci ridere e di farci male mentre ridiamo.

CHICKEN

  • Il guitto Benigni riesce a far sembrare le corde mono-tòne della Braschi quasi musicali.
  • Vogliamo vivere!, Train De Vie, The Last Laugh, Per favore, non toccate le vecchiette (ma i titolisti italiani sì), Mein Führer. Anche al cinema si può e si deve ironizzare su tutto. Basta farlo bene.

BROCCOLI

  • Sono passati vent’anni e noi siamo ancora qui a chiederci cosa diamine è «grasso, grasso / brutto, brutto / tutto giallo in verità / se mi chiedi dove sono / ti rispondo qua qua qua»… Non è l’anatroccolo! Non è l’ornitorinca! Ma che è?!

THE PINE & THE APPLE

The Pine è Gianmarco Principi, the Apple è Jess Ranieri… o il contrario? Sono una coppia (di nome e di fatto) di illustratori romani “in fississima” per film e serie TV. Lui è del 1994, lei del 1991: certi talenti vanno presi da giovani e indirizzati verso la strada della perdizione cinematografica da subito!  http://www.facebook.com/thepineandtheapple/ • Instagram: @thepineandtheapple

* ChickenBroccoli è un sito per chi “ama odiare il cinema”. Dal 2009 recensisce film senza piume sulla lingua. Il Chicken è il film bello, il Broccolo è il film orripilante. ChickenBroccoli concilia il cinema con l’illustrazione realizzando poster, magazine e mostre itineranti.

 

 

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Tanino Liberatore https://www.fabriqueducinema.it/magazine/arts/tanino-liberatore/ https://www.fabriqueducinema.it/magazine/arts/tanino-liberatore/#respond Tue, 27 Oct 2015 10:34:57 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=2134 ANATOMIA D’ARTISTA Disegnatore, fumettista, illustratore, artista, è la matita che ha testimoniato l’evoluzione del corpo umano nel fumetto italiano.  Dalla fine degli anni Settanta collabora con Stefano Tamburini diventando un punto indelebile nella storia del fumetto italiano e internazionale con le tavole sulle riviste Cannibale e Frigidaire. Ha cambiato l’immaginario fantascientifico con le sue caratterizzazioni […]

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ANATOMIA D’ARTISTA

Disegnatore, fumettista, illustratore, artista, è la matita che ha testimoniato l’evoluzione del corpo umano nel fumetto italiano.  Dalla fine degli anni Settanta collabora con Stefano Tamburini diventando un punto indelebile nella storia del fumetto italiano e internazionale con le tavole sulle riviste Cannibale e Frigidaire. Ha cambiato l’immaginario fantascientifico con le sue caratterizzazioni di Ranxerox.

È stato un occhio prima di una mano. La sua formazione e il suo percorso artistico sono stati segnati da un’esperienza in più, propria dello scorso secolo. Non è stato il liceo artistico, né la facoltà di architettura: Tanino Liberatore, classe ’53, rimase influenzato dalla visione dello sceneggiato RAI La vita di Michelangelo del 1964 con Gian Maria Volonté.

TL: Mi affascinava la vita di quest’artista mentre preparava gli schizzi della Cappella Sistina. Dopo ogni puntata scappavo nella mia cameretta e mi chiudevo a cercare di disegnare a mia volta i dannati. Quei corpi con quelle pose così sinuose, così diversi da qualsiasi altro corpo visto, segnarono la mia immaginazione e la mia visione della figura umana.

Il fumetto ha sempre ruotato intorno a lui, dalle prime letture de Il Grande Blek, ai primi disegni, alla prima pubblicazione a nove anni di un suo ritratto del calciatore Jair, della sua Inter, sulla posta di Topolino. Crescendo sono stati gli autori francesi a richiamare la sua attenzione, come Moebius in Arzach. A convincerlo a buttarsi, invece, quelli italiani come Andrea Pazienza, soprattutto dopo la lettura di Armi realizzato su carta millimetrata a colori.

La sua ricerca artistica è il disegno in tutte le sue forme, sia che si declini nel fumetto, sia nell’illustrazione. TL: Il fatto di essere un disegnatore d’illustrazione è nella mia natura perché è l’unico modo per esprimermi al 100%.

E ha sempre preferito l’immagine singola alla narrazione seriale.

TL: Sono più un fotografo che un regista, più illustratore che fumettista narratore. Ho uno stile viscerale, c’è poco di ragionato dietro il mio disegnare, non mi lascio guidare troppo dalle indicazioni di sceneggiatura per disegnare un’inquadratura.

Le sue intrusioni come disegnatore arrivano anche nel cinema, con bozzetti, caratterizzazioni e costumi per film come Ghostbuster e Asterix e Obelix. Oppure le illustrazioni per le copertine di alcuni album come The man from Utopia di Frank Zappa.

Dal ’82 vive e lavora a Parigi. Ha collaborato con moltissimi sceneggiatori ma è con Stefano Tamburini, fumettista scomparso nel 1986, che il coinvolgimento è stato totale. La profonda amicizia e le affinità culturali e musicali hanno creato un binomio prolifico.

TL: Sapevo che lavorare per qualcun altro significava scendere a compromessi. Con Stefano c’era invece un rapporto unico, fatto di amicizia e grande comprensione professionale: eravamo per tanti aspetti diversi ma avevamo le stesse visioni sul futuro, mi lasciava completamente libero di interpretare e disegnare. Per Ranxerox facevo il regista, il direttore della fotografia, il costumista, lo scenografo, il location manager.

Liberatore ha sempre considerato i nuovi progetti come sfide che diventano opportunità per scoprire nuovi mondi e lanciare l’immaginazione lontano, un modo per sentirsi sempre stimolato a trasformare la sua visione delle cose.

TL: Non conoscevo l’immaginario underground americano prima di Cannibale, è stato un incontro che mi ha liberato, non tanto dalla parte del disegno ma di quello dei soggetti, ha fatto uscire fuori tutta la mia parte peggiore

Il suo disegno è sempre stato legato a soggetti lontani dalla quotidianità. Storie avvolte in un passato remotissimo o ambientate in un futuro prossimo, come se fossero tempi per niente sicuri, dove tutto si può inventare. È il caso di Lucy – L’espoir, una storia scritta da Patrick Norbert sull’origine dell’uomo, e che segna il suo passaggio all’impiego di tecniche digitali.

TL: In ogni periodo artistico della mia vita c’è sempre stata di mezzo la tecnica. Personaggi nuovi creati con tecniche nuove. Il soggetto di Lucy mi piaceva da sempre. Volevo un lavoro molto realistico, ho iniziato ad apprendere le tecniche digitali del disegno. L’evoluzione del lavoro di Lucy è stata consequenziale all’evoluzione del mio approccio al computer. È stata una simbiosi di cui sono molto soddisfatto e fiero.

Dal futuristico Ranxerox all’australopiteco Lucy, ciò che contraddistingue il disegno di Liberatore è sempre il corpo umano, l’anatomia, come in un unico grande percorso temporale dal passato al futuro, che analizza il corpo nelle sue più svariate espressioni facendoci scoprire un’umanità bestiale.

TL: Ho un buon rapporto con il mio pubblico, soprattutto con quello che non mi conosce.

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Le Vanvere, artiste a km 0 https://www.fabriqueducinema.it/magazine/arts/le-vanvere-artiste-a-km-0/ https://www.fabriqueducinema.it/magazine/arts/le-vanvere-artiste-a-km-0/#respond Fri, 25 Sep 2015 14:42:45 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=1952 Il disegno è donna ed è a km 0. Chiedete conferma a Le Vanvere, collettivo toscano al femminile che ha deciso di condividere talento, progetti e riunioni a base di Moscow Mule. Le Vanvere sono Camilla Garofano, Giulia Quagli, Lisa Gelli e Celina Elmi. Quattro stili diversi racchiusi in una manciata di km (anche se […]

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Il disegno è donna ed è a km 0. Chiedete conferma a Le Vanvere, collettivo toscano al femminile che ha deciso di condividere talento, progetti e riunioni a base di Moscow Mule.

Le Vanvere sono Camilla Garofano, Giulia Quagli, Lisa Gelli e Celina Elmi. Quattro stili diversi racchiusi in una manciata di km (anche se Lisa Gelli vive a Macerata da cinque anni). I famosi km 0, che rappresentano quasi un manifesto dell’attività de Le Vanvere, come ammettono loro stesse. «Amiamo la Toscana, per noi è un bel punto da dove partire e dove poter tornare, un luogo che ci fornisce spunti e opportunità. La nostra missione è quella di far conoscere al pubblico gli eventi che ci sono e gli artisti che lo abitano, cercando di valorizzarli e di intrecciare collaborazioni con loro».

Parlare a vanvera, nell’accezione comune, ha una connotazione negativa. Perché farne il nome con cui identificare un collettivo artistico? «Discutiamo molto, su tutto, e il nome è stato il primo oggetto di riflessione collettiva» ci spiegano. «Volevamo un nome leggero, dichiaratamente toscano, che non si prendesse troppo sul serio e rimandasse alla casualità della nascita del gruppo. Volevamo che fosse un nome divertente, che valorizzasse le nostre diversità». Riflettendo sull’origine del gruppo, Le Vanvere sottolineano spesso come la causalità sia alla base del loro incontro. A vederlo dall’esterno, un collettivo tutto al femminile farebbe pensare a una precisa scelta ideologica, ma a quanto pare non è affatto così. «Ci siamo incontrate per caso e per caso eravamo quattro donne. Gli illustratori sono individui schivi e introversi, si guardano da lontano, si “annusano”, ma non sempre si incontrano. Per una strana congiunzione astrale, abbiamo deciso di cercare dei nostri simili in zona e, grazie a una libreria di fiducia e a una mostra di illustratori toscani organizzata da Camilla, sono partite le prime email, i primi incontri e i primi tentativi di fare qualcosa di bello insieme. La cosa inaspettata è che ci siamo trovate subito bene e siamo diventate più di un gruppo di lavoro, quasi una famiglia, a tratti un gruppo di sostegno. Le collaborazioni tra donne sono pericolose, lo sappiamo bene, ma il fato ha voluto che fossimo quattro donne che si rimboccano le maniche, che si dicono le cose in faccia e che lavorano tutte per un obiettivo comune; quindi abbiamo incrociato le dita e c’è andata bene».

Curiosando tra le immagini postate sul sito ufficiale o osservando le illustrazioni realizzate da Camilla, Celina, Lisa e Giulia, anche all’occhio di un non addetto ai lavori appaiono visibili le differenze stilistiche, di tratto, la varietà nella riproduzione della figura umana. Questo, per Le Vanvere, è un falso problema. «Riusciamo a conciliare i nostri quattro stili… non cercando di farlo! Ci piace sottolineare le diversità con progetti a tema comune o partecipando a concorsi tutte insieme. Crediamo che essere diverse sia un valore aggiunto al nostro lavoro di individui. In realtà ci influenziamo inevitabilmente, siamo contaminate l’una dall’altra, ma manteniamo sempre la nostra personalità». Quando vengono interrogate sui loro modelli di riferimento, le ragazze si scatenano snocciolando nomi su nomi. «Ognuna di noi ha dei miti, dei maestri e un vero e proprio pantheon di illustratori preferiti da seguire. Al momento i preferiti di Camilla sono Leonardo Mattioli, Shout, Rita Petruccioli e Ale Giorgini. Lisa guarda ai Maestri Alessandro Sanna, Pablo Auladell e agli illustratori emergenti Marco Somà, Arianna Vairo, Bill Noir, Catarina Sobral; per Celina sono importanti Maurizio Quarello, Ana Juan e Stefano Bessoni, mentre i modelli di Giulia sono Sergio Toppi e Claire Wendling».

Mentre i lavori di molti disegnatori e fumettisti contemporanei sembrano già pensati per il cinema, le opere del collettivo toscano hanno una qualità più astratta e sognante. Ma cosa amano e cosa detestano Le Vanvere al cinema e in tv? «Camilla ha il decoder guasto da sempre e guarda, o meglio, ascolta, film mentre lavora: si passa da Harry Potter a Amarcord per arrivare a Il favoloso mondo di Amélie; di rimbalzo Celina e Giulia diffondono il verbo del Trono di Spade e dei film d’animazione, mentre Lisa ci consiglia da Macerata le vecchie commedie all’italiana con Lino Banfi, Adriano Celentano, Renato Pozzetto per ridere di gusto e le serie più drammatiche, da True detective a House of Cards. Film e serie tv sono il nostro pane quotidiano, spesso attingiamo alle nostre inquadrature preferite per impostare la composizione delle nostre tavole».

Parlando di animazione, un posto speciale nel cuore delle ragazze ce l’ha il maestro Hayao Miyazaki. «Celina è stata alla mostra a Parigi sui layout dei film e ha riportato cartoline ed entusiasmo in quantità, Giulia ha avuto come suoneria del cellulare la canzone di chiusura di Ponyo per mesi e Camilla, che non era una grande amante della produzione giapponese, è stata convertita proprio da Miyazaki. Rappresenta mondi onirici e attuali, ma per certi versi lontani dalle nostra cultura, personaggi fantastici e problematiche moderne affrontate con un gusto e uno stile elegantemente nipponico. Forse non abbiamo le competenze per una critica oggettiva sull’animazione, ma i suoi film riescono ad appagare cuore e occhi e questo a noi piace molto».

Parlando del loro presente e futuro lavorativo, Le Vanvere ammettono di avere troppi progetti in testa. «Sicuramente vogliamo portare avanti i concorsi di illustrazione che abbiamo organizzato quest’anno, Illustratori a km 0 e Marea Grafica, e le correlate mostre itineranti; allo stesso tempo stiamo proponendo laboratori, incontri e workshop sull’illustrazione sia per bambini che per adulti. Vorremmo riuscire a fare un lavoro a più mani, già impresa titanica per via della distanza fisica con Lisa; in più collaboriamo anche con altri illustratori, enti e organizzazioni. Non essendo Le Vanvere la nostra attività primaria, il tempo è limitato, ma a volte questo limite è essenziale per lavorare in modo efficace e veloce. E poi abbiamo un sogno nel cassetto: chissà… uno Studio Vanvere?».

Prima di salutarci, chiediamo a Le Vanvere di toglierci un’ultima curiosità: da dove nasce la passione per il Moscow Mule? «Solo una di noi conosceva questo cocktail al cetriolo e noi la prendevamo un poʼ in giro. Una volta provato, però, è diventato sinonimo di aperitivo. Anche le nostre riunioni, visto che dobbiamo ottimizzare i tempi, spesso sono sinonimo di aperitivo e quindi Moscow Mule=aperitivo=riunione=lavoro. In sintesi, per qualche proprietà matematica, Moscow Mule=lavoro».

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Roberto Recchioni, il cavaliere oscuro https://www.fabriqueducinema.it/magazine/arts/roberto-recchioni-il-cavaliere-oscuro/ https://www.fabriqueducinema.it/magazine/arts/roberto-recchioni-il-cavaliere-oscuro/#respond Thu, 02 Jul 2015 14:09:26 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=1672 Roberto Recchioni è un autore, sceneggiatore, fumettista e oggi una sorta di produttore che scova altri artisti, gli scava dentro l’anima creativa e tira fuori quanto di più bello possano dire. Lui forse non se n’è accorto, ma insieme a Leo Ortolani, Gipi e Zerocalcare, è uno dei quattro giganti del fumetto attuale. Nella sede […]

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Roberto Recchioni è un autore, sceneggiatore, fumettista e oggi una sorta di produttore che scova altri artisti, gli scava dentro l’anima creativa e tira fuori quanto di più bello possano dire.

Lui forse non se n’è accorto, ma insieme a Leo Ortolani, Gipi e Zerocalcare, è uno dei quattro giganti del fumetto attuale.

Nella sede di Uno Studio in Rosso, il luogo che ha creato insieme ad altri sette sceneggiatori e fumettisti, Roberto ha la sua postazione al centro della sala e, al fianco della sua statuetta di The Dark Knight, a cui chiede spesso consiglio, controlla le sorti dello studio ma anche del futuro del fumetto italiano.

È un cavaliere a sua volta perché sta contribuendo ad arginare l’erosione di cultura in Italia. L’edicola e le librerie hanno vissuto un periodo di crisi profonda. La rivoluzione che sta vivendo il fumetto però sta arrestando questa crisi e la nuova generazione di fumettisti sta costringendo a suon di vendite le librerie ad aprire un reparto comics.

Recchioni è uno degli artefici di questo cambio di rotta. Emblematico quello che è successo da quando è diventato il responsabile editoriale di Dylan Dog, l’indagatore dell’incubo creato da Tiziano Sclavi. È il secondo fumetto più venduto in Italia, ma nel momento in cui gli è stato chiesto di diventarne il curatore soffriva di una forte emorragia di lettori che andava arrestata.

Roberto: Tiziano ha fatto il mio nome, io ci ho pensato molto perché la mole di lavoro e la responsabilità erano enormi, bisognava prendersi grossi rischi e fare scelte complicate. Ma sapevo di essere la persona giusta, perché non ho nessuno spirito di sopravvivenza. Se mi affidi una sfida rischiosa tendo ad accettarla perché non temo il fallimento, il fallimento ci può stare.

È stato un lavoro molto faticoso in cui Recchioni ha dovuto innanzitutto, il primo anno, gestire e recuperare una serie di storie che erano già in magazzino. Mentre la seconda fase è stata molto ambiziosa, perché la sfida era rilanciare il personaggio agli occhi di lettori affezionati ma sempre in diminuzione. La sua capacità di rimanere fedele pur cambiando tutto è stato il segreto.

R: I suoi primi successori hanno tentato di codificarlo, ma l’hanno fermato nel tempo. Ora, per me Dylan non è un personaggio fermo, tradire Dylan non è dargli un cellulare, semmai mettere il personaggio in una condizione di non azione. Quindi riportare Dylan in uno stato sempre mutevole per me è nel pieno rispetto del personaggio. Il lettore nostalgico, che dire… la nostalgia non si può vincere del tutto.

In realtà la battaglia è stata vinta. Oggi la perdita dei lettori è stata arrestata e la Bonelli sta iniziando ad acquistarne di nuovi.

Tra i segreti anche quello di portare nelle storie la più stretta attualità. Così come Roberto fece da sceneggiatore per l’albo Mater Morbi, uscito nel gennaio 2010 ma scritto nel pieno caso Englaro.

R: Tiziano guardava la realtà e la raccontava attraverso i suoi occhi e la veicolava attraverso Dylan Dog. È quello che ho chiesto di fare a tutti gli sceneggiatori. Non tutti i mesi ci riusciremo, qualche volta ci sarà la storia di alleggerimento, però lo scopo è quello. Scrivere storie che risultino significative, se no è niente.

Recchioni è onnipresente. Lui dice spesso che il fumetto, la letteratura e il cinema sono tre linguaggi ben distinti ma dietro c’è sempre la stessa cosa, scrivere. E lui scrive. Stanno arrivando tre romanzi per la Mondadori, il primo in uscita a ottobre. È in pre-produzione il primo lungometraggio di cui è autore. La sua serie Orfani, di cui sta preparando la quarta stagione oltre alle edizioni deluxe per la Bao Publishing, è pronta per diventare una serie tv. Praticamente ogni mese esce una novità a fumetti con la sua firma, da Battaglia ai prossimi I maestri dell’orrore, o come l’ultima nata The 4 Hoods, la prima serie per ragazzi della Sergio Bonelli Editore.

R: Il bello della scrittura è che la declini e la trovi dietro ogni forma di espressione. Il mio ambito è il fumetto e rimarrò sempre nei fumetti. Poi mi permetto esperienze in altri media, l’importante è pensare che questi linguaggi si parlino. Se domani Orfani diventerà una serie televisiva è perché è stata pensata per avere anche un tipo di sfruttamento in quel senso.

P: Hai la percezione di come il mondo ti osservi?

R: Di solito mi insultano… Mi piacerebbe essere ricordato in una maniera rilevante. Non riesco a pensare ad altro se non che il gesto che faccio deve essere significativo. Deve “riverberare”. Il dinamismo è il cardine del mio stato d’essere. Combattere le critiche è semplice, basta continuare a seppellirle di fatti.

Forse chi guarderà a questo periodo tra decenni si accorgerà che si è trattato di uno dei momenti di svolta nella cultura italiana. Roberto Recchioni ha già segnato il nostro tempo. Ha spazzato via il terrore di vivere in una stagione culturale vuota e lo ha fatto insieme alla generazione degli autori che oggi parla e soprattutto scrive costantemente, ricordando che dietro a quei “pupazzi” ci sono esseri umani.

P: Il tuo primo ricordo legato al fumetto?

R: Molti ricordi, ma uno in particolare riguarda Topolino: quando l’ho visto per la prima volta ho chiesto a mia madre come facevano a farlo e lei mi rispose “con gli stampini”. Ecco, mi sono detto subito, da grande voglio fare gli stampini.

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Teramo Heroes https://www.fabriqueducinema.it/festival/italia/teramo-heroes/ https://www.fabriqueducinema.it/festival/italia/teramo-heroes/#respond Wed, 22 Apr 2015 09:18:02 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=1297 Dall’8 al 10 maggio la prima di edizione del nuovo festival di comics Teramo Heroes, ideato e diretto da Carmine di Giandomenico, star internazionale di casa Marvel. La sua carriera è costellata di riconoscimenti, ma Carmine non ha mai smesso di sperimentare e far crescere il suo stile. Forza cinetica del tratto, storytelling assolutamente cinematografico, grande […]

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Dall’8 al 10 maggio la prima di edizione del nuovo festival di comics Teramo Heroes, ideato e diretto da Carmine di Giandomenico, star internazionale di casa Marvel.

La sua carriera è costellata di riconoscimenti, ma Carmine non ha mai smesso di sperimentare e far crescere il suo stile. Forza cinetica del tratto, storytelling assolutamente cinematografico, grande umanità nei volti dei personaggi.  Ha rivisitato l’Odissea in chiave moderna nella sua personalissima e intima opera Oudeis, ha raccontato il supereroe DareDevil attraverso gli occhi del padre in Battlin Jack, reinventato in stile anni Trenta l’Uomo Ragno in Spiderman Noir, narrato per immagini l’infanzia nei campi di concentramento del mutante Magneto in Magneto Testament. Recentemente ha realizzato il restyling e firmato le matite di tutta la serie regolare del supergruppo X-factor al fianco del mostro sacro Peter David, e prossimamente sarà il disegnatore ufficiale della quarta stagione di Orfani per la Bonelli.

Ma Carmine non è solo un grande professionista, è anche un amico e una persona che è rimasta umile come quando lo conobbi dieci anni fa. Innamorato della sua città tanto da non sentire mai il bisogno di andare via. Carmine sognava l’America e oggi l’ha conquistata, senza mai muoversi da Teramo. Oggi non parleremo con lui di disegno, bensì di un’altra sua ambiziosa idea: portare nella sua città autori, standisti, fumetterie da tutta italia, cosplayer, appassionati di comics e chiunque voglia avvicinarsi al magico mondo del fumetto.

Raccontaci com’è nata l’idea, e quanto è difficile realizzarla non su carta, ma nella realtà.

L’idea è nata dalla voglia di raccogliere una sfida con me stesso, nel voler progettare non tanto un evento fra gli altri, ma un appuntamento intimo con il mondo del fumetto. Per prima cosa ho pensato di dare un tema annuale. E ho già pianificato tre anni. Il primo, in questo “anno zero”, saranno i supereroi. Sia perché a me più congeniali (li vivo tutti i giorni con il mio lavoro), sia perché credo che un evento non debba contenere troppi generi in maniera promiscua. Con dei temi annuali si ha la possibilità di poter affrontare le sfumature del fumetto una alla volta, con competenza e rispetto.

Esiste in città già da anni la realtà Teramo Comics: come Heroes gli si affianca, in termini di offerta? Possiamo considerare la tua idea di manifestazione uno step evolutivo in più?

Teramo Heroes è completamente slegata da Teramo Comix – che tuttavia ha un passato e un grande lavoro dietro da rispettare. Sia per visioni di crescita, sia per la valorizzazione degli autori ospiti. Negli anni passati la città ha avuto l’opportunità di accogliere autori nazionali di calibro elevato, ma non è mai riuscita, secondo me, a valorizzarli come si deve. Teramo Heroes vuole invece far conoscere gli uomini e le donne che stanno dietro le pagine che tutti i giorni leggiamo. I loro pensieri, le tecniche che usano, le riflessioni, che siano di casa Bonelli, americani o indipendenti. Creeremo appuntamenti all’università con tavole rotonde, incontri con il pubblico e molto altro ancora. In più faremo anche beneficenza per poter aiutare persone in difficoltà: metà del prezzo di ingresso di 3 euro sarà devoluto all’associazione Multa Paucis, che aiuta la Caritas a garantire pasti ai senza tetto e alle famiglie che non arrivano alla fine mese.

Chi saranno gli ospiti internazionali e i nuovi talenti che avranno spazio in questa prima edizione?

Saranno con noi i grandi Stefano Caselli, Marco Checchetto, David Messina, Emiliano Mammucari, Mauro Uzzeo, Alessio Danesi. Inoltre il gruppo Fish-eye, registi e autori televisivi del format televisivo Fumettology e, visto il tema dei supereroi, avremo l’onore di ospitare il campione olimpico Igor Cassina, che darà sfoggio delle sue abilità acrobatiche con una perfomance molto particolare… venite e scoprirete di cosa si tratta. Per quanto riguarda lo spazio dedicato ai nuovi talenti, alcune piccole realtà saranno presenti, ma la mia intenzione è di integrarli con il tempo, un passo alla volta, per poterli rispettare e valorizzare quando si avrà la possibilità di accoglierli nel modo giusto.

A cosa punta dunque Teramo Heroes?

Io penso che l’Abruzzo, la terra che mi ha dato i natali, sia la regione più bella d’Italia, per logistica. E Teramo Heroes non può non tenerlo presente. Abbiamo il mare e la montagna a pochi minuti, luoghi di una bellezza struggente, con opere d’arte e architettura di alto livello. Sto ragionando già da adesso su come la manifestazione potrà valorizzare sia l’appuntamento con il mondo del fantastico che col territorio che amo. Per ora è un’utopia, solo un’idea, ma cercherò di darle corpo e inseguirla come ho inseguito l’idea di Teramo Heroes… che oggi è realtà.

 

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